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Capitolo V Le famiglie

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Academic year: 2021

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Capitolo V

Le famiglie

Fig. 72 - Testo dei Decreta Pisana in cui vengono menzionate le famiglie dei Petillii, Rasinii, Pupii (CIL XI, 1420 – 1421).

Introduzione

Dopo aver esposto nel capitolo precedente i dati relativi alla produzione di opus

doliare, in questo capitolo tratterò le notizie da attribuire a ciascuna famiglia

legata alla suddetta. Cercherò di ricostruire la genealogia delle gentes e metterò insieme tutte le testimonianze, consistenti in fonti eterogenee, da quelle epigrafiche a quelle archeologiche, alle testimonianze architettoniche tuttora visibili con l’intento di dare una visione storica globale dei nuclei familiari. Come si noterà ogni gens ha uno sviluppo a sè stante: dai Venuleii che ebbero una vita politica molto attiva, ai Rasinii e ai Nonii la cui importanza è legata alla produzione di terra sigillata tardo italica e proprio grazie agli utili ricavati dalla manifattura riuscirono ad ottenere visibilità a livello politico nell’ager Pisanus.

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Tale famiglia è riconducibile forse agli stessi Pupii attestati a Chiusi nel I secolo a.C. Testimonianze letterarie ed epigrafiche provano la presenza della suddetta famiglia nel senato di Cesare: di origine etrusca, il loro inserimento si deve alla politica promulgata da Cesare che promuoveva l’integrazione delle famiglie con origo etrusca negli apparati di rappresentanza romani. Il nome dei Pupii di Clusium compare nei fasti consolari assieme a quello dei Caecinae di Volaterrae.1.

Il coinvolgimento della gens Pupia nella vita politica della colonia è attestato tramite i

Decreta Pisana: essa è menzionata insieme alle altre importanti famiglie aristocratiche che

sottoscrissero il decreto per le onorificenze funebri dei due nipoti di Cesare, Lucio e Gaio (2 – 4 d.C.)2.

Ulteriori riferimenti alla gens Pupia si hanno in CIL XI 1488: nell’iscrizione marmorea rinvenuta nell’agro pisano si fa riferimento ad una componente della famiglia, Pietas coniugata con un individuo facente parte anch’esso di una delle famiglie aristocratiche pisane del tempo, un tal Sep[tumius] 3.

Probabilmente i praedia erano situati a settentrione dell’urbs pisana considerando la diffusione dei materiali laterizi concentrati nella zona della lucchesia. Le testimonianze epigrafiche correlate a quelle archeologiche fanno propendere ad una datazione risalente al I secolo d.C. per la storia “economica” di tale famiglia.

1 TORELLI 1982, pp. 281 282, 284, 291; TORELLI 1991, 459-474. 2 Per ulteriori notizie e bibliografia relativa sui Decreta Pisana vd. cap. 1. 3 ANDREOTTI – CIAMPOLTRINI 1990-1991, p. 106.

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5.2. I Petillii

L’origine dei Petillii rimane incerta, s’ipotizza una provenienza dall’Etruria Settentrionale, probabilmente Arezzo.

Gli interessi di tale famiglia nell’ager pisanus sono provati dalle testimonianze epigrafiche:

Q. Petillius Q.f. compare fra i magistrati della Colonia Opsequens Iulia Pisana (CIL XI

1420). Probabilmente il magistrato ebbe legami con i Petillii che si distinsero sui palcoscenici della politica romana: le fonti ricordano Q. Petillius Cerialis Caesius Rufus, console suffetto nell’anno 74 e un Q. Petillius Rufus console con Domiziano nell’834.

Numerosi toponimi disseminati nel territorio toscano potrebbero attestare la presenza della famiglia nella zona: Pitigliano nel territorio aretino, Pitiliano in Versilia, in un settore dell’Ager Pisanus settentrionale, Piteglio in Val di Lima, Petiglia in Garfagnana, Pitigliano in Val di Fiora5. Il rinvenimento dei prodotti marchiati con il loro nome a Pian dei Pinoli,

in prossimità di Livorno induce a pensare che i praedia di loro appartenenza (o-e le

figlinae) fossero ubicati non lontani dalla città pisana.

4 Propopographia Imperii Romani 1998, nr. 260-263. 5 MENCHELLI 2001, p. 184.

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5.3. I Venuleii

La famiglia dei Venulei fu la più nobile e ricca di Pisa durante l’età romana. La sua storia inizia in luoghi al di fuori della penisola italica. La prima attestazione proviene dalla penisola iberica, precisamente da Valentia (CIL II, 3769). L’unico prenomen che compare nell’epigrafe è lo stesso che è riportato nei bolli presenti sulle anfore d’Ampurias. Ancora lo stesso nome s’incontra in un’iscrizione proveniente da Cartagena6. Testimonianze che

provano la presenza della famiglia anche nel Mediterraneo Orientale provengono da Delo, qui è stata rinvenuta una dedica di un altare alla dea Maia (142 a.C. – 139 a.C.) effettuata da un gruppo di devoti tra cui un C. Venoleius C. f. e P. Venoleius C. L.

In età repubblicana unaVenuleia fu moglie di P. Licinio Crasso, console nel 97 a.C.7. Si

conosce l’unione tra gli individui menzionati tramite un passo di Cicerone:

Att. 12, 24, 2.2

Velim me centiorem facies P. Crassus, Venuleiae filius, vivone P. Crasso consolari, patre suo, mortuus sit […].

La progressione nella scala sociale potrebbe aver motivato il matrimonio tra i suddetti: la donna, di famiglia appartenente all’ordine equestre, unendosi con un console avrebbe agevolato l’inserimento dei Venuleii all’interno del senato. Il primo individuo chiamato

Venuleius che ebbe un posto politico di rilievo fu una delle vittime delle proscrizioni di

Silla nell’82 a.C.; l’informazione deriva da due fonti (Floro, Epitome, II, 9, 26 e Orosio,

Historiarum adversus paganos, 5, 21, 8) entrambe derivanti da un passo di Tito Livio8. A

seguito della morte del membro del ceto equestre, la famiglia dovette trovarsi in grosse difficoltà economiche poiché da quanto ci viene reso noto dalle fonti scritte, i prossimi degli avversari di Silla subivano la confisca dei beni e l’inaccessibilità alle magistrature. Con l’avvento di Giulio Cesare la famiglia dei Venuleii venne riscattata e da questo punto in poi riemerse in campo politico (Admisit ad honoris et proscriptorum liberos, Svet., Divus

Iulius, 41, 3). Cicerone nelle Verrine nomina un Venuleius (forse fratello o figlio del

proscritto) che ricoprì la carica di decumanus in Sicilia nel 74 a.C. Un Venuleius insieme a Latino e Orazio fu legato in Africa per C. Calvius Sabinus, console nel 39 a.C. Probabilmente a seguito della politica cesariana che puntò all’agevolazione dei ceti abbienti dell’Italia e dei ricchi produttori si verificò l’ascesa della famiglia senatoriale pisana: in

6 BARREDA – PENA 1997, p. 55 7 LIOU 1969, p. 29.

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concomitanza con la fondazione della colonia essa si stabilì nella città attraversata dall’Arno. La provenienza extraitalica dei Venuleii potrebbe così spiegare l’origine evidentemente non etrusca del nome famigliare9. Il collegamento tra il ceppo spagnolo

d’età repubblicana con quello pisano di età augustea è stato provato definitivamente da Syme10 .

Non mancano attestazioni della famiglia anche in contesto romano: su un frammento d’altare in marmo datato al 3-4 d.C, di cui si sconoscono le circostanze del rinvenimento, si trova inciso il nome di un L. Venuleiu[s] Turanni l. Bucci[o]. Sempre a Roma è stata rinvenuta un’iscrizione dedicatoria in cui si trova inciso il nome di L. Venuleius Montanus,

consul suffectus collegialmente con Dexsius Strabenianus. Il nome del secondo fa

escludere che si tratti dello stesso consul suffectus del 92 d.C., poiché sono noti i nomi dei consoli del periodo e non viene ricordato in nessun caso quello di Dexsius. Probabilmente il Venuleius anteriore al 92 a.C. è il padre del successivo Venuleius Montanus11.

La prima personalità politica di rilievo, appartenente certamente al ramo pisano, fu L.

Montanus Apronianus, console suffetto nel 92 d.C. Da questo momento in poi la famiglia

mantenne per tre generazioni consecutive il rango consolare. Egli fece parte del collegio sacerdotale degli Arvali che, come si sa, era una confraternita nata in età arcaica a cui potevano accedere solo gli esponenti delle più importanti famiglie patrizie. Alcuni studiosi suppongono che il consul suffectus del 92 a.C. sia anche il destinatario del III e del IV libro di Epigramma di Marziale12, nonchè proconsole del Ponto e della Bitinia sotto Nerone.

Nel 123 d.C. Venuleius Apronianus Octavius Priscus ricoprì la carica di console ordinario. Da quanto si deduce dall’iscrizione rinvenuta a Lucca (CIL XI, 1525) egli inoltre ebbe il titolo di duumviro quinquennale della colonia di Pisa, patrono della stessa e pretore d’Etruria. Tra il 142 e il 152 ricoprì la carica di legatus Augusti propretoriae in Hispania

Citerior. Lucius Venuleius Apronianus Octavius Priscus è una figura centrale della riforma

relativa alla bollatura, difatti proprio a partire dall’anno del suo consolato si attestò l’uso delle date sui laterizi (vd. capitolo 2 ).

9

TORELLI 1969, p. 289; TORELLI 1982, pp. 285; VALLEBONA 1989, p. 21.

10 SYME 1980, p. 57.

11 BARREDA – PENA 1997, p. 64.

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Il figlio e omonimo del precedente fu consul iterum, ordinario con L. Sergius Paullus nel 168 d.C.13 Entrambi facevano parte del collegio dei Sodales Antoniniani, fondato da Marco

Aurelio e Lucius Verus per celebrare il culto di Antonino Pio divinizzato. Nel 169 d.C. L.

Sergius Paullus muore e da questo momento in poi Lucius Venuleius Apronianus Octavius

sarà il solo Solidalis Antoninianis. L’ultima precisazione fornisce un terminus post quem per l’iscrizione CIL XI, 143214, rinvenuta nel “balnea di Nerone” durante gli scavi effettuati

dal Lupi nel 188315. La tavola marmorea in origine probabilmente era posta ai piedi di una

statua innalzata per volontà dai decurioni di Pisa in onore di un illustre concittadino a ricordo dei beneficia resi alla sua patriam. Tra i beneficia di Venuleius Apronianus vi è sicuramente il restauro - ampliamento delle terme di Pisa. Oltre a menzionare il nome del benefattore, si ricorda anche quello di una donna la cui identità, data la frammentarietà della lastra, non può essere definita senza lasciare spazio all’incertezza; è più plausibile che si tratti della figlia di Lucius Venuleius Apronianus Octavius Priscus.

Fig. 75 - CIL XI, 1432. Iscrizione proveniente dalle terme di Pisa, conservata un tempo nella chiesa di San Zeno.

Un’altra iscrizione che menziona lo stesso membro della famiglia dei Venuleii è CIL XI, 1433; integrando la titolatura della carica sacerdotale in Solidales Antoniniani, essa viene fatta risalire a prima del 169 d.C.

13

LIOU 1969, p. 30; TORELLI 1969, pp. 285 – 363; TORELLI 1971, pp. 489-501.

14 Si ha anche un terminus ante quem ovvero il 180 d.C., data della morte di Marco Aurelio, a seguito della quale il

titolo si arricchisce dell’epiteto Marcianus.

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Fig. 76 - CIL XI, 1433. Iscrizione marmorea rinvenuta alle terme di Pisa, ora conservata al Museo Nazionale di San Matteo.

Un elemento utile alla ricostruzione dell’albero genealogico della famiglia si è rivelata la fistula in piombo (CIL XI, 1433 a) ritrovata nella villa di Massaciuccoli16.

Fig. 77 - Fistula in piombo siglata dai Venuleii rinvenuta all'interno della dimora di Massaciuccoli (CIAMPOLTRINI 2000, p. 96).

In esso sono menzionati L. Venuleio Montano e L. Venuleio Aproniano, forse gli stessi membri della famiglia ricordati nell’ iscrizione CIL XI, 1735, rinvenuta a San Miniato in provincia di Pisa17. A destra del portone centrale inserito nell’archivolto della pieve

romanica di San Giovanni di Corazzano in Valdegola è stato riconosciuto un frammento d’iscrizione su lastra marmorea recuperata inizialmente nel 1907 nel vecchio cimitero di Corazzano. Esso andava a completare un’altra iscrizione conservata fin dal 1735 nel Palazzo Vescovile di San Miniato. Unendo i due frammenti epigrafici si può leggere:

Bonae Deae/ L. Venuleius [L. f.] Gal(eria tribu) Mon[tanus] /et L. Venuleius [L. f.] L. n. Mon[tanus]/ Apron[ia]nus

Laetilia et Celerina uxo[res].

16 MINTO 1921, pp. 438 - 439.

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Fig. 78 – CIL XI 1734, Calco che unisce i due frammenti pertinenti provenienti dal San Miniato e Corazzano (CIAMPOLTRINI 2000, p. 94).

L.Venuleius [Montanus] è il console del 92 d.C., L.Venuleius [---]Apronianus è lo stesso Lucius Venuleius Apronianus Octavius Priscus, console secondo ordinario nel 123. I due

consanguinei in quest’ultima iscrizione, come è naturale per un culto prevalentemente femminile della Bona Dea18, associano nella dedica le uxores Laetitia e Celerina: M.Torelli

ha proposto di vedere nella prima la moglie di L.Venuleius Montanus Apronianus e nella seconda la consorte di Lucius Venuleius Apronianus Octavius Priscus. Il marito di Celerina è stato identificato grazie alla formula onomastica: lui è il solo della famiglia a portare insieme i cognomina Montanus Apronianus; in seguito il tutto venne sintetizzato nella formula L.Venuleius Apronianus che si ritrova nelle date consolari e negli atti della confraternita (come sulla fistula in piombo)19.

18 Nella Bona Dea si riconosce o la figlia o la moglie di Faunus. Il culto legato a tale divinità era diffuso soprattutto in

Italia centrale, in particolar modo nel Lazio, sporadico nel resto d’Italia. Esso era prettamente femmineo tant’è che gli uomini erano interdetti durante le cerimonie della dea.

Sull’argomento: CÉBEILLAC 1973, pp. 530-532.

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Dato che l’iscrizione CIL 1735 si data all’epoca flavia, i Venuleii Montanus e Apronianus hanno partecipato alla costruzione dell’acquedotto delle terme di Pisa ristrutturato cinquanta o sessanta anni più tardi dal futuro console II del 168 e la figlia20.

E’ difficile stabilire l’estensione dei praedia di famiglia: è lecito pensare che essa avesse marcati interessi nei territori limitrofi a quello pisano in base alla provenienza delle iscrizioni CIL XI 1525 da Lucca e CIL XI 1735 da Corliano in Valdegola.

I limiti territoriali dei fundi non si conoscono esattamente, ma una traccia dei vetusti confini è stata lasciata nella toponomastica21: frequenti sono i nomi di luoghi del tipo

Prugnano-Pruniano, diffusi nelle attuali province di Pisa, Livorno e Grosseto, ma particolarmente concentrati in un’area ristretta delimitata dalle valli dell’Elsa, dell’Era e dell’alto Cecina. A partire da questo dato si può ragionevolmente supporre che nei suddetti

praedia potevano essere ubicate le figlinae di proprietà dei Venuleii. Non è da escludere

che nelle attigue vicinanze della residenza di Massaciuccoli ci fosse anche un settore produttivo da cui fuoriuscivano materiali bollati dalla gens di remota origine ispanica.

20 L’iscrizione che menziona tale restauro è stata rinvenuta a livello frammentario e per questo motivo non si può

stabilire con certezza l’identità della donna; la donna citata nell’epigrafe potrebbe essere la sorella.

21 PIERI 1919, p. 116.

Fig. 79 - Albero genealogico della famiglia dei Venuleii (RAEPSAET CHARLES 1983, p. 155).

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5.3.1. Testimonianze architettoniche legate alla famiglia dei Venuleii

I rappresentanti nel nucleo familiare dei Venuleii, per irrobustire le radici all’interno dei territori di propria competenza, cercarono di guadagnare il consenso della popolazione tramite la promozione di importanti opere evergetiche, come l’acquedotto di Caldaccoli o le terme di Nerone; inoltre sottolinearono la loro presenza attraverso l’edificazione di una dimora con un impatto scenografico, la villa di Massaciuccoli. Nel territorio gravitante intorno a Pisa la presentazione dei fasti familiari era affidata ad altre iniziative, come la dedica alla Bona Dea della Valdegola.

La scelta di costruire per la pubblica utilità rientrava all’interno dei progetti politici dei signori del I – II secolo d.C. L’evergetismo era alla base del consenso e le opere di cui potevano beneficiare generazioni di popolazione assicurava l’ingresso all’eternità. Esse venivano finanziate in parte utilizzando il denaro derivante dall’assunzione della carica (summae honorariae), in parte con denaro spontaneamente aggiunto o offerto. Il fenomeno si deve leggere come tentativo dei nuovi aristocratici di emulare lo stile di vita degli altolocati a Roma, nelle province e nel resto d’Italia, giustificato dal desiderio d’integrazione e dai tornaconti politici22.

Le terme di Nerone

Le terme pisane, chiamate a lungo erroneamente terme di Nerone vennero costruite negli ultimi decenni del I secolo d. C. (avanzata età flavia). La falsa attribuzione a Nerone è legata a studi cinquecenteschi d’antiquaria: in essi s’incontrano espressioni come “beni

disctructi ove si dice essere il palasso di Nerone” (1400), oppure musuleis muris mediantibus (1446); o anche muragla di Nerone (1481-1488). Il falso mito è legato ad

un’iscrizione reimpiegata nel duomo di Pisa relativa ad Acte, liberta di Nerone. Studi successivi hanno dimostrato la provenienza sarda della prova epigrafica. Le ricerche archeologiche che hanno messo in luce parte del’’impianto sono iniziate con l’operato di Lupi23.

Con l’edificazione dei balnea di I secolo d.C.24 si celebrava contemporaneamente l’apice

della carriera di Montanus e l’inizio di quella del figlio, L. Venuleius Apronianus Octavius

22 VEYNE 1984, p. 14; PAPI 2000, p. 12. 23 LUPI 1885.

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Priscus25. Fu quest’ultimo ad investire nella costruzione dell’edificio, così almeno trapela

dall’iscrizione rinvenuta proprio in prossimità dei bagni, conservata al Museo di San Matteo (CIL 1433). L’edificio sorgeva nel settore nord – occidentale dell’abitato. L’apporto idrico era garantito dalla costruzione dell’acquedotto di Caldaccoli e secondo alcuni s’impiegarono anche le acque dell’Auser il cui corso era prossimo ai Bagni di Nerone (vd.

cap. 1). Sia i “Bagni di Nerone”, sia l’acquedotto di Caldaccoli presentano la stessa tecnica

costruttiva (opus vittatum mixtum) e i laterizi dell’acquedotto sono riferibili a quelli bollati dai Venuleii Aproniani. Per la costruzione di ambedue strutture sono stati impiegati

bessales, sesquipedales e bipedales composti da argilla siltosa prelevata dal bacino

dell’Arno di color rosso, di varie tonalità26. Lo spessore dei laterizi varia da un minimo di

3,8 e un massimo di 4, 8 cm, con una media di 4 cm. Oltre alle testimonianze epigrafiche la tecnica costruttiva utilizzata, la struttura della sala ottagona, rassicurano ancor di più sulla cronologia del monumento fissata nel I secolo d.C.27.

Acquedotto di Caldaccoli

Altra importante traccia monumentale lasciata nel territorio pisano dai Venuleii è l’acquedotto di Caldaccoli28, luogo il cui toponimo ne rivela già la ricchezza peculiare,

ovvero le calida(e) aqua(e), le acque termali29.

Il lavoro di costruzione iniziò nel I secolo d.C. contemporaneamente all’acquedotto rintracciato in località Limone presso Livorno all’estremità dei Monti Livornesi. La simultaneità delle edificazioni si spiega con la fiorente attività portuale e con il crescente numero di abitazioni nell’Ager

Pisanus30. 25 CIAMPOLTRINI 1993 b), pp. 430- 431. 26 MENCHELLI 1989, p. 67. 27 MENCHELLI 1989, p. 69. 28

NEPPI – MODONA 1953, p. 35; MENCHELLI – VAGGIOLI 1987, p. 504; PASQUINUCCI 1990, pp. 165 – 179.

29 Plinio, Naturalis Historia, II, 103.

30 GALOPPINI – MAZZANTI – MENCHELLI –TADDEI – VIRESINI 2003, pp. 123 – 139; PASQUINUCCI –

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L’acquedotto captava le sorgenti alle falde nord-occidentali del Monte Pisano e dalla località di Corliano terminava probabilmente nel settore nord-est della città: di qui avveniva lo smistamento dell’acqua per l’uso pubblico e privato31.

Esso è in parte sotterraneo, in parte su archi di cui si conservano due serie di arcuationes disposte ad angolo retto. I pilastri sono stati realizzati con la tecnica edilizia dell’opus vittatum e

opus vittatum mixtum (due filari di laterizi alternati

ad uno in pietra locale e/o panchina), mentre lo specus32 realizzato in muratura, possiede

un rivestimento in opus signinum. La sommità dei piloni ha una cornice con laterizi aggettanti, il corpo (la ghiera) è in bipedales.

Materiale edilizio pertinente alla stessa struttura è stato trovato in un’area compresa tra Caldaccoli e Pisa; altre tracce della costruzione si osservano sul Monte Pisano, al di sopra di Molina di Quosa, a Rigoli; in passato si notavano avanzi dopo Ripafratta, presso Gello, a Campolungo e vicino Pisa, a est della via Lucchese, in località Le Partaccia (vicino Porta a Lucca33).

L’uso dell’opus vittatum mixtum e dei bipedales come piani di posa all’imposta degli archi, l’analogia costruttiva con le terme pisane, lo spessore dei laterizi e delle malte fanno collocare tale opera nel I secolo d.C. Un’ulteriore conferma viene fornita dal ritrovamento di frammenti di mattoni bollati Ve(nuleiorum) Apro(nianorum) (vd. cap. IV, par. sui

Venuleii.)34.

Massaciuccoli

A partire dagli anni della romanizzazione (vd. cap. 1) il territorio ai piedi delle Apuane subì un processo di popolamento favorito dalle caratteristiche peculiari del luogo, difatti vennero sfruttati i percorsi lacustri al fine di potenziare le attività locali. Nel punto di convergenza tra gli assi viari che collegavano Pisa, Luni e Lucca si sviluppò l’insediamento di Massaciuccoli35.

Il sito è stato più volte accomunato alla mansio Fosse Papirianae data la presenza di un grande edificio termale presso la pieve di San Lorenzo, sulle prime pendici del Monte Aquilata. In realtà in base alle discordanze tra le distanze reali e quelle riportate negli

31 PASQUINUCCI 1990, p. 165. 32

Condotto sotterraneo degli acquedotti con pendenza costante tale da assicurare all’acqua uno scorrimento continuo.

33 BANTI 1943, p. 84.

34 PASQUINUCCI 1990, p. 178.

35 CIAMPOLTRINI 1998 b), pp. 107-118. Fig. 80 - La serie di otto arcuationes presenti sul territorio di Caldaccoli (da PASQUINUCCI 1990 p. 174).

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Itineraria, si è potuto stabilire che il sito di Massaciuccoli non corrisponde alla Fosse Papirianae: il primo sito dista da Pisa nove miglia mentre nell’Itinerarium Antonini e

nella Tabula Peutingeriana viene riportato il dato di undici miglia36, quindi il secondo sito

si trova più a nord rispetto al primo.

In posizione dominante rispetto al lago nacque nel corso degli anni Sessanta e Settanta del I secolo d.C. la dimora dei Venuleii, e più precisamente di L.Venuleius Montanus e il figlio

L.Venuleius Montanus Apronianus (console nel 92 d.C.)37.

La storia del sito è stata ricostruita con il susseguirsi delle esplorazioni iniziate nel XVIII secolo. Il rinvenimento nel 1932 di una statua ritraente Claudio fece supporre che tale imperatore fosse il fautore dell’ascesa del proprietario della villa38. La data d’edificazione

della dimora è stata stabilita basandosi sulla tecnica edilizia adottata per la costruzione delle terme, espressione dei modelli urbani che si diffondono in età neroniana e in età flavia, la stessa adoprata nelle Terme romane di Porta a Lucca. E’ stato più volte discusso il ruolo dei signori di Pisa rispetto alla villa. Dato il rinvenimento della fistula plumbea e del mattone recanti il nome Venuleii si è ipotizzato che essi fossero semplicemente i fornitori del materiale costruttivo e dei tubuli per le condutture idriche o gli evergeti che avevano contribuito alla costruzione del nucleo termale.

Nel tempo si sono stratificati più pareri relativi all’interpretazione da dare ai resti evidenti. Minto nella prima pubblicazione dedicata a Massaciuccoli dichiara di vedere solo i residui di un impianto termale pubblico, poiché mancavano tracce incontrovertibili attribuibili ad ambienti residenziali39. Con il progredire delle ricerche si è potuto stabilire che la parte

superiore più monumentale era incentrata sulle terme, mentre le strutture sottostanti consistenti in una serie d’ambienti collegati tramite un corridoio e ad un ulteriore impianto termale potevano avere funzione di mansio lungo la viabilità pedemontana40. Il sito

archeologico si articola in una successione di terrazze, la prima occupata dalla pieve, quella sottostante destinata a giardino nella fase iniziale e successivamente alla costruzione di ambienti termali e di soggiorno. Quest’ultimi, uniti in un unico e articolato quartiere termale nel corso del II secolo d.C., sopravvivranno alla fine del mondo antico.

L’architetto e le maestranze specializzate hanno dato forma tramite le tecniche costruttive di quel tempo all’ideale cui aspirava l’aristocrazia del momento storico preso in esame: la

36 FABIANI 2006, p. 61. 37

PARIBENI – FABIANI – PISTOLESI 2006, pp. 50 – 54.

38 CIAMPOLTRINI 1994, p. 122. 39 MINTO 1921, p. 444.

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villa extraurbana luogo destinato all’otium41. La posizione dominante della dimora e dei

signori che la possedevano era sottolineata dalla sua centralità, visibile sia dalla città sia dalla fascia settentrionale del territorio pisano.

41 L’utilitas si accompagna alla voluptas; il fructus alla delelctatis: la villa oltre ad avere una parte produttiva doveva

comprendere anche una parte elegante, accogliente perché il dominus, risiedendovi con piacere sorvegliasse il buon andamento dell’azienda (Varrone 1.4.1; 3.3.1; 3.4.1). CIAMPOLTRINI 1994, pp. 119-130.

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5.4. I Rasinii

La maggior parte delle informazioni relative alla gens dei Rasinii si ottiene dai marchi impressi sulla merce di loro proprietà che consiste principalmente in prodotti di terra sigillata, laterizi e grandi contenitori per la conservazione di derrate alimentari; solo esigue testimonianze epigrafiche aiutano nella ricostruzione di un quadro più completo sulla famiglia42. Un’epigrafe proveniente da Assisi (CIL XI II 5387) costituisce la testimonianza

più significativa poiché rivela la zona d’origine della famiglia:

C(aio) Rasinio c(ai) f(ilio) Ser(gia tribu) Tettiano

praef(ecto) fabrum III praef(ecto) coh (ortis) Raetor(um)

patrono municipi

Il citato C. Rasinius Tettianus era il personaggio più importante di Assisi poiché deteneva il patronato municipale della città.

Il raggio d’azione dei Rasinii ad un certo punto si è spinto fino a Pisa, e il momento in cui avvenne ciò è da collocare all’inizio del I secolo d.C., lo testimonia la citazione di un

Publius Rasinius Luci filius Bassus nei Decreta Pisana..

A questa fase qui è da ascrivere il bollo Rasinius, diffuso negli anni che vanno dal 15 al 40 d.C. Egli fu il più importante produttore di terra sigillata italica.

Da un frammento probabilmente in origine parte di un elenco relativo all’ordo di un’associazione, ancora visibile in un punto centrale della città pisana, Piazza Carrara, si legge il nome di L .Rasinius Pisanus43,il più importante produttore di terra sigillata tardo

italica, la cui attività comincia nel 50 d.c. e termina nel 120 d.C.

[---]Hostilus Iu[cundus---] [---L] Rasinius Pis[anus---] [---] Laelius Di[ocles(?)---] [---] Rasinius Ac[astus(?)---] 42 SANGRISO 2005, pp. 225-232. 43 GABBA 1974, p. 14.

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L’epigrafe è un’ulteriore testimonianza della presenza in territorio pisano del produttore di terra sigillata tardo italica e di laterizi. Sotto la sua supervisione la ”azienda” arriva ai livelli di massimo splendore (reperti con il suo nome sono stai rinvenuti ad Ostia44); l’attività

artigianale di L. Rasinius Pisanus si colloca tra il 50 d.C. e il 120 d.C. Probabilmente però il suo nome è stato utilizzato reiterate volte anche dai successori.

In un’altra iscrizione dapprima conservata nella chiesa di S. Lazzaro, fuori Porta a Lucca adesso nel Camposanto monumentale, si legge il nome di Rasinio Crisippo, probabilmente un cliens e un liberto vicino alla famiglia dei Rasinii che trova visibilità sociale nel collegio degli augustali.

V(ivus) F(ecit)

L(ucius) Lollius LL(uciorum duorum) Lib(ertus) Commod(us)

Sibi et

[-] Rasinio Chrysippo

Augustal [i] ami[co et]

[-V]oluseno [Ae]

Butiae Albinae [et]

[Ba]ebiae Am[---]

In angr(o) p(edes) [---]

Altre attestazioni relative alla famiglia provengono da Chiusi, Cupra, Aquino e Minturno, si annoverino anche quelle provenienti da Roma, tra le quali rivestono maggiore importanza le più tarde in quanto rivelano il coinvolgimento della gens all’interno delle dinamiche della capitale45.

Non mancano testimonianze provenienti dall’Africa proconsolare (nove attestazioni), dalla

Mauretania Caesariensis (una attestazione), dalla Grecia e una molto importante è stata

rinvenuta a Norico46. L’iscrizione risale ad un periodo compreso tra il 75 d.C. e il 110 d.C.,

in essa si attesta la carica di procurator Augusti di G. Rasinio Silone per il Norico, titolo che si otteneva dopo aver ricoperto numerose cariche del cursus honorum47.

44 MEDRI 1992, p. 122.

45

CIL VI 27146, 12239, VI 3 24166, VI 4 I 25375, 25376, 25377, 25378, 25379, VI 4 II 35675.

46 Celeia CIL III/ 2 5165.

47 G. Rasino Silone deve aver preso servizio nelle coorti urbane, sicuramente fu pretore in Africa proconsolare ed infine

(17)

Sfruttando la linea temporale ottenuta tramite le epigrafi possiamo ricostruire la nascita del nucleo familiare, i successivi spostamenti, l’impianto delle attività manifatturiere e la crescita che si reifica nel sorgere di botteghe nell’Ager Pisanus e nello spostamento di interessi non solo economici in questa zona.

La famiglia ebbe origine ad Assisi, successivamente si spostò lungo la Val di Chiana in Etruria. Arezzo fu la città in cui prosperarono i centri produttivi, il porto di Pisa lo sbocco commerciale delle merci e poi punto strategico da controllare politicamente in vista di un maggior controllo degli interessi commerciali. Con il progredire degli affari la gens Rasinia ebbe sempre più rilievo all’interno delle comunità cittadina dapprima (vedi il decreto del 2 - 4 d.C. di Pisa) e poi nell’amministrazione imperiale.

La toponomastica invece fornisce interessanti indizi per l’individuazione dei vecchi

praedia Rasiniana: il toponimo prediale Rosignano/Rasignana, nella valle dell’Arno

presso Vicchio (Firenze), Rassina presso Castel Focognano (Arezzo), Rassinano presso San Macario (Lucca), sulla destra del fiume Fine al limite dell’Ager Pisanus, Rosignano (Livorno). Lo stesso toponimo si ritrova nei pressi di Siena e di Camaiore. La toponomastica viene in aiuto anche per conoscere le rotte commerciali effettuate dalle imbarcazioni dei Rasinii: in Corsica vi è la località Rasignani. Il nome del luogo potrebbe indicare anche la presenza di praedia a testimonianza del radicamento degli affari della famiglia nella regione.

(18)

5.5.

I Nonii

A differenza delle famiglie già indagate, sulla storia di tale gens non si dispone di numerose testimonianze epigrafiche – letterarie. I dati utili vengono forniti dai reperti archeologici, laterizi e prodotti in terra sigillata tardo italica. L’attività dei Nonii nella produzione di laterizi è comparabile a quella dei Rasinii48; essa si colloca tra la seconda metà del I secolo

d.C. e la I metà del II secolo a.C. Il nome della famiglia, oltre ad essere presente su manufatti ceramici, è ricordato anche su monumenti funerari. In CIL XI 1480, viene riportato il testo dell’epigrafe:

I Nonii furono una famiglia d’artigiani che con il progredire dell’attività di ceramisti riuscirono ad ottenere un certo prestigio economico, ma non arrivarono a coprire una carica politica di rilievo.

Il silenzio letterario non consente di andare oltre uno studio strettamente legato al materiale archeologico.

La figlina della gens Nonia probabilmente si trovava nell’ager lucensis49, vicino Bientina, o

comunque una zona prossima al Serchio, corso che permetteva di far arrivare le merci a Pisa o a ridosso della città, negli attracchi limitrofi: difatti a Coltano sono stati rinvenuti numerosi reperti in terra sigillata tardo italica con il bollo di L. Nonius Florius50.

La gens Nonia è ricordata a Pisa soprattutto perché fu una grande produttrice di terra sigillata tardo-italica. Si ricorda il ceramista L. Nonius Florus.

5.6. Gli Appii

48 CIAMPOLTRINI-ANDREOTTI, 1990-1991, p. 163.

49 DANI – GUGLIELMI 1981, pp. 46-49; CIAMPOLTRINI 1987, p. 76. 50 PANICUCCI 1986, p. 147.

(19)

Il numero limitato d’informazioni non concede una ricostruzione esaustiva sulle origini e sulla storia della famiglia degli Appii51: essi sono attestati a Bagnoregio, Horta. Da Caere si

ha la testimonianza di un M.Appius liberto, nel 39 d.C52. A Lucus Feroniae è stata

rinvenuta un’iscrizione: in essa si ricorda l’erezione di una statua a Tiberio avvenuta tra l’1 luglio del 27 e il 30 giugno del 28 d.C. e voluta da M A[ppius] [La]rgu[s?] e Q. Pin[a]rius [F]aust[us]53.

In Etruria Settentrionale il gentilizio è attestato nell’agro lucense, dove si rinvengono i laterizi di M.Appius ovvero Appius M(arcellus?), altri Appii erano anche nelle figlinae urbane per opus doliare con i bolli M.Appius Bradua.

Fig. 81 – CIL XV, 826.

La presenza di un prediale Appiano nell’agro centuriato ( nei pressi di Ponsacco e Palaia54)

rafforza l’ipotesi di un’attività a Pisa o dintorni, suggerita dalla distribuzione dei prodotti diffusi anche nel Portus Pisanus.

Dai dati a disposizione posso supporre che esiste una prima generazione o forse un ramo del tutto differente rispetto a quello pisano legato alla politica del I secolo d.C. Gli Appii attestati nell’ager pisanus sono da collocare nel II secolo d.C. e il rinvenimento del loro nome solo su manufatti porta alla conclusione che tale generazione avesse interessi prettamente economici senza alcun legame con la sfera politica o con organi di rappresentanza.

51 MENCHELLI, 2002, pp. 183-198.

52 C.I.L. XI 7602 (Caere), 2902,7392 (Bagnoregio), 3066 (Horta). 53 PAPI, 2000, p. 79.

(20)

CONCLUSIONI

Pur avendo testimonianze della produzione laterizia bollata, i materiali edilizi di cui si ha una rappresentanza archeologica più vasta sono quelli anepigrafi: dalle ricognizioni effettuate sul terreno dell’Ager Pisanus, il dato che emerge con maggiore impatto è che la merce proveniva da officine anonime, con un’organizzazione elementare nel quale produttore e acquirente avevano un rapporto immediato. Data l’assenza di un intermediario, con il compito di trasportare, vendere e immagazzinare i prodotti, la funzione del marchio di fabbrica era del tutto superflua. A partire dal I secolo a.C. il meccanismo produttivo fu strutturato in modo più articolato, e solo da questo momento venne introdotto l’utilizzo della bollatura.

Prima della fase espansiva dell’industria costruttiva, le officine laterizie pisane avevano un’organizzazione molto semplificata: esse erano a conduzione familiare e la produzione mirava all’autoconsumo nonchè alla vendita rivolta alle zone immediatamente attigue. Ne consegue che è difficile trovare materiale bollato risalente ad un’età precedente alla centuriazione, poiché la pratica della bollatura55 è da connettere ad un momento in cui la

vita economica di Pisa diventava dinamica e il commercio non era più solo di ambito strettamente locale, ma d’ampio respiro andando a varcare in alcuni casi i confini regionali.

La centuriazione portò ad un numero maggiore d’abitanti gravitante sullo stesso territorio che si tradusse in un aumento delle abitazioni e conseguentemente della domanda di materiale edilizio. Per rispondere alle richieste le figlinae si “modellarono” in nuove forme56: a quelle a conduzione familiare che producevano tegoloni e mattoni anepigrafi, si

affiancarono figlinae dalla complessa organizzazione gerarchica in cui lavoravano schiavi in massima parte provenienti dall’Oriente Mediterraneo.

L’organizzazione di tali officine, ricostruita tramite lo studio dei bolli, era molto più accentrata rispetto al periodo precedente così come il sistema produttivo della terra sigillata tardo-italica, ciclo manifatturiero che nasce e cresce contemporaneamente al rinnovamento del ciclo produttivo laterizio.

Esaminando la prosopografia dei produttori del territorio pisano s’intuisce che a partire dal I secolo d.C. si dedicarono alla produzione personaggi liberi, a volte appartenenti anche alle classi più alte e politicamente impegnate nella vita della città (domi nobiles).

55 MENCHELLI 2003, p. 167. 56 TORELLI 1991, pp. 459 - 460.

(21)

Prevalgono le produzioni a breve e medio raggio di diffusione, esse si rintracciano nell’ager

pisanus e lucensis. In alcuni casi sono stati fatti dei ritrovamenti in zone più distanti dai

luoghi di produzione: da Luni alle coste dell’Etruria centro meridionale (Populonia57,

Follonica58, Cosa59), a Roma60, all’isola d’Elba 61 e in Sardegna62.

In un secondo momento, sul finire del I secolo d.C. e il II secolo d.C. preponderano i bolli che riportano i nomi di individui liberi senza alcun legame con la vita politica (Nonii). S’ipotizza che le produzioni continuassero a realizzarsi all’interno dei fundi e fossero destinate o all’autoconsumo o ad una circolazione di raggio limitato, e se insieme ad altri prodotti (vedi quelli ceramici come la terra sigillata o quelli provenienti dall’attività agricola) a mercati oltremare63.

I marchi di fabbrica esaminati palesano le differenze sostanziali che avevano i prodotti fuoriusciti dalle figlinae urbane rispetto a quelli delle officinae extraurbane. In nessun caso sono stati riscontrati nell’ager Pisanus laterizi con segni (signa) o testi completi di data consolare, o delle formule opus doliare, ex figlinis illis o illius, ex praedis. I bolli pisani s’accomunano per avere il cartiglio di forma rettangolare; in essi si esplicita sempre il nome del proprietario della figlina: in alcuni casi la formula si limita a questo, come ad esempio il bollo dei Rasinii; in alcuni s’ aggiunge il nome dell’officinator, in quelli più complessi appare la forma abbreviata dell’azione che l’officinator fa a servizio del

dominus: fecit oppure finxit (laterizi fabbricati da Carsimarus).

Altro dato che si può notare è che i marchi di fabbrica con un eccessivo utilizzo delle abbreviazioni sono da restringere ad un preciso ambito cronologico ovvero il II secolo d.C. In base ai contesti di rinvenimento, se ci si interroga sulle finalità dei bolli, si può ipotizzare che quelli recanti esclusivamente il nome del dominus abbiano avuto come scopo quello di sottolineare la proprietà forse per fini evergetici, come il caso del bollo dei

Venuleii rinvenuto nell’acquedotto di Caldaccoli.

57 SHEPHERD 1985.

58 BIZZARRI 1959. 59 GLIOZZO 2005.

60 CIL XI, 6689, 240, GLIOZZO 2005, pp. 201- 207. 61 CASABURO 1997, p. 28; FIRMATI 2004, pp. 171 – 185. 62

ANDREOTTI – CIAMPOLTRINI 1990/1991, pp. 161 – 167. Per un esempio in questo senso cfr. ZACCARIA – GOMEZEL, 2000, pp. 296.

(22)

I marchi ricchi d’informazioni, ed in particolare quelli in cui si riporta il nome del servus (vd. i laterizi di Barae(us) ed Euhemer(us) sono finalizzati al controllo e alla supervisione delle fasi produttive dei singoli centri manifatturieri.

I Petillii, i Rasinii, i Pupii, i Venuleii, i Nonii crearono dei centri produttivi accanto alle

villae o all’interno dei fundi di loro proprietà lasciando il controllo degli stessi ai vari officinatores. Il contratto che sottostava al rapporto dominus-officinator poteva essere di locatio/conductio: il secondo affittava i mezzi di produzione ed era responsabile delle

singole unità produttive (vd. cap. 2).

I fattori in comune tra le varie produzioni sono numerosi (impasto ceramico, tecnica di rifinitura, caratteristiche dei bolli laterizi) tant’è che si può benissimo parlare di koiné manifatturiera.

Nell’Etruria settentrionale costiera vasellame verniciato di ottima qualità e laterizi continuarono ad essere prodotti sino all’età tardo antica, ma i cambiamenti strutturali verificatisi nel corso del II secolo d.C. nella politica, nelle attività produttive e nelle direttrici commerciali fecero si che la loro distribuzione non superasse i limiti del commercio subregionale64.

L’industria subì solo dei ridimensionamenti ma la tradizione dell’opus doliare non cadde nel dimenticatoio: gli artigiani continuarono a produrre anche in età tardo – antica e ciò è testimoniato dal Battistero a pianta Ottagonale individuato durante gli scavi di Piazza dei Miracoli65. E’ lecito supporre che la manifattura sopravvisse per le costruzioni di un certo

rilievo; per le abitazioni private si fece uso massiccio di materiali deperibili o di reimpiego. Questa situazione perdurò almeno fino al IX secolo, salvo che per i materiali da copertura che continuarono ad essere prodotti continuativamente fino al XII secolo.

64 Vd. cap. 1.

Figura

Fig. 72 - Testo dei Decreta Pisana in cui vengono menzionate le famiglie dei Petillii,  Rasinii, Pupii (CIL XI, 1420 – 1421)
Fig.  77  -  Fistula  in  piombo  siglata  dai  Venuleii  rinvenuta  all'interno  della  dimora  di  Massaciuccoli (CIAMPOLTRINI 2000, p
Fig. 78 – CIL XI 1734, Calco che unisce i due frammenti pertinenti provenienti dal San  Miniato e Corazzano (CIAMPOLTRINI 2000, p
Fig.  79  -  Albero  genealogico  della  famiglia  dei  Venuleii  (RAEPSAET  CHARLES 1983, p

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