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BREVE STORIA ECONOMICA DELL'AMERICA LATINA NEL PERIODO ISI

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INTRODUZIONE

“Alcuni dei Paesi Industrializzati che sono stati tra i più ardenti sostenitori della

liberalizzazione degli scambi hanno mostrato una certa doppiezza. Hanno negoziato la riduzione dei dazi e l'eliminazione dei sussidi sui beni per i quali detengono un vantaggio comparato, ma si sono rivelati più riluttanti ad aprire i propri mercati e a eliminare i propri sussidi in altre aree nelle quali sono i Paesi in Via di Sviluppo a detenere un vantaggio. Di conseguenza, oggi abbiamo un regime del commercio internazionale che, in molti modi, è svantaggioso per i Paesi in Via di Sviluppo.”

Joseph Stiglitz e Andrew Charlton (2007)

Nelle intenzioni di questo lavoro vi è senz'altro quella di comprendere le cause all'origine delle difficoltà economico-sociali dell'America Latina, per poter poi partecipare alla discussione circa la formulazione di una ponderata politica

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economica.

Ciò non è possibile senza uno studio storico della realtà di cui ci andremo a occupare. Ecco perché dedichiamo i Capitoli 1 e 3 interamente alla ricostruzione storica dell'evoluzione economica dell'America Latina nell'epoca della cosiddetta 'globalizzazione', definita più precisamente dagli storici economici come 'seconda globalizzazione'1, a partire cioè dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri.

Durante questa lunga fase storica, i Paesi dell'America Latina hanno notevolmente modificato la politica economica, per decenni (più precisamente dagli anni '50 agli anni '70) improntata su un modello di crescita sostanzialmente chiuso basato su una Industrializzazione Sostitutiva delle Importazioni (di seguito indicata con l'abbreviazione ISI2).

L'idea alla base del modello è quella che lo sviluppo economico fosse favorito da una industrializzazione 'forzata' rivolta a soddisfare la domanda interna di beni fino allora importati. Tale strada di industrializzazione prevedeva un rilevante ruolo economico dello Stato.

L'importanza del ruolo economico dello Stato nell'industrializzazione era confermato dall'avvio dello sviluppo dei cosiddetti Paesi Industrializzati (con l'unica eccezione dell'Inghilterra che ben altra strada aveva seguito nella sua 'rivoluzione industriale'), in cui gli interventi statali nei settori ritenuti strategici

1 La 'prima globalizzazione' viene generalmente fatta coincidere con il periodo che va dal 1870 al 1913, caratterizzato da un notevole sviluppo del commercio interazionale ed da notevoli flussi di trasferimento dei fattori capitale e lavoro (Carreras et al, 2003).

2 Import Substitution Industrialization.

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erano stati notevoli, sia in termine di protezione delle imprese private che di impegno diretto.

Notevole era anche l'impatto dell'esperienza dell'Unione Sovietica che negli anni '30, durante una delle più grandi crisi economiche del sistema capitalistico, aveva ottenuto un'esplosione dell'industrializzazione stalinista, che aveva trasformato un'economia prettamente agricola in una delle grandi potenze industriali dello scenario internazionale, e tutto con un evidente ruolo fondamentale, anzi praticamente esclusivo vista la natura del sistema economico, dello Stato. Per non parlare poi del ruolo nuovo che lo Stato stava rivestendo nella fase di ricostruzione post-bellica, in particolare nei paesi europei che maggiormente avevano subito le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale.

In questo quadro era impossibile per gli attori di politica economica latinoamericani non attribuire un ruolo decisivo allo Stato nella fase iniziale del processo di industrializzazione.

Industrializzazione che era ritenuta necessaria per superare una specializzazione dell'economia troppo spesso rispondente ancora ad una logica di tipo colonialistico, che aveva creato una elevata dipendenza dall'esportazione di beni primari, portando l'economia all'interno di mercati in cui si scorgeva:

1) scarsa generazione di esternalità economiche e istituzionali necessarie per una crescita di lungo termine (Rodriguez e Sachs, 1999);

2) ragioni di scambio declinanti anche in virtù delle restrizioni economiche imposte dai paesi avanzati nel quadro dei negoziati per 'liberalizzare' il commercio internazionale (Carreras et all, 2003).

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Molte di queste osservazioni, circa l'importanza dell'industrializzazione e del ruolo fondamentale dello stato in essa, erano confermate dal dibattito economico contemporaneo, che affrontiamo nel Capitolo 2 del presente lavoro. Arthur Lewis (1955), ad esempio, sosteneva che lo sviluppo economico richiedeva coordinamento perché “ i diversi settori devono crescere nella giusta relazione tra loro o non cresceranno affatto”. Serviva cioè un'industrializzazione 'gestita' da portare avanti contemporaneamente in vari settori, spesso complementari.

Inoltre la teoria dell'industria nascente 3 suggeriva che, oltre ad un incentivo alla nascita delle imprese in una determinata industria, era necessario anche un sostegno temporaneo che permettesse uno sviluppo a lungo termine e tale sostegno presupponeva la tutela, o meglio la protezione, dalla concorrenza internazionale dei paesi in cui tali settori erano già consolidati.

Fondamentali per la comprensione delle scelte economiche messe in campo nel periodo ISI sono i contributi di Prebisch e Singer, degli anni '50, a cui dedicheremo ampio spazio nell'ambito del Capitolo 2.

Gli anni dell'ISI si caratterizzarono per una notevole sviluppo economico dell'America Latina, con tassi di crescita difficilmente eguagliati in periodi successivi, e una notevole diversificazione economica delle principali economie della regione, tanto da essere stata definita come una 'Golden Age' (Castaldi et all, 2004). Ma questo periodo si caratterizzò anche per una notevole crescita del debito estero dell'America Latina che portò, all'avvento delle crisi petrolifere,

3 Parleremo più avanti in maniera approfondita di tale teoria, fondamentale per capire le scelte di politica economica messe in campo dai paesi latinoamericani nei vent'anni dell'ISI.

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notevoli difficoltà sul piano della stabilità dei sistemi economici. Tali difficoltà, affiancate al successo dei Paesi del Sud Est Asiatico in cui le ricette di politica economica erano state antitetiche, portarono all'abbandono del vecchio modello per approdare ad una nuova fase di liberalizzazione fortemente raccomandata dagli organismi internazionali.

Presentiamo ad apertura del primo capitolo le riforme che verranno introdotte in seguito alle crisi debitorie.

Il Capitolo 4 è, invece, dedicato ad una analisi econometrica dell'andamento dell'elasticità della crescita settore interno non esportatore rispetto al settore delle esportazioni e dell'elasticità degli investimenti interni rispetto agli FDI.

Cercheremo di capire se l'introduzione delle riforme abbia modifica la struttura delle relazioni fra queste variabili e se le modifiche siano state positive o possano essere incluse fra le cause delle differenze nei tassi di crescita fra il periodo ISI e il periodo Post-riforme.

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Capitolo 1

BREVE STORIA ECONOMICA DELL'AMERICA LATINA NEL PERIODO ISI

“La divisione internazionale del lavoro consiste nella specializzazione di alcuni Paesi a

guadagnare e di altri a perdere. Il nostro territorio nel mondo, che oggi chiamiamo America Latina, fu precoce: si specializzò a perdere fin dai tempi remoti in cui gli Europei del Rinascimento si avventurarono attraverso il mare”.

Eduardo Galeano

1.1 Analisi storico-economica dell'America Latina

Analizzare l'andamento dell'intera America Latina non è operazione semplice. Pur potendo riscontrare una vasta serie di similitudini fra i vari Paesi che compongono l'area, le variabili e i settori di riferimento sono molteplici e

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estremamente variegati. La nostra analisi sarà, pertanto, ristretta ad alcuni ambiti ritenuti fondamentali e dai quali meglio di evince la dinamica economica sommariamente delineata nel precedente paragrafo introduttivo.

Partiremo dal commercio internazionale per giungere ad una breve analisi e una fondata comprensione della formazione del debito estero, passeremo dall'andamento dei flussi di capitali alla dinamica dei salari e dell'occupazione parlando inoltre della dinamica dei prezzi internazionali e dunque delle ragioni di scambio e del ruolo che tutte le precedenti realtà hanno avuto per quanto riguarda l'andamento della diseguaglianza e della povertà.

Condurremo questa analisi tenendo conto di una importante suddivisione temporale: 'pre-riforme' e 'post-riforme'.

Le riforme di cui stiamo parlando sono quelle messe in campo dai vari paesi per uscire dal sistema ISI. Riforme strutturali che hanno avuto una tempistica diversa di messa in atto nei vari paesi ma che grosso modo possono essere fatte rientrare nel decennio '80, tristemente noto come 'decennio perduto'.

Inoltre, raggrupperemo le riforme, secondo la classificazione fatta da Stallings e Peres (2000), in 5 categorie:

1- liberalizzazione delle importazioni;

2- riforma e liberalizzazione del sistema finanziario interno;

3- apertura del mercato dei capitali, 4- privatizzazione;

5- riforma fiscale.

Andiamo ora a vedere brevemente cosa concretamente rappresentano questi

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pacchetti di riforme strutturali.

Liberalizzazione delle importazioni

Al momento dell'attuazione delle riforme strutturali i mercati dell'America Latina erano protetti dalla competizione internazionale in svariati modi, dei quali i più importanti erano le alte tariffe e le quote all'importazione sui prodotti industriali e agricoli. La combinazione di queste due forme di protezione dava vita a tassi effettivi di protezione anche molto elevati in alcuni settori come si può vedere nella tabella seguente.

Le motivazioni che spinsero all'adozione di questo pacchetto di riforme erano molte e tutte guidate dall'idea che la protezione dalle importazioni aveva un impatto negativo in termini di: (i) efficienza economica e accesso alle nuove tecnologie; (ii) abbandono della specializzazione economica basata sui vantaggi comparati peculiari dell'area e distorsione della produzione; (iii) prezzi molto più alti a causa della protezione; (iv) distorsione delle scelte di consumo interne e dunque anche dell'allocazione delle risorse.

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Tabella 1.1.I Tassa effettiva di protezione per settore industriale (in percentuale)

Argentina (1969) Brasile (1967) Messico (1970) Cile (1967) Alimentari

Tessili Calzature

prodotti in legno Industria chimica Macchinari elettrici

-15 143 121 178 82 165

40 162 60 25 42 97

37 45 40 12 62 88

365 492 34 -4 64 740

fonte: Carreras et al., CEPAL 2003

Il pacchetto di riforme di liberalizzazione delle importazioni prevedeva pertanto un processo di aggiustamento che portasse all'eliminazione delle quote all'importazione e una graduale riduzione delle tariffe.

Riforma e liberalizzazione del sistema finanziario interno

Il sistema finanziario aveva rappresentato un potente strumento nelle mani dei governi durante il periodo ISI. I governi decidevano il tasso di interesse sia sui depositi che sui prestiti e dirigevano gli investimenti di una parte sostanziale del credito commerciale, dando vita a ciò che la letteratura ha definito 'repressione finanziaria'. I critici di tale approccio 'repressivo' sottolineano come questo porti a bassi saggi di risparmio e un difficile accesso al credito per le

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imprese di piccola e media dimensione4.

Chiaramente i principali interventi riformatori in questo settore hanno puntato a rendere libera la determinazione del tasso di interesse secondo meccanismi di mercato, hanno visto l'abbassamento delle riserve bancarie e la privatizzazione delle banche statali. Ma non meno importanti sono stati gli interventi che hanno riguardato le banche centrali, che sono state rese autonome dai ministeri delle finanze.

Apertura del mercato dei capitali

Il controllo dei flussi sul mercato dei capitali è cosa comune nei sistemi protezionistici e non solo5. L'America Latina del periodo ISI non rappresenta di certo un'eccezione in questo. La regolamentazione in ambito finanziario era abbastanza complessa e non uniforme da paese a paese. I movimenti di capitali erano generalmente limitati ma particolarmente interessante per quanto riguarda

4 Sul problema dell'accesso al credito non ci soffermeremo esaurientemente in questa sede, nonostante questo sia un problema di notevole importanza per tutte le economia in via di sviluppo e dunque anche per l'America Latina. Ci preme solo superficialmente accennare che tale problema esiste e persiste in molti paesi nonostante le completa liberalizzazione del settore in osservanza alle ricette del FMI circa il settore finanziario interno. È dunque ragionevole pensare che le critiche mosse al sistema 'repressivo' del periodo ISI e la sua identificazione come causa dei problemi di razionamento del credito non siano del tutto soddisfacenti, ritenendo che tale sistema abbia rappresentato in realtà una concausa.

5 Si pensi ad esempio ai controlli sul mercato dei capitali in Cina che, nonostante episodi di apertura, mantiene un forte controllo del governo in tale settore.

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gli Investimenti Diretti Esteri6 era la limitazione dei settori in cui tali capitali potevano affluire. Le critiche riguardano la limitazione di accesso al capitale estero per le imprese. Anche per quanto riguarda il mercato della moneta si assisteva ad un controllo diretto dello stato attraverso i tassi di cambio7, cosa che generò un notevole ricorso al mercato nero.

Le riforme andarono nella direzione della eliminazione del controllo del cambio e delle limitazioni sui FDI e altri movimenti di capitale.

Privatizzazione

Come già accennato nel paragrafo introduttivo, il processo di industrializzazione prevedeva anche l'impegno diretto dello Stato in alcuni settori strategici. Tale impegno era assunto tramite la proprietà statale di imprese operanti in tali settori, spesso in regime di monopolio. Il pacchetto di riforme prevedeva la vendita al settore privato, interno ed estero, di tali imprese.

6 Più avanti nel testo ci riferiremo, quando necessario, a tale categoria di flusso di capitali con la sigla in inglese FDI (Foreign Direct Investment).

7 Ci sembra interessante a proposito dei tassi di cambio far notare come sia stato uno dei primi strumenti di protezione utilizzato. Già nel 1951, infatti, il Brasile aveva adottato un sistema di cambi multipli attraverso il quale si permettevano importazioni a tassi di cambio favorevoli per quei beni ritenuti fondamentali (sostanzialmente le importazioni di beni capitale per l'avvio dell'industrializzazione), mentre le importazioni che potevano essere prodotte internamente venivano ostacolate tramite tassi di cambio elevati (Charlton e Stiglitz, 2007).

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Riforma fiscale

Per sostenere il proprio ruolo attivo nell'economia e l'elevata spesa pubblica che ciò comportava i governi latinoamericani, durante il periodo ISI avevano imposto un alto livello di tassazione sul reddito, oltre a un complesso sistema di tassazione sulle imprese straniere e le tasse sul commercio internazionale. Tali forme di tassazione furono eliminate o fortemente diminuite per eliminare le distorsioni nei prezzi dell'import e dell'export, negli incentivi all'investimento. Le aliquote della tassazione sui redditi e sulle imprese straniere vennero diminuite, ma si introdusse l'IVA che divenne per molti paesi la principale fonte delle entrate fiscali. L'introduzione dell'IVA non venne ostacolata nel piano riformista perché si riteneva che tale forma di tassazione fosse meno distorsiva e di più facile riscossione.

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1.2 Commercio internazionale e PIL

Iniziamo la nostra analisi osservando l'andamento del commercio internazionale.

Questo rappresenta un tema cruciale per la valutazione del periodo ISI e della successiva corsa alle liberalizzazioni. La maggior parte degli economisti già negli anni settanta imputava i problemi economici dell'America Latina, che portarono ad una crescita esponenziale del debito estero, alle scelte di politica economica ed in particolare a quelle di politica commerciale, che, premiando la sostituzione delle importazione si diceva di fatto colpissero di riflesso le esportazioni diminuendole8. Ma ciò non è del tutto vero o per lo meno non è vero per quanto riguarda il volume delle esportazioni.

Se si considera solo il rapporto esportazioni/PIL l'affermazione circa la decrescita delle esportazioni e della loro rilevanza sembra confermata.

Dalla tabella 1.2.I vediamo come gradualmente durante il periodo 'pre- riforme' (considerando addirittura un periodo più lungo di quello a cui faremo normalmente riferimento nel proseguo del lavoro) il rapporto esportazioni su PIL è andato costantemente decrescendo, portando il settore esportazioni dal 9,2% del 1870 al 4,7% del 1973, di fatto un dimezzamento del peso relativo del settore.

8 Per una trattazione teorica circa i risultati in termini di esportazioni di beni all'introduzione di una restrizione al libero scambio, in particolare alle importazioni si veda Krugman e Obstfeld (2003), Capitolo 8.

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Tabella 1.2.I: Quota di esportazioni sul Pil a prezzi del 1990 (percentuale)

1870 1913 1950 1973 1998

Argentina Brasile Cile Messico Totale A.L.

9,4 11,5 n.d.

3,1 9,2

6,8 9,2 7,5 9,1 8,9

2,4 3.9 5,0 3,0 6,0

2,0 2,5 4,0 1,9 4,7

7,0 5,5 12,6 10,5 9,7

Fonte: Maddison (2002)

Il rallentamento maggiore però lo si ha nel periodo che comprende le due Guerre Mondiali, legato ovviamente a shock esogeni della domanda più che a scelte interne di produzione e di politica economica. Nella fase ISI (cioè tra il dato del 1950 e quello del 1973) il rapporto diminuisce di poco più di un punto percentuale, un risultato che non sembra giustificare l'identificazione della politica protettiva con un crollo delle esportazioni. Ovviamente questa diminuzione è in parte dovuta e attribuibile alla politica economica che puntava ad una crescita della produzione per il mercato nazionale.

La diminuzione della quota di esportazioni sul PIL nel periodo fra le due Guerre era una delle ragioni che portarono all'elaborazione del modello ISI:

un'America Latina troppo dipendente dal settore estero, data la sua fragilità interna che difficilmente permetteva una risposta adeguata agli shock esterni, sarebbe stata un'America Latina instabile.

Ancora più significativo risulta l'andamento del volume delle esportazioni e

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dei relativi tassi di crescita. Anche in questo caso si può notare come il periodo ISI non rappresenti il peggior periodo per le esportazioni dell'America Latina.

Nel periodo della cosiddetta 'prima globalizzazione', 1870-1913, caratterizzato da una sostanziale apertura del sistema economico e da una notevole specializzazione nei settori primari (agricoltura e estrazione mineraria) retaggio del recente passato coloniale, il volume delle esportazioni di beni cresceva ad un ritmo del 3,4 % annuo. Nella fase fra le due Guerre Mondiali il tasso di crescita scendeva al 2,3 %, mentre nel periodo ISI si attestava al 4,3%

valore perfino superiore a quello della 'prima globalizzazione'. 9

Tale tasso di crescita risulta comunque minore del tasso che si riscontra nella fase a cavallo dell'adozione delle riforme strutturali. Ma ciò non solo per la natura della politica economica adottata nell'area.

9Con 'Totale America Latina' l'autore si riferisce alla media semplice dei tassi di crescita di 25 Paesi dell'area.

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Tabella 1.2.II: Crescita delle esportazioni di beni in volume (media annua)

1870-1913 1913-1950 1950-1973 1973-1998 Argentina

Brasile Cile Messico Totale L.A.

5,2 1,9 3,4 5,4 3,4

1,6 1,7 1,4 -0,5 2,3

3,1 4,7 2,4 4,3 4,3

6,7 6,7 9,1 10,9 6,0

Fonte: Maddison (2002)

Infatti, se analizziamo i dati forniti dal WTO, nel Trade profiles (2000), circa l'andamento del commercio internazionale a livello mondiale, sempre in termini di volume, possiamo notare come la crescita delle esportazioni latinoamericane sia grossomodo in linea con la crescita di quest'ultimo.

Nella tabella seguente è mostrata la crescita del volume del commercio internazionale per classi di prodotto. É possibile, dunque, notare come nei settori che maggiormente interessano le esportazioni dell'America Latina, agricoltura e prodotti minerari, il tasso di crescita degli scambi internazionali fra il 1950 e il 1973 è di poco superiore a quello sperimentato dalle esportazioni dell'America Latina nello stesso periodo10.

Da questa analisi sul commercio internazionale sembrerebbero emergere dati contrastanti rispetto a quelli che ci si attenderebbe da una regione che adotta una

10 Sempre dall'analisi dei medesimi trends, possiamo notare come il settore che più di tutti cresceva in termini di volumi di scambio è il settore manifatturiero. Questa considerazione si va a sommare alla precedente nell'ambito delle giustificazioni che portarono all'affermarsi del modello ISI.

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politica fortemente protezionista e rivolta al soddisfacimento primario del mercato interno: le esportazioni dell'America latina crescono nel periodo ISI più che nei periodi precedenti e ad un ritmo sostanzialmente in linea con quello del commercio mondiale.

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Fonte: WTO trade profiles (2000)

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1.3 Crescita economica, occupazione e distribuzione del reddito

Un aspetto, purtroppo, comune a tutte le economie dell'America Latina è senz'altro la forte sperequazione nella distribuzione del reddito fra le fasce della popolazione. Con lievi differenze fra paese e paese, l'America Latina si pone come una delle regioni in cui tale problema si manifesta in maniera più acuta.

L'elevata concentrazione delle ricchezza non è però fatto di recente affermazione nell'area Latinoamericana ma ha radici nel passato coloniale dell'area stessa.

La forma più eclatante di concentrazione del reddito si riscontrava nella proprietà delle terre11, retaggio spesso delle distribuzioni avvenute durante il periodo coloniale e pertanto maggiormente avvertite come ingiuste da parte delle popolazioni, in particolare quelle indigene.

Tale situazione, insieme all'instabilità della crescita economica tra la fine del

11Non è un caso che nella maggior parte dei paesi latinoamericani questa sia una delle tematiche più dibattute dai movimenti della società civile. Significativo in questo senso è il caso del Brasile, che in quanto a concentrazione del reddito è uno dei paesi maggiormente colpiti, dove sempre più importanza ha assunto il Movimento dei Sem Terra (Senza Terra), contadini che si sono uniti e hanno iniziato una campagna di occupazione delle terre incolte appartenenti ai grandi latifondi.

Nella storia recente del Paese tale tematica, sicuramente grazie anche alla forza delle rivendicazioni dei Sem Terra, è entrata nell'agenda politica del governo che ha messo mano alla situazione portando avanti una riforma agraria che si pone l'obiettivo di una più equa redistribuzione delle terre.

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XIX secolo12 e l'inizio del XX secolo, ha generato elevati tassi di disoccupazione che hanno contribuito non poco al peggioramento della situazione distributiva dell'area.

Tabella1.3.I: Crescita percentuale del Pil e crescita percentuale dell'occupazione

Periodo PIL occupazione '50

'60 '70 '80 '90

1950-1999

5,1 5,7 5,6 1,2 3,2 4,2

1,9 2,3 3,8 2,9 2,2 2,6

Fonte: Weller (2000b)

Durante il periodo ISI tale tendenza si inverte: una crescita costante e stabile del PIL, come si può notare dalla tabella 1.3.I, ed una crescita anche dell'occupazione contribuiscono nell'area ad una diminuzione della concentrazione della ricchezza.

Il tema della creazione di occupazione è uno di quelli che maggiormente spinsero all'abbandono del modello ISI e alla realizzazione di quelle riforme

12 L'instabilità nel tasso di crescita viene generalmente ricollegata, da quanti si sono occupati dell'economia dell'America Latina, alla 'lotteria delle risorse', termine coniato da Diaz Alejandro riferendosi allo stretto collegamento fra tassi di crescita economica dei singoli paesi e andamento di alcuni mercati delle risorse di cui tali paesi si connotavano come produttori. (Stallings e Weller 2001)

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strutturali di liberalizzazione dell'economia che abbiamo precedentemente ricordato e descritto. Si supponeva che l'apertura economica potesse dinamizzare anche i settori interni favorendo una migliore allocazione delle risorse e di conseguenza liberando risorse impiegate in settori poco competitivi per sviluppare settori più competitivi. Pertanto dedicheremo un breve spazio a questo particolare aspetto dell'economia analizzando a grandi linee l'evoluzione del mercato del lavoro.

Coloro che si occupano in modo particolare del mercato del lavoro concordano sul fatto che gli andamenti di lungo periodo della disoccupazione sono determinati dall'evoluzione dell'offerta di lavoro.

L'offerta di lavoro viene solitamente analizzata tramite la variabile Popolazione Economicamente Attiva (di seguito EAP)13.

Questa variabile a sua volta è determinata e può essere spiegata dai cambi nella dimensione della popolazione in età lavorativa (PWA)14 e da quanto la popolazione decide di partecipare al mercato del lavoro, cioè il tasso globale di partecipazione (GPR)15.

Nella figura seguente vediamo in un solo grafico l'andamento delle tre variabili. Quello che ci preme sottolineare è una dinamica di lungo periodo significativamente positiva nella crescita del GPR.

13 Anche in questo caso nel proseguo del lavoro utilizzeremo l'acronimo inglese EAP (Economically Active Population) per riferirci a tale grandezza. Lo stesso faremo per le altre variabili che incontreremo nell'analisi del mercato del lavoro.

14Population of Working Age.

15Global Participation Rate.

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Figura 1.3.I: Variazione dell'offerta di lavoro 1950-2000

Fonte: Weller (2000)

Uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, l'America Latina riesce ad invertire l'andamento della GPR che andava costantemente diminuendo. Ciò avviene, come si evince dalla figura, negli anni '70 quando il tasso di crescita dell'EAP raggiunge e supera quello della PWA. Questo aumento del GPR può anche essere colto come un grado di fiducia della PWA nella reale possibilità di trovare un posto di lavoro e non è un caso che tale fiducia incominci a crescere proprio negli anni '70, anni in cui come abbiamo visto nella precedente tabella il tasso di occupazione cresce mediamente del 3,8% annuo.

Non abbiamo finora parlato della crescita economica dell'area. Già dalla

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tabella di inizio paragrafo si nota come nei decenni del modello ISI le

Tabella1.3.II: Crescita del PIL

fonte: CEPAL 2007

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economie sudamericane siano cresciute a ritmi vertiginosi, molto più elevati di quelli ottenuti dopo la messa in opera delle liberalizzazioni16.

Molto interessante a questo proposito è il raffronto che la CEPAL17 fa dei due periodi a cavallo delle riforme: 1960-1975 e 1988-2003, riportato nella Tabella 1.3.II.

Dal confronto diretto fra il tasso di crescita annuale nei due periodi possiamo notare come in quasi tutte le nazioni latinoamericane il miglior periodo per la crescita era quello preriforma.

A livello aggregato l'area dell'America Latina cresceva ad una media del 4,8

% tra il 1960 e il 1975, mentre in un arco di tempo sempre di quindici anni ma successivo alle riforme, tra il 1988 e il 2003, la media è di 2,8%. La differenza del 2% nel tasso di crescita ci pare assai notevole soprattutto perché riguarda, come abbiamo già detto, archi temporali di 15 anni.

16Un caso a parte è rappresentato dal Cile che, per la particolare storia politica, richiederebbe un'analisi che va al di là dell'ambito di indagine del presente elaborato.

17Comision Economica Para America Latina. É una commissione dell'ONU che si occupa delle tematiche economiche legate allo sviluppo dell'America Latina.

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1.4 Debito estero

Dall'analisi fin qui svolta sulla storia economica dell'America Latina si potrebbe sostenere che il periodo ISI sia stato dal punto economico un periodo positivo: elevata e costante crescita del PIL, aumento dell'occupazione e sostanziale tenuta del commercio internazionale.

Allora cosa ha spinto ad un ripensamento tanto drastico del sistema di politica economica, che vide il sostanziale abbandono di tale sistema?

La teoria economica suggeriva e suggerisce che il sistema di politica economica adottato allora dall'America Latina era altamente distorsivo degli 'incentivi' tipici del libero mercato e dell'allocazione delle risorse. Tra gli anni '70 e i primi anni '8018 ci furono numerosi studi sul tema, la maggior parte dei quali insistevano appunto sulla possibilità di ottenere maggiori tassi di crescita riorganizzando la struttura produttiva in modo che da favorire l'esportazione piuttosto che la produzione per il mercato interno in sostituzione delle importazioni.

La maggiore apertura economica e una economia outward-oriented genererebbe, secondo quest'approccio, una maggiore efficienza a livello

18Tra i primi studi ad invocare il ricorso alle riforme strutturali ci sono senz'altro quelli di Anne O. Krueger per il National Bureau of Economic Research.

Il fatto poi che tale economista tra il 1982 e il 1986 abbia ricoperto il ruolo Chief Economist presso la Banca Mondiale la dice lunga sull'importanza e il peso che tali opinioni assunsero, oltre che nel mondo accademico, nelle istituzioni internazionali.

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microeconomico ed un migliore utilizzo dell'economie di scala legate alla crescita delle esportazioni.

Questi modelli inoltre sostenevano che l'eliminazione delle distorsioni causate dal modello ISI avrebbe creato occupazione in particolare per i lavoratori non specializzati. L'enfasi posta sull'importanza in termini di occupazione di rivolgersi maggiormente alle esportazioni era sostenuta dall'idea che, dati i vantaggi comparati dell'America Latina in termini di manodopera non specializzata, l'aumento delle esportazioni sarebbe avvenuta in quei settori che si caratterizzano per un rilevante ricorso a produzioni più labour-intensive rispetto a quelle che venivano messe in campo per sostituire le importazioni, in particolare il settore agricolo e quello dell'industria leggera.

Il tasso di crescita del PIL e l'occupazione non erano però i principali problemi nei paesi dell'America Latina19.

Il vero problema era quello del debito estero che continuava a crescere e che portò alla crisi finanziaria alcuni Paesi dell'area a partire dagli anni '80: il primo paese ad entrare in crisi è il Messico che si trascina dietro la credibilità dell'intera area.

La crisi del debito in America Latina ha avuto diverse concause non tutte imputabili alla situazione interna dei Paesi. Molto importante per capire come si sia arrivati ad un livello tale di indebitamento nella regione è tener presente

19 Bisogna però qui sottolineare che il problema della crescita economica e del mantenimento dei livelli conseguiti durante gli anni '50 e '60, sarà una delle spinte all'elevato indebitamento da parte dei Paesi Latinoamericani, che si verifica nell'area a partire dagli anni '70.

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alcuni passaggi storici che negli anni settanta modificano notevolmente lo scenario dei prestiti internazionali.

Soffermiamoci inizialmente sulle ragioni interne della crisi debitoria. I Paesi in Via di Sviluppo e fra i Paesi dell'America Latina sono spesso stati accusati di aver utilizzato le risorse acquisite all'esterno secondo politiche che hanno favorito i consumi piuttosto che gli investimenti20.

Un'allocazione efficiente delle risorse estere, in particolare sotto forma di investimenti, e la redditività o meno degli investimenti stessi contribuiscono a determinare la capacità di generare risorse con le quali poi ripagare il debito.

Il settore che si riteneva meglio potesse generare risorse e permettere l'approvvigionamento di valuta estera necessaria per ripagare il debito era quello delle esportazioni.

Secondo Dornbusch e Fischer (1986) i Paesi dell'America Latina utilizzarono male le risorse estere acquisite in quanto le destinarono in parte al finanziamento dei consumi e dei deficit pubblici anziché agli investimenti21.

Contemporaneamente c'è chi, come Diaz Alejandro (1984), rileva che anche quei Paesi che non hanno sperperato le risorse estere si siano trovati non in grado di affrontare il crescente servizio del debito22. Questo perché, secondo Diaz, la

20Si veda a questo proposito Fratianni (1983).

21Significativa in questo senso è l'indagine condotta da Kharas e Levinshon (1988) su 26 Paesi indebitati. Viene rilevato che in 12 tra questi la propensione al consumo aumenta in corrispondenza dell'incremento dei fondi esteri disponibili raggiungendo livelli elevati, come ad esempio lo 0,88 per la Bolivia e lo 0.99 per la Colombia.

22Con servizio del debito si intendono gli interessi corrispondenti ai debiti accumulati e le quote di ammortamento del capitale da restituire.

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redditività degli investimenti in molti Paesi Latinoamericani subisce un declino23. Si sottolinea poi che molti Paesi si impegnarono in progetti di investimento che avrebbero manifestato la loro redditività nel medio-lungo periodo mentre la durata dei finanziamenti, in particolare quelli ottenuti dal settore delle banche, avevano piani di rientro molto più stringenti24.

Dal punto di vista dei fattori esterni della crisi debitoria una serie di concatenazione di fatti ha favorito notevolmente la crescita esponenziale del debito e del servizio del debito.

Un primo avvenimento che porta notevoli mutamenti sullo scenario internazionale è la decisione da parte dell'amministrazione Nixon di portare il dollaro fuori dal sistema del Gold Standard, adottato nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods: era il 1971.

Questa presa di posizione americana, seguita a ruota dai Paesi Industrializzati, porta il mercato dei cambi da un sistema sostanzialmente fisso ad uno variabile. La decisione di Nixon scaturiva dal bisogno di emettere moneta, in quantità superiori rispetto a quelle giustificate dalle riserve auree, per finanziare la guerra in Vietnam, per poter mantenere quella promessa elettore che solo 3 anni prima aveva fatto: 'una pace con onore'.

Altri avvenimenti importanti sono le due crisi energetiche del 1973 e del 1979 che fanno schizzare il prezzo del petrolio alle stelle generando notevoli flussi monetari verso i paesi produttori dell'OPEC, i quali a loro volta dirigono

23 Il declino della redditività degli investimenti viene misurato dall'autore attraverso l'aumento del rapporto marginale fra capitale e PIL riscontrabile negli anni '60 e '70.

24Si veda Cline (1984).

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questi flussi verso istituti di credito Americani ed Europei. Le banche commerciali si trovano improvvisamente con un'abbondanza di moneta mai sperimentata prima, un'abbondanza dei cosiddetti 'petroldollari'.

Assistiamo così nel giro di pochi anni ad una impennata inflattiva ed ad una abbondanza di moneta nel sistema che generano un vantaggio nell'indebitamento.

Tabella 1.5.I: Andamento del dollaro e del tasso di interesse reale

1971/1980 1981/1985 Variazione del tasso di

cambio del Dollaro

-3.9 11.0

Tasso di interesse reale sul debito internazionale

-6.5 14.5

Fonte: Schulmeister (2000)

Schulmeister25 calcola il tasso di interesse reale sul debito internazionale e la variazione del tasso di cambio del dollaro in questo periodo, riportati nella Tabella 1.5.I.

Dalla prima colonna della Tabella 1.5.I emerge come negli anni '70 risulti conveniente contrarre debiti internazionali in quanto il tasso di interesse reale medio del periodo risulta negativo, -6.5 %, e il dollaro, in cui erano denominati i

25Schulmeister, S. (2000) Globalization without Global Money: the double role of the dollar as national currency and world currency, JPKE, Vol 22, No 3.

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prestiti internazionali, è in una fase di deprezzamento.

Questa situazione ovviamente ha portato molti governi, non solo dell'America Latina ma di quasi tutti i Paesi in Via di Sviluppo, ad accettare prestiti anche ingenti e spesso impiegati in settori e modi che, come abbiamo già visto, difficilmente avrebbero permesso il pagamento del servizio del debito.

Servizio del debito che, passata la fase di abbondanza di moneta e a causa di un maggior impegno internazionale26 alla lotta all'inflazione, crebbe notevolmente nell'arco di pochi anni, sia in termini di interessi che di valore, in termini di valuta nazionale, delle quote di ammortamento del capitale prestato.

Il tasso di interesse reale27, che si era mantenuto negativo durante il periodo tra '71 e '80, salì di 20 punti mettendo letteralmente in ginocchio i paesi che avevano contratto debiti con una errata valutazione della sostenibilità di lungo periodo. Anche l'andamento del dollaro non favorì i Paesi in Via di Sviluppo che si erano indebitati.

All'iniziale deprezzamento del dollaro dovuto all'abbandono del Gold Standard e dall'elevata offerta che i paesi OPEC ne fecero sul mercato, seguì un naturale apprezzamento, favorito anche dalle politiche anti-inflazionistiche. Ciò comportava un ulteriore aggravio della posizione debitoria di molti Paesi dato che i prestiti internazionali e quindi i debiti contratti erano denominati in dollari e non in moneta interna.

26Dopo la seconda crisi energetica le amministrazioni Reagan negli USA e Tatcher in Gran Bretagna si impegnano in politiche restrittive volte al contenimento della spinta inflazionistica che le impennate del prezzo del petrolio avevano generato.

27Sempre con riferimento ai calcoli di Schulmeister che a sua volta utilizza i dati del FMI sull'andamento dei tassi nominali e dell'inflazione mondiale.

(32)

Le politiche restrittive anti-inflazionistiche adottate dai Paesi Avanzati portarono con se anche un decremento della domanda di importazioni che danneggiò i Paesi in Via di Sviluppo, soprattutto per le ripercussioni che ebbe sulle ragioni di scambio.

Riportiamo, a questo proposito, nella Tabella 1.5.II alcune elaborazioni di Bresolin (1993) sulla base dei dati del FMI.

Tabella 1.5.II: Variazioni del volume e valore delle esportazioni dei PVS (variazioni percentuali)

1968-72 1973-80 1981-82 1983-85

Volume dell'export 7,9 2,4 -7,0 3,7

Valore dell'export 12,3 27,9 -7,0 1,7

Termini di scambio 0,8 8,3 0,9 -0,5

Fonte: Bresolin (1993)

Già tra il 1973 e il 1980 la crescita del volume delle esportazioni subisce un forte rallentamento, tuttavia il valore delle stesse, spinto dalla aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, cresce più che nel periodo precedente. Ma nel biennio 1981-82 sia il volume che il valore delle esportazioni subiscono una dura battuta d'arresto, comportando anche una minore afflusso di moneta straniera, significativamente di dollari, con i quali pagare il servizio del debito.

Molti Paesi dell'America Latina ricorsero, pertanto, ad un'immissione di

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moneta nel mercato a tassi crescenti nel tentativo di ottenere signoraggio28 e recuperare risorse per fronteggiare le scadenze debitorie. L'elevata crescita dell'offerta di moneta generò, tuttavia, una spirale di inflazione ed in molti casi di iperinflazione che condizionò l'economia latinoamericana per tutti gli anni '80.

Il pagamento degli interessi sul debito e la restituzione dello stesso si rivelò in breve tempo una fonte di drenaggio di risorse dall'America Latina verso i Paesi Industrializzati ed in particolare i loro istituti bancari.

La CEPAL indica che il trasferimento netto di capitale dall'America Latina verso il Nord del mondo corrispose, negli anni dal 1983 al 1991, a 200 mila milioni di dollari. I Paesi dell'America Latina trasferirono ai loro creditori somme colossali. Fra il 1982 e il 2000, l'area pagò come servizio del debito 1.452.000 milioni di dollari, corrispondente a più di quattro volte il suo debito iniziale del 1982 che ammontava a 333.200 milioni di dollari.

All'inizio degli anni '80, dunque, l'America Latina, insieme a molti Paesi in Via di sviluppo, si trasformò in esportatrice di capitale.

French Davis, Muñoz e Palma (1994) ricostruiscono l'andamento dei movimenti di capitale da e verso l'America Latina. Nel periodo 1978-1981 l'America Latina i trasferimenti netti29 annuali ammontavano mediamente a 18.513 milioni di dollari. Nel periodo successivo, 1982-1989, invece, l'America Latina esporta annualmente 21.350 milioni di dollari.

28Signoraggio è il nome che gli economisti danno alle risorse reali che il governo guadagna stampando la moneta che spende in beni e servizi”. (Krugman e Obstfeld, 2003, pag 407)

29Calcolati da French Davis, Muñoz e Palma (1994) in dollari del 1980 come differenza fra i movimenti netti di capitali e i pagamenti per interessi e profitti.

(34)

La crescita lenta, o meglio la sostanziale stagnazione, dell'economia durante tutto il decennio degli '80, il decennio perduto, non agevolò certo la situazione debitoria dell'America Latina.

Tabella 1.5.III: Debito estero dell'America Latina (+ Caraibi30) in milioni di dollari.

Anno 1970 1980 1990 2001

Debito estero 32.561 257.374 475.374 764.880

Crescita

percentuale 690,4% 84,7% 60,9%

Fonte: CEPAL, le variazioni percentuali sono frutto di nostro calcolo e sono da intendersi come variazioni rispetto al periodo precedente riportato in tabella.

Infatti, nonostante le enormi somme trasferite e l'adozione di politiche volte a ridurre la spesa pubblica e le inefficienze dei governi secondo i dettame del FMI, il debito continuò a crescere in maniera vertiginosa, portando nuove crisi finanziarie fra cui si segnala per la particolare gravità quella dell'Argentina a partire dal 2001.

30 I Paesi compresi nel calcolo del debito estero riportato nella Tabella 1.5.III comprendono anche i Paesi della area Caraibica.

Abbiamo ritenuto comunque significativo il dato sul debito estero per il grande peso relativo che l'America Latina ha rispetto ai Paesi caraibici che poco contribuiscono al totale e che non divergono molto dal comportamento dei Paesi latinoamericani per quanto riguarda la tematica del debito.

(35)

Nella tabella 1.5.III abbiamo riportato i dati relativi al debito estero dell'America Latina e calcolato il tasso di crescita dello stesso. Come si può notare gli anni delle crisi energetiche segnano un boom nell'indebitamento dell'area. Il tasso di crescita percentuale del debito segna poi un significativo rallentamento anche se la crescita in termini assoluti permane elevata.

Alla luce dell'analisi sui fattori esterni che generano le crisi debitorie, si può ritenere che l'indebitamento dell'America Latina, attribuito dalla maggior parte degli economisti ai problemi di inefficienza causati da modello di politica economica protettivo adottato durante il periodo ISI, non possa essere tenuto indipendente dalla situazione storica in cui ebbe luogo.

(36)
(37)

Capitolo 2

IL PROBLEMA DEL 'SOTTOSVILUPPO'

31

NEGLI ANNI '50 E '60 E LE BASI TEORICHE DELLA POLITICA ISI.

“La superiorità dell'Europa Occidentale non si è affermata che dal secolo XVIII in poi. Per millenni il Medio Oriente, la Cina e l'India hanno conosciuto un livello tecnico, scientifico e culturale assolutamente superiore a quello dell'Europa Occidentale che era allora una specie di arretrato Far West [...].

In Europa, Paesi oggi sottosviluppati come la Grecia, l'Italia meridionale, la Spagna e il Portogallo, non sono forse stati una volta dei centri di civiltà al cui confronto facevano ben magra figura i Paesi che sarebbero diventati più tardi padroni del mondo?”

Yves Lacoste (1965)32

31 Utilizzeremo nel presente Capitolo il termine Sottosviluppo, o di seguito Sottosviluppati, per indicare la situazione di quei Paesi che hanno appena intrapreso un processo di sviluppo, rifacendoci alla terminologia usata dagli autori i cui lavori affronteremo nel corso della discussione. Ricordiamo qui, però, che il termine Sottosviluppati può ben essere sostituito dalla dicitura In Via di Sviluppo, più comunemente usata nel dibattito recente.

32 Géographie du sous-développement, Presses Universitaires de France, Paris (trad. it:

1968, Geografia del sottosviluppo, Alberto Mondadori editore, Milano.)

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2.1 Quadro generale

“Temo che non sia possibile arrivare ad una soluzione ottimale del problema se le forze del mercato vengono lasciate libere”.

Raul Prebisch (1959)

Nel presente Capitolo cercheremo di ripercorrere a grandi linee l'evoluzione delle tesi economiche che hanno contribuito a creare il clima intellettuale in cui l'approccio allo sviluppo basato sul sistema ISI ha potuto essere sviluppato e messo successivamente in atto dai Paesi dell'America Latina.

Sicuramente nella discussione sulle politiche migliori per promuovere un processo di sviluppo interno ai Paesi Sottosviluppati ha influito il quadro storico in cui il dibattito ha avuto luogo. Nel presente lavoro, tuttavia, tralasceremo questo aspetto che esula in parte dagli obiettivi che ci siamo posti.

Alla base dell'elaborazione delle politiche ISI vi era un'analisi del rapporto fra lo sviluppo di un Paese e la sua apertura economica, sia commerciale che finanziaria, che superava la mera presa d'atto della beneficità del commercio internazionale secondo lo schema classico.

(39)

Nell'ambito di uno schema di mondo diviso tra centro, rappresentato dai Paesi Sviluppati, e periferia33, costituita dai Paesi Sottosviluppati, il commercio internazionale viene visto non più come fattore di stimolo e dinamicizzazione del sistema economico interno ma come possibile limite allo sviluppo dei Paesi Sottosviluppati, in virtù di una tendenza sfavorevole delle ragioni di scambio34 per questi Paesi.

La teoria del commercio internazionale classica, che affonda le sue radici nelle intuizioni di Smith e nel teorema dei costi comparati di Ricardo, concludeva principalmente che35:

1. il libero scambio internazionale realizza una allocazione delle risorse, all'interno di un Paese e fra i vari Paesi, migliore di quella ottenibile in un sistema economico chiuso, generando un guadagno a cui partecipano tutti i Paesi scambisti;

2. tale guadagno viene ripartito dal mercato in base alle ragioni di scambio;

3. l'allocazione delle risorse (e di conseguenza il guadagno) è tanto migliore quanto più la divisione internazionale del lavoro (e quindi la specializzazione produttiva dei vari Paesi) avviene secondo l'abbondanza dei fattori.

33In realtà non è facile per la diversità negli stadi di sviluppo, sia tra i Paesi Sviluppati o Industrializzati che fra i Paesi Sottosviluppati, individuare un solo centro ed una sola periferia. (Prebisch, 1959)

34 “La ragione di scambio internazionale di un Paese è normalmente definita come rapporto tra l'indice dei prezzi delle sue esportazioni e l'indice dei prezzi delle sue importazioni.” (Boggio e Seravalli, 2003)

35 La schematizzazione delle principali conclusioni della teoria del commercio internazionale 'classica' sono riportate da Boggio e Seravalli (2003), pag. 279.

(40)

In quest'ottica, le ovvie conclusioni per gli scambi internazionali centro- periferia ponevano l'accento sulla necessità e l'utilità per entrambi del libero scambio e sulla bontà economica della divisione internazionale del lavoro riscontrabile, che vedeva la periferia, ricca di lavoro e risorse naturali, esportatrice di beni primari e il centro, ricco di capitale, esportatore di beni industriali.

Se si assiste però nel tempo ad un deterioramento delle ragioni di scambio fra beni primari e beni manufatti come cambia il funzionamento del sistema allocativo? Rimane valida l'idea che il libero scambio sia il miglior sistema allocativo e comporti un guadagno per tutti?

Questa sostanzialmente è la domanda a cui cercano di dare risposta Prebisch e Singer nei loro lavori degli anni '50.

Prima di sviluppare un'analisi circa le indicazioni dei due autori citati, in merito a commercio internazionale e ragioni di scambio, occorre affrontare un altro punto importante per la comprensione delle politiche messe in campo dal sistema ISI.

Il punto riguarda la formazione dei vantaggi comparati e della conseguente divisione internazionale del lavoro.

Infatti, mentre è possibile ascrivere il vantaggio della periferia in termini di risorse naturali ad una componente astorica, ma geografica, lo stesso non è possibile con il vantaggio in termini di capitale del centro.

“Spesso un Paese è superiore ad un altro nello svolgimento di qualche attività produttiva, solo perché ha cominciato prima a svolgere tale attività. In altri

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termini, potrebbero non esserci vantaggi da una parte o svantaggi dall'altra, ma solo una presente superiorità di esperienze e competenze acquisite”36.

Il centro risulta superiore in termini di dotazione di capitale solo in virtù della sua storia pregressa che lo ha portato prima ad intraprendere la strada dell'accumulazione.

Si tratta, dunque, di due differenti tipi di vantaggio comparato: uno statico, quello del centro, legato alla situazione presente, ed un altro geografico, quello della periferia, legato alla natura fisica dei Paesi in questione.

L'esistenza del vantaggio del centro dipende, dunque, dallo stadio di sviluppo che attraversa. Tale situazione ricalca quella analizzata da List [1841] in riferimento alla situazione dell'Europa ed in particolare della Germania, sua nazione di origine, nel XIX secolo.

List sostiene che il libero scambio e la competizione internazionale, nella situazione storica in cui si trova l'Europa del XIX secolo, sia estremamente favorevole per l'Inghilterra, che potremmo identificare con il centro, ma non per la Germania e gli altri paesi dell'Europa Continentale, che potremmo identificare con la periferia. La politica più corretta da tenere, secondo List, è quella di un protezionismo dalla concorrenza Inglese che permetta di recuperare lo svantaggio temporale nella produzione, prima di eventualmente aprirsi alla concorrenza internazionale.

36Mill, 1848; trad. it. 1954, pag. 874.

(42)

2.1.1 Come si è determinato il vantaggio del centro?

“Nell'interesse dei Paesi Sottosviluppati, del reddito mondiale, e forse in ultima battuta dei Paesi Industrializzati stessi, gli obiettivi dell'investimento e del commercio estero dovrebbero forse essere ridefiniti in modo da produrre cambiamenti graduali nella struttura dei vantaggi comparati e della dotazione fattoriale relativa dei differenti Paesi, piuttosto che sviluppare un sistema di commercio internazionale basato sui vantaggi comparati esistenti e sulla esistente dotazione fattoriale.”

H. W. Singer (1950)

Ci pare interessante una breve discussione su come il vantaggio in termini di dotazione fattoriale del centro si sia creato.

Non possiamo, infatti, trascurare come l'assetto economico ed in modo particolare la divisione internazionale del lavoro del XIX e del XX secolo siano state fortemente influenzate dalle vicende storiche pregresse ed in particolare legate alla colonizzazione37.

37 A proposito del commercio fra le colonie e la rispettiva madrepatria secondo l'assetto beni primari per beni manufatti e al ruolo della colonizzazione nella sua affermazione segnaliamo che “questo commercio deve la sua importanza solo alla colonizzazione

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“L'economia moderna non si è diffusa nel mondo attraverso scambi economici relativamente equi, ma in stretto rapporto con l'instaurazione di un dominio politico, diretto o indiretto.38

Nella sua opera Geografia del Sottosviluppo, Yves Lacoste propone, in maniera sicuramente forte, una possibile spiegazione dello status quo della specializzazione produttiva dei Paesi Sottosviluppati:

“Una volta divenuta schiava, la colonia doveva procurare alla nazione da cui dipendeva tutto ciò che questa voleva o non poteva produrre; è stata obbligata a stringere rapporti commerciali soltanto con la madrepatria e ad astenersi da qualsiasi attività ad essa riservata.

Una tale 'divisione del lavoro' ha avuto il risultato di attribuire benefici e diritti ai colonizzatori, perdite, oneri e doveri ai colonizzati.”

Di seguito nel testo, Lacoste menziona il caso dell'industria tessile indiana ridimensionata dall'intervento della madrepatria Inghilterra, piuttosto che dalla concorrenza internazionale delle “fabbriche di Manchester”.

Per quanto estrema sia l'analisi di Lacoste, non si può negare la notevole

europea delle Indie Occidentali ed Orientali e dell'America settentrionale e meridionale, al trapianto della canna da zucchero, della pianta del caffè e di quella del cotone, del riso, dell'indaco etc., alla forzata emigrazione dei negri come schiavi nell'America e nelle Indie Occidentali [...]. Ma non poteva raggiungere notevole importanza fintanto che l'Oriente avesse fornito più articoli manufatti di quanti non ne acquistasse” (List 1841; trad. it.

1972, pag. 264).

38Lacoste (1965), pag. 217.

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