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SATIRA VI
Maraviglie
al Capitano Flaminio Nelli
Capitanio, io vorrei fra voi e io
mostrare a quel fraschetta di Cupido quel che sia torsi berta d’un par mio, ch’or ch’io son quasi vecchio e ch’io mi fido
nelle tre croci, m’ha concio in tal guisa 5 che (non pur gl’altri) io di me stesso rido;
rido, ma non mi passano le risa
molto in giuso, se ben talor fo mostra di questi miei dentacci alla divisa.
Deh, che mi giova l’amicizia vostra 10 e de gl’altri bravacci, s’una frasca
fa che in Venezia a dito ogn’uom mi mostra? - Vedi quel barbagianni? Amor l’intasca! - , - Vedi quel viso d’orco? Amor l’uncina!
per l’amoroso caldo il pel gli casca! - 15 Non ch’io abbia però la pelatina
come il precarolan barba dorata
che n’ha compro un marcel della più fina: or s’affanna a tenersi pareggiata
la barba e d’una lancia ha fatto un fuso, 20 e pare in viso una scimia pelata.
Io non l’ho certo, e non molto son uso ove si vende, pur a quel ch’io intendo per Venezia si vende in ogni buso:
il pel mi cade per questo, ch’io sendo 25 bo’ da rape, e non più vitel di latte,
al barbier queste mie grinze distendo; mi tiro come le barche rifatte
159 in schier e dice ognun che la cagione
è amor che nelle brache mi combatte. 30 Ei m’ha dato sì in nota alle persone
ch’omai son più in Venezia conosciuto che già non era in Siena il fier tizzone, alor ch’egl’era per favor venuto
in grandezza a due gradi appresso al boia, 35 e più che il morbo fugito e temuto.
Ma per dirvi ogni parte di mia noia e a qual rete mi prese e con quant’arti quel furfantel mi fa tirar le cuoia,
dico che quand’io venni in queste parti 40 era più senza succhio e senza umore
che un uom di quei che fan servigio a’ sarti: facea il grave, il severo, e tenea ’l cuore, la corata, ’l polmone e le budella
sempre dietro a quel goffo dell’onore. 45 Tutta insieme la turba giovannella,
Chieti, Saturno istesso, è meno schivo che non er’io d’ogni inutil favella. Giudicava del capo scemo e privo
chiunche spendesse ’l tempo in bagattelle, 50 in sonettuzzi, in “di lei parlo e scrivo”,
quando quel frittellin delle frittelle, ladroncel, taglia borse, mariolo, a mezzo dì mi fe’ veder le stelle,
e fe’ fuggir la rigidezza a volo: 55 diede a ciascun che dir che senza fuoco
sia divenuto sì caldo un cedrolo. Si maraviglia ognun ch’io, sì da poco
tempo in qua venezian, faccia ’l bellaccio,
160 vo’ dir, non sendo qui quel grieve impaccio
ch’era già a Siena di napolitani
che sconcachin le brache all’Amoraccio, ch’avrebber fatto vomitare i cani
con quei sospiri pisciotti e cacosi 65 che due miglia s’udivano lontani.
Si maraviglian questi scropolosi ch’io della setta lor così improviso sia entrato nella scuola de’ succhiosi,
ch’io profumi ogni dì la barba e ’l viso, 70 ch’io vada più che il Fortunio attillato,
e di trent’anni voglia esser Narciso. E forse, co’l mio uscir del seminato, do lor materia a dir: - Gl’ha del sanese -
(id est, gl’ha sciolto i bracchi o gl’è impazzato). 75 Ma pur, già che non paga o dazio o spese,
già che ’l maravigliar sì poco costa, diamovi dentro tutti a vele stese. Anch’io mi maraviglio da mia posta
per ch’io veggio ogni dì sotto la luna 80 maraviglie da mettersi in composta.
E, per darvene essempio, eccovene una maravigliosa che terrebbe a scuola tutte le maraviglie di Fortuna.
Una giovane bella dormir sola 85 con un frate affamato, i mesi e gl’anni
e viver casti sotto le lenzuola. Or vadin questi miei pianta mal anni a farsi de’ crocioni ove un mi vede
per Merciaria pavoneggiarmi i panni! 90 Quest’è gran maraviglia oltr’ogni fede,
161 crede al Vangelo) e questo afferma e crede.
Non è ancor maraviglia intera e piena
ch’un vecchio, e riputato saggio e astuto, 95 si infermò ch’a portar se stesso pena
(che dico io “pena”? anzi, tolto l’aiuto di due famegli, daria ’l culo in terra, da cui per forza in piede è sostenuto),
ch’a’ suoi dì non fu mai, non pure in guerra 100 ma né un miglio lontan da sua contrada,
fa più il Giorgio ch’Astolfo d’Inghilterra: si tira dietro ’l peso d’una spada
maggior di lui, e tristo quel bravaccio
che l’incontrasse, e non desse la strada. 105 Che vuol fare un par suo di quello impaccio
qual non potrebbe al bisogno trar fuori, e tratta, non potrebbe alzare ’l braccio? Vadano or questi saturnini umori
stringendo i labri e alzando in su le ciglia 110 per veder un par mio star su gl’amori!
Ma, per non andar longi mille miglia, Venezia ne può far maravigliare, anzi, è proprio l’istessa maraviglia.
Non parlo del veder nascer nel mare 115 torri e palagi eccelsi (ancor che questo
per fin al Ciel può maraviglia dare): tal manico non è per il mio cesto,
ma intendo sol di qualche atto leggiero
che fa i gravi costumi uscir del sesto. 120 Non è gran maraviglia ch’un dì intero
in scialbarsi consumi una matrona e paghi le castalde del mestiero, ch’avrà marito, sarà onesta e buona,
162 bella senza altri lisci o torbide acque, 125 e pur in questo ’l suo trabutta e dona.
Donna onesta e gentil, che piace e piacque a cui l’ha da piacer, se usa belletti direm “gatta ci cova”, e mal ci nacque;
ché le mastre che i visi puri e netti 130 sporcano con impiastri han buona mano
da sporcar anco i geniali letti:
son di casa, non spendon passi in vano, insegnano i segreti, hanno udienza,
sempre madonna fa loro viso umano. 135 Ma, per tornar, l’è maraviglia senza
misura ch’una bella per se stessa in farsi brutta usi tal diligenza. Diece ore solea star una contessa
ch’io conosco a dipengersi la pelle 140 per esser vista un quarto d’ora a messa,
e pure ha cinque figli e tre sorelle che, nate doppo lei, passano i trenta, di cinque anni o di sei la minor d’elle;
ma è da scusar: l’è brutta come il Trenta 145 para, e somiglia un can da burchio in cera,
poi pare l’orco quando l’è dipenta. Pur questa è maraviglia assai leggiera, maraviglia è che inanzi ha un figlio morto
e si striscia e si liscia e si dispera. 150 Sì che vedete voi se gl’hanno ’l torto
quei che si maravigliano ch’io vado sì pettoruto e solea andar sì torto, quando una donna vecchia, una di grado,
vuol parer bella insieme, e scorrucciata 155 ride agl’amanti e piagne al parentado!
163 Vi parria maraviglia ismisurata,
Capitanio fratel, se voi qui foste, un’usanza non forse altrove usata:
vedere le belle donne ben composte, 160 ben tinte di verzin, bene scialbate,
con velo nero al viso andar nascoste, e pur si striscian per esser mirate.
Che contrari son questi? a che lo specchio
faticar tanto e poi star sì celate? 165 Vada coperto quel mostaccio vecchio
di madonna Girolda, che ne’ fianchi par dal piovano Arlotto un’apparecchio, di cui se i neri denti e i cegli bianchi,
due menti e il naso fiacco avesser lode, 170 farien di lei mille Petrarchi stanchi!
Qual maraviglia è d’una che si gode veder morir l’amante di martello per ch’ella muor d’un frate leccabroda?
L’amante è nobil, ricco, saggio e bello, 175 quel frate oggimai vecchio, et è compare
di Gianni matto, e di Betin fratello, e pur ella sì altiera, e che sa fare così ben l’arte sua, schiva ’l zibetto,
e nuota e sguazza in un merdoso mare. 180 Ma parmi di sentir trarvi del petto
un groppo di sospir, v’odo, vi veggio giurar che in ogni donna è tal diffetto, e che la vostra ancor s’attacca al peggio,
che anch’ella mangia ’l porro dalla coda 185 e del donnesco andar segue ’l carreggio:
ma l’è di quelle ch’oggi il mondo loda per buone e sante, ch’ogni lor bugato
164 fanno in segreto e niun veggia et oda.
Però se per un altro v’ha piantato 190 con mille promesse e giuramenti,
forse v’avea per boccale sboccato, forse ha trovato carne per suoi denti, più che voi forse il suo novello amante
ama i tempi futuri e dà i presenti. 195 Le donne per natura tutte quante
vi vendon quel che comprerian di grazia, però la vostra ha cambiato ’l mercante. Ma questa ch’io vi dico, uccide, strazia
un giovane da farne arrabbiar cento, 200 che del presente e del futur la sazia.
Sogliono solo amor, l’oro e l’argento le cortigiane pratiche, e pur questa ama la broda ch’avanza al convento.
Ora stupisca la turba molesta 205 di questi graffia santi, s’io mi mostro
un bel fante in giubbon vestito a festa! Maraviglia anco da segnar d’inchiostro, anzi, par una cosa contrafatta,
da rinnegar ’l Credo e ’l Paternostro, 210 ch’una vedova, nobil, ricca e matta,
tien due figlie ch’a pena il sol le vede perché non odan dir cosa malfatta, non metteria fuor della soglia ’l piede
perché non sian mal costumate, e a pena 215 ch’al suo confessor parlino concede,
e la puttana ch’un suo figlio mena a dormir seco in casa, giuoca e tresca con loro, e quelle bascia a bocca piena:
165 son cameriere, paraninfe e sono
l’una e l’altra in età fiorita e fresca; sì che pensate che costume buono l’apprendono, e se donna Fisulara
si desta e balla al non sentito suono. 225 Donna Garenda mia, tosto s’impara
con un zoppo andar zoppo, e con un losco guardar a Mestre e veder a Margara. Faccino ’l viso or ben torbido e fosco
questi che al Cielo ascendon senza scale, 230 perché fo un sonettuzzo e parla tosco!
Forse mi veggion far qualche gran male? robbar, dar a qualcun qualche ferita o tor la volta a quel dal caviale?
quell’è ben maraviglia più compita 235 che ’l veder uno stitico chietino
stringarsi e andar su l’amorosa vita! Ma troppo son uscito del camino con queste maraviglie stravaganti
che non mi danno o tolgon pane o vino. 240 Or, tornando al mio caso, io vorrei nanti
che questo sbrigatel di me più rida, che voi fratel mettesse ’l giacco e i guanti e che per me li mandasse una sfida.