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Occorre quindi affermare, nella pluralità di livelli di scala, la centralità della scala locale.

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Università di Pisa – Facoltà di Agraria

Ambrogio Costanzo 27

B. SVILUPPO E CAMBIAMENTO LOCALE: IL RUOLO DELLA RICERCA-AZIONE

Assunto che le basi della sicurezza alimentare sono da ricercarsi in dinamiche relazionali sociali e politiche e nelle interazioni società-ambiente a scala locale, definite delle linee generali di approccio alla complessità e alla pluralità nello studio e nella gestione dell’agro-biodiversità in agro-ecosistemi sostenibili, argomentata l’ipotesi della conoscenza come base dei processi di innovazione e di sviluppo rurale, enunciati gli approcci e gli obiettivi dell’innovazione in tutte le dimensioni dei sistemi di conoscenza in agricoltura, risulta chiaro che il livello di scala critico, il laboratorio dell’innovazione sostenibile non dovrebbe essere esclusivamente il mondo della ricerca scientifica. Le innovazioni miranti a sostenere la gestione adattativa degli agro-ecosistemi saranno il risultato delle interazioni tra tutti gli attori dei sistemi di conoscenza in agricoltura. Il centro in cui i processi di gestione adattativa si devono sviluppare, d’altra parte, dovrebbe necessariamente coincidere con il centro di gestione delle risorse naturali: il farming system inserito nella comunità locale e nel suo specifico contesto territoriale.

Occorre quindi affermare, nella pluralità di livelli di scala, la centralità della scala locale.

Resta quindi da approfondire un ultimo punto: cosa, concretamente, deve accadere perché si avviino dei processi di sviluppo sostenibile a scala locale? In questa sezione saranno prese in esame le basi concettuali dello sviluppo e del cambiamento sociale al fine di identificare, alla luce delle argomentazioni esposte nelle sezioni precedenti, dei punti fondamentali da prendere in considerazione nello studio, nella progettazione e nella gestione di agro-ecosistemi sostenibili.

B.1. LO SVILUPPO SOCIALE E POLITICO

Capire come dei processi d’innovazione sostenibile possano instaurarsi e mantenersi in un farming system, in una comunità locale, implica una riflessione di carattere generale che chiama in causa lo sviluppo nelle sue dimensioni più soggettive. Da decenni

l’approccio allo sviluppo è basato in gran parte su una concezione a vari gradi

materialista. Siano l’oggetto infrastrutture, come strade, ponti, pozzi, o servizi, come scuole, servizi sanitari o di credito, che ci si riferisca a macro-scale senza considerare la scala locale o che il focus sia la scala locale, generalmente, e per lo più in maniera implicita, ci si affida all’ipotesi del benessere materiale come condizione del benessere sociale. Questa concezione materialista, tipica dei modelli di innovazione lineare ma riscontrabile anche in molti interventi bottom-up, ha senz’altro dei notevoli vantaggi applicativi: una definizione oggettiva delle priorità d’intervento e una indubbia

possibilità di monitorare gli interventi. Resta l’evidenza, argomentata nella sezione [A.1], che interventi articolati intorno a questa concezione risultano efficienti solo nel breve periodo. La loro sostenibilità è messa a dura prova dalla complessità e dal carattere evolutivo dei sistemi con i quali si confrontano. Su cinque decenni di politiche di aiuto allo sviluppo “materialiste”, in particolare nell’Africa rurale semi-arida, gli analisti continuano a denunciare parziali o totali fallimenti.

De Leener & Nanema (2007) criticano l’ipotesi “materialista” con due argomentazioni.

Primo, interventi incentrati sull’accumulazione materiale tendono a far riferimento a

degli stati, trascurando le dinamiche, i meccanismi che conducono all’instaurazione e al

mantenimento di questi stati. Secondo, “gli uomini e le donne che compongono le nostre

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società non sono solo delle bocche da sfamare e da mettere in condizioni di confort materiale, ma delle persone che, ben al di là delle preoccupazioni quotidiane, desiderano e sperano di fare della loro vita una traiettoria intensa, pertinente, sensata”.

A fronte delle contraddizioni di concezioni materialiste dello sviluppo, e vista la necessità da più voci esposta di definire nuovi paradigmi d’innovazione nei sistemi di conoscenza in agricoltura, il mondo della ricerca agraria potrebbe confrontarsi con l’ipotesi che “il miglioramento sostenibile delle condizioni di vita dipende direttamente dallo sviluppo sociale e politico”. Questa ipotesi ha una sua articolazione nel lavoro di De Leener (2005), è ulteriormente argomentata da De Leener e Nanema (2007) e fa da base al programma in cui si inserisce il caso di studio presentato nella sezione [B]. Si tratta di una vera definizione operativa di cos’è lo sviluppo sociale e politico, e incentrata sulla nozione di padronanza, riferita a cinque elementi: (i) la riflessione, (ii) l’iniziativa, (iii) la regolazione, (iv) la decisione e (v) la negoziazione. (Fig. 3)

ARTICOLAZIONE DELLO SVILUPPO SOCIALE E POLITICO

La nozione di padronanza ha un duplice significato e designa di per sé due dimensioni dello sviluppo: si parla di (a) padronanza politica e di (b) padronanza tecnica, e le due dimensioni sono complementari e inscindibili. È essenziale avere la padronanza politica di un elemento, averne il controllo, ed è altrettanto essenziale averne la padronanza tecnica, cioè la conoscenza necessaria ad un controllo efficace dell’elemento.

Riflessione

Regolazione Iniziative e

risorse

Negoziazione Decisione

Padronanza

Figura 3 Articolazione dello sviluppo sociale e politico secondo De Leener & Nanema (2007) Alla luce di questa duplice definizione,i seguito si passeranno in rassegna i cinque elementi chiave dello sviluppo.

i. La padronanza della riflessione fa riferimento a due aspetti cruciali del pensiero: la capacità di analizzare il proprio contesto e la capacità di porsi delle domande, e in particolare di “mettere in discussione l’ordine

costituito”, “l’origine delle cose che fondano la nostra vita in società”.

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ii. La padronanza dell’iniziativa fa riferimento alla capacità di individuare i canali critici sui quali investire, in riferimento ai quali prendere delle iniziative e condurle in maniera efficace, il che implica una padronanza delle risorse alla base delle iniziative stesse.

iii. La padronanza della produzione delle regole e delle norme fa riferimento a cinque azioni cruciali: (i) concepire, (ii) formulare, (iii) applicare, (iv)

controllare e (v) far evolvere le regole – cosa si può, cosa non si può e cosa non si deve fare – e le norme – cosa è “buono” e cosa non lo è – che riguardano la vita sociale.

iv. La padronanza della decisione fa riferimento al tempo stesso alla

competenza e al potere di concepire, formulare, applicare, controllare e far evolvere le decisioni riguardanti la vita sociale.

v. La padronanza della negoziazione fa riferimento alla negoziazione interna –

“tra noi”, all’interno di un gruppo definito, che sia un farming system o una comunità locale o altro – e la negoziazione esterna – “tra noi e gli altri”, gli attori esterni ad un gruppo definito. Questo implica la padronanza della differenza, la capacità di definire cosa separa, cosa distingue i soggetti coinvolti in una negoziazione.

TRASVERSALITÀ DELLO SVILUPPO SOCIALE E POLITICO

Questa ipotesi promuove chiaramente una prospettiva politica e dello sviluppo, che risulta coerente con quanto enunciato in [A.1] sull’approccio alla complessità e sulla necessità di avviare delle dinamiche di gestione adattativa delle risorse naturali e in [A.2] sull’approccio dei sistemi di innovazione. I concetti appena esposti appaiono di per sé rispondenti a tre ordini di trasversalità: (i) rispetto alla scala spaziale e temporale di applicazione, (ii) rispetto al soggetto di riferimento, (iii) rispetto all’oggetto materiale di riferimento.

 Il discorso dell’acquisizione delle padronanze rispetta la pluralità di livelli di scala.

Esso può essere riferito ad un soggetto all’interno di un gruppo, ad un gruppo definito rispetto agli attori esterni, ai vari attori interni ad un farming system, ad un farming system rispetto ad altri farming system o rispetto a tutti i sistemi esterni; il concetto risulta quindi applicabile indifferentemente ai vari livelli di scala dell’agro- ecosistema [vedi A.1.3]. Parallelamente il discorso è di per sé riferito al

rafforzamento di capacità nella gestione adattativa, sulla base dell’enfasi sul carattere evolutivo delle padronanze.

 Il discorso delle padronanze rispetta la pluralità degli osservatori e di conseguenza la

pluralità delle identità semantiche dei problemi. L’acquisizione collettiva delle

padronanze, il condividere la riflessione, l’iniziativa, la regolazione, la decisione e la

negoziazione con tutti gli attori coinvolti significa da un lato costruire consenso pre-

analitico coinvolgendo tutti gli osservatori-beneficiari di un processo di analisi [vedi

A.1.2], dall’altra significa condividere i processi fondanti di una vita in società

instaurando processi di democrazia partecipata [vedi A.2.1].

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 Il discorso delle padronanze può essere riferito ad ogni possibile oggetto di

riflessione, iniziativa, regolazione, decisione e negoziazione, sia esso un oggetto che rientri nella sfera pratico-tecnologica, nella sfera delle organizzazioni o nella sfera delle istituzioni [vedi A.2.2].

IL CAMBIAMENTO SOCIALE E POLITICO

Assunta l’ipotesi che lo sviluppo sociale e politico sia prioritario per lo sviluppo rurale (e non solo) e che si definisca come l’acquisizione durevole della padronanza dei cinque elementi chiave – la riflessione, l’iniziativa, la regolazione, la decisione e la negoziazione – resta aperta la questione di quale sia il percorso, e quali condizioni vadano create e rispettate per l’acquisizione di queste padronanze. Lo sviluppo, come l’innovazione, rientrano nel dominio generale del cambiamento, nozione che occorre caratterizzare brevemente.

voluto

subìto endogeno

esogeno

Prospettiva immediata

: Cambiamento

adattativo

Prospettiva di lungo termine:

Anticipazione creativa

Figura 4

Il cambiamento, comparazione tra un “prima” e un “dopo”, è un concetto che si inscrive nella dimensione temporale e che si manifesta attraverso una differenza. Tale differenza può manifestarsi a livello dell’apparenza dei fenomeni – si parla di cambiamento di forma, o di primo ordine - o a livello della natura dei fenomeni – si parla di

cambiamento di fondo o di secondo ordine (De Leener et al., 2005; De Leener &

Nanema, 2007; vedi anche [A.2.2.] e Brunori et al., 2007).

FONTE E PROCESSO DEL CAMBIAMENTO SOCIALE

In un contesto sociale, il cambiamento va riferito alla sua fonte e ai processi che lo

guidano: un cambiamento può essere rispettivamente endogeno o esogeno, voluto o

subìto. Considerare la fonte di un cambiamento e il processo che lo guida come due assi

di riferimento per situare un cambiamento sociale, ci permette di definire due tipologie

estreme di cambiamento: (i) il mero adattamento, tipico di situazioni di cambiamento

esogeno e subìto, processo che vede un soggetto o un gruppo impegnato in uno sterile

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adattamento ai cambiamenti delle circostanze, e (ii) l’anticipazione creativa, tipica di situazioni di cambiamento endogeno e voluto, in cui si attivano nel gruppo delle dinamiche progettuali e delle costruzioni di scenario (De Leener & Nanema, 2007). Il cambiamento adattativo, il costante adattamento di un soggetto o di un gruppo alle circostanze mutevoli, non va confuso con la gestione adattativa, l’applicazione di conoscenze e l’implementazione di meccanismi analitici e decisionali per far fronte attivamente alle mutazioni del contesto nell’ottica di mantenere la stabilità e la resilienza di un sistema. Avviare e sostenere dei processi di gestione adattativa delle risorse naturali per garantire la sicurezza alimentare richiede alla base un’anticipazione creativa: rendersi capaci di pianificare e gestire un agro-ecosistema rispondente al contesto mutevole.

SCALA DEL CAMBIAMENTO: PRINCIPIO DI INTERATTIVITÀ GENERALIZZATA

Il cambiamento sociale si manifesta nell’interazione di diversi livelli, che De Leener et al.

(2005) individuano come segue:

 Il cambiamento a livello della persona: credenze, identità, comportamenti, etc …

 Il cambiamento a livello istituzionale: norme, regole, etc …

 Il cambiamento a livello della società: potere, redistribuzione delle ricchezze, governance, etc …

 Il cambiamento a livello dell’ambiente.

De Leener et al. (2005) sostengono l’ipotesi che un cambiamento possa inscriversi in maniera durevole in un contesto solo se si manifesta simultaneamente a livello personale, a livello istituzionale, a livello sociale. “Le persone non cambiano se le

istituzioni che regolano la loro vita sociale non cambiano. Analogamente, i cambiamenti istituzionali sono fragili se non implicano anche dei cambiamenti personali e sociali. Noi sosteniamo che la società non cambia in profondità che se le persone e le istituzioni cambiano allo stesso tempo e nella stessa prospettiva”.

Se la società e le istituzioni sono di per sé delle dimensioni multi-scala, che possono riguardare tanto un farming system quanto uno Stato o una scala internazionale, gli autori citati sottolineano l’esistenza di un preciso centro del cambiamento interattivo: la centralità del cambiamento personale. “Il cambiamento parte sempre dall’iniziativa delle persone e non può essere implementato che dalle persone. Il cambiamento nelle istituzioni e nella società è opera di persone più o meno legate ad altre persone”.

IMPLICAZIONI PER LA RICERCA AGRARIA

Se ammettiamo che lo sviluppo sociale e politico e i relativi processi di cambiamento sono i determinanti di ogni processo di sviluppo, quale può essere il ruolo della ricerca agraria finalizzata al perseguimento di obiettivi di sicurezza alimentare? De Leener &

Nanema (2007) avanzano una proposta operativa ambiziosa, implementata nell’ambito

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dei programmi IFAD nel Sahel che fanno da contesto al caso di studio preso in esame in questo lavoro: quella di fare della ricerca un’occasione di sviluppo.

Il teatro di ogni processo di cambiamento è “una situazione sociale che comporta intrinsecamente le tre dimensioni del cambiamento”. Questa ipotesi, già avanzata da Vygotzky

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, prevede che ogni situazione sociale è “un cristallo di società”. In altre parole, risulterebbe possibile cogliere le chiavi dei fenomeni sociali, a livello personale, di società e di istituzioni, in ogni situazione sociale a qualsiasi livello.

L’idea che ne risulta a livello di ricerca, è che ogni attività di ricerca è di per sé una situazione sociale, non confrontandosi solo con la tematica specifica, ma anche con dimensioni personali, sociali e istituzionali del contesto in cui si svolge. La sfida che si intravede è quella, per un ricercatore, di non limitarsi quindi all’ottenimento di informazioni su una tematica specifica, ma di valorizzare appieno il potenziale di cambiamento dell’attività di ricerca nella situazione sociale che attorno alla ricerca stessa si crea.

Può un’attività di ricerca agraria influire sulle dinamiche personali, sociali e istituzionali della situazione in cui viene messa in opera? Può favorire una ri-appropriazione delle cinque padronanze chiave dello sviluppo sociale e politico? In quali forme, secondo quali approcci, adottando quali metodologie? A quali problematiche deve far fronte? Quali risultati si possono ottenere? Nella prossima sezione sarò presa in esame la rispondenza di un approccio di ricerca – azione e saranno avanzate delle proposte operative di carattere generale perché una ricerca agraria possa diventare un’occasione di cambiamento sociale e politico locale, e quindi contribuire allo sviluppo sostenibile.

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B.2. LA PARTECIPAZIONE NELLA GESTIONE DELLE RISORSE NATURALI

Il modello diffusionista è stato oggetto di numerose critiche a fronte dei ripetuti

insuccessi degli interventi nel campo dello sviluppo agricolo e della gestione delle risorse naturali. Pretty & Chambers (1994) interpretano i fallimenti del modello ‘transfer

technology’, chiamando in causa la concezione positivista del sapere e la risultante

« incapacità intrinseca di affrontare la complessità delle situazioni locali » [vedi A.1.1]:

“The dominant positivist framework has missed local complexity; determinist causality has failed to account for the adaptive performance of farmers; technologies successful in one context have been applied irrespective of contexts, with widespread failure”

3

. Inoltre, assumendo che gli oggetti hanno un senso indipendentemente dall’uomo e captabile attraverso il metodo scientifico, i detentori di questo metodo finiscono per assumersi il diritto esclusivo dell’analisi dei contesti, dell’identificazione dei problemi, della formulazione delle soluzioni. Tali soluzioni sono quindi elaborate senza prendere in considerazione il punto di vista e le conoscenze degli attori locali, “relegati al ruolo di semplici beneficiari, mai coinvolti nella riflessione e privati di qualsivoglia potere decisionale” (De Leener, 2004).

L’EVOLUZIONE DELLE METODOLOGIE PARTECIPATIVE.

Il modello diffusionista è oggi spesso considerato in antitesi alle metodologie partecipative. Questo complesso di approcci e strumenti operativi hanno iniziato a svilupparsi dagli anni Ottanta allo scopo di favorire un coinvolgimento degli attori locali nel processo di generazione/messa in opera della conoscenza e delle “soluzioni”.

Probst & Hagmann (2003) segnalano a questo proposito che “l’emergere del discorso partecipativo non ha implicato che gli approcci antecedenti fossero realmente cambiati”.

Questi autori spiegano che l’approccio partecipativo iniziale mira a “meglio rispondere ai bisogni degli agricoltori e ad adattare le tecnologie alle circostanze locali a stadi

piuttosto tardi della ricerca”. Queste prime metodologie partecipative costituiscono un’innovazione di primo ordine all’interno del paradigma del trasferimento di tecnologie: la partecipazione è vista come un modo per migliorare l’efficienza del processo senza che il paradigma venga messo in discussione.

Primi segnali di innovazioni di secondo ordine emergono negli anni Ottanta, con la nascita di approcci che invertono il modello diffusionista attribuendo alla conoscenza locale piena autosufficienza sul piano scientifico. In questo contesto nasce una famiglia di approcci rispondenti ad un paradigma conosciuto come “Farmer first”, che si basano su una “partecipazione autentica” (Chambers, 1983; Probst & Hagmann, 2003; De Leener, 2004). Rientrano in quest’ambito una vasta gamma di metodologie e di

3 Cité par Sellamna Nour-Eddine, 1999. Relativivism in Agricultural Research and Development: Is Participation a Post-Modern Concept? Working Paper n° 119 – London (UK): Overseas Development Institute.

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strumenti di larga diffusione, come i metodi “farmer back to farmer” o “participatory technology development”. Notevoli sforzi vengono compiuti per dare la parola e per favorire l’iniziativa delle comunità locali: gli attori locali spesso possiedono già le conoscenze adeguate ad elaborare delle soluzioni, e alla ricerca è da assegnare

l’importante compito di documentarle e di creare opportunità di scambio e di incontro tra comunità (Probst & Hagmann, 2003; De Leener, 2004).

Diverse contraddizioni emergono anche nell’ambito dell’approccio farmer first, in particolare viene messa in evidenza un insufficiente livello di interazione tra i ricercatori e gli attori locali. De Leener (2004) fa riferimento all’approccio farmer first e più in generale alla “illusion paysanniste” affermando che “se è vero che le comunità locali possono rispondere localmente ed efficacemente ai problemi locali, resta il fatto che le loro soluzioni non sono necessariamente decisive e che spesso possono aggravare la situazione […]”.

Sembrerebbe opportuno chiarire ed accettare la non autosufficienza della conoscenza locale nel favorire processi di sviluppo sostenibile, alla luce di diverse ragioni:

L’elaborazione delle “soluzioni” è un processo inscritto in un preciso contesto sociale, nell’ambito del quale il successo di alcuni gruppi può avvenire a spese di altri gruppi più svantaggiati, creando una situazione di “gioco a somma nulla” – “qualcuno si

avvantaggia, altri, spesso molto numerosi, pagano” (De Leener, 2004);

Le soluzioni elaborate localmente non sono di per sé adatte a rispondere a problemi sempre più inscritti in un contesto globale in continuo cambiamento, quindi “una soluzione valida può trovarsi ad essere rapidamente rimessa in discussione” (De Leener 2004).

Secondo Probst & Hagmann (2003) negli approcci basati sulla conoscenza locale spesso

“il paradigma positivista è ancora prevalente […] la conoscenza locale è vista come uno stock uniforme”. Questo sembrerebbe non rispondente alla complessità e ad una

prospettiva sistemica: soluzioni elaborate con questo approccio rischiano di non inserirsi adeguatamente nella dimensione spaziale, temporale e relazionale del contesto. Una soluzione “puramente” endogena e locale non risponde (i) alla pluralità dei livelli di scala dei problemi (ii) a problemi inseriti in un contesto sistemico ed evolutivo, (iii) alla

necessità di soluzioni che integrino le dimensioni tecniche, istituzionali, sociali.

A fronte di queste contraddizioni, che sembrano manifestare una sorta di difficoltà ad emanciparsi da paradigmi riduzionisti, emergono nel campo della gestione dello sviluppo rurale segnali di un’innovazione di secondo ordine molto radicale, che mette in

discussione non solo paradigmi operativi ma gli stessi paradigmi epistemologici della ricerca per lo sviluppo rurale. Da più voci emerge, soprattutto negli anni Novanta, una serie di domande circa la necessità di un cambiamento radicale nella ricerca. Si riconosce l’urgenza di riconoscere non solo la conoscenza degli attori locali ma soprattutto la loro capacità analitica. Ci si chiede qual è il senso profondo di un’operazione di ricerca, mettendo in discussione l’applicazione di procedure acquisite. Come si può cogliere la complessità dei sistemi? È opportuno limitarsi ad “estrarre” conoscenza da un sistema?

È forse necessario e possibile pensare una ricerca attiva che possa essere essa stessa

un’occasione di sviluppo?

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Queste profonde interrogazioni hanno trovato risposte in approcci operativi nati in campo pedagogico, basati sull’apprendimento partecipato, inscritti in un paradigma epistemologico costruttivista e miranti all’azione, riuniti sotto il nome di ricerca-azione.

Nella gestione delle risorse naturali si sviluppa quindi un paradigma operativo conosciuto come “participatory learnig and action research”, nell’ambito del quale rientra l’esperienza presentata in questo lavoro.

B.3. RICERCA-AZIONE

B.3.1. FONDAMENTI TEORICI

La ricerca azione nasce nel dominio della pedagogia, con l’opera del filosofo statunitense John Dewey. Nelle sue opere degli anni Trenta, Dewey sostiene argomenta l’urgenza di democratizzare l’insegnamento, “insegnando agli allievi come pensare, piuttosto che trasmettendo loro delle nozioni”. Dewey insiste sulla necessità di un insegnamento ciclico, in cui gli studenti e insegnante formulano un ipotesi, la testano concretamente, capitalizzano l’apprendimento e lo mettono in valore nella vita reale.

Questo approccio pedagogico viene poi adottato in campo di ricerca sociale negli anni Trenta e Quaranta, in contesti di situazioni concrete “complesse”, come la gestione di conflitti tra indiani e bianchi, affrontata dal’'antropologo John Collier, o il razionamento degli alimenti in periodo bellico, affrontato da Kurt Lewin. Questi due scienziati sono i padri della ricerca-azione in quanto approccio di ricerca (Pasmore, 2001). La ricerca- azione trova quindi applicazione nei campi più disparati, come all’interno delle

organizzazioni, in particolare le organizzazioni legate alla formazione (scuole, università), fino ad arrivare, come abbiamo visto, al campo della gestione delle risorse naturali.

Il termine ricerca-azione partecipativa fa riferimento ad una famiglia di approcci e

metodi che “usano il dialogo e la ricerca partecipativa per favorire la consapevolezza e la

“confidence” delle persone, e per potenziare la loro azione” (Pretty & Chambers, 1994).

Lo scopo della ricerca azione è quello di “cambiare le pratiche, le strutture sociali e i media sociali che mantengono l’irrazionalità, l’ingiustizia e modi di vivere

insoddisfacenti” (John Heron, cit. da Reason & Bradbury, 2001).

LA CONOSCENZA SECONDO UNA PROSPETTIVA COSTRUTTIVISTA

Adottare un approccio di ricerca azione implica affermare due ipotesi forti circa il ruolo della ricerca nella produzione di conoscenza, due ipotesi che, nel contesto generale della ricerca per lo sviluppo rurale, segnano due rotture con le concezioni convenzionali.

Secondo Lewin (1946) i sistemi complessi possono essere esplorati solo attraverso l’azione nel sistema, perché la reazione del sistema ad un cambiamento rivela le sue caratteristiche. In altre parole, le caratteristiche salienti di un sistema si potrebbero captare unicamente agendo sul sistema, e rischierebbero di non essere captate da una ricerca pianificata in maniera rigida (Hagmann, 2002). Queste considerazioni ci

rimandano alle basi epistemologiche dell’approccio di ricerca-azione.

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La ricerca-azione si inscrive in un contesto epistemologico alternativo rispetto al

paradigma positivista dominante, basato sulla nozione dell’oggettività della conoscenza, e conosciuto come costruttivismo. Il costruttivismo rifiuta l’esistenza di un senso

intrinseco degli oggetti: il senso degli oggetti è costruito dall’individuo. L’individuo, a sua volta, non costruisce il senso avvalendosi di categorie universali, ma costruendo sulla base del suo background culturale, sociale, storico (Probst & Hagmann, 2003).

La conoscenza acquisisce quindi l’immagine di “qualcosa di estremamente complesso e diffuso, qualcosa che può essere generato soltanto attraverso l’interazione e

l’apprendimento comune tra attori diversi che apportano contributi complementari”

(Probst & Hagmann, 2003), e questo è tanto più vero quanto più la situazione in

questione è complessa (Chambers, 2004; Duponnois & Lacombe, 2006). La conoscenza è quindi risultato di un processo di riflessione critica e di learning by doing in un

contesto di vita reale (Probst & Hagmann, 2003). Si tratta, ricollegandoci al discorso dell’approccio alla complessità, di porre le basi di una ricerca sulla pluralità degli osservatori, che appare come condizione determinante della capacità di cogliere la pluralità di livelli di scala del sistema, la pluralità di identità dell’oggetto e il carattere evolutivo del sistema nella dimensione temporale.

IL CAMBIAMENTO DI PARADIGMA

Come, alla luce di queste riflessioni, un’attività di ricerca determina l’acquisizione di nuove conoscenze? Ecco una prima discontinuità: non si tratterebbe per un ricercatore di osservare, misurare, documentare dei fatti; si tratta di produrre delle nuove

conoscenze mettendo in opera un processo di costruzione delle conoscenze stesse tramite gli apporti complementari di diversi attori – i diversi osservatori.

Qual è quindi il fine di una ricerca-azione? Questa domanda implica una seconda discontinuità, insita nell’unione dei termini “ricerca” e “azione”: il fine non è quello di produrre le conoscenze, finalità tipica della ricerca, né quello di produrre un

cambiamento, finalità tipica dell’azione. Il fine della ricerca-azione è dato dalla composizione di produzione di conoscenza e di sostegno al cambiamento (Probst &

Hagmann, 2003; De Leener & Nanema, 2007).

Risulterebbe facile immaginare la costruzione delle conoscenze come somma delle conoscenze dei diversi osservatori, e di conseguenza sembrerebbe non immediato il nesso tra produzione di conoscenza e sostegno al cambiamento, in assenza una riflessione più approfondita sulle implicazioni dell’approccio di ricerca azione. Occorre affermare tre punti fondamentali: (i) la centralità dell’individuo, dell’uomo, nel processo di ricerca; (ii) la centralità dell’apprendimento come nesso tra conoscenza e

cambiamento.

Demol (2006) ribadisce riguardo alla ricerca-azione che “si tratta sì di produrre un sapere

che aspiri ad una validità certa, ma di fare ciò tramite delle inchieste la cui necessità

emerge da situazioni concrete, locali, vissute nel quotidiano”. Questo implica che “la

ricerca impegna i suoi autori in un’esperienza di vita; essa associa anche gli attori locali

implicati nella loro esperienza di vita”.

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L’esperienza di vita è la base di una dinamica di apprendimento in linea con il carattere pedagogico della ricerca-azione, in linea con la prospettiva dell’innovazione sistemica e in linea con i presupposti di una gestione adattativa delle risorse naturali: il

rafforzamento delle capacità degli attori locali.

Queste riflessioni lasciano intravvedere una terza discontinuità con la gestione convenzionale della conoscenza nell’ambito di una ricerca. La base delle nuove conoscenze non risiede tanto, o almeno non solo, nei risultati, nei prodotti di una ricerca; essa risiede anche e soprattutto nel processo di ricerca, nel processo di costruzione dei risultati stessi (De Leener, 2004; De Leener & Nanema, 2007).

È stata già enunciata l’ipotesi che un’attività di ricerca, costituendo di per sé una situazione sociale, implica le basi per un cambiamento sociale e politico che potremmo identificare vuoi con la dinamica di apprendimento, vuoi con l’acquisizione della padronanza delle cinque dimensioni chiave dello sviluppo: la riflessione, l’iniziativa, la regolamentazione, la decisione e la negoziazione. Resta da chiarire come,

concretamente, una ricerca possa produrre conoscenze e favorire cambiamenti coerenti con la complessità dell’agro-ecosistema (De Leener & Nanema, 2007).

B.3.2. TRE PROPOSTE OPERATIVE PER LA RICERCA-AZIONE PER LA GESTIONE DELLE RISORSE NATURALI

LO STUDIO DELLE PRATICHE DEGLI AGRICOLTORI

Le pratiche sono le attività elementari, i modi di fare realizzati in un’ottica di produzione (Teissier, 1979), le maniere concrete di agire degli agricoltori (Milleville, 1987). Quando si trasforma un modo di agire, un gesto più o meno inconsapevole, in un oggetto

esplicito di pensiero, si produce una pratica (De Leener & Nanema, 2007). La pratica agricola è strettamente legata alla tecnica agricola: mentre la tecnica è un modello concettuale per un’azione finalizzata, descritta in astratto e quindi trasferibile, la pratica si radica in un contesto particolare situato nello spazio e nel tempo (Deffontaines, 2004), il che ne fa un punto di partenza ideale per una ricerca-azione. Parallelamente agli approcci di ricerca-azione, anche lo studio delle pratiche agricole si sviluppa (soprattutto in Francia) “in relazione con la centralità dell’uomo nell’attività agricola vista come ‘sistema complesso pilotato’. Se si considera l’agricoltore come decisore e attore, ci si interessa allora al progetto globale che egli porta avanti” (Deffontaines, 2004).

L’operazione logica centrale nello studio delle pratiche agricole è la loro

caratterizzazione alla luce della struttura del sistema di gestione. Il sistema di gestione è descritto da Deffontaines (2004) come composizione di due sotto-sistemi: il sotto- sistema operativo (il sistema colturale) e il sotto-sistema decisionale. Le pratiche sono il trait-d’union tra i due sotto-sistemi. Alla luce di questa struttura la caratterizzazione della pratica prevede tre moduli: (i) lo studio della modalità; (ii) lo studio dell’efficacia;

(iii) lo studio dell’opportunità (Fig. 5).

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Sotto- sistema decisionale

PRATICA Sotto- sistema operativo

input

output

opportunità

modalità efficacia

Figura 5. Le pratiche nel contesto del sistema di gestione agricolo secondo Deffontaines (2004) i. Lo studio delle modalità consiste in uno studio descrittivo della pratica e può far

da base ad una comparazione tra modalità diverse di una medesima pratica;

ii. Lo studio dell’efficacia consiste nella valutazione degli effetti della pratica, a loro volta distinti in (a) effetti interni all’obiettivo prefissato (effetti di aumentata produttività di una coltura) e (b) effetti esterni all’obiettivo prefissato (ricadute ambientali); esso ci rimanda quindi ad una caratterizzazione della pratica nell’ambito del sottosistema operativo (il sistema colturale);

iii. Lo studio dell’opportunità consiste nello studio del complesso dei fattori decisionali sottesi ad una certa pratica in una certa modalità e verte quindi sul progetto globale dell’agricoltore e sui vincoli che condizionano le decisioni specifiche; esso ci rimanda quindi ad una caratterizzazione della pratica nell’ambito del sottosistema decisionale.

Adottando un approccio di ricerca-azione in un agro-ecosistema le pratiche agricole sono oggetto privilegiato di studio per il loro carattere essenzialmente concreto e familiare, specifico del contesto spaziale e temporale ma al tempo stesso in stretta relazione con una dimensione tecnica generalizzabile.

LA RICERCA COLLABORATIVA

Un passaggio chiave nella costruzione di un processo di ricerca-azione, di studio

riflessivo delle azioni degli individui inserite in un contesto, consiste nel coinvolgimento

di tutti gli attori interessati in tutte le tappe di un processo di ricerca. Nel caso dell’agro-

ecosistema, si tratta quindi di fare sì che gli agricoltori collaborino alla formulazione

dell’idea di ricerca, alla preparazione, all’esecuzione e alla validazione della ricerca.

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Il problema che si pone è quello di prevedere un quadro operativo che renda questa condivisione possibile e funzionante.

i. Un’idea di ricerca collaborativa può emergere grazie ad una accurata attività diagnostica. A livello diagnostico si richiede quindi un grande cambiamento: non si tratta semplicemente di reperire una “lista delle preoccupazioni” degli

agricoltori, ma piuttosto di ricostruire collettivamente il contesto della ricerca alla luce di un pieno riconoscimento delle conoscenze locali.

ii. Una pianificazione collaborativa richiede una negoziazione con gli agricoltori di uno schema d’azione preciso, che includa nel dettaglio le operazioni da svolgere e la divisione dei ruoli. Anche la pianificazione collaborativa segna la necessità di un profondo cambiamento: il pieno riconoscimento non solo delle conoscenze locali, ma anche delle forme di apprendimento degli attori locali, un

riconoscimento della ricerca contadina.

iii. Un’esecuzione collaborativa della ricerca comporta soprattutto una notevole flessibilità operativa, una prontezza nel riorganizzare le azioni previste nella pianificazione in funzione dei cambiamenti del contesto.

iv. Una validazione collaborativa della ricerca e dei suoi risultati, momento di

notevole rottura con i sistemi di conoscenza convenzionali nei quali la validità dei lavori di ricerca è assegnata solo da sistemi di valutazione interni al mondo della ricerca. È quindi richiesto prevedere un momento collegiale in cui la ricerca sia sottoposta ad una valutazione alla quale partecipino anche gli attori locali (Tab.

1).

Tabella 1. L’implicazione delle famiglie di attori in ricerche estrattive e in ricerche in partenariato

A

PPROCCI ESTRATTIVI

A

PPROCCIO ATTIVO

,

PARTENARIATO Idea di ricerca:

(Quale priorità? Quale problema risolvere?)

Ricercatori

Ricercatori, extension services,

agricoltori Preparazione della ricerca

(Quali metodi adottare? Quali procedure?)

Ricercatori, extension services

Ricercatori, extension services,

agricoltori

Esecuzione della ricerca Ricercatori,

extension services, agricoltori

Ricercatori, extension services,

agricoltori Validazione della ricerca

(Quali sono i limiti di validità dei risultati? Quale la loro utilità)

Ricercatori

Ricercatori, extension services,

agricoltori

LA RICERCA IN PARTENARIATO

Elemento chiave per il successo di una ricerca-azione nel contesto di un agro-ecosistema

è la riunione di tutti gli attori coinvolti in un partenariato. Il partenariato risponde ad uno

(14)

dei principali problemi posti dalla complessità: la pluralità degli osservatori del sistema, che, in mancanza di un’adeguata comunicazione interna, genera conflitti sulla gestione attuale e sulle prospettive future, in virtù delle visioni divergenti ma egualmente legittime (Fig. 6).

Se ognuno dei sei osservatori è in relazioni paritarie con gli altri cinque, si può costruire un’identità integrata del problema all’istante T0, che può far da base a uno scenario futuro condiviso che diventa progetto

Tempo

T

0

2

1

Figura 6. Il Partenariato come istituzione di relazioni tra gli osservatori di un sistema complesso

Istituire un partenariato significa creare un consenso generale tra gli attori coinvolti dalla problematica oggetto della ricerca. Nel nostro caso è essenziale che siano rappresentati tutti gli attori componenti il sistema di conoscenza, quindi (i) gli agricoltori, (ii) gli attori legati alla ricerca, (iii) gli attori legati all’extension e (iv) le istituzioni.

De Leener (2004) individua come strumento di base per la costituzione del partenariato la formulazione di convenzioni multipartite tra le varie famiglie di attori che chiariscano prima di iniziare la ricerca i seguenti punti:

(i). I partner coinvolti

(ii). La ripartizione dei ruoli e dei compiti

(iii). Il quadro metodologico generale e il protocollo della ricerca

(iv). I dispositivi concreti e logistici di implementazione dell’attività di ricerca prevista (v). La programmazione cronologica delle attività

(vi). I dispositivi di comunicazione tra partner da attivare nel corso della ricerca

(vii). Le disposizioni di “arbitraggio” in caso di conflitti e malintesi.

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