BILANCI DI QUANTITÀ DI MOTO I. Bilancio macroscopico di quantità di moto
Lungo la stessa linea dell’equazione di continuità è possibile scrivere un bilancio macroscopico di quantità di moto. Con riferimento al solito volume di controllo arbitrario V, racchiuso dalla superficie S (vedi Fig.1)
Fig.1
(1.1)
dove SF è la somma di tutte le forze agenti sul volume di controllo.
La (1) può essere sviluppata in maniera del tutto analoga a quanto fatto per il bilancio di materia. I termini di ingresso meno uscita sono associati al flusso di quantità di moto che, in analogia al flusso di materia, ha l’espressione . Il termine di accumulo è invece la derivata temporale della quantità di moto complessiva nell’intero volume di controllo. In definitiva si ha:
(1.2)
Le forze agenti sul volume di controllo possono essere divise in due categorie: le forze di massa, associate appunto alla massa presente nel volume di controllo; e le forze di superficie, quelle cioè trasmesse dal
mondo esterno attraverso la superficie di controllo. Le prime, nel nostro caso, si riducono alla sola forza peso:
(1.3)
Nella (1.3) g è il vettore accelerazione di gravità. Le seconde, detta tn la forza per unità di superficie agente su un punto di S (identificato come al solito dal versore normale uscente dalla superficie, n), sono esprimibili come:
(1.4)
Avendo espresso le forze agenti sul sistema con le (1.3) e (1.4), il bilancio di quantità di moto assume la forma:
(1.5)
Volendo proseguire sulla falsariga del bilancio di materia, il primo termine della (1.5) può essere trasformato in un integrale di volume mediante il teorema di Gauss:
(1.6)
Per quel che riguarda l’altro integrale di superficie, il teorema di Gauss può essere applicato solo se si trova un’adeguata espressione alternativa per le forze di superficie. Questo è argomento del prossimo paragrafo.
II. Il tensore degli sforzi
Il vettore tn, che esprime la forza per unità di superficie agente sul contorno del volume di controllo, rappresenta il modo con cui il mondo esterno esercita azioni su di esso. Tali azioni, almeno nell’ambito di questa trattazione, possono avvenire solo in maniera diretta (stiamo escludendo, ad esempio l’azione a distanza di forze elettromagnetiche) e quindi solo attraverso la superficie di controllo del sistema.
Per meglio chiarire questo concetto consideriamo il generico volume di controllo di Fig.2, e un punto P in esso compreso. Immaginiamo ora di
“tagliare” in due parti il volume di controllo con una superficie passante per il punto P. Scegliamo ora una delle due parti del volume di controllo, ad esempio quella di sinistra, e chiamiamo con n il versore perpendicolare alla superficie diretto verso l’esterno.
IN − OUT + ∑ F = ACC
r - vv n ×
− ρvv ⋅ndS
∫
S+ ∑ F = dt d ∫
Vρv dV
F
massa= ρg dV
∫
VF
sup= t
ndS
∫
S− ρvv ⋅ndS
∫
S+ ∫
Vρg dV + t ∫
S ndS = dt d ∫
Vρv dV
ρvv ⋅ndS
∫
S= ∇ ⋅ ∫
Vρvv dV
Fig.2
Per quanto detto, le forze di superficie agenti sulla superficie di normale n corrispondono alla forza che dobbiamo applicare sul volume di sinistra per produrre lo stesso sistema di forze che venivano trasmesse dal volume di destra. Il vettore tn è quindi la forza per unità di superficie che rappresenta questa situazione. Se consideriamo la stessa superficie, ma questa volta come appartenente alla parte di destra del volume, la normale uscente è rappresentata dal versore –n. Su di essa le forze di superficie corrispondono alla forza che dobbiamo applicare sul volume di destra per produrre lo stesso sistema di forze che venivano trasmesse dal volume di sinistra. Ovviamente tali forze sono uguali in modulo e di segno opposto alle forze che agiscono sul volume di sinistra. Ciò equivale a dire che:
(2.1)
In generale, fissato un punto nello spazio, la forza agente su una superficie passante per tale punto è diversa a seconda dell’orientazione della superficie stessa. Si pensi ad esempio alla forza di pressione: in un punto, questa è sempre normale alla superficie scelta, per cui il vettore che la rappresenta cambia continuamente al variare dell’orientazione della superficie. Allo stesso tempo, tuttavia, appare chiaro che lo stato tensionale in un punto debba poter essere espresso da un numero
limitato di informazioni. In questo paragrafo ci proponiamo appunto di trovare un’espressione per tale stato tensionale in funzione dell’orientazione della superficie. A tale scopo consideriamo (Fig.3) un punto qualunque dello spazio e in esso centriamo un sistema di coordinate cartesiane ortogonali. Costruiamo ora un tetraedro infinitesimo di fluido nel quale tre facce appartengono ai tre piani individuati dagli assi cartesiani, e le loro orientazioni possono essere individuate dai versori normali alle superfici e uscenti dal volumetto:
questi sono proprio gli opposti dei versori della terna cartesiana, -e1, -e2, -e3. La quarta faccia ha invece una generica orientazione nello spazio, individuata dal versore n normale alla superficie. Le aree delle quattro superfici del tetraedro sono, rispettivamente, dA1, dA2, dA3, dAn. Su ognuna di esse agisce una forza per unità di superficie. Secondo la simbologia adottata esse sono t-1, t-2, t-3, e tn, (in Fig.2, per chiarezza, sono riportati solo i vettori sulle superfici di normale -e3 ed n). Il nostro obiettivo è di trovare una relazione tra la forza per unità di superficie agente sulla superficie di orientazione generica e le forze per unità di superficie agenti sulle tre superfici perpendicolari agli assi.
Fig.3
A questo scopo supponiamo che il volumetto di fluido si muova nello spazio sotto l’azione delle forze applicate. Ciò significa che deve valere il principio di conservazione della quantità di moto, nel senso che la somma
t
−n= −t
ndi tutte le forze agenti sul volumetto deve eguagliare il prodotto di massa per accelerazione:
(2.2)
La (2.2) è valida in ogni istante di tempo con v velocità del fluido nel punto. Al tendere a zero delle dimensioni del tetraedro, tuttavia, i primi due termini della (2.2) (proporzionali al volume) diventano trascurabili rispetto agli altri (proporzionali alla superficie). Al tendere di dV a zero, dunque, la (2.2) assume la forma:
(2.3)
dove si è fatto uso della (2.1) per esprimere i vettori sulle superfici di normale –ei in termini delle corrispondenti forze per unità di superficie sulle superfici di normale ei.
Ora, le superfici infinitesime normali agli assi cartesiani, dAi, si possono vedere come proiezione di dAn lungo le tre direzioni ortogonali. Ciò può essere scritto, per una generica direzione i, come:
(2.4)
dove si sono sfruttate le proprietà del prodotto scalare di versori. La (2.3) può dunque essere riscritta come:
(2.5)
da cui
(2.6)
Va notato a questo punto che ciascun vettore ti può essere decomposto nelle sue tre componenti nelle direzioni dei tre assi cartesiani. Ad esempio, con riferimento alla Fig.4, il vettore t1, agente sulla superficie perpendicolare alla direzione “1”, viene decomposto in una componente normale alla superficie e in due componenti tangenziali alla superficie, queste ultime dirette secondo gli altri due assi cartesiani.
(2.7)
Nella (2.7) le componenti Tij vengono dette sforzi. Si noti che il primo pedice, fisso, individua la superficie (nella (2.7) è quella di normale 1), il secondo, variabile, la direzione della proiezione. Quando i=j si parla di sforzi normali, quando i¹j si parla invece di sforzi tangenziali.
Fig.4
E’ facile a questo punto verificare che il vettore tn può essere espresso in funzione delle nove componenti di sforzo dei tre vettori ti:
(2.8)
Il tensore T, le cui componenti in una terna cartesiana ortogonale sono proprio le Tij sopra definite, viene detto tensore degli sforzi. Sulla base della (2.8) esso è il tensore che, applicato ad un versore normale ad una superficie in un punto, restituisce la forza per unità di superficie agente sulla superficie stessa. Quando venga specificato il sistema di coordinate ortogonali, T è esprimibile attraverso le componenti su descritte:
(2.9)
Le Tij, come già chiarito, rappresentano le componenti del vettore forza per unità di superficie sulle superfici perpendicolari agli assi. Le componenti sulla diagonale principale costituiscono gli sforzi normali, quelle fuori diagonale gli sforzi tangenziali.
La (2.8) mostra che lo stato tensionale in un punto è noto quando siano specificate nove quantità scalari, le componenti del tensore degli sforzi. In realtà il numero di componenti indipendenti è minore, come si può ricavare applicando un bilancio del momento della quantità di moto ad un cubetto differenziale di fluido di spigoli dx1, dx2, dx3, (vedi Fig.5). Questo bilancio richiede che l’accumulo del momento della quantità di moto della massa di fluido sia eguagliato dalla somma delle coppie di tutte le forze su esso agenti. I momenti sono calcolati rispetto al centro del volumetto.
ρdV dv
dt = ρgdV + t
−1dA
1+ t
−2dA
2+ t
−3dA
3+ t
ndA
nt
1dA
1+ t
2dA
2+ t
3dA
3− t
ndA
n= 0
dA
i= dA
n( ) e
i⋅n
t
ie
i⋅ndA
n= t
ndA
nt
n= t
ie
i⋅n
t
1= T
11e
1+ T
12e
2+ T
13e
3= T
1 je
jt
n= t
ie
i⋅n = T
ije
je
i⋅n = n⋅T
T =
T
11T
12T
13T
21T
22T
23T
31T
32T
33⎡
⎣
⎢ ⎢
⎢ ⎢
⎤
⎦
⎥ ⎥
⎥ ⎥
Fig.5
Si può facilmente verificare che sia l’accumulo della quantità di moto che la forza peso sono vettori applicati proprio nel centro del volumetto, quindi non producono coppia. Lo stesso dicasi per le componenti normali delle forze di superficie. Il bilancio quindi si riduce alla scrittura dell’equilibrio alla rotazione del cubetto di fluido sotto l'azione delle forze tangenziali. Ad esempio, l’equilibrio alla rotazione intorno all’asse x3
implica che:
(2.10)
che fornisce subito:
(2.11)
Più in generale, l’equilibrio alla rotazione intorno a ciascuno dei tre assi determina la relazione:
(2.12)
cioè il tensore degli sforzi è simmetrico. Questa proprietà permette anche di scrivere la (2.8) come:
(2.13)
III. Bilancio microscopico di quantità di moto
La (2.13) può a questo punto essere inserita nel bilancio di quantità di moto (1.5). Applicando anche al termine di forze di superficie il teorema di Gauss, la (1.5) assume la forma:
(3.1)
Come per il bilancio di materia, nello scrivere la (3.1) si è sfruttata la linearità dell’operazione di integrazione rispetto alla somma e si è scambiato il segno di derivata temporale con quello di integrazione spaziale. E come per il bilancio di materia, l’arbitrarietà nella scelta del volume di controllo permette di affermare che la (3.1) è vera se e soltanto se l’argomento dell’integrale si annulla in tutti i punti del volume di integrazione, cioè se:
(3.2)
La (3.2) rappresenta la forma differenziale dell’equazione di bilancio della quantità di moto. Essa può essere ulteriormente semplificata notando che il suo primo membro può essere sviluppato come:
(3.3)
Nello scrivere la (3.3) si è utilizzata la regola di derivazione del prodotto ed è stato sviluppato il termine contenente la diade vv. Si noti a questo punto che il termine in parentesi a secondo membro della (3.3) è proprio il bilancio microscopico di materia, ed in quanto tale è sempre nullo. La (3.2) assume quindi la forma:
(3.4)
La (3.4), detta anche Equazione di Cauchy, rappresenta la forma più generale di bilancio microscopico di quantità di moto. In essa sono ancora chiaramente distinguibili i termini di accumulo e di flusso della quantità di moto, nonché quelli dovuti alle forze agenti. La(3.4), ricavata per un riferimento Euleriano, può essere riscritta in termini Lagrangiani osservando che i due termini a primo membro, a meno della densità, rappresentano proprio la derivata sostanziale del vettore velocità. Si ha quindi, in alternativa alla (3.4), la seguente forma:
(3.5)
( T
12dx
2dx
3) dx 2
1= T (
21dx
1dx
3) dx 2
2T
12= T
21T
ij= T
jit
n= n⋅T = T ⋅n
∂ ρ v
∂t + ∇ ⋅ ρ vv − ρ g − ∇ ⋅T
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ dV
∫
V∂ ρ v
∂t + ∇ ⋅ ρ vv = ρ g + ∇ ⋅T
∂ ρ v
∂t + ∇ ⋅ ρ vv = ρ ∂v
∂t + ρ v ⋅ ∇v + v ∂ ρ
∂t + ∇ ⋅ ρ v
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟
ρ ∂v
∂t + ρ v ⋅ ∇v = ρ g + ∇ ⋅T
ρ Dv
Dt = ρg + ∇ ⋅T
La (3.4) assume forme esplicite diverse a seconda del sistema di riferimento scelto per rappresentarla. Ad esempio, fissato un sistema di coordinate cartesiane ortogonali, la (3.4), vettoriale, può essere proiettata sui tre assi cartesiani fornendo:
(3.6)
IV. Equazioni di stato e costitutive. Fluido Newtoniano
Supponiamo di voler studiare il moto di un fluido omogeneo in condizioni isoterme e in assenza di reazioni chimiche. Da quanto già detto in queste note e in quelle relative al bilancio di materia abbiamo a disposizione le due equazioni di bilancio di materia e di bilancio di quantità di moto:
(4.1)
(4.2)
Le (4.1) e (4.2), corredate delle opportune condizioni iniziali ed al contorno, dovrebbero permettere di risolvere il problema, nel senso di determinare tutte le grandezze di campo. E’ facile rendersi conto che in realtà ciò non è possibile. Infatti, una rapida ispezione delle quattro equazioni scalari informa che sono presenti ben dieci incognite: la densità, le tre componenti della velocità e le sei componenti indipendenti del tensore degli sforzi. E’ chiaro dunque che c’è bisogno di altre equazioni per “chiudere” il problema. Tali equazioni sono per così dire meno “pregiate” di quelle di bilancio, la cui validità è del tutto generale.
Si tratta infatti di equazioni che legano tra di loro le proprietà del fluido e la loro caratteristica risposta alle condizioni di flusso.
Una prima categoria di equazioni “ancillari” a quelle di bilancio è quella delle equazioni di stato. Un esempio è l’equazione di stato dei gas perfetti:
(4.3)
dove p è la pressione, r la densità, T la temperatura assoluta. R è la costante universale dei gas e M il peso molecolare del gas. La (4.3), in condizioni isoterme, determina la densità in funzione della pressione.
Equazioni più complesse alternative alla (4.3) tengono in conto delle cosiddette “non idealità” del fluido, ma in ogni caso definiscono la famiglia dei cosiddetti fluidi comprimibili. In antitesi a tali comportamenti, molti fluidi (con buona approssimazione tutti i liquidi, e i gas non sottoposti a grandi variazioni di pressione) possono essere considerati incomprimibili, nel senso che variazioni di pressione non determinano variazioni di densità. In questo caso l’equazione di stato assume la forma molto semplice:
(4.4)
Ritornando al nostro problema di moto del fluido, possiamo dire che se abbiamo a che fare con un fluido incomprimibile, l’aggiunta dell’equazione (4.4), non introducendo nuove incognite, porta ad un problema di cinque equazioni nelle solite dieci incognite. Nel caso dei fluidi comprimibili, invece, è vero che aggiungiamo una nuova equazione, la (4.3) o equivalente, ma introduciamo anche la nuova incognita pressione (che, si noti, non compare esplicitamente nelle equazioni di bilancio).
Il problema del moto dei fluidi viene chiuso nel momento in cui viene specificato, in termini quantitativi, il legame locale tra le condizioni di flusso e lo stato tensionale nel fluido. Questo tipo di equazione, detta costitutiva, può assumere forme più o meno complesse legate alla corrispondente complessità del fluido. In questa sezione faremo riferimento al comportamento costitutivo più semplice, quello che caratterizza i cosiddetti fluidi Newtoniani.
La definizione di fluido Newtoniano prende come punto di partenza l’analisi, già nota, di una condizione di flusso molto semplice, schematizzata in Fig. 6. Qui, si assume che il fluido sia contenuto tra due piatti paralleli, uno (quello inferiore) fermo, l’altro (il superiore) in moto con velocità v. In queste condizioni si determina un flusso di scorrimento, nel senso che, ogni strato di fluido è animato da una velocità nella direzione x1 che varia lungo la direzione x2 da zero fino al valore massimo. A tale moto corrisponde l’insorgere, nel fluido, di una
ρ ∂v
1∂t + v
1∂v
1∂x
1+ v
2∂v
1∂x
2+ v
3∂v
1∂x
3⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = ρg
1+ ∂T
11∂x
1+ ∂T
21∂x
2+ ∂T
31∂x
3ρ ∂v
2∂t + v
1∂v
2∂x
1+ v
2∂v
2∂x
2+ v
3∂v
2∂x
3⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = ρg
2+ ∂T
12∂x
1+ ∂T
22∂x
2+ ∂T
32∂x
3ρ ∂v
3∂t + v
1∂v
3∂x
1+ v
2∂v
3∂x
2+ v
3∂v
3∂x
3⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = ρg
3+ ∂T
13∂x
1+ ∂T
23∂x
2+ ∂T
33∂x
3∂ ρ
∂t + ∇⋅ ρ v = 0 ρ dv
dt + ρv ⋅ ∇v = ρg + ∇ ⋅T
p = ρ RT M
ρ = costante
componente tangenziale di sforzo tra uno strato e l’altro. Per la scelta del sistema di riferimento si tratta ovviamente della componente T21 del tensore degli sforzi
Fig.6
L’osservazione sperimentale indica che lo sforzo è legato direttamente alla variazione della velocità lungo la direzione trasversale. Per un fluido Newtoniano, in particolare, si riscontra una proporzionalità diretta tra lo sforzo tangenziale e il gradiente di velocità, secondo la relazione:
(4.5)
La (4.5) oltre a rappresentare il comportamento costitutivo del fluido Newtoniano in queste condizioni di flusso, rappresenta anche una definizione operativa della viscosità µ del fluido.
La (4.5) indica chiaramente che lo stato tensionale nel fluido è dipendente (in maniera direttamente proporzionale) dalle variazioni spaziali della velocità. Essa è tuttavia una relazione scalare, riferita cioè ad una sola componente del tensore degli sforzi. Il nostro obiettivo è invece quello di definire una equazione costitutiva di tipo tensoriale, che esprima cioè un legame tra il tensore degli sforzi e delle quantità tensoriali rappresentative delle variazioni di velocità. Per poter stabilire questa relazione bisogna tener conto dei seguenti elementi:
- Stante la linearità tra sforzo e variazione spaziale di velocità, l’equazione deve stabilire una dipendenza la più generale possibile tra il tensore T e tensori nei quali siano presenti in forma lineare le suddette variazioni spaziali di velocità.
- La relazione deve portare ad un tensore degli sforzi fisicamente
“congruo”. In particolare, deve essere soddisfatta la proprietà di simmetria del tensore T.
- La relazione deve degenerare propriamente nel caso in cui il fluido sia in condizioni quiescenti. In tali condizioni, infatti, è noto che sul fluido agisce solo lo sforzo normale comunemente detto pressione.
- Ovviamente, tale relazione deve rappresentare in maniera fisicamente corretta il comportamento del fluido: essa deve quindi essere in accordo con le evidenze sperimentali riguardanti il moto di tale categoria di fluidi.
Tenuto conto di queste considerazioni, l’espressione a cui si giunge risulta essere:
(4.6)
Nella (4.6), oltre alla già citata viscosità compare un altro parametro fisico, k, detto viscosità di volume. In generale si ha k<<µ, per cui la viscosità di volume viene generalmente trascurata. Si noti che nel caso di fluidi incomprimibili, essendo nulla da bilancio di materia la divergenza della velocità, il termine contenente la viscosità di volume è comunque nullo.
Analizziamo in maniera dettagliata la (4.6):
- Tutti i suoi termini rispettano il concetto di proporzionalità diretta tra il tensore T e le derivate spaziali della velocità. Inoltre, si può dimostrare che la (4.6) è l’espressione più generale possibile che soddisfi a questo criterio.
- Si può facilmente verificare che la (4.6) soddisfa la condizione di simmetria del tensore degli sforzi. Infatti il primo e il terzo termine a secondo membro sono multipli del tensore unitario, isotropi e quindi simmetrici. Il secondo termine è proporzionale alla parte simmetrica del gradiente di velocità:
(4.7)
e quindi anch’esso simmetrico.
- In condizioni di assenza di flusso tutti i termini contenenti la velocità sono nulli e la (4.6) si riduce a:
(4.8)
T
12= µ ∂v
1∂x
2T = − pI + µ ( ∇v + ∇v
T) + ⎛ ⎝⎜ κ − 2 3 µ ⎞ ⎠⎟ ∇ ⋅ vI
D = 1
2 ( ∇v + ∇v
T)
T = − pI
che corrisponde ad uno stato tensionale isotropo. Di fatto, quindi, la grandezza p rappresenta in condizioni quiescenti proprio la pressione del fluido. Su questo punto ritorneremo tra breve.
- La (4.6) rappresenta realmente il comportamento di una vasta categoria di fluidi (praticamente tutti i gas, liquidi semplici come l’acqua, liquidi organici a basso peso molecolare ed altri ancora), come confermato da innumerevoli misure ed osservazioni sperimentali.
Possiamo quindi concludere che la (4.6) è una valida equazione costitutiva, adatta a descrivere una vasta famiglia di liquidi e di gas.
Ovviamente, al variare del fluido, i parametri costitutivi (cioè la viscosità e la viscosità di volume) assumeranno valori diversi. Tutti i fluidi il cui comportamento risponde alla equazione (4.6) vengono detti fluidi Newtoniani.
Prima di concludere questa sezione è bene ritornare per un momento sulla definizione di pressione. Si noti che, nell’ipotesi di trascurare la viscosità di volume (o di fluido incomprimibile), la (4.6) assume la forma:
(4.9)
Se effettuiamo l’operazione di traccia a primo e secondo membro della (4.9) otteniamo:
(4.10) In altri termini, la “pressione” del fluido è pari a:
(4.11)
Tale risultato fa comprendere che in condizioni di flusso i singoli sforzi normali non coincidono con la pressione termodinamica, ma rispettano solamente il vincolo che la loro media (cioè la traccia di T diviso tre) è pari all’opposto della quantità p.
Senza approfondire ulteriormente questo punto, si consideri che in base alle (4.9)-(4.11), il tensore degli sforzi può essere riscritto nella seguente forma:
(4.12)
con
(4.13)
Al tensore s si assegna il nome di parte deviatorica del tensore degli sforzi, nel senso che è quella parte che compare solamente quando vengano applicate condizioni di flusso. Ovviamente, per quanto detto sopra, risulta:
(4.14)
Prima di concludere questa sezione si noti che, nel caso di fluido incomprimibile, essendo nulla la divergenza del vettore velocità, la (30) assume la forma:
(4.15) V. Le equazioni di Navier-Stokes
Le equazioni di Navier-Stokes costituiscono lo strumento più utilizzato per lo studio di problemi di meccanica dei fluidi. Esse sono derivate con riferimento a due ipotesi costitutive fondamentali: si suppone infatti che il fluido sia incomprimibile e Newtoniano. In questo condizioni il bilancio di materia assume la già nota forma:
(5.1)
Nel bilancio di quantità di moto (4.2), possiamo invece sostituire l’espressione del tensore degli sforzi con l’equazione Newtoniana incomprimibile (4.15). Abbiamo quindi:
(5.2)
Per quanto riguarda il termine di pressione si può facilmente dimostrare che:
(5.3)
Per quel che riguarda la parte deviatorica dello sforzo valgono invece le seguenti relazioni:
(5.4)
T = − pI + µ ∇v + ∇v ( T) − 2 3 µ∇ ⋅ vI
tr T ( ) = −3p + 2µ∇ ⋅ v − 2
3 µ3∇ ⋅ v = −3p
p = − 1 3 tr T ( )
T = − pI + σ
σ = µ ∇v + ∇v ( T) − 2 3 µ∇ ⋅ vI
tr ( ) σ = 0
T = − pI + µ ( ∇v + ∇v
T) = − pI + 2 µ D
∇ ⋅ v = 0
ρ dv
dt + ρv ⋅ ∇v = ρg + ∇ ⋅ − pI + µ ∇v + ∇v ⎡ ⎣ ( T) ⎤ ⎦
−∇ ⋅ pI = −∇p
∇ ⋅ ∇v = ∂
∂x
iei∂v
k∂x
jejek= ∂
2vk∂x
i2 ek= Δv
(5.5)
La (5.4) definisce l’operatore laplaciano il quale restituisce indietro un vettore le cui componenti sono le derivate seconde della vettore di partenza rispetto alle tre direzioni dello spazio. La (5.5) è invece nulla in virtù dell’ipotesi di incomprimibilità.
A valle delle (5.3)-(5.5) la (5.2) può quindi essere scritta come:
(5.6)
Il sistema della (5.1) e della
(5.6) costituisce le
equazioni di Navier- Stokes e rappresenta il risultato finale del bilancio di quantità di moto per un fluido Newtoniano incomprimibile. Essa costituisce finalmente un sistema di quattro equazioni scalari in quattro incognite, la pressione e le tre componenti del vettore velocità. Il problema è finalmente chiuso, nel senso che questo set di equazioni differenziali a derivate parziali spazio- temporale può in linea di principio essere risolto una volta che vengano assegnate le necessarie condizioni iniziali e al contorno e, come detto, la rappresenta uno strumento fondamentale per l’analisi quantitativa di problemi di meccanica dei fluidi.Come per le equazioni di Cauchy, le equazioni di Navier-Stokes assumono forme esplicite diverse a seconda del sistema di coordinato utilizzato per rappresentarle. In coordinate cartesiane ortogonali si ha:
(5.7)
Una versione alternativa alla (5.6) può essere ottenuta considerando che il termine di forza peso può essere anch’esso messo nei termini del gradiente di un campo scalare (si tratta del campo di energia potenziale).
Si noti infatti che il vettore accelerazione di gravità è un vettore di modulo g, diretto verticalmente verso il basso. Quindi, scelto un sistema di riferimento con uno degli assi orientato verticalmente verso l’alto, ad esempio l’asse x3, si può dimostrare facilmente che:
(5.8)
dove h è la quota del punto in questione, cioè il valore della sua coordinata lungo l’asse x3. A questo punto la (5.6) può essere scritta come:
(5.9)
dove:
(5.10)
è la pressione ridotta.
La (5.6), o la sua equivalente (5.9), possono assumere forme diverse a seconda delle condizioni di flusso o del tipo di problema analizzato. Ad esempio, in condizioni quiescenti la velocità è nulla dappertutto, e la (5.9) si riduce a:
(5.11)
che altro non è se non la equazione fondamentale dell’idrostatica, la cui integrazione porta alla legge di Stevino:
(5.12)
dove p è la pressione nel fluido incomprimibile alla generica quota h e p0
il valore assunto alla quota di riferimento h0.
Nel caso in cui si abbiano condizioni di flusso monodimensionale, cioè il vettore velocità è caratterizzato in tutti i punti da una stessa direzione, è facile mostrare che si ha:
(5.13)
In questo caso la (5.6) diventa:
(5.14)
che, in condizioni stazionarie, sancisce il principio che in moto rettilineo il bilancio di quantità di moto si riduce ad un puro bilancio di forze.
VI. Adimensionalizzazione delle equazioni di Navier-Stokes
Per poter risolvere un problema di moto di un fluido Newtoniano incomprimibile mediante le equazioni di Navier-Stokes si deve prima di
∇ ⋅ ∇v
T= ∂
∂x
iei∂v
k∂x
jekej= ∂
2vi∂x
i∂x
jej=
= ∂ ∂x
j∂v
i∂x
iej= ∂
∂x
j( ) ∇⋅ v
ej= 0
ρ ∂
v∂t + v ⋅ ∇v
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = −∇p + ρg + µΔv
ρ ∂v1
∂t + v1∂v1
∂x1+ v2 ∂v1
∂x2+ v3∂v1
∂x3
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ =ρg1− ∂p
∂x1+µ ∂2v1
∂x12 +∂2v1
∂x22 +∂2v1
∂x32
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟
ρ ∂v2
∂t + v1∂v2
∂x1+ v2∂v2
∂x2 + v3∂v2
∂x3
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟=ρg2− ∂p
∂x2+µ ∂2v2
∂x12 +∂2v2
∂x22 +∂2v2
∂x32
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟
ρ ∂v3
∂t + v1∂v3
∂x1+ v2∂v3
∂x2+ v3∂v3
∂x3
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ =ρg3− ∂p
∂x3+µ ∂2v3
∂x12 +∂2v3
∂x22 +∂2v3
∂x32
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟
ρg = −ρg∇h
ρ ∂
v∂t + v ⋅ ∇v
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = −∇℘+ µΔv
℘ = p + ρgh−∇℘ = 0
p
− p
0= ρg h (
0− h )
v ⋅ ∇v = 0
ρ ∂
v∂t = −∇p + ρg + µΔv
tutto definire il corrispondente dominio di integrazione (la geometria di flusso) e le equazioni devono essere completate da un opportuno insieme di condizioni iniziali e al contorno. La successiva integrazione permette di pervenire alla soluzione del problema, cioè alla determinazione dei campi di velocità e pressione.
In questa sede, piuttosto che alla soluzione dello specifico problema, siamo interessati ad una trasformazione delle equazioni che permetta di ricavare informazioni più generali sul problema stesso e, se possibile, di stabilire l’importanza relativa dei vari termini che costituiscono le equazioni. Questo viene effettuato mediante l’adimensionalizzazione delle equazioni del moto.
Per procedere alla adimensionalizzazione bisogna prima di tutto selezionare alcune quantità rilevanti che rappresentano valori significativi delle principali grandezze caratterizzanti il problema. Con riferimento alle equazioni di Navier-Stokes conviene individuare certamente una lunghezza caratteristica. Questa può essere, ad esempio, il diametro del condotto nel moto in tubi, o il diametro della sfera nel moto di un fluido inotorno ad essa. Analogamente può essere individuata una velocità caratteristica (la velocità media nel condotto, oppure la velocità del fluido lontano dalla sfera). Va sottolineata l’importanza della scelta di queste due grandezze: esse vanno infatti selezionate in modo che sia possibile stimare correttamente l’ordine di grandezza dei gradienti di velocità presenti nel problema, per motivi che diverranno più chiari nel seguito.
Detta D la dimensione caratteristica e V la velocità caratteristica del problema, diventa allora possibile ridefinire le coordinate di ciascun punto del campo di moto e il corrispondente campo di velocità in variabili adimensionali, effettuando le seguenti trasformazioni:
(6.1)
Le grandezze asteriscate definite dalle (6.1) non hanno ovviamente dimensioni. In particolare dalla prima delle (6.1) è possibile definire anche un operatore NABLA adimensionale come:
(6.2)
e un Laplaciano adimensionale:
(6.3)
Sulla base delle definizioni (6.1)-(6.3) è possibile effettuare le seguenti sostituzioni nelle equazioni di Navier-Stokes:
(6.4)
Dopo facili passaggi si ottiene quindi:
(6.5)
per l’equazione di continuità e:
(6.6) per il bilancio della quantità di moto.
Dividendo la (6.5) per il termine V/D si ottiene immediatamente la forma adimensionale del bilancio di materia:
(6.7)
Per quanto riguarda la (6.6) si moltiplichino entrambi i membri per la quantità D/rV2. Si ottiene:
(6.8)
La (6.8), che già a questo punto non ha dimensioni, può essere ulteriormente elaborata. Infatti:
- Il termine D/V a fattore del primo termine a primo membro ha le dimensioni di un tempo, e rappresenta in effetti un tempo caratteristico del problema. Ciò significa che il tempo effettivo può essere reso adimensionale mediante la seguente sostituzione:
(6.9)
x
i*= x
iD v
*= v V
∇
*= D∇ = ∂
∂ x (
i/ D ) e
i= D ∂ ∂ x ( )
ie
iΔ
*= D
2Δ
∇ = 1 D ∇
*v = Vv
*V
D ∇
*⋅ v
*= 0
ρ V ∂
v*∂t +
V2D v*
⋅ ∇
*v*⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = − 1
D
∇
*p+ ρg + µ
V D2Δ
*v*∇
*⋅v
*= 0
D V
∂v
*∂t + v
*⋅ ∇
*v*= − 1
ρV
2∇
*p+
DV2g
+ µ ρVD Δ
*v*t*
=
t D / V- La quantità rV2, a denominatore del primo termine a secondo membro, ha le dimensioni di una forza per unità di superficie, quindi di una pressione. Ciò significa che la pressione può essere adimensionalizzata nel seguente modo:
(6.10)
- Il secondo termine a secondo membro può essere riscritto come:
(6.11)
Nella (6.11) è stata definita la quota adimensionale:
(6.12)
In definitiva, sulla base delle elaborazioni su riportate, la (6.8) può essere riscritta nella forma:
(6.13)
La (6.13) è la versione adimensionale dell’equazione di Navier-Stokes, da accoppiare alla equazione adimensionale di continuità (6.7). Esse mostrano che un qualunque problema di moto di fluidi incomprimibili e Newtoniani può essere messo matematicamente in una forma adimensionale. Fatto ancora più importante, queste equazioni mostrano che la soluzione adimensionale del problema (cioè i campi adimensionali di pressione e di velocità) dipende unicamente da due parametri, anch’essi adimensionali:
- Il numero di Reynolds, Re, che rappresenta il rapporto tra l’ordine di grandezza delle forze di inerzia e quello delle forze viscose:
(6.14)
- Il numero di Froude, Fr, che rappresenta il rapporto tra l’ordine di grandezza delle forze di inerzia e quello della forza di gravità:
(6.15)
In base alla definizioni (6.14) e (6.15) la (6.13) può essere quindi riscritta:
(6.16)
La (6.16) si presta a questo punto ad alcune considerazioni. Come detto all’inizio, la scelta delle grandezze caratteristiche è di particolare importanza. Infatti, velocità e lunghezza caratteristiche vanno scelte in modo che variazioni significative di velocità avvengano proprio sulla scala di dimensioni definite dalla lunghezza caratteristica del problema. Se viene fatta tale scelta è facile verificare che sia le derivate prime che le derivate seconde delle velocità adimensionali rispetto alle coordinate spaziali adimensionali sono di ordine uno o che, in altri termini:
(6.17)
Il riconoscere questa importante proprietà dei termini dell’equazione adimensionale di bilancio è particolarmente utile. La (6.17), infatti, mostra che il termine che esprime le forze di inerzia, e quello che esprime le forze viscose, , possono essere confrontati tra loro calcolando preventivamente il valore del numero di Reynolds. Infatti, stante la (6.17), se Re>>1, il termine delle forze viscose è trascurabile rispetto a quello delle forze di inerzia, e quindi la (6.16) può essere approssimata a:
(6.18)
Al contrario, se risulta Re<<1, sono le forze viscose a dominare su quelle di inerzia, per cui si ha, con buona approssimazione:
(6.19)
Le (6.18) e (6.19) rappresentano due forme asintotiche delle equazioni di Navier-Stokes adimensionali. Le corrispondenti forme dimensionali risultano ovviamente essere:
(6.20)
Per Re<<1, e
(6.21)
p*
=
pρV
2D
V2g
= −
DgV2
∇h = −
Dg V2∇
*h*h*
=
h D∂v
*∂t
*+ v
*⋅ ∇
*v*= −∇
*p*−
DgV2
∇
*h*+ µ ρVD Δ
*v*Re
= ρ
VDµ
Fr= V Dg
∂v
*∂t
*+ v
*⋅ ∇
*v*= −∇
*p*− 1
Fr2
∇
*h*+ 1
ReΔ
*v*O v
(
*⋅ ∇
*v*) = O Δ ( )
*v* 1
v
*⋅ ∇
*v*Δ
*v*/ Re
∂v
*∂t
*+ v
*⋅ ∇
*v*= −∇
*p*− 1
Fr2∇
*h*∂v
*∂t
*= −∇
*p*− 1
Fr2
∇
*h*+ 1
ReΔ
*v*
ρ ∂
v∂t = −∇℘+ µΔv
ρ ∂
v∂t + v ⋅ ∇v
⎛
⎝⎜
⎞
⎠⎟ = −∇℘
L’equazione (6.21), detta anche Equazione di Eulero, corrisponde anche alla condizione di un fluido ideale a viscosità nulla. Un tale fluido viene denominato fluido perfetto.
E’ ovvio che considerazioni analoghe a quelle fatte in precedenza possono anche permettere di valutare, attraverso il numero di Froude, l’importanza relativa della forza di gravità rispetto alle forze di inerzia e viscose.
VII. Fludi non-Newtoniani
Come detto in una delle sezioni precedenti, il fluido Newtoniano viene descritto in maniera semplice dall’esperimento tra piatti paralleli di Fig.
6, nel quale lo sforzo tangenziale risulta essere proporzionale attraverso la viscosità al gradiente di velocità. Per semplicità l’Eq. (29), che descrive tale comportamento, viene riscritta come:
(7.1)
dove s è (l’unico) sforzo tangenziale, e con il simbolo si è indicata l’unica componente del gradiente di velocità, detta anche in inglese shear rate. La (7.1) vale nelle condizioni particolari in cui la viscosità del fluido sia costante (a parte la dipendenza dalla temperatura). Quando ciò non sia verificato il fluido viene detto non-Newtoniano. Questo accade quando il legame tra sforzo tangenziale e gradiente di velocità non è più lineare, per cui il legame costitutivo per un fluido non-Newtoniano viene genericamente scritto come:
(7.2)
cioè lo sforzo è in generale una funzione non più lineare del gradiente di velocità. Spesso tuttavia, per mantenere la (7.2) formalmente analoga alla
(7.1)
, essa viene scritta nella forma:(7.3)
In altri termini la relazione costituiva per un fluido non-Newtoniano continua ad essere scritta come quella per un fluido Newtoniano, ma specificando che la viscosità non è più costante ma una funzione del gradiente di velocità. Detto in altri termini, tutta la complessità del comportamento reologico viene tradotta in una viscosità variabile con le condizioni di flusso.
In ogni caso, sia utilizzando la (7.2) che la
(7.3)
, il punto fondamentale è che per i fluidi non-Newtoniani si perde la relazione di proporzionalitàdiretta tra sforzo e gradiente di velocità. Generalmente, tuttavia, la relazione costitutiva mantiene la sua caratteristica di biunivocità. Questo significa che ad ogni valore di gradiente di velocità corrisponde uno ed un sol valore dello sforzo tangenziale. E siccome l'intuizione fisica mostra che maggiore è l'intensità del flusso maggiore è il livello di sforzo che si produce, ne consegue che la (7.2) deve essere una funzione crescente del gradiente di velocità;
Mentre il comportamento Newtoniano è obbedito da alcune tipologie di fluidi largamente utilizzati nell’ingegneria chimica (praticamente tutti i gas, l’acqua, i solventi organici e in generali quasi tutti i fluidi omogenei di basso peso molecolare), i fluidi non-Newtoniani sono presenti in quasi tutti i campi scientifici e tecnologici: i polimeri e i fluidi a base macromolecolare, i fluidi biologici e le sostanze alimentari, i cosmetici e i farmaceutici, le vernici, le emulsioni e le schiume, i vetri allo stato fuso, persino la lava sono tutti esempi che confermano l’”ubiquità” dei comportamenti non-Newtoniani. Per questo la loro importanza, in particolare nell’ambito della meccanica dei fluidi, è estremamente rilevante.
I comportamenti non-Newtoniani fondamentali possono essere ricondotti a due tipologie diverse, prendendo sempre come riferimento il comportamento Newtoniano. La prima categoria è quella dei fluidi pseudo-plastici (in inglese shear thinning), nei quali lo sforzo è una funzione crescente in modo meno che lineare con il gradiente di velocità.
La seconda è quella dei fluidi dilatanti (in inglese shear thickening), nei quali lo sforzo è crescente in modo più che lineare con il gradiente. La situazione è illustrata graficamente in Fig.7, dove sono riportate le curve di viscosità in funzione del gradiente di velocità di un fluido pseudoplastico e di uno dilatante e, per riferimento, quella di un fluido Newtoniano.
σ = µ !γ
!γ
σ =
f( ) γ !
σ = µ ( ) γ ! γ !
Fig.7
Mentre nella Fig.7 vengono riportati gli andamenti qualitativi, la Fig.8 rappresenta il dato quantitativo per un polimero allo stato fuso. Si tratta di un polistirene alla temperatura di 200°C, il cui andamento è tipico di un fluido pseudoplastico. Appare evidente che il grafico, in doppia scala lineare, risulta poco "leggibile". Infatti la viscosità parte da un valore elevato per gradienti prossimi allo zero, per poi crollare a valori molto inferiori a shear rate più elevate.
Fig.8
Il fatto che la viscosità possa variare di molti ordini di grandezza in corrispondenza di variazioni altrettanto ampie di gradiente impone una diversa rappresentazione della curva di viscosità. Questa è data in Fig.9,
dove gli stessi dati della Fig.8 sono ora diagrammati in doppia scala logaritmica.
La scala logaritmica permette di apprezzare molto meglio i dettagli del comportamento pseudoplastico: per bassi gradienti la viscosità presenta un andamento costante e per questo motivo generalmente indicato come plateau Newtoniano. Al crescere del gradiente la viscosità comincia a decrescere, spesso (come in figura) raggiungendo un andamento lineare nella rappresentazione logaritmica. Si noti come in questo caso la viscosità del polimero fuso possa variare di più di due ordini di grandezza al crescere del gradiente di velocità.
La Fig.10 riporta invece la curva di viscosità di una sospensione di sferette solide in acqua a varie concentrazioni. Se ne può apprezzare il comportamento dilatante ad alte concentrazioni e shear rate, cioè l'incremento di viscosità al crescere del gradiente di velocità, che fa seguito al plateau Newtoniano a bassi gradienti. E’ interessante notare come, alle alte concentrazioni, in questo sistema sia presente sia un comportamento pseudo-plastico (alle basse shear rate), sia uno dilatante (agli alti gradienti), che testimonia delle forti interazioni che si determinano tra microstruttura e condizioni di flusso nelle sospensioni di particelle rigide. E’ bene in ogni caso aggiungere che l’assenza del plateau Newtoniano a basse shear rate è un’eccezione piuttosto che la regola. Si parla spesso di comportamento lineare del fluido nella zona di viscosità costante a bassi gradienti, mentre la risposta non-Newtoniana (pseudoplastica o dilatante) è anche detta non lineare.
Fig.9 shear rate
Viscosità
Newtonian Pseudo-plastico Dilatante
shear rate
Viscosità
Newtonian Pseudo-plastico Dilatante
shear rate [1/s]
0 103 2x103 3x103 4x103 5x103 6x103
h [Pa s]
0 2x103 4x103 6x103 8x103
f 200 vs eta* 200
shear rate [1/s]
10-3 10-2 10-1 100 101 102 103 104 105
h [Pa s]
101 102 103 104
f 200 vs eta* 200
Fig.10
Volendo risolvere problemi di moto di fluidi non-Newtoniani incomprimibili è necessario introdurre nell’equazione di bilancio di quantità di moto l’adatta equazione costitutiva che, ovviamente, dovrà avere una forma diversa da quella valida per fluidi Newtoniani, cioè dalla (37) precedentemente introdotta. In particolare, l’equazione costitutiva potrà avere ancora una forma analoga, ma dovrà contenere la dipendenza della viscosità dal tensore gradiente di velocità. E’ ovvio che una funzione scalare, in questo caso la viscosità, non può dipendere esplicitamente da un tensore, ma solo dalle grandezze scalari invarianti che caratterizzano il tensore stesso. In particolare, quindi, la viscosità sarà funzione, in generale, degli invarianti della parte simmetrica del gradiente di velocità, cioè:
(7.4)
In particolare, siccome per un fluido incomprimibile si ha:
(7.5)
la viscosità del fluido non-Newtoniano incomprimibile sarà al più funzione dei soli secondo e terzo invariante del tensore D. Quel che conta, in ogni caso, è che la viscosità è funzione del gradiente di velocità in ogni punto dello spazio, per cui una possibile equazione costitutiva per il fluido non-Newtoniano assumerà la forma generale:
(7.6)
Ciò significa che, quando la (7.6) venga sostituita nell’equazione di bilancio di quantità di moto (3.4), si avrà:
(7.7)
L’ultimo termine della
(7.7)
, che manca ovviamente nelle equazioni di Navier-Stokes, deriva proprio dal fatto che la viscosità non è più costante ma varia spazialmente in funzione delle variazioni delle condizioni di flusso.Va notato che la (7.7) è certamente un’equazione molto più complessa delle equazioni di Navier-Stokes, sia per la presenza del termine aggiuntivo, sia e soprattutto per il fatto che tale termine è non lineare.
Per questo motivo, la meccanica dei fluidi non-Newtoniani rappresenta una branca a sé della meccanica dei fluidi, ricca di implicazioni sia scientifiche che tecnologiche ancora lontane da una soluzione definitiva.