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Israele. Dopo Abu Dhabi Riyadh è più vicina

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Academic year: 2022

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| 1 Abu Dhabi tappa di avvicinamento a Riyadh. Perché quella è la meta finale di Naftali Bennett. La consacrazione ufficiale dell’asse Israele-Arabia Saudita, ovvero, la completa realizzazione degli

“accordi di Abramo”. L’alleanza tra lo Stato ebraico e il fronte delle petromonarchie sunnite del Golfo Arabico, in funzione anti-iraniana. Vista in questa luce, la recente visita del primo ministro israeliano negli Emirati Arabi Uniti può definirsi un passo in avanti. Importante, certamente, ma non ancora risolutivo. Israele ed Emirati Arabi serrano i rapporti con l’obiettivo di essere, da

“cugini e vicini”, un modello nella regione. La visita a poco più di un anno dagli Accordi di Abramo, il trattato di pace, relazioni diplomatiche e piena normalizzazione tra gli Emirati Arabi Uniti e lo Stato di Israele.

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Naftali Bennett è stato il primo premier israeliano a compiere una visita ufficiale nel Paese del Golfo, elemento centrale nella nuova strategia di alleanze in Medio Oriente, con lo scopo di neutralizzare l’Iran. Non è un caso – in questa ottica – che il volo della El Al con a bordo Bennett, per raggiungere il Golfo, sia passato nello spazio aereo dell’Arabia Saudita, un tempo

inavvicinabile. La visita “storica” è stata esaltata da un colloquio di oltre quattro ore del premier con bin Zayed nel palazzo del principe della corona ad Abu Dhabi. E presto – ha annunciato l’ufficio di Bennett – lo sceicco ricambierà la visita arrivando – anche se non si conosce ancora la data – in Israele per rinsaldare ulteriormente relazioni oramai più che collaudate.

Il messaggio che desidero trasmettere ai leader degli Emirati Arabi e ai suoi cittadini – ha detto Bennett in un’intervista esclusiva all’agenzia emiratina Wam prima di incontrare bin Zayed – è che la collaborazione e l’amicizia reciproche sono naturali. Siamo vicini e cugini. Siamo i nipoti del profeta Abramo.

Un giudizio subito confermato dopo l’incontro.

Abbiamo avuto conversazioni approfondite, significative e sincere. Il nostro obiettivo è di estendere i legami non solo per una pace tra i leader ma anche fra i popoli.

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Sul tavolo tutti i settori della cooperazione con accordi già raggiunti nei mesi scorsi: commercio, ricerca e sviluppo, sicurezza informatica, salute, istruzione, aviazione e altro.

A mio parere – ha notato Bennett nella stessa intervista – la cooperazione nel campo della salute e della sicurezza alimentare costituirà una parte importante di quella reciproca. Attendo con

impazienza il continuo sviluppo e consolidamento delle relazioni. […] Israele, come gli Emirati Arabi Uniti è un hub regionale per il commercio. La nostra cooperazione offre opportunità economiche senza precedenti non solo per noi, ma per più Paesi, che è un altro elemento per migliorare la stabilità e la prosperità in questa regione.

Concludendo l’incontro, le due parti – ha riferito la Wam – hanno evidenziato l’entusiasmo di promuovere la cooperazione bilaterale e l’azione congiunta nel tentativo di rafforzare gli interessi reciproci e contribuire al consolidamento della stabilità, della sicurezza e dello sviluppo nella regione.

Nessun accenno ufficiale al dossier Iran, ma secondo i media il nucleare di Teheran e la sua azione oltre i confini sono stati temi affrontati dalle due parti. Del resto era stato lo stesso ufficio del premier, nell’annunciare la partenza a sorpresa per gli Emirati, ad indicare l’Iran come uno dei capitoli da affrontare durante la visita.

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| 3 Di grande interesse è l’analisi politico-diplomatica del viaggio di Bennett fatta da Zvi Bar’el, firma storica di Haaretz.

Una settimana prima che l’aereo del primo ministro Naftali Bennett atterrasse negli Emirati Arabi Uniti una visita storica è avvenuta in Iran: Tahnoon bin Zayed, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, è venuto a Teheran dopo una rottura di cinque anni tra i due paesi. “Siamo sul punto di voltare pagina nelle nostre relazioni con gli Emirati Arabi Uniti”, ha detto il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian circa una settimana prima della visita del funzionario emiratino.

Ma non è stato in realtà un nuovo foglio ma una pagina in più in un quaderno che ha cominciato a riempirsi due anni fa, quando gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran hanno firmato un accordo di

cooperazione sulla sicurezza per garantire la sicurezza della navigazione nel Golfo Persico.

Quell’accordo contemplava anche l’arresto degli attacchi alle navi emiratine e ad altri obiettivi da parte degli Houthi dello Yemen e il rilascio significativamente più facile di visti agli iraniani per gli Emirati Arabi Uniti, che accolgono circa 600.000 iraniani, secondo stime non ufficiali. A novembre,

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gli Emirati Arabi Uniti, l’Iran e la Turchia hanno firmato un accordo commerciale che permette alle merci di Abu Dhabi di essere inviate via terra in Turchia attraverso l’Iran. Questo accorcerà i tempi di spedizione a solo una settimana, rispetto ai venti giorni necessari per andare via mare attraverso il canale di Suez. […] Bennett ha detto che gli obiettivi della sua visita ad Abu Dhabi erano volti a rafforzare i legami economici e quindi a dare ulteriore contenuto agli accordi di Abramo, e anche a discutere dell’Iran. Ma è improbabile che trovi una sponda nelle minacce di guerra di Israele contro l’Iran nel principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed, che ha in programma di visitare Teheran alla fine di quest’anno. Gli Emirati Arabi Uniti, come l’Arabia Saudita, si oppongono a un’azione militare contro il suo vicino, perché ciò potrebbe incendiare l’intero Golfo, mettendo a repentaglio le sue imprese economiche. Abu Dhabi avrebbe anche problemi a sostenere nuove sanzioni contro l’Iran, perché ciò danneggerebbe direttamente gli EAU proprio nel momento in cui sta cercando di stringere accordi con Teheran per assicurarsi uno status preferenziale una volta che le sanzioni saranno revocate.

Secondo fonti arabe, il principe Mohammed avrebbe detto a Bennett che le relazioni degli EAU con l’Iran non vanno a scapito delle sue relazioni con Israele, che Abu Dhabi cerca di espandere.

Piuttosto, si tratta di canali diplomatici separati e completamente indipendenti.

Allo stesso modo, mentre Teheran ha denunciato l’accordo di pace e normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti con Israele, non ha mai chiesto ad Abu Dhabi di cancellare l’accordo o interrompere le relazioni come prezzo della cooperazione economica con l’Iran. Non ha nemmeno mai chiesto che Ankara interrompa le relazioni con Gerusalemme come prezzo della cooperazione economica turco-iraniana. Gli Emirati Arabi Uniti, come l’Arabia Saudita, si oppongono a un’azione militare contro il loro vicino, perché ciò potrebbe incendiare l’intero Golfo, minando così le sue imprese economiche. Abu Dhabi avrebbe anche problemi a sostenere nuove sanzioni contro l’Iran, perché ciò danneggerebbe direttamente gli EAU proprio nel momento in cui sta cercando di stringere accordi con Teheran per assicurarsi uno status preferenziale una volta che le sanzioni saranno revocate. […] Una persona che è molto consapevole della capacità degli Emirati Arabi di

influenzare l’Iran è il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Ha chiesto sia al principe Mohammed sia al sovrano del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, di persuadere l’Iran ad andare avanti nella negoziazione di un ritorno all’accordo – non attraverso minacce, ma presentando scenari economici che aiuterebbero l’Iran a uscire dalla sua crisi economica.

Allo stesso tempo, una delegazione americana di alto livello dovrebbe visitare Abu Dhabi questa settimana per mettere in guardia contro la continua evasione delle sanzioni all’Iran da parte delle banche emiratine. Questo sembrerebbe inviare il messaggio che Washington intende imporre

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| 5 nuove sanzioni all’Iran se i colloqui sul nucleare non fanno progressi adeguati. Eppure, nonostante questa minaccia implicita, il piano B dell’America in caso di fallimento dei colloqui rimane vago.

Se Washington avesse voluto inviare un messaggio aggressivo all’Iran, avrebbe dato il via libera ai caccia F-35 che la precedente amministrazione statunitense ha consentito di comprare ad Abu Dhabi come ricompensa per aver fatto pace con Israele. Gli Emirati Arabi Uniti hanno fatto capire che la loro pazienza con il ritardo di Washington nel dare l’ok agli aerei sta diminuendo quando, con una mossa ben pubblicizzata, hanno firmato un accordo per acquistare ottanta caccia Rafael dalla Francia per 19 miliardi di dollari. Questo accordo era in cantiere da due decenni, e la sua improvvisa finalizzazione non è stata casuale. Certo, Teheran ha denunciato l’accordo. Ma questo non gli ha impedito di continuare a sviluppare i suoi legami con gli Emirati Arabi.

La questione iraniana dimostra che Israele non ha la capacità di influenzare né Washington né Abu Dhabi. Quest’ultima sta seguendo la propria agenda, che comprende anche il rinnovo delle relazioni con la Turchia come parte dell’involucro strategico che sta costruendo in previsione del ritiro dell’America dal Medio Oriente.

Israele è solo un tassello di questa agenda, che peraltro, per via di dichiarazioni pubbliche, sta attualmente minacciando la stabilità e la calma nel Golfo Persico, contraddicendo anche la visione delineata dagli Stati del Golfo.

Il principe Mohammed ha senza dubbio spiegato questa rete di interessi a Bennett. E proprio come Bennett ha presumibilmente cercato di convincere il suo ospite a unirsi alla minaccia militare contro l’Iran, il principe Mohammed ha presumibilmente cercato di calmare il diluvio di verbosità aggressive provenienti da Gerusalemme.

Così Bar’el.

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Un’analisi che dà il giusto valore a un viaggio che, se non può fregiarsi, nella sua sostanza,

dell’aggettivo “storico”, è comunque un passaggio importante per quella strategia di ridefinizione di un sistema di alleanze in Medio Oriente che punta a ridefinire gli equilibri di potenza nella regione. E di questi equilibri, Israele è parte integrante.

Ma la visita di Bennett negli Emirati ha anche un altro risvolto che non ha trovato grande spazio sulla stampa italiana: la “questione palestinese”. Tra le poche eccezioni è Avvenire.

Annota Fulvio Scaglione su giornale della Cei:

Gli Emirati c’entrano perché proprio ad Abu Dhabi, da ormai dieci anni, vive in esilio Mohammed Dahlan, considerato il leader dei ‘riformisti’ palestinesi, che bussa a tutte le porte (è stato anche a Mosca) per essere riammesso in Al Fatah e concorrere, quindi, alla successione. È chiaro che Dahlan darebbe un’altra impronta alle trattative con Israele e non ci sarebbe da stupirsi se

Bennett e il suo governo cercassero, insieme con interlocutori come il principe Mbz, un tempo tra i grandi donatori alla causa della Palestina e ora molto meno, di dare una discreta spinta al cambio della guardia in Al Fatah. Per parte sua Bennet, che deve l’incarico anche ai sei seggi del partito arabo Ra’am (il primo a entrare in una maggioranza di governo), ha varato una legge di bilancio che prevede forti investimenti nei quartieri arabi di Israele, finora negletti e abbandonati. Un atto di giustizia tardivo ma non meno importante, certo. E anche un messaggio ai palestinesi stremati dall’occupazione altrui e dell’inconcludenza di eterni leader e dichiarati ‘amici’: collaborare fa vivere meglio.

Il candidato del Golfo contro quelli sponsorizzati da Teheran e Ankara. La partita della successione dell’anziano e malandato Abu Mazen si gioca in trasferta.

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