ALESSANDRO RAGAZZI (*) - PAOLO CAPRETTI (*)
LA SITUAZIONE SANITARIA DEI BOSCHI E DELLE SPECIE ARBOREE FORESTALI DELLA TOSCANA (1981-2000) SECONDO CONTRIBUTO: ANALISI E PROSPETTIVE
DI INTERVENTO E DI RICERCA
FDC 41 : (450.52)
Nel decennio 1981-1990 viene fatta piena luce sulla tassonomia e sulla distribuzio- ne di Armillaria, temuto agente di marciume radicale di conifere e latifoglie.
Per l’altro agente di marciume radicale delle conifere, Heterobasidion annosum, si individuano tre gruppi intersterili specifici per abete rosso, pino e abete bianco.
È in questo periodo che si pone prepotentemente all’attenzione della comunità scientifica il deperimento dei querceti, fenomeno che assumerà dimensioni preoccupanti nei decenni successivi e che innescherà un alto numero di ricerche da parte di specialisti con competenze diverse, necessarie ad affrontare un processo complesso.
Negli ultimi anni infine (1991-2000) si assiste in parte alla segnalazione di nuovi organismi; ma soprattutto i ricercatori rivolgono il loro impegno a definire il ruolo dei microrganismi fungini di debolezza, a comportamento endofitico, nell’evolversi del depe- rimento dei soprassuoli a quercia.
Di grande rilevanza risulta la possibilità, resasi tale, di allevare in laboratorio orga- nismi biotrofi, quali gli agenti di ruggine del Pino, e di conseguenza l’applicazione agli stessi delle tecniche molecolari, che hanno permesso di effettuare studi tassonomici più approfonditi e diagnosi precoci. Vengono messi a punto «primer specifici» per Cronar- tium flaccidum.
È di questo periodo la verifica delle ipotesi di relazione tra fitoplasmi e fattori di stress.
Infine, l’approfondimento degli studi fisiologici permette l’accertamento dell’iden- tità di metaboliti tossici secreti da organismi fungini e la verifica del loro ruolo nello svi- luppo della malattia: esempi ne sono la cerato-ulmina da Ceratocystis (Graphium) ulmi e la cerato-platanina da Ceratocystis fimbriata f. sp. platani.
– I.F.M. n. 4 anno 2002
(*) Dipartimento di Biotecnologie Agrarie - Sezione Patologia Vegetale, Università degli Studi
di Firenze, Piazzale delle Cascine, 28 – 50144 - Firenze.
Da quanto esposto si può evincere una serie di consigli per un diverso approccio ai problemi dei nostri boschi, e si evidenzia quanto reale sia la necessità, ormai non più derogabile nel tempo, di una stretta collaborazione, in sede di impianto, tra specialisti di diversa estrazione culturale, ma soprattutto tra patologi forestali e selvicoltori.
P REMESSA
Con il secondo contributo gli Autori compiono un «escursus» nel periodo che inizia nel 1981 sino al 2000, periodo quest’ultimo che ha certa- mente visto una rivoluzione nei mezzi tecnici a disposizione per indagini diagnostiche, epidemiologiche e molecolari volte alla caratterizzazione delle entità reperite.
D ECENNIO 1981-1990
È durante questo decennio che viene fatta piena luce sulla tassonomia e sulla distribuzione delle varie specie afferenti al genere Armillaria.
Negli anni ’70 si era passati dalla prima generica indicazione di Armil- laria mellea ad un non ben definito Armillaria complex, per giungere nel decennio successivo alla determinazione di specie esatte presenti in Italia, ed in Toscana in particolare (fig. 1): A. bulbosa, A. mellea s. str., A. ostoyae, A. tabescens, (I NTINI e M ORIONDO , 1987; I NTINI , 1990).
È durante questo decennio che viene inoltre sperimentalmente definita e verificata l’esistenza, nella popolazione di Heterobasidion annosum, di ceppi tra loro intersterili.
La diversa patogenicità del microrganismo, talvolta correlata allo stato della pianta e alle condizioni del terreno, poteva in realtà essere ricondotta a fenomeni di variabilità genetica tra la popolazione del fungo.
È stato definito che in Italia esistono tre gruppi intersterili: S (da
‘spruce’), P (da ‘pine’) ed F (da ‘fir’), presente, sembra, solamente nel nostro paese (M ORIONDO et al., 1988; C APRETTI et al., 1990).
In particolare è stato accertato che nella foresta di Vallombrosa, su Abete bianco, prevale il gruppo ‘F’, eccezionalmente presente anche su Douglasia, Abete rosso, Castagno, Cryptomeria, Pino nero austriaco e Pino laricio.
Rara, e solamente su Pino, è risultata la presenza del gruppo ‘P’, men- tre non è mai stato rilevato il gruppo ‘S’ (F ARINA et al., 1990).
Il patogeno si diffonde attraverso contatti radicali, partendo dalle cep-
paie fresche di taglio; i danni possono sfociare nello sradicamento delle
piante infette, o nella perdita della massa legnosa del tronco per carie inter-
na. Morie estese si hanno su piantagioni giovani.
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Armillaria ostoyae Armillaria tabescens Armillaria bulbosa Armillaria mellea s. str.
Figura 1 – Specie di Armillaria più frequentemente reperite in Toscana (da I NTINI , 1990).
– Armillaria species most frequently found in Tuscany (from I NTINI , 1990).
Contestualmente al reperimento dei gruppi intersterili e ad una mag- giore definizione del campo degli ospiti, in funzione delle gravi morie, manifestatesi anche in Toscana soprattutto su Abete bianco, sono stati messi a punto metodi di controllo biologico attraverso il trattamento delle ceppaie con sospensioni di conidi o filamenti miceliari di vari funghi, fra i quali Phlebiopsis gigantea si dimostra il più efficace (C APRETTI e M UGNAI , 1988).
Ma è nel decennio 1981-1990 che si pone all’attenzione della popola- zione e della comunità scientifica il problema del deperimento del bosco e in particolare del deperimento dei querceti. Il dibattito che si apre sul signi- ficato stesso del termine è complesso ed articolato; pensieri di scuole diver- se si incontrano e si confrontano (R ADDI , 1984; R AGAZZI et al., 1986a).
Viene definita la distribuzione del fenomeno che interessa conifere e latifo- glie (Abete bianco, Douglasia, Faggio, Quercia, Pino nero, Pino silvestre), e di volta in volta vengono ipotizzate le cause.
Nasce in quegli anni un modello di sperimentazione che, riproducen- do per quanto possibile un ambiente naturale, prevede il trattamento di semenzali di varie specie con inquinanti diversi, per poi far seguire inocula- zioni con microrganismi. In questo ambito particolarmente interessanti sono risultati i lavori di R INALLO e R ADDI (1989) atti a verificare, attraverso osservazioni al microscopio elettronico a scansione, gli effetti degli inqui- nanti sulle cere degli aghi di conifere.
Casi di deperimento di soprassuoli ad Abete bianco vengono segnalati da M ORIONDO e C OVASSI (1981) a Vallombrosa, collegati alla siccità verifi- catasi nel decennio 1970-1980. Fu quella una delle prime ipotesi alternative (effetto di un fattore naturale) posta, in quel periodo, in contrapposizione ad una affermatasi convinzione che coinvolgeva, in ogni caso di deperimen- to, il fattore inquinante, come ipotizzato proprio per la foresta di Vallom- brosa (C LAUSER , 1980).
È proprio in questi anni che si assiste ad una «presa di coscienza uffi- ciale» del problema indotto dall’inquinamento atmosferico ed edafico (deposizioni acide, inquinanti gassosi, tensioattivi, metalli pesanti, pesticidi, diserbanti, anidride carbonica), a cui segue l’organizzazione, da parte del Ministero di Agricoltura e Foreste, di una indagine sullo stato di salute delle foreste, tra le quali quelle toscane, identificate con la sigla INDEFO (1, 2), che si protrarrà sino al 1995, basato sulla valutazione delle condizio- ni delle chiome su un campione di alberi distribuito lungo la rete trichilo- metrica dell’inventario forestale nazionale.
Nel 1987 è seguita l’indagine sulla rete europea (maglie di 16 ×16 km,
in Italia di 15 ×18 km per compatibilità con la rete INDEFO), che com-
prende in Italia circa 220 punti (P AOLETTI et al., 1999).
Casi di deperimento dei querceti vengono segnalati in tutta la Toscana.
Nel contempo vengono isolati dalle piante di quercia deperite molteplici organismi fungini. Vengono proposti i primi modelli del divenire e dell’e- volversi del deperimento della quercia (R AGAZZI , 1991).
Nell’ambito di tali studi, inerenti la quercia, vengono isolati e segnala- ti, nonchè testati per accertarne la patogenicità, numerosi miceti, tra i quali citiamo: Diplodia mutila, Hypoxylon mediterraneum, Phomopsis quercina, Taphrina kruckii (R AGAZZI , 1989; C APRETTI e M UGNAI , 1991).
Gli ultimi anni ’80 hanno visto ridimensionarsi il ruolo negativo degli inquinanti, per quanto riguarda il deperimento del bosco, anche se si pon- gono comunque come fattore da seguire con attenzione.
Nel contempo si è dato spazio ad altre ipotesi; ad esempio all’effetto del freddo o di prolungati periodi di siccità. Del resto, proprio a Vallombrosa già nel 1923, in maniera non molto consistente, e successivamente, con forte inci- denza, nel 1946-48 si erano verificate morie di abete bianco, alle quali aveva- no concorso Armillaria mellea e Heterobasidion annosum, ma a seguito, fu allora accertato, dell’azione di un lungo periodo siccitoso (B IRAGHI , 1949).
Per quanto riguarda invece il deperimento della quercia, andò a deli- nearsi la convinzione che il fattore scatenante fosse la siccità, a cui seguiva, come fattore determinante la morte, l’azione di una serie di organismi fun- gini e di insetti defogliatori; ipotesi poi affermatasi nel periodo successivo 1991-1997 (R AGAZZI et al., 1995).
È in questo decennio che vengono definite le caratteristiche epidemio- logiche di Cronartium flaccidum, che mettono in luce il forte legame tra epi- demie e parametri climatici, tanto da farlo ritenere un organismo ciclico (R AGAZZI , 1983; R AGAZZI et al., 1986b).
Nel 1986, inoltre, R AGAZZI e M ORICCA mettono a punto le prime mappe di distribuzione dell’ospite intermedio (Vincetoxicum hirundinaria) dell’agente di ruggine vescicolosa del Pino (Cronartium flaccidum), alle quali riferirsi nel momento in cui debba essere programmato un nuovo impianto con pini suscettibili (figg. 2 e 3).
Eventi minori vengono segnalati da C APRETTI (1983) rispettivamente su Pioppo tremulo attraverso la presenza di Hypoxylon mammatum; e su Faggio con la presenza, in boschi ai limiti della vegetazione, di Nectria ditis- sima, agente di cancro (C APRETTI e M UGNAI , 1988).
A conclusione delle considerazioni su questo decennio, è doveroso
ricordare che nel 1987 cominciarono a presentarsi all’attenzione dei ricer-
catori entità che nel settore della patologia delle specie forestali avevano
fino ad allora posto ben poche preoccupazioni: i fitoplasmi (FTP), entità
estremamente semplici, di minute dimensioni, tanto da essere estremamen-
te vicine al concetto di ‘minima unità vivente’.