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Capitolo 4 Discussione

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Academic year: 2021

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Capitolo 4

Discussione

L’importanza che gli zoo hanno assunto negli ultimi decenni, sia da un punto di vista educativo che di salvaguardia della biodiversità (Finotello, 2004; Cavicchio 2007), è uno dei motivi per cui è stata svolta questa indagine. Le parassitosi sono infatti un problema importante per gli animali ospitati negli zoo (Finotello, 2004) in quanto, vivendo spesso in condizioni di stress causato dalla cattività e dal difficile adattamento ad un ambiente atipico, sono più sensibili agli agenti patogeni (Pierbattisti, 2007; www.merckvetmanual.com). È inoltre necessario considerare che l’elevata densità di animali in ambienti ristretti, condizione questa spesso presente negli zoo, favorisce la trasmissione dei parassiti (Naidu, 2000; Gracenea et al. 2002). Molte delle parassitosi che interessano gli animali da zoo sono responsabili di zoonosi; lo stretto contatto che si osserva tra l’uomo, keepers e pubblico, e animali anche di origine esotica all’interno degli zoo, pertanto, rende elevata la possibilità di trasmissione all’uomo di questi agenti patogeni, rappresentando un importante problema di Sanità Pubblica (Klaus et al, 2000; Campolo, 2007; Klaus, 2007). Inoltre negli zoo è probabile, attraverso animali di nuovo arrivo provenienti da aree naturali tropicali o subtropicali, l’introduzione di nuovi parassiti (Finotello, 2004), tra i quali anche alcuni responsabili di zoonosi.

Il Giardino Zoologico di Pistoia e lo Zoosafari di Fasano (Br) sono stati i parchi faunistici considerati in questo studio. Si tratta di due strutture molto diverse tra loro per estensione e, conseguentemente, organizzazione, gestione e modalità di mantenimento degli animali ospitati. Gli animali considerati sono tutti mammiferi appartenenti a 17 specie di cinque ordini diversi che comprendono animali sia domestici che selvatici e sia autoctoni che, più spesso, esotici. Questi animali sono stati esaminati per la ricerca di

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endoparassiti tramite osservazione microscopica di preparati fecali provenienti da gruppi di animali. Solo nel caso degli orsi dal collare (Ursus thibetanus), ospitati nello Zoosafari di Fasano (Br), è stato possibile raccogliere campioni di sangue, di pelo e di cerume auricolare da alcuni esemplari anestetizzati al fine di poter eseguire questo campionamento. I campioni ematici sono stati esaminati per la ricerca di Leishmania sp. e di Dirofilaria sp., mentre il materiale raccolto con tamponi e spazzole è stato sottoposto ad analisi per la ricerca di funghi. Nonostante in bibliografia non siano riportati casi di leishmaniosi negli orsi, la ricerca di questo protozoo è stata effettuata poiché Leishmania, oltre a rappresentare una importante zoonosi, è un parassita di numerosi animali selvatici (Gramiccia e Gradoni, 2005); inoltre, la Puglia è una regione in cui sono presenti molte zone endemiche e lo Zoosafari di Fasano (Br) è situato vicino ad una di queste (Bari) (Paradies et al., 2006; Otranto et al., 2007). Il siero di questi esemplari è stato sottoposto a test per la ricerca di antigeni anti-Leishmania sp. tramite un test rapido immunocromatografico (Leishmania Rapydtest®- RK39 Dipstick Test) che presenta una elevata sensibilità e specificità (Otranto et al., 2005). Tutti gli esemplari in esame sono comunque risultati negativi.

La ricerca di Dirofilaria negli stessi esemplari di orso tibetano, eseguita sia tramite osservazione microscopica diretta del sangue degli orsi che con un test ELISA per la ricerca degli antigeni, ha anche essa dato esito negativo. In questo caso, però, studi precedenti riportano la presenza di Dirofilaria immitis nell’orso americano (Ursus americanus) (Johnson, 1975; Crum et al, 1978; Miller, 2003) e di Dirofilaria ursi sia nell’ orso americano (Ursus americanus) che nell’orso dal collare (Ursus thibetanus) (Miller, 2003). Secondo Johnson (1975), probabilmente Dirofilaria immitis non si riproduce nell’orso americano non essendo questo animale un ospite elettivo.

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Dal cerume auricolare degli orsi dal collare è stata isolata Malassezia pachydermatis. Questo lievito è stato identificato sulla base di caratteri morfologici delle colonie e della capacità di svilupparsi anche in assenza di lipidi (crescita in Sabouraud destrosio agar, Biolife®). Inoltre, nel cerume di questi animali all’osservazione microscopica è stata evidenziata la presenza di cellule morfologicamente riferibili a Malassezia spp. Il test diagnostico di elezione è infatti l’esame citologico del campione anche se la presenza di questo lievito può essere osservata anche in soggetti sani (Chen e Hill, 2005; Colombo, 2006). Il lievito è stato isolato in passato da campioni cutanei prelevati da zone alopeciche di un orso americano (Ursus americanus) trovato morto in U.S.A. (Salkin et al., 1978) e dal cerume auricolare di alcuni esemplari di orso bruno (Ursus arctos) di un giardino zoologico in Germania (Kuttin e Müller, 1994). Gli esemplari di orso dal collare in studio non presentavano sintomi clinici, analogamente a quanto si osserva spesso nei cani positivi a livello del canale auricolare, della zona anale, della mucosa vaginale, tra gli spazi interdigitali ed intorno alla bocca (Bond et al., 1995; Colombo, 2006; Nardoni et al., 2007). M. pachydermatis è stata isolata da soggetti umani immunodepressi ed in bambini nati prematuri (Welbel et al., 1994), nei quali può determinare patologie a carico di diversi organi ed apparati (Chang et al., 1998). Il lievito è quindi considerato un agente zoonotico emergente (Chang et al, 1998), responsabile di infezioni sistemiche nosocomiali nell’uomo (Cafarchia et al., 2005).

Gli endoparassiti isolati dai campioni fecali degli animali in esame includono protozoi appartenenti ai generi Cryptosporidium ed Eimeria (E. canadensis, E. parva e E. arloingi e/o E. crandallis), nematodi (ascaridi, strongili gastro-intestinali, Strongiloides fülleborni e Trichuris spp.) e trematodi (Paramphistomum microbothrioides).

Coccidi del genere Eimeria sono stati isolati dal bisonte americano e dal daino. Nel bisonte, in base alle caratteristiche morfometriche delle oocisti

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sporulate ottenute dalle colture, è stata identificata la specie E. canadensis già precedentemente riportata nel bisonte americano (Pellerdy, 1974; Ryff e Bergstrom, 1975; Penzhorn et al., 1994). Indagini precedenti hanno inoltre svelato che la prevalenza di questa specie coccidica in esemplari di un ranch nel Montana, era la più elevata dopo E. bovis (Penzhorn et al., 1994). Per l’allestimento delle coprocolture sono state utilizzate due tipi di soluzioni: bicromato di potassio (K2Cr2O7) al 2.5% ed acqua e ipoclorito di

sodio al 2% in parti uguali, questo per verificare la possibilità di sostituire il bicromato di potassio al 2.5% con la soluzione di ipoclorito di sodio al 2%, essendo il primo tossico ed inquinante. È stato osservato che la sporulazione avviene in entrambi i casi, anche se le oocisti conservate con acqua e ipoclorito di sodio al 2% impiegano in media 2-3 giorni in più. In futuro potrebbe essere quindi possibile sostituire il bicromato di potassio per l’allestimento di coprocolture con un minor rischio sanitario per il personale di laboratorio ed un minore inquinamento ambientale.

Le oocisti di Eimeria isolate nel daino sono risultate appartenenti alle specie E. parva ed E. arloingi.

I coccidi solitamente sono responsabili di una sintomatologia di tipo gastro-enterico nei ruminanti domestici, determinando diarrea, disidratazione e sete con morte soprattutto nei soggetti giovani e stressati. Gli animali più sensibili risultano essere i giovani soggetti (Ambrosi, 1995). La prevalenza dei coccidi in entrambe le specie risultate positive è stata pari al 100%. È noto che i coccidi nei bovini ospitati negli zoo solitamente determinano febbre, diarrea, debolezza e affaticamento, mentre nel daino è stata osservata perdita di peso a volte associata a diarrea (Miller, 2003). Le specie isolate nel bisonte americano e nel daino sono le stesse che solitamente parassitano rispettivamente bovini e ovini domestici e selvatici (Pellerdy, 1974; Ryff e Bergstrom, 1975; Penzhorn et al., 1994; Gómez-Bautista et al.,1996). I bisonti ospitati presso lo Zoosafari di Fasano (Br) vivono in ampi spazi con altre specie probabili ospiti di questi parassiti,

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come i bovini domestici, anche essi esaminati in questo studio ma risultati negativi.

Cryptosporidium sp. è stato evideziato nel corso di questa indagine nel bisonte americano, nel bovino razza Watussi, nell’orso dal collare e nel babbuino. Indagini precedenti svolte su animali ospitati negli zoo hanno frequentemente svelato la presenza di Cryptosporidium sp. (Gracenea et al., 2002; Alves et al., 2003; Alves et al., 2005; Karanis et al., 2007). In alcune di queste ricerche sono state utilizzate metodiche diagnostiche molecolari per l’identificazione a livello di specie (Alves et al., 2003; Alves et al., 2005; Karanis et al., 2007). La specie più frequentemente isolata è risultata essere C. parvum (Alves et al.,2001; 2003; 2005; Karanis et al., 2007).

L’identificazione di specie tramite metodiche diagnostiche molecolari non è stata effettuata nel corso di questo studio; ciononostante, grazie alla morfologia delle oocisti osservate nelle varie specie in alcuni casi è stato possibile ipotizzare l’appartenenza a determinate specie di Cryptosporidium, come C. parvum, C. hominis e C. andersoni. C. parvum possiede un ampio range di ospiti (Genchi, 2002a, Karanis et al., 2007). Più di 150 specie di mammiferi sono state riconosciute come possibili ospiti di C. parvum, anche se tramite metodiche diagnostiche molecolari sono stati identificati molti genotipi che probabilmente potrebbero rappresentare specie a se stanti per la diversità di frequenze di DNA e di infettività ( Xiao et al., 2002; 2004). C. parvum e C. andersoni sono le specie che infettano solitamente i bovini domestici (Xiao et al., 2004; Thompson et al., 2007), anche se C. muris (Nakai et al. 2004), C. hominis e C. felis (Xiao et al. 2004) sono stati isolati da bovini domestici. In base alle caratteristiche morfometriche delle oocisti isolate nel bovino Watussi, è possibile affermare che esse non appartengono alle specie C. andersoni e C. muris, mentre potrebbero appartenere alla specie C. parvum, C. hominis o C. felis. Le oocisti osservate nel bisonte americano potrebbero invece appartenere

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alla specie C. andersoni per le maggiori dimensioni, anche se il bisonte americano non rientra tra le specie animali dalle quali è stata isolata questa specie. Infatti, C. andersoni è stato isolato dai bovini domestici, nel cammello bactriano e nella pecora (Xiao et al., 2004). Una precedente indagine svolta da Alves et al. nel 2005 su campioni fecali di mammiferi ospitati nello zoo di Lisbona, ha evidenziato la presenza di Cryptosporidium sp. nel bisonte americano; nello stesso studio i campioni sono stati osservati al microscopio ottico in seguito a colorazione con Ziehl-Neelsen modificata, i positivi sono stati analizzati con PCR per l’identificazione di specie. I risultati hanno evidenziato che le oocisti isolate dal bisonte americano appartenevano al genotipo topo (Alves et al., 2005). C. parvum è stato evidenziato in sezioni di tessuto intestinale di un orso americano (Ursus americanus) trovato morto in Virginia (USA) e identificato a livello di specie tramite un test che prevede l’utilizzo di un siero anti-C. parvum di coniglio (Duncan et al., 1999) ed in due orsi malesi (Ursus malayanus) di un parco zoologico in Taiwan (Wang, 1990; Duncan et al., 1999). Nel babbuino, Cryptosporidium sp. è stato isolato in campioni fecali di individui sia sani che con sintomi di diarrea in Kenya (Muriuki et al, 1997; 1998). Recentemente il parassita è stato osservato al microscopio ottico in strisci fecali colorati con Ziehl-Neelsen modificata, preparati con campioni appartenenti a esemplari allo stato libero in Etiopia (Legesse e Erko, 2004). Inoltre, è stata dimostrata la presenza di Cryptosporidium tramite test di immunofluorescenza in campioni fecali di soggetti del Bwindi National Park in Uganda (Hope et al., 2004). Studi svolti con metodiche diagnostiche molecolari hanno dimostrato che le scimmie possono essere infettate da varie specie di Cryptosporidium. C. hominis, C. parvum e C. muris sono le specie isolate in questi mammiferi ma, mentre le prime due specie presentano oocisti morfo-metricamente molto simili tra loro ed a quelle osservate nel corso di questo studio nel babbuino (sferiche del diametro in media di 4 µm), le oocisti di C. muris sono molto diverse,

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essendo molto più grandi (in media 7 µm x 5 µm) (Xiao et al., 2004). C. hominis parassita solitamente uomo e scimmie, morfologicamente ha oocisti molto simili a quelle di C. parvum. Le oocisti sono quindi indistinguibili con la semplice osservazione microscopica (Xiao et al., 2004), per cui non possiamo stabilire a quali specie appartengano le oocisti isolate nel babbuino essendo questa specie possibile ospite di entrambe. Studi precedenti svolti su animali dello zoo di Barcellona sulle dinamiche di trasmissione di Cryptosporidium sp., hanno dimostrato che le caratteristiche fisiche dei recinti, la vicinanza tra gli animali e lo stress indotto dalla cattività contribuiscono alla trasmissione di questo parassita (Gracenea et al., 2002). Riguardo gli animali risultati positivi in questo studio, la trasmissione di Cryptosporidium potrebbe essere stata favorita dal fatto che molti di essi vivono nello stesso ambiente insieme a numerosi altri esemplari di diverse specie di ruminanti domestici e selvatici, oppure in recinti separati dalla zona in cui vivono gli erbivori, come gli orsi dal collare, ma comunque molto vicini a questa. Il sintomo caratteristico indotto da questo protozoo è la diarrea che può essere associata a depressione, anoressia e dolore addominale, in particolare nei ruminanti domestici che vivono in cattività, a causa dello stress indotto da questa situazione (Thompson et al, 2007). La patologia può essere inoltre complicata dall’azione di altri agenti patogeni (Thompson et al., 2007). Nei ruminanti selvatici l’infezione è caratterizzata da diarrea grave ed elevata mortalità nei soggetti giovani (Genchi, 2002a). La criptosporidiosi umana è per lo più causata da C. parvum e C. hominis, conosciuta anche come il genotipo umano di C. parvum (Alves et al., 2003). C. meleagridis, C. canis e C. felis sono stati isolati in soggetti immuno-compromessi (Xiao et al., 2004). C. parvum è considerata la specie di maggiore interesse veterinario sia per le sue caratteristiche di infettività, morbilità e mortalità in diversi ospiti, sia per la sua diffusione e capacità di sostenere infezioni zoonotiche che possono determinare anche la morte dei soggetti immunodepressi

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(Genchi, 2002a). L’infezione nei bambini o negli anziani spesso può determinare una sintomatologia tale da ricorrere all’ospedalizzazione ed a terapie specifiche e di sostegno (Genchi, 2002a). Risulta quindi di fondamentale importanza il controllo di questa parassitosi negli animali ospitati negli zoo, a causa dell’ampio pubblico di ogni fascia di età che visita queste strutture (Campolo, 2007) ed in particolare per i bambini, per i quali gli zoo sono sicuramente una grande attrazione e dove vengono spesso incoraggiati a entrare in contatto con gli animali (www.evd.admin.ch).

I Paramphistomidi sono stati isolati dai bisonti americani ospitati presso lo Zoosafari di Fasano (Br). In base alle caratteristiche morfo-metriche delle uova isolate è possibile ipotizzare che si tratti della specie Paramphistomum microbothrioides (Herd e Hull, 1981), che del resto rappresenta l’unico paramfistomidae riportato nel bisonte (Tessaro, 1989; Knap et al. 1993).

L’azione patogena principale dei paramfistomidi è causata dalle larve nella localizzazione intestinale; infatti i giovani parassiti penetrano nel contesto della parete del duodeno per nutrirsi, determinando enterite con edema, emorragie ed ulcerazioni della mucosa (Ambrosi, 1995; Urquhart et al., 1998). La presenza dei parassiti adulti nel rumine determina disoressia o anoressia, dimagrimento progressivo, mucose pallide, ipomotilità dei prestomaci fino a meteorismo ruminale; nei casi più gravi è possibile osservare diarrea con feci maleodoranti (Ambrosi, 1995; Urquhart et al., 1998). In questo studio, la prevalenza di questo parassita è risultata del 25%; inoltre, nei campioni positivi è stata evidenziata la presenza di poche uova indicando una probabile bassa contaminazione ambientale, soprattutto considerando anche che in Italia nei ruminanti da reddito, i mesi autunnali e invernali sono quelli in cui la prevalenza di questa parassitosi risulta più elevata (Ambrosi, 1995) ed il campionamento presso lo Zoosafri di Fasano (Br) è stato svolto a metà del mese di novembre del 2006.

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Strongili gastro-intestinali sono stati isolati da campioni fecali appartenenti a varie specie di erbivori: zebra di Grent, bisonte americano, yak, daino, antilope cervicapra, bovini razza Highland e Watussi, cammello bactriano ed elefante asiatico. L’identificazione a livello di specie con l’allestimento di coprocolture non è stata effettuata nel corso di questa indagine. Alcuni studi precedenti hanno dimostrato che esistono sostanziali differenze tra le specie di strongili gastro-intestinali che solitamente parassitano la zebra e quelle degli equini domestici e che le specie comuni a zebra e asino sono più numerose di quelle tra zebra e cavallo (Matthee et al., 2004). Ciononostante, i generi di appartenenza degli strongili gastro-intestinali della zebra sono gli stessi degli equini domestici. Nella zebra sono stati infatti identificati nematodi appartenenti ai generi Triodontophorus (Scialdo e Krecek, 1983; Krecek et al., 1994), Cyathostomum, Cylicocyclus, Cylicostephanus (Scialdo e Krecek, 1983; Krecek et al., 1994; Matthee et al., 2004) e Cylicodontophorus (Scialdo e Krecek, 1983). Negli equini domestici, questi generi di strongili gastrointestinali possono essere responsabili di abbattimento diarrea e talvolta anemia, in particolare nei soggetti giovani (Urquhart et al., 1998). Alcuni soggetti possono non mostrare alcun segno clinico anche se intensamente parassitati; ciononostante, in questi animali, i ciatostomi possono essere responsabili di diminuita performance, diminuzione dei tassi di crescita, coliche e debilitazione (Casarosa, 1985; Urquhart et al., 1998).

Nel corso di questa indagine sono stati inoltre esaminati campioni fecali di elefante africano e di elefante asiatico. Solo gli animali appartenenti alla seconda specie sono risultati positivi per gli strongili gastro-intestinali, nonostante gli esemplari appartenenti alle due specie vivano nello stesso ambiente. Questo non deve stupire perché l’elefante africano e l’elefante asiatico sono interessati da specie ed anche generi diversi (Miller, 2003). Riguardo gli strongili gastro-intestinali, infatti, l’elefante asiatico è interessato dai generi Murshidia, Quilonia, Amira, Decrusia, Equinurbia,

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Choniangium e Bathmostomum appartenenti all’ordine Strongyloidea (Vidya e Sukumar, 2002). Nell’elefante africano invece, gli strongili gastro-intestinali isolati appartengono ai generi Oesophagostomum, Cooperia, Haemonchus e Nematodirus (Crockett e Dipeolu; 1984). Gli strongili gastro-intestinali risultano essere i parassiti più frequenti tra gli elefanti mantenuti in cattività, nonostante le forme cliniche ed eventualmente la morte risultino limitati solitamente ad animali di recente cattura (Miller, 2003). In particolare, infestazioni croniche da Murshidia sp. in elefanti ospitati in alcuni zoo hanno determinato in questi esemplari riduzione dell’appetito, edema delle parti declivi del corpo, debilitazione e diminuzione del peso corporeo; questa sintomatologia è risultata essere associata a linfocitosi e neutropenia (Tripathy et al., 1991; www.elephantcare.org). Sono molti comunque i parassiti che infestano queste specie ma che apparentemente non determinano problemi di salute (Miller, 2003).

Nonostante, nel caso degli strongili gastrointestinali, l’identificazione dei diversi generi e delle diverse specie che possono interessare una specie ospite non abbia rappresentato uno degli obiettivi considerati in questo studio, in alcuni casi essi sono stati identificati. Infatti, nei campioni fecali di antilope cervicapra sono state isolate uova appartenenti ai generi Marshallagia e Nematodirus, identificati grazie alle tipiche dimensioni e morfologia delle uova (Casarosa, 1985). L’unica specie riportata in bibliografia appartenente al genere Nematodirus nell’antilope cervicapra è Nematodirus spathiger (Thornton et al., 1973). Questo parassita presenta uova con 2-8 nuclei di segmentazione e lunghe 181-230 µm x 91- 107 µm (Ambrosi, 1995). La presenza del genere Marshallagia nell’antilope cervicapra non è riportata nella bibliografia consultata (Singh e Pande, 1963; Thornton et al., 1973). I parassiti di questo genere, le cui uova misurano 160-200 µm x 75-100 µm, vivono nell’abomaso dei piccoli ruminanti delle aree tropicali e subtropicali (Urquhart et al.,1998).

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L’isolamento di questo genere di strongili gastrointestinali da questa è probabilmente avvenuta per la contaminazione ambientale dovuta alla presenza in questo zoo di altre specie animali parassitate. Secondo la bibliografia consultata, sono varie le specie di strongili gastro-intestinali per i quali le specie di ruminanti risultati positivi sono ospiti comuni. Ad esempio, Cooperia oncophora, Ostertagia ostertagi sono state isolate nel bisonte americano (Boddicker e Hugghins, 1969; Wade et al., 1979; Tessaro, 1989; Knap et al., 1993; Dies e Coupland, 2001), nei bovini domestici (Casarosa, 1985; Ambrosi, 1995; Urquhart et al., 1998) e nel dromedario (Camelus dromedarius) (Mirzayans e Halim, 1980; Banaja e Ghandour, 1994). Trichostrongylus axei è stato isolato nel bisonte americano (Wade et al., 1979; Tessaro, 1989), nel daino (Cancrini et al., 1983; Ambrosi et al., 1993; Santín-Durán et al., 2004), nell’antilope cervicapra (Thornton et al., 1973) e nei bovini domestici (Casarosa, 1985; Ambrosi, 1995; Urquhart et al., 1998). Hoemonchus contortus è stato descritto nell’antilope cervicapra (Thornton et al., 1973), nello yak (Jiang et al., 1987; RangaRao et al., 1994) ed in bovini ed ovini domestici (Urquhart et al, 1998). Oesophagostomum radiatum è stato evidenziato nel daino (Barth e Matzke, 1984), nei bovini domestici (Casarosa, 1985; Ambrosi, 1995; Urquhart et al., 1998) e nel bisonte americano (Frick, 1951; Tessaro, 1989). Camelostrongylus mentulatus è stato isolato nell’antilope cervicapra (Thornton et al., 1973) e nel cammello bactriano (Scaramella et al., 1989). Oltre alla presenza di specie comuni, tra ruminanti domestici e selvatici è comunque anche possibile un interscambio di specie più strettamente ospite/specifiche (Ambrosi, 1995). Le tecniche che possono essere utilizzate al fine di ridurre la contaminazione ambientale di questi parassiti all’interno di uno zoo, consistono principalmente nella defecalizzazione ambientale oppure nel cambiare substrato negli exhibit (Miller, 2003). Le specie animali sopra elencate coabitano in condizione di semi libertà all’interno dell’area safari

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dello Zoosafari di Fasano (Br). Questa zona è un ambiente vasto e aperto, nel quale la rimozione delle feci e la pulizia non sono facilmente attuabili, a differenza di recinti e gabbie, che per le loro dimensioni e caratteristiche sono di più facile manutenzione. È possibile quindi ipotizzare che questa zona possa essere altamente contaminata da questi parassiti. Ciò può spiegare anche perché la prevalenza per gli strongili gastro-intestinali nei ruminanti risultati positivi in questo studio sia risultata sempre elevata, sempre del 100% ad eccezione dello yak e del bisonte americano nei quali è risultata pari al 50%, nonostante in questo zoo siano applicati protocolli terapeutico/profilattici basati sul trattamento periodico (solitamente due trattamenti nell’arco di un anno) degli animali con ivermectina. Bisogna anche considerare che l’uso intensivo di uno stesso farmaco può determinare lo sviluppo di resistenza da parte dei parassiti (Naidu, 2000; Miller, 2003; www.frontlineonnet.com) se la tipologia di molecole utilizzate non viene cambiata periodicamente (www.merckvetmanual.com). In generale, i ruminanti che presentano forme cliniche di strongilosi gastro-intestinale sono solitamente giovani e presentano sintomatologia generica, a carattere stagionale (primavera, autunno), caratterizzata da anoressia o disoressia, anemia di varia entità, deperimento, perdita di peso o ridotto incremento ponderale, diarrea di varia intensità o durata, tossicosi cronica, iporendimento o sottoproduzione (Ambrosi, 1995). L’azione patogena è determinata anche da concause come le scadenti condizioni generali, ipoalimentazione, squilibri nutrizionali, stress e malattie concomitanti come il poliparassitismo (Ambrosi, 1995). In varie specie di ruminanti ospitati negli zoo è stato osservato che le strongilosi gastro-intestinali determinano diarrea, anemia, perdita di peso e ipoproteinemia (Miller, 2003). Le tricostrongilosi sono spesso causa di elevata morbilità e mortalità nei bovini non domestici tenuti in cattività (Miller, 2003). È quindi importante attuare un buon piano di controllo di questi parassiti, sia attraverso la cura degli ambienti che tramite l’alternanza di trattamenti antielmintici con

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farmaci a diverso meccanismo d’azione (Miller, 2003), per ridurre la contaminazione ambientale e la comparsa di fenomeni di farmaco-resistenza, salvaguardando in questo modo la salute ed il benessere di questi animali. Gli erbivori ospitati presso il Giardino Zoologico di Pistoia sono risultati tutti negativi a queste parassitosi, probabilmente perché il controllo di questi esemplari tramite trattamenti farmacologici e pulizia dei reparti è di più facile applicazione, vivendo le varie specie in recinti diversi e di dimensioni ridotte e perché la densità animale nei recinti non è elevata. Uova di ascaridi sono state evidenziate all’osservazione microscopica di materiale fecale di tigre, leone e yak. Toxocara cati e Toxascaris leonina sono le specie che parassitano tigre (Sprent, 1956; Prescott, 1981; González et al., 2007) e leone (Sprent, 1956; Prescott, 1981; Bjork et al., 2000), mentre Neoascaris vitulorum è la specie che parassita lo yak (Roy et al., 1986; RangaRao et al., 1994). In base alle caratteristiche morfometriche delle uova isolate nel corso di questa indagine, è possibile affermare che, le uova isolate dai campioni fecali degli esemplari di tigre dello Zoosafari di Fasano (Br) appartengono alla specie Toxocara cati, mentre le uova isolate dai campioni fecali degli esemplari di leone del Giardino Zoologico di Pistoia appartengono invece alla specie Toxascaris leonina.

Toxocara cati è stato descritto per la prima volta nella tigre nel 1922 da Baylis e Daubney e nel leone da Kreis nel 1938 (Sprent, 1956), nel 1968 Soulsby lo evidenziò in leone e tigre. Recenti ricerche riportano la presenza di Toxocara cati in tigri allo stato libero in Thailandia (Patton e Rabinowitz, 1994) ed in esemplari appartenenti alla sottospecie tigre siberiana nell’est della Russia (Panthera tigris altaica) (Gonzalez et al. 2007). Toxascaris leonina è stato descritto per la prima volta nel leone nel 1902 da von Linstow (Sprent, 1959). Le Roux lo evidenzia in un leone nel 1958 (Bjork et al., 2000), ricerche più recenti riportano l’isolamento di Toxascaris sp. da leoni allo stato libero nel Parco Nazionale del Lago Kainji in Nigeria (Crockett e Dipeolu, 1984). Inoltre, alcune ricerche sul

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trattamento dei parassiti intestinali di leoni e tigri ospitati nei circhi hanno svelato la presenza di Toxascaris leonina in queste specie (Prescott, 1981). Le uova isolate nel corso di questa indagine nei campioni fecali di yak dello Zoosafari di Fasano (Br) corrispondono morfometricamente alle uova di Neoascaris vitulorum. Neoascaris vitulorum è stato descritto da Roy et al. nello yak nel 1986 (RangaRao et al, 1993); inoltre, studi necroscopici e coprologici svolti su questa specie hanno svelato la presenza di Neoascaris sp. (RangaRao et al, 1993).

Gli Ascaridi rappresentano un problema importante per gli animali in cattività poiché hanno un ciclo biologico diretto e le uova sono estremamente resistenti nell’ambiente (Miller, 2003). Si rende pertanto necessario controllare attentamente i nuovi arrivi ed introdurli solo dopo un periodo di quarantena, dopo aver svolto esami di laboratorio ed un trattamento adeguato (Miller, 2003). Nei bovini la migrazione delle larve di Neoascaris vitulorum determina ipersecrezione bronchiale con tosse e dispnea durante la migrazione nell’apparato respiratorio e fenomeni di colica durante la migrazione entero-epatica (Casarosa, 1985 Ambrosi, 1995). Nei vitelli con infestazioni gravi da parassiti adulti si osserva anoressia, dimagrimento, ritardo della crescita, coliche, diarrea, raramente accompagnate da sintomi di peritonite per perforazione intestinale (Casarosa, 1985 Ambrosi, 1995). La prevalenza di Neoascaris vitulorum nei campioni esaminati è stata del 50%, questo probabilmente perché nei soggetti di età superiore ai sei mesi di vita raramente le larve completano il ciclo nell’ospite ma rimangono quiescenti nei vari tessuti in seguito a migrazione (Urquhart et al., 1998).

Riguardo Toxocara cati e Toxascaris leonina, nonostante non ci siano notizie sulla loro patogenicità nei felidi selvatici, è noto che nei felini domestici gli ascaridi adulti possono determinare ostruzioni e perforazioni intestinali, talvolta ittero conseguente ad ostruzione delle vie biliari (Casarosa, 1985). Solitamente la sintomatologia da macroascaridiosi è

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attenuata, i soggetti manifestano alcuni episodi diarroici di lieve entità ed uno scarso dimagrimento (Casarosa, 1985). In particolare Toxascaris leonina è uno degli ascaridi meno patogeni, poiché raramente compie migrazioni in organi e tessuti, non determina infestazioni prenatali o trans-mammarie ed ha un lungo periodo prepatente che permette ai cuccioli di crescere prima della comparsa della sintomatologia (Parsons, 1987). T. leonina può determinare infatti l’insorgenza di vomito e diarrea, causati dall’irritazione data dal parassita nella parete e nel lume intestinale (Parsons, 1987). Toxocara cati può invece determinare una sintomatologia associata alla migrazione delle larve, la quale varia a seconda dei tessuti colpiti, determinando l’insorgenza di processi flogistici inizialmente di tipo emorragico (Casarosa, 1985). In particolare la presenza di T. cati in felidi ospitati negli zoo è importante anche per il ruolo zoonotico che riveste questo parassita. Infatti, esso può essere responsabile di sindromi determinate dalle larve migranti (LMV-Visceral Larva Migrans, OLM-Ocular Larva Migrans) negli ospiti paratenici tra i quali rientra anche l’uomo (Genchi, 2002b; González et al., 2007). In generale l’uomo si può infestare tramite l’ingestione accidentale di uova larvate o, più raramente, di larve di Toxocara cati presenti nella carne poco cotta o cruda di ospiti paratenici. I soggetti colpiti manifestano dolori addominali, epatomegalia, allergia e infiammazione polmonare cronica con tosse asmatica e febbre, miocarditi ed epilessia con disturbi di comportamento, quando le larve si localizzano a livello viscerale. La localizzazione oculare è solitamente unilaterale e determina retinocoroiditi e retiniti periferiche, che possono determinare la perdita della vista (Genchi, 2002b). La contaminazione ambientale che si verifica in uno zoo può essere quindi rischiosa per il personale ed il pubblico, considerando anche che le uova sono molto resistenti nell’ambiente (Miller, 2003). Tale contaminazione può aumentare in particolare in seguito alla nascita di nuovi esemplari. Infatti, nel corso della gravidanza larve in ipobiosi nei soggetti adulti si riattivano e

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raggiungono il tessuto mammario, probabilmente per i cambiamenti ormonali e l’aumentato flusso ematico alle ghiandole mammarie che avviene in gravidanza (Swerczek et al., 1971; Coati et al 2007). Alcune delle larve mobilitate durante la gravidanza e la lattazione sono in grado di raggiungere l’intestino delle madri che possono presentare, quindi, un numero elevato di uova nelle feci alcune settimane dopo il parto (Urquhart et al., 1998). Ne consegue un aumento della contaminazione ambientale data dalla eliminazione delle uova sia da parte delle madri, nelle quali le larve si sono riattivate, sia da parte dei cuccioli. Questa situazione può essere quindi maggiormente rischiosa, sia per gli esemplari che vivono negli ambienti altamente contaminati, che per il pubblico ed in particolare il personale dello zoo addetto alla pulizia dei recinti. Al momento del campionamento effettuato allo Zoosafari di Fasano (Br) erano presenti cuccioli di tigre non ancora svezzati, questo potrebbe spiegare la prevalenza del 100% di questo parassita nei campioni fecali esaminati. L’elevata prevalenza di questo parassita potrebbe essere anche una conseguenza del tipo di ambiente in cui questi animali vivono. Le tigri dello Zoosafari di Fasano (Br) vivono, infatti, in recinti vasti con substrato terroso e quindi di difficile pulizia e disinfezione, con una conseguente probabile elevata contaminazione ambientale. Anche per Toxascaris leonina la prevalenza è risultata pari al 100%, questo probabilmente perché, oltre alla elevata resistenza delle uova nell’ambiente, i leoni del Giardino Zoologico di Pistoia risultati positivi vivono in exhibit naturalistici, nei quali la rimozione delle feci e la disinfezione non sono facilmente applicabili come nei recinti o gabbie, a causa del substrato terroso presente anche in questi ambienti.

Uova di Trichuris sp. sono state isolate nel corso di questa indagine nel cammello bactriano e nel babbuino. Gli esemplari positivi di cammello bactriano appartengono al Giardino Zoologico di Pistoia, mentre i campioni fecali positivi di babbuino provengono dallo Zoosafari di Fasano (Br). Le

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uova sono state identificate a livello di genere grazie alla loro tipica morfologia; esse sono infatti brune, a forma di limone e bottonute ai due poli. Solitamente l’infestazione decorre in modo asintomatico, solo nel caso di gravi infestazioni è possibile verificare infiammazioni a carico della mucosa del cieco, che determinano grave dimagrimento con diarrea acquosa (Casarosa, 1985; Urquhart et al., 1998). Le specie di Trichuris che parasitano il cammello sono T. globulosa e T. raoi (Scaramella et al., 1989). Le uova di queste due specie hanno dimensioni molto simili (Casarosa, 1985), per questo motivo non è stato possibile identificare le specie di appartenenza basandoci solo sulla morfologia e dimensioni delle uova isolate. Le infestazioni di Trichuris spp. nei camelidi ospitati negli zoo devono essere trattate con terapie antielmintiche aggressive (Miller, 2003). I piani di medicina preventiva per gli animali appartenenti a questa famiglia prevedono un periodo di quarantena, della durata minima di 30 giorni, per gli esemplari di nuovo arrivo, durante il quale gli animali devono essere monitorati e sottoposti a terapie antielmintiche (Miller, 2003). La prevalenza di Trichuris sp. nei campioni fecali di cammello bactriano provenienti dal Giardino Zoologico di Pistoia è risultata del 100%. Questo valore può indicare anche in questo caso che questi esemplari vivono in ambienti contaminati. Infatti, i cammelli del Giardino Zoologico di Pistoia vivono in un recinto con substrato terroso per il quale si presentano gli stessi problemi di pulizia e disinfezione precedentemente menzionati, inoltre anche le uova di questi parassiti sono molto resistenti nell’ambiente.

Nel babbuino uova di questo genere di nematodi sono state evidenziate in passato (Myers and Kuntz, 1965; Müller-Graf et al., 1996; Munene et al., 1998; Muriuki et al., 1998; Crockett e Dipeolu, 1984; Murray et al., 2000; Hope et al., 2004). Indagini precedenti hanno svelato che una delle specie che parassita il babbuino è T. trichiura (Myers and Kuntz, 1965; Munene et al., 1998). In particolare Munene et al. (1998) identifica il parassita in base

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alla morfologia delle uova che hanno un aspetto tipico. Le uova di T. trichiura misurano 50-55 µm x 20-25 µm anche se secondo Yoshikawa et al. (1989) il parassita può eliminare una bassa percentuale di uova di dimensioni maggiori (78 µm x 30 µm). Le uova di Trichuris isolate nel babbuino nel corso di questa indagine appartengono molto probabilmente a questa specie, poiché le dimensioni osservate (56,68 µm x 23,98 µm) corrispondono a quelle tipiche delle uova di questa specie. T. trichiura è un agente zoonotico che solitamente determina una infestazione con decorso asintomatico o paucisintomatico dovuto al notevole equilibrio raggiunto tra ospite e parassita (De Carneri, 1992), cariche elevate, però, possono determinare dissenteria anche a carattere cronico associata a prolasso rettale, anemia, soprattutto in bambini, che possono manifestare anche ritardo della crescita (De Carneri, 1992; Stephenson et al., 2000). Questa parassitosi costituisce quindi un importante problema di Sanità Pubblica (Stephenson et al., 2000). Nei campioni fecali di babbuino dello Zoosafari di Fasano (Br) sono state isolate inoltre uova e larve di Strongyloides fülleborni. La sintomatologia determinata da questo parassita è varia e conseguente alla penetrazione percutanea, alla migrazione polmonare delle larve ed alla localizzazione a livello enterico degli adulti (Ambrosi, 1985; Urquhart et al., 1998). In particolare i giovani animali manifestano diarrea, anoressia, abbattimento, perdita di peso o ridotto accrescimento ponderale. Dal punto di vista anatomopatologico è possibile quindi riscontrare reazioni eritematose, focolai emorragici sulla superficie polmonare ed infiammazioni edematose con erosioni epiteliali a livello intestinale (Ambrosi, 1985; Urquhart et al., 1998).

Strongyloides sp. è stato isolato in passato da campioni fecali di babbuino (Powell e Eldson-Dew, 1961; Myers e Kuntz, 1965; Müller-Graf et al., 1996; Legesse e Erko, 2004; Hope et al., 2004) e Strongyloides fülleborni è stato identificato in questa specie in seguito all’osservazione della morfologia delle larve ottenute da coproculture (Premvati, 1958; Munene

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et al., 1998; Muriuki et al., 1998; Murrey et al., 2000). S. fülleborni è un parassita di scimmie e uomo le cui uova ovali misurano 50-63 µm x 26-35 µm. Le larve immediatamente dopo la schiusa misurano in media 230-280 µm x 15-18 µm e l’esofago misura in media 65-78 µm (Premvati, 1958). La prima muta avviene quando la larva raggiunge una lunghezza tra 300 e 400 µm. (Premvati, 1958). Questo parassita può determinare nell’uomo una lieve dermatite dovuta alla penetrazione delle larve attraverso la cute (De Carneri, 1992). Solitamente la strongiloidosi è una elmintiasi cronica spesso asintomatica, ma l’aumento della carica parassitaria, conseguente solitamente ad immunodepresione determina infezione catarrale cronica dell’intestino con diarrea (De Carneri, 1992). La prevalenza sia di T. trichiura che di S. fülleborni nei campioni di babbuino è risultata pari al 100% dei campioni esaminai. I babbuini dello Zoosafari di Fasano (Br) vivono in un recinto, isolati dalle altre specie animali, dove probabilmente la contaminazione ambientale è molto elevata, poiché, anche se si tratta di un recinto, il substrato è terroso. Inoltre questo ambiente è molto ampio e la densità animale è molto elevata. Infatti lo Zoosafari di Fasano (Br) ospita la colonia di babbuini più grande al di fuori del Continente Nero, che conta circa 225 esemplari (Finotello, 2004). Il rischio che il personale dello zoo, con il quale è più probabile che questi esemplari vengano a contatto, si contagi con entrambi i parassiti è quindi molto elevato.

L’indagine svolta ha dimostrato, oltre alla presenza del lievito Malassezia pachydermatis nel condotto uditivo degli orsi dal collare dello Zoosafari di Fasano (Br), la presenza di endoparassiti a localizzazione intestinale sia negli animali del Giardino Zoologico di Pistoia che dello Zoosafari di Fasano (Br). In entrambi gli zoo gli animali sono sottoposti a trattamenti antiparassitari. Nello specifico nel Giardino Zoologico di Pistoia gli animali sono trattati con ivermectina e fenbendazolo, mentre presso lo Zoosafari di Fasano (Br) le molecole più utilizzate sono febendazolo per tigri, leoni e orsi, associazioni di febendazolo, pyrantel e praziquantel per

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primati ed altri carnivori ed ivermectina per le altre specie animali. Il maggior numero di parassiti è stato evidenziato nello Zoosafari di Fasano (Br), nel quale infatti sono stati isolati sia protozoi (Cryptosporidium sp. ed

Eimeria sp.), elminti (ascaridi, strongili gastro-intestinali e Trichuris sp.) e

trematodi (Paramphistomum microbothrioides) in 13 delle 15 specie

esaminate. Nel Giardino Zoologico di Pistoia è stata evidenziata la presenza di ascaridi e tricocefali in due sole specie animali, rispettivamente leone e cammello bactriano, rispetto alle nove diverse specie animali esaminate. Questa differenza può essere dovuta alla diversa tipologia di questi due zoo ed al diverso numero di animali ospitati. Lo zoosafari ospita infatti circa 1700 esemplari appartenenti a 200 specie diverse, mentre il Giardino Zoologico di Pistoia ospita circa 600 animali appartenenti a circa 130 specie diverse (Finotello, 2004). I risultati indicano che, nonostante i trattamenti applicati in entrambi gli zoo, le parassitosi sono comunque presenti, probabilmente a causa della inevitabile contaminazione degli ambienti. Entrambi gli zoo seguono piani di igiene, che consistono nella rimozione di materiale organico comprese le feci, pulizia e disinfezione dei locali che ospitano gli animali. In particolare, nel Giardino Zoologico di Pistoia i reparti sono puliti e disinfettati giornalmente con sali quaternari di ammonio, mentre allo Zoosafari di Fasano (Br) le gabbie sono pulite e disinfettate quotidianamente con creolina diluita. Il procedimento di pulizia e disinfezione è sicuramente di difficile applicazione in alcune zone dello Zoosafari di Fasano (Br) dove gli animali, erbivori e volatili, non sono detenuti in gabbia ma in un ampia zona aperta, all’interno della quale coabitano. La contaminazione ambientale da parte dei parassiti in questa zona potrebbe essere quindi molto elevata, sia per il difficile controllo igienico sia per l’elevata densità di animali anche di specie diverse. Questo potrebbe spiegare l’elevato numero di parassiti evidenziati e gli elevati valori di prevalenza. I risultati ottenuti, invece, dagli esami svolti sugli animali del Giardino Zoologico di Pistoia evidenziano che la pulizia e la

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disinfezione dei reparti è probabilmente meno complessa in uno zoo in cui le varie specie animali sono ospitate separatamente in gabbie e recinti di dimensioni contenute. A causa di queste caratteristiche, anche la densità degli animali all’interno dei propri reparti è bassa, influendo sulla eventuale contaminazione ambientale da parte dei parassiti. La presenza di ascaridi nei leoni e di Trichuris sp. nel cammello bactriano potrebbe essere dovuta, oltre che alle caratteristiche dei recinti nei quali vivono i quali presentano un substrato terroso e quindi non disinfettabile, alla elevata resistenza che le uova di questi parassiti hanno nell’ambiente. Queste condizioni, associate a fattori stressanti, possono determinare fenomeni di reinfestazione continua degli esemplari in esame che potrebbe spiegare anche la prevalenza pari a 100% riscontrata per entrambi i parassiti.

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