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LA SITUAZIONE SANITARIA DEI BOSCHI E DELLE SPECIEARBOREE FORESTALI DELLA TOSCANA (1981-2000)SECONDO CONTRIBUTO: ANALISI E PROSPETTIVEDI INTERVENTO E DI RICERCA

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ALESSANDRO RAGAZZI (*) - PAOLO CAPRETTI (*)

LA SITUAZIONE SANITARIA DEI BOSCHI E DELLE SPECIE ARBOREE FORESTALI DELLA TOSCANA (1981-2000) SECONDO CONTRIBUTO: ANALISI E PROSPETTIVE

DI INTERVENTO E DI RICERCA

FDC 41 : (450.52)

Nel decennio 1981-1990 viene fatta piena luce sulla tassonomia e sulla distribuzio- ne di Armillaria, temuto agente di marciume radicale di conifere e latifoglie.

Per l’altro agente di marciume radicale delle conifere, Heterobasidion annosum, si individuano tre gruppi intersterili specifici per abete rosso, pino e abete bianco.

È in questo periodo che si pone prepotentemente all’attenzione della comunità scientifica il deperimento dei querceti, fenomeno che assumerà dimensioni preoccupanti nei decenni successivi e che innescherà un alto numero di ricerche da parte di specialisti con competenze diverse, necessarie ad affrontare un processo complesso.

Negli ultimi anni infine (1991-2000) si assiste in parte alla segnalazione di nuovi organismi; ma soprattutto i ricercatori rivolgono il loro impegno a definire il ruolo dei microrganismi fungini di debolezza, a comportamento endofitico, nell’evolversi del depe- rimento dei soprassuoli a quercia.

Di grande rilevanza risulta la possibilità, resasi tale, di allevare in laboratorio orga- nismi biotrofi, quali gli agenti di ruggine del Pino, e di conseguenza l’applicazione agli stessi delle tecniche molecolari, che hanno permesso di effettuare studi tassonomici più approfonditi e diagnosi precoci. Vengono messi a punto «primer specifici» per Cronar- tium flaccidum.

È di questo periodo la verifica delle ipotesi di relazione tra fitoplasmi e fattori di stress.

Infine, l’approfondimento degli studi fisiologici permette l’accertamento dell’iden- tità di metaboliti tossici secreti da organismi fungini e la verifica del loro ruolo nello svi- luppo della malattia: esempi ne sono la cerato-ulmina da Ceratocystis (Graphium) ulmi e la cerato-platanina da Ceratocystis fimbriata f. sp. platani.

– I.F.M. n. 4 anno 2002

(*) Dipartimento di Biotecnologie Agrarie - Sezione Patologia Vegetale, Università degli Studi

di Firenze, Piazzale delle Cascine, 28 – 50144 - Firenze.

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Da quanto esposto si può evincere una serie di consigli per un diverso approccio ai problemi dei nostri boschi, e si evidenzia quanto reale sia la necessità, ormai non più derogabile nel tempo, di una stretta collaborazione, in sede di impianto, tra specialisti di diversa estrazione culturale, ma soprattutto tra patologi forestali e selvicoltori.

P REMESSA

Con il secondo contributo gli Autori compiono un «escursus» nel periodo che inizia nel 1981 sino al 2000, periodo quest’ultimo che ha certa- mente visto una rivoluzione nei mezzi tecnici a disposizione per indagini diagnostiche, epidemiologiche e molecolari volte alla caratterizzazione delle entità reperite.

D ECENNIO 1981-1990

È durante questo decennio che viene fatta piena luce sulla tassonomia e sulla distribuzione delle varie specie afferenti al genere Armillaria.

Negli anni ’70 si era passati dalla prima generica indicazione di Armil- laria mellea ad un non ben definito Armillaria complex, per giungere nel decennio successivo alla determinazione di specie esatte presenti in Italia, ed in Toscana in particolare (fig. 1): A. bulbosa, A. mellea s. str., A. ostoyae, A. tabescens, (I NTINI e M ORIONDO , 1987; I NTINI , 1990).

È durante questo decennio che viene inoltre sperimentalmente definita e verificata l’esistenza, nella popolazione di Heterobasidion annosum, di ceppi tra loro intersterili.

La diversa patogenicità del microrganismo, talvolta correlata allo stato della pianta e alle condizioni del terreno, poteva in realtà essere ricondotta a fenomeni di variabilità genetica tra la popolazione del fungo.

È stato definito che in Italia esistono tre gruppi intersterili: S (da

‘spruce’), P (da ‘pine’) ed F (da ‘fir’), presente, sembra, solamente nel nostro paese (M ORIONDO et al., 1988; C APRETTI et al., 1990).

In particolare è stato accertato che nella foresta di Vallombrosa, su Abete bianco, prevale il gruppo ‘F’, eccezionalmente presente anche su Douglasia, Abete rosso, Castagno, Cryptomeria, Pino nero austriaco e Pino laricio.

Rara, e solamente su Pino, è risultata la presenza del gruppo ‘P’, men- tre non è mai stato rilevato il gruppo ‘S’ (F ARINA et al., 1990).

Il patogeno si diffonde attraverso contatti radicali, partendo dalle cep-

paie fresche di taglio; i danni possono sfociare nello sradicamento delle

piante infette, o nella perdita della massa legnosa del tronco per carie inter-

na. Morie estese si hanno su piantagioni giovani.

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❋ ❍



Armillaria ostoyae Armillaria tabescens Armillaria bulbosa Armillaria mellea s. str.

Figura 1 – Specie di Armillaria più frequentemente reperite in Toscana (da I NTINI , 1990).

– Armillaria species most frequently found in Tuscany (from I NTINI , 1990).

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Contestualmente al reperimento dei gruppi intersterili e ad una mag- giore definizione del campo degli ospiti, in funzione delle gravi morie, manifestatesi anche in Toscana soprattutto su Abete bianco, sono stati messi a punto metodi di controllo biologico attraverso il trattamento delle ceppaie con sospensioni di conidi o filamenti miceliari di vari funghi, fra i quali Phlebiopsis gigantea si dimostra il più efficace (C APRETTI e M UGNAI , 1988).

Ma è nel decennio 1981-1990 che si pone all’attenzione della popola- zione e della comunità scientifica il problema del deperimento del bosco e in particolare del deperimento dei querceti. Il dibattito che si apre sul signi- ficato stesso del termine è complesso ed articolato; pensieri di scuole diver- se si incontrano e si confrontano (R ADDI , 1984; R AGAZZI et al., 1986a).

Viene definita la distribuzione del fenomeno che interessa conifere e latifo- glie (Abete bianco, Douglasia, Faggio, Quercia, Pino nero, Pino silvestre), e di volta in volta vengono ipotizzate le cause.

Nasce in quegli anni un modello di sperimentazione che, riproducen- do per quanto possibile un ambiente naturale, prevede il trattamento di semenzali di varie specie con inquinanti diversi, per poi far seguire inocula- zioni con microrganismi. In questo ambito particolarmente interessanti sono risultati i lavori di R INALLO e R ADDI (1989) atti a verificare, attraverso osservazioni al microscopio elettronico a scansione, gli effetti degli inqui- nanti sulle cere degli aghi di conifere.

Casi di deperimento di soprassuoli ad Abete bianco vengono segnalati da M ORIONDO e C OVASSI (1981) a Vallombrosa, collegati alla siccità verifi- catasi nel decennio 1970-1980. Fu quella una delle prime ipotesi alternative (effetto di un fattore naturale) posta, in quel periodo, in contrapposizione ad una affermatasi convinzione che coinvolgeva, in ogni caso di deperimen- to, il fattore inquinante, come ipotizzato proprio per la foresta di Vallom- brosa (C LAUSER , 1980).

È proprio in questi anni che si assiste ad una «presa di coscienza uffi- ciale» del problema indotto dall’inquinamento atmosferico ed edafico (deposizioni acide, inquinanti gassosi, tensioattivi, metalli pesanti, pesticidi, diserbanti, anidride carbonica), a cui segue l’organizzazione, da parte del Ministero di Agricoltura e Foreste, di una indagine sullo stato di salute delle foreste, tra le quali quelle toscane, identificate con la sigla INDEFO (1, 2), che si protrarrà sino al 1995, basato sulla valutazione delle condizio- ni delle chiome su un campione di alberi distribuito lungo la rete trichilo- metrica dell’inventario forestale nazionale.

Nel 1987 è seguita l’indagine sulla rete europea (maglie di 16 ×16 km,

in Italia di 15 ×18 km per compatibilità con la rete INDEFO), che com-

prende in Italia circa 220 punti (P AOLETTI et al., 1999).

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Casi di deperimento dei querceti vengono segnalati in tutta la Toscana.

Nel contempo vengono isolati dalle piante di quercia deperite molteplici organismi fungini. Vengono proposti i primi modelli del divenire e dell’e- volversi del deperimento della quercia (R AGAZZI , 1991).

Nell’ambito di tali studi, inerenti la quercia, vengono isolati e segnala- ti, nonchè testati per accertarne la patogenicità, numerosi miceti, tra i quali citiamo: Diplodia mutila, Hypoxylon mediterraneum, Phomopsis quercina, Taphrina kruckii (R AGAZZI , 1989; C APRETTI e M UGNAI , 1991).

Gli ultimi anni ’80 hanno visto ridimensionarsi il ruolo negativo degli inquinanti, per quanto riguarda il deperimento del bosco, anche se si pon- gono comunque come fattore da seguire con attenzione.

Nel contempo si è dato spazio ad altre ipotesi; ad esempio all’effetto del freddo o di prolungati periodi di siccità. Del resto, proprio a Vallombrosa già nel 1923, in maniera non molto consistente, e successivamente, con forte inci- denza, nel 1946-48 si erano verificate morie di abete bianco, alle quali aveva- no concorso Armillaria mellea e Heterobasidion annosum, ma a seguito, fu allora accertato, dell’azione di un lungo periodo siccitoso (B IRAGHI , 1949).

Per quanto riguarda invece il deperimento della quercia, andò a deli- nearsi la convinzione che il fattore scatenante fosse la siccità, a cui seguiva, come fattore determinante la morte, l’azione di una serie di organismi fun- gini e di insetti defogliatori; ipotesi poi affermatasi nel periodo successivo 1991-1997 (R AGAZZI et al., 1995).

È in questo decennio che vengono definite le caratteristiche epidemio- logiche di Cronartium flaccidum, che mettono in luce il forte legame tra epi- demie e parametri climatici, tanto da farlo ritenere un organismo ciclico (R AGAZZI , 1983; R AGAZZI et al., 1986b).

Nel 1986, inoltre, R AGAZZI e M ORICCA mettono a punto le prime mappe di distribuzione dell’ospite intermedio (Vincetoxicum hirundinaria) dell’agente di ruggine vescicolosa del Pino (Cronartium flaccidum), alle quali riferirsi nel momento in cui debba essere programmato un nuovo impianto con pini suscettibili (figg. 2 e 3).

Eventi minori vengono segnalati da C APRETTI (1983) rispettivamente su Pioppo tremulo attraverso la presenza di Hypoxylon mammatum; e su Faggio con la presenza, in boschi ai limiti della vegetazione, di Nectria ditis- sima, agente di cancro (C APRETTI e M UGNAI , 1988).

A conclusione delle considerazioni su questo decennio, è doveroso

ricordare che nel 1987 cominciarono a presentarsi all’attenzione dei ricer-

catori entità che nel settore della patologia delle specie forestali avevano

fino ad allora posto ben poche preoccupazioni: i fitoplasmi (FTP), entità

estremamente semplici, di minute dimensioni, tanto da essere estremamen-

te vicine al concetto di ‘minima unità vivente’.

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Figura 2 – Distribuzione, in Italia, dei popolamenti di Vincetoxicum hirundinaria (da R AGAZZI e M ORICCA , 1986).

– Distribution of Vincetoxicum hirundinaria populations in Italy (from R AGAZZI and

M ORICCA , 1986).

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Figura 3 – Distribuzione, in Toscana, dei focolai di Cronartium flaccidum (da R AGAZZI e M ORIC -

CA , 1986).

– Distribution of Cronartium flaccidum in Tuscany (from R AGAZZI and M ORICCA , 1986).

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Proprio nella nostra regione, a San Rossore (PI), vengono segnalate anomalie vegetative (scopazzi e giallume) associate ad un fitoplasma, agente della «Elm Yellow Disease», su piante di olmo, ibridi resistenti a Ceratocy- stis ulmi (M ITTEMPERGHER et al., 1990; M ITTEMPERGHER , 1997).

D ECENNIO 1991-2000

In questi ultimi anni sono stati segnalati organismi nuovi, o organismi noti su nuovi ospiti: Phytophthora cinnamomi su Castagno (T URCHETTI e P ARRINI , 1993) e su Chamaecyparis sp. (P ARRINI et al., 1997); Pestalotiopsis funerea su Thuja a Pistoia (P ANCONESI e V ETTORI , 1994); Phytophthora sp.

su Leccio sui Monti Livornesi (B LASCHKE et al., 1995); Lirula nervisequia su Abete bianco nella foresta di Vallombrosa-Firenze (B ARZANTI et al., 1998);

Sirococcus strobilinus su Pino d’Aleppo in un bosco misto situato a nord-est di Firenze, tra Fiesole e Settigano (D ANTI e C APRETTI , 1999); Hypoxylon mediterraneum su Quercus suber L. sui monti di San Giuliano-Pisa (R AGAZ -

ZI , 2000, dati non pubblicati).

Nuovi focolai di Phytophthora cambivora sono invece comparsi nei castagneti da frutto, nei cedui e nelle selve carbonili abbandonate, nelle province di Arezzo, Firenze, Grosseto, Lucca, Pistoia e Siena (T URCHETTI e P ARRINI , 1993).

Mentre, a seguito della segnalazione di M ORIONDO (1958) sulla moria di Ontano, è stato individuato l’agente causale risultato essere un batterio:

Erwinia alni (S URICO et al., 1996).

Nello stesso periodo, in faggete deperienti di Pian di Novello (PT), sono proseguiti gli studi, iniziati nei recenti anni seppur in altre zone, per accertare la correlazione tra livello di deperimento e composizione fungina della rizosfera e del rizoplano (A MBROSOLI et al., 1995).

È in questi ultimi anni che viene prestata attenzione, da parte dei ricer- catori, ad un gruppo di microrganismi, gli endofiti, che in particolare con- dizioni possono virulentarsi e portare a morte piante, o parti di esse, già stressate da altri fattori.

Molti parassiti di debolezza non danno luogo, per lunghi tratti di vita

nella pianta, a sintomi esteriori. I ricercatori hanno ipotizzato che essi

potrebbero vivere in fase endofitica. L’endofitismo potrebbe pertanto rap-

presentare una vera e propria strategia volta al superamento di condizioni

non favorevoli allo sviluppo patogenetico allorchè gli ospiti si trovano in

buono stato fisiologico. La presenza endofitica nei tessuti sani renderebbe

infatti tali organismi pronti a rapide colonizzazioni nel momento in cui le

piante vanno incontro a stress (A NSELMI et al., 1999).

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Indagini in tal senso sono state condotte su Faggio nella Stazione Spe- rimentale di Pian di Novello-Pistoia (S ANGUINETI , 1994); su varie specie di quercia ad Ulignano (PI) e Fonte Marchi (SI) da R AGAZZI et al. (1999); su Leccio, Ginepro, Castagno nei boschi collinari sub-mediterranei della Toscana (I NTINI , 1997).

La possibilità di allevare in laboratorio organismi a comportamento biotrofico, quali gli agenti di ruggine delle piante forestali, un tempo consi- derati «non allevabili», e l’avvento delle tecniche molecolari hanno permes- so di effettuare studi tassonomici più approfonditi e diagnosi precoci.

Le tecniche di biologia molecolare, utilizzando micelio accresciuto su substrato artificiale, o direttamente singole spore, hanno fornito nuovi strumenti per affrontare controverse questioni di sistematica. L’analisi del DNA ha suggerito che Cronartium flaccidum e Peridermium pini, ruggine autoica del Pino presente nel Nord Europa, sono strettamente correlati in base alla similarità di sequenza nella regione ITS, alla uguale lunghezza della regione NTS ed alla perfetta omologia di loci diversi come il gene 5.8S dell’rDNA ed il frammento amplificato dell’MtDNA (M ORICCA e R AGAZZI , 1998).

Tra le tecniche molecolari, l’uso della PCR, come mezzo diagnostico, ha permesso la messa a punto di «primer» specifici per Cronartium flacci- dum: Cf1 (5’-TAAAAATGTTCTTAAGATGTA) e Cf2 (5’-ATTACAC- CAAGTATTACTCC), capaci di appaiarsi in condizioni di stringenza appropriate soltanto con tratti di DNA ad essi perfettamente complementa- ri. Pertanto, malattie con lungo periodo di latenza, ad esempio quella cau- sata da C. flaccidum, possono essere precocemente diagnosticate (M ORICCA , 1991 e 1994).

Le tecniche molecolari, unitamente ai tradizionali metodi di identifica- zione, hanno permesso di accertare la costante associazione, con le ecidio- spore di C. flaccidum, di Cladosporium tenuissimum, rivelatosi efficace anta- gonista di C. flaccidum (M ORICCA e R AGAZZI , 1996; M ORICCA et al., 1999).

Le tecniche molecolari hanno permesso l’individuazione dei fitoplasmi in piante di olmo della tenuta di San Rossore (PI).

Contestualmente, per la prima volta su specie forestali, è stata verifica- ta l’ipotesi di relazione tra fitoplasmi e fattori di stress (M ITTEMPERGHER et al., 1999).

L’approfondimento, da sempre auspicato, degli studi fisiologici ha

portato, in questo ultimo decennio, ad accertare l’identità di metaboliti tos-

sici secreti da molti organismi fungini, a caratterizzarli ed a verificarne il

ruolo nel determinare malattia: esempi attuali sono la cerato-platanina da

Ceratocystis fimbriata f.sp. platani (S CALA et al., 1996), ma soprattutto la

cerato-ulmina da Ophiostoma (Graphium) ulmi, proteina idrofobica consi-

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derata fortemente implicata nella patogenesi. I risultati acquisiti dimostrano che il sintomo dell’avvizzimento fogliare è strettamente correlato alla pre- senza di cerato-ulmina nelle foglie e suggeriscono che l’evoluzione della patogenicità di Ophiostoma spp. potrebbe essere correlata all’evoluzione della capacità di secrezione della idrofobina (S CALA et al., 1997).

Nell’ambito degli studi volti a chiarire i molteplici aspetti propri del deperimento della quercia, sono state accertate le ipotizzate associazioni tra funghi patogeni, agenti di diverse tipologie di danno su varie specie di quercia ed insetti vettori.

Le esperienze condotte ad Ulignano (PI) e Fonte Marchi (SI) hanno permesso di accertare la sicura diffusione di Fusarium solani e Verticillium dahliae da parte di Scolytus intricatus.

Resta ipotizzabile la diffusione di Diplodia mutila e Phomopsis quercina da parte di Sinoxylon perforans, S. sexdentatum e Coroebus florentinus (T IBERI e R AGAZZI , 1998).

Negli ultimi anni di questo decennio è stata prestata attenzione ad un aspetto che dovrà essere riconsiderato negli anni futuri nell’ambito della problematica conosciuta come «global change»: il costante aumento della concentrazione di CO 2 nell’atmosfera sta ponendo preoccupazione relativa- mente all’impatto sugli ecosistemi vegetali in tutte le loro componenti e, pertanto, anche sulle popolazioni crittogamiche.

Funghi e batteri potrebbero perdere virulenza o virulentarsi; specie ad attività antagonistica potrebbero estinguersi; tutta la componente microbica di un ecosistema potrebbe risultare alterata. Indagini condotte a Bossoleto (Rapolano Terme-Siena) nel 1995-1996, in aree dove la concentrazione di CO 2 variava da 500 a 1000 ppm, hanno permesso di appurare la presenza di alcuni organismi, assenti invece in aree ove il livello di CO 2 era più basso:

si tratta di alcuni agenti di maculatura fogliare su Parietaria sp., Plantago sp., Smilax sp.

Altri organismi, quali Diplodia sp. su Arbutus e Phomopsis sp. su Myr- tus sp. presentavano una incidenza maggiore rispetto ad altre situazioni.

Diversamente, su una specie forestale, il Frassino, l’agente di ascochi- tosi non risultava condizionato dal livello di CO 2 (L ORENZINI et al., 1996).

C ONCLUSIONI GENERALI (I E II CONTRIBUTO )

Il necessariamente sintetico «escursus» storico tracciato dal 1950 ad

oggi ha permesso di delineare la «mappa» di presenza, in Toscana, di orga-

nismi letali e di altri a minor impatto.

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Gli organismi «storici», autoctoni o alloctoni, ad impatto epidemico, sono stati negli anni, e sono oggi, studiati con maggior profondità, a seguito dell’avvento di nuove tecnologie.

Negli anni si è passati attraverso le necessarie fasi di individuazione della causa patogena, della sua distribuzione, della individuazione dei rap- porti con i parametri climatici, allo studio della variabilità delle popolazioni ed allo studio del ruolo che hanno nella patogenesi le nuove molecole indi- viduate (tossine).

Alcuni organismi hanno esteso la loro zona di diffusione, è il caso di Seiridium cardinale e di Heterobasidion annosum; altri si sono contratti, in termini di espansione e di frequenza di comparsa, tanto da divenire ende- mici, quali Cronartium flaccidum e Melampsora pinitorqua.

Si sono nel contempo presentati nuovi organismi o situazioni comples- se quali i deperimenti.

Attualmente disponiamo di metodi di diagnosi precoce e si conoscono le caratteristiche epidemiologiche dei patogeni più dannosi.

Diversamente dal passato, oggi conosciamo la variabilità delle popola- zioni di molti patogeni e disponiamo pertanto del presupposto per organiz- zare programmi di miglioramento genetico.

Esiste, per quanto riguarda Cronartium flaccidum, una mappa di distri- buzione dell’ospite intermedio, alla quale il forestale può riferirsi per indivi- duare le zone ove impiantare il pino.

Sono stati gettati i presupposti per interventi di lotta biologica ed integrata.

La collaborazione tra patologo forestale e selvicoltore, in fase di pro- grammazione dell’impianto, è una realtà, ma forse troppo poco frequente.

A conclusione, sulla base dell’inventario delle presenze infettive dei boschi della Toscana, che è venuto delinenadosi nella nostra trattazione, e delle conoscenze acquisite, riteniamo doveroso indicare quelle che, secon- do il nostro modesto pensiero, dovrebbero essere le linee di impegno per l’immediato futuro:

– Approfondimento dello studio delle relazioni tra fattori abiotici e biotici.

– Costituzione di una rete permanente di monitoraggio dello stato sanitario dei nostri boschi.

– Formulazione di modelli di stima di danno nei soprassuoli forestali.

– Controllo della situazione sanitaria dei vivai.

– Approfondimento degli studi volti a definire il ruolo di fitoplasmi ed endofiti nei casi di deperimento.

– Raggiungimento di uno standard d’uso, facilmente accessibile, delle nuove tecniche diagnostiche.

– Accertamento della possibilità di impiego massiccio dei mezzi di lotta

biologica.

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– Estrema attenzione al materiale vegetale che si importa ed al materiale di propagazione.

– Potenziamento dei programmi di miglioramento genetico.

– Programmazione integrata, tra specialisti di diversa competenza, di un nuovo impianto.

SUMMARY

The health status of the woods and forest trees of Tuscany (1981-2000) Second contribution: analysis and perspectives of control and research During the decade 1981-1990, the taxonomy and distribution of Armillaria, a deadly agent of conifer and broad-leaved species root rot, were fully clarified.

As regards the other agent of conifer root rot, Heterobasidion annosum, three intersterile groups specific to Spruce, Pine and silver fir were identified.

During this same period the scientific community was also faced with the increasing problem of oak decline. This phenomenon would become severe in subsequent decades, sparking a large number of studies by specialists with different ranges of expertise, as required in order to address such a complex process.

Finally, over the last decade (1991-2000), new organisms have been reported, but above all, intense research efforts have been directed to defining the role played by weakness-inducing fungal micro-organisms, with endophytic behavior, in the evolution of decline phenomena in oak forests.

A major step has been the successful laboratory rearing of biotrophic organisms such as the agents of Pine rust. This has allowed application of molecular techniques to these organisms, facilitating more exhaustive taxonomic studies and early diagnosis.

«Specific primers» for Cronartium flaccidum have been devised.

During this same decade, the hypothesis of a relation between phytoplasmas and stress factors has been confirmed.

Finally, in-depth studies on physiology have ascertained the identity of toxic metabolites secreted by fungal organisms and have clarified their role in disease development: for example, cerato-ulmina by Ceratocystis (Graphium) ulmi and cerato- platanina by Ceratocystis fimbriata f. sp. platani.

These findings point to various ways of addressing the problems of our forests; in particular, they clearly show that the crucial need for close cooperation between specialists with different ranges of expertise, but above all between forest pathologists and forest farmers, can be delayed no longer.

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