• Non ci sono risultati.

ad una molecola organica preesistente, e finalmente riducono l atomo di carbonio. Biologia vegetale STB AA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "ad una molecola organica preesistente, e finalmente riducono l atomo di carbonio. Biologia vegetale STB AA"

Copied!
46
0
0

Testo completo

(1)

FOTOSINTESI

(2)

Oggi sappiamo che il processo fotosintetico consta di due fasi nettamente distinte, chiamate “fase luminosa” e “fase oscura”, poste in serie.

Nella fase luminosa predominano le reazioni fotochimiche, c’è l’assorbimento dell’energia luminosa, il trasporto di elettroni, che derivano dalla molecola dell’H2O, il cui ossigeno viene ossidato, con cambiamento dello stato redox di molte molecole, che fanno parte di catene di trasporto. Si formano alla fine NADPH+H+ (= potere riducente), e ATP, che saranno utilizzati nella fase oscura.

Nella fase oscura predominano le reazioni enzimatiche che, sfruttando l’ATP e il NADPH, legano la molecola di CO2 ad una molecola organica preesistente, e finalmente riducono l’atomo di carbonio.

(3)

Vista la forte elettronegatività dell’ossigeno, nell’anidride carbonica gli elettroni sono spostati verso di esso, e di fatto l’atomo di carbonio è in uno stato ossidato +4, ovvero ha “perso” 4 elettroni, due a favore di ciascun atomo di ossigeno.

La molecole di anidride carbonica è lineare, con i

due atomi di ossigeno ai lati opposti.

(4)

NADP+ riceve due e- e un H+, diventando NADPH.

Quando viene utilizzato per ridurre un’altra molecola, ridiventa NADP+.

NADP+ è un agente ossidante (ossida la molecola

con cui reagisce), e diventa NADPH, ovvero un

agente riducente.

(5)

FASE LUMINOSA

FASE OSCURA

DIPENDENTE DALLA LUCE

DIPENDENTE DAI PRODOTTI DELLA FASE LUMINOSA

Stato di ossidazione del carbonio: +4

Stato di ossidazione del carbonio: 0

(6)

Le prime prove per un processo a due fasi furono pubblicate nel 1905 dal fisiologo vegetale inglese F.F.

Blackman.

B l a c k m a n m i s u r a v a s i n g o l a r m e n t e , e i n combinazione, gli effetti dell'intensità di luce e della temperatura sulla velocità di fotosintesi.

L’esperimento di Blackman usava una pianta acquatica del genere Elodea. Un ramo di Elodea veniva immerso in una soluzione di NaHCO3. Nell’ambiente sperimentale, Blackman poteva variare o mantenere costanti sia la temperatura che l’intensità luminosa, che la concentrazione di NaHCO3 (lo ione bicarbonato, HCO3-, è la forma in cui si trova l’anidride carbonica in soluzione acquosa).

(7)
(8)

Grazie alla luce che proviene da una lampada, la pianta fa fotosintesi, e produce quindi un certo numero di bollicine di ossigeno nell’unità di tempo. La conta delle bolle da una misura dell’intensità della fotosintesi.

(9)

La prima evidenza che Blackman ottenne fu che la quantità di fotosintesi non continua a crescere indefinitamente con l’intensità luminosa.

Questo fece ipotizzare a Blackman che nella fotosintesi siano coinvolti due processi, uno che utilizza la luce, e l’altro che non ha bisogno della luce per funzionare. Questo venne definito fase oscura, sebbene esso sia attivo anche in presenza di luce.

Blackman ipotizzò che a intensità luminose moderate i processi dipendenti dalla luce sono quelli che limitano il passo dell’intera fotosintesi. In altre parole, a modeste intensità luminose, le reazioni della fase oscura riescono a utilizzare completamente i prodotti della fase luminosa.

(10)

Aumentando l’intensità della luce, la fotosintesi accelera, fino ad arrivare a uno stato stazionario, quando sono le reazioni della fase oscura a non riuscire più a “tenere il passo”, ovvero a utilizzare tutti i prodotti della fase luminosa. A questo punto, qualsiasi aumento della quantità di luce non produce alcun effetto. Tuttavia, aumentando la temperatura vi è uno spostamento in alto dello stato stazionario.

Il fatto che un aumento della temperatura provochi un aumento della velocità della fotosintesi dimostra che nella fase oscura sono coinvolte reazioni enzimatiche, che è noto accelerino a temperature più elevate. Tuttavia, questo aumento non è illimitato, in quanto oltre una certa temperatura gli enzimi della cellula coinvolti nella fase oscura si degradano.

(11)

Il fatto che a temperature elevate (e quindi con gli e n z i m i d e l l a f a s e o s c u r a c h e l a v o r a n o speditamente) la fotosintesi sia lenta a basse intensità luminose dimostra che la velocità delle reazioni della fase luminosa è invece direttamente dipendente dalla quantità di luce fornita.

Quindi, la velocità delle reazioni della fase luminosa dipende dall’intensità luminosa, mentre quella delle reazioni della fase oscura dipende dalla temperatura.

Tuttavia, l’aumento di velocità con la temperatura non avviene se la quantità di anidride carbonica è limitata.

(12)

Come si può vedere dal grafico, la velocità di fotosintesi raggiunge uno stato stazionario più basso se la quantità di anidride carbonica è limitata. All’aumento dell’anidride carbonica, anche la velocità della fotosintesi aumenta.

Per cui la concentrazione di anidride carbonica è il terzo fattore che regola, assieme a intensità luminosa e temperatura, la velocità della fotosintesi.

In atmosfera, la quantità di anidride carbonica disponibile è di 35 parti per milione, ovvero il 0.035%. Tuttavia vedremo che non sempre le piante hanno a disposizione un quantitativo così

“elevato”, ma spesso sono costrette a lavorare con molto meno.

(13)

FASE LUMINOSA

FASE OSCURA

DIPENDENTE DALLA LUCE

DIPENDENTE DAI PRODOTTI DELLA FASE PRECEDENTE

Assorbimento della luce

L’energia assorbita permette delle reazioni che altrimenti

andrebbero nella direzione opposta

Vengono generate molecole spendibili per reazioni di riduzione e di

«energicizzazione»

molecolare

…a spese dell’ossigeno

dell’H2O, che viene ossidato. L’O2 è un prodotto di scarto

La molecola della CO2 viene legata, quindi il suo C ridotto

(14)

NB: La sintesi di carboidrati nella fase oscura a partire da anidride carbonica è una reazione endoergonica, e non potrebbe avvenire senza un input energetico, fornito dalla fase luminosa.

Questa usa l’energia luminosa, e produce ATP (“moneta” energetica degli organismi viventi) e NADPH (potere riducente).

(15)

Il nome di “fase oscura” è alquanto infelice in quanto essa comunque avviene in presenza di luce in quanto (a) richiede i prodotti della fase luminosa;

(b) alcuni enzimi sono addirittura attivati dalla luce.

L' espressione "fase oscura" si usa ancora adesso per indicare che la luce non è coinvolta direttamente in queste reazioni.

La comprensione delle lunghezze d’onda capaci di attivare la fotosintesi venne da un elegante esperimento di Theodore Wilhelm Engelmann (1843-1909), nel 1882. Volendo comprendere lo spettro d’azione della fotosintesi, usò come organismo modello un’alga filamentosa del genere Cladophora.

(16)

Egli usò dei batteri m o b i l i a t t r a t t i dall’ossigeno come bio- indicatori. Illuminando p o r z i o n i d i v e r s e dell’alga con lunghezze d’onda diverse, osservò i n q u a l i z o n e s i c o n c e n t r a s s e r o i batteri, indicando quindi le porzioni dell’alga che m a g g i o r m e n t e producevano ossigeno, e che quindi erano più attive dal punto di vista fotosintetico.

(17)

Osservò che i batteri si concentravano nelle aree illuminate dalla luce blu-violetta e da quella rossa.

La(e) clorofilla(e), che assorbe(ono) in quei range dello spettro, è(sono) il(i) pigmento(i) coinvolto(i) nel processo fotosintetico.

(18)

Un altro aspetto ormai consolidato legato alla fase luminosa derivò dagli esperimenti di Emerson, che descrisse (1957) un fenomeno ora noto come effetto Emerson: l’assorbimento della luce è legato alla presenza di due gruppi macromolecolari distinti, a cui sono associate specifiche reazioni fotochimiche.

Emerson giunse a queste conclusioni studiando l’efficienza fotosintetica nella porzione rossa dello spettro. Questa scelta era dovuta a due fattori:

1. In questa porzione l’assorbimento è quasi interamente a carico delle clorofille. L’azione di pigmenti accessori è nulla o limitata, e quindi praticamente ininfluente sui risultati.

2. Questa banda dello spettro contiene quanti di luce con minore energia, e ci si aspetta che quasi tutta la loro energia venga utilizzata per i processi fotochimici.

(19)
(20)

Emerson osservò che fornendo solo luce a lunghezza d’onda superiore ai 680 nm, l’efficienza del processo fotosintetico in Chlorella (un’alga) diminuiva bruscamente (red drop effect), mentre era molto alto e costante per lunghezze d’onda tra 600 e 680 nm. Questo poteva essere dovuto al quantitativo di energia

(21)

Tuttavia, egli notò anche che, contrariamente alle sue ipotesi, fornendo contemporaneamente luce delle due lunghezze d’onda (680 e 700 nm) l’effetto non era additivo, ovvero il risultato non era la somma delle due efficienze, come ci si sarebbe potuti aspettare.

Al contrario l’efficienza risultava molto maggiore della somma delle due efficienze misurate in condizioni di isolamento. La radiazione a 700 nm, se supplementata da quella a 680 nm, non solo non causava il red drop, ma permetteva una migliore efficienza totale del processo fotosintetico (effetto Emerson).

Le osservazioni di Emerson su Chlorella furono completate da French & Myers i quali osservarono che le due luci collaborano insieme con effetto più che additivo anche se non vengono date contemporaneamente, bensì separate da un intervallo buio lungo sino a 1 secondo.

La spiegazione più plausibile è che esistano due serie di reazioni fotochimiche distinte che vengono messe in moto a due diverse lunghezze d'onda. Le due reazioni sono però connesse l’una all’altra, anzi una sta a valle dell’altra.

(22)

Oggi noi sappiamo che il fotosistema I (che contiene clorofilla a con un picco di assorbimento a 700 nm) da solo funziona, ma ha una efficienza bassa, in quanto non è in grado di produrre tutti i metaboliti necessari alla fase oscura (produce solo ATP, ma non NADPH+, che deve essere prodotto per altre vie, consumando energia).

Le esperienze di Emerson e Arnold con flash di luce portarono a un'altra importante conclusione. Se si calcola il rapporto tra quantità di ossigeno emessa dalle alghe unicellulari dopo un brevissimo lampo di luce e quantità di clorofilla in esse contenuta si ottiene un valore costante.

La costanza del rapporto “ossigeno : clorofilla” (1 molecola di O2 prodotto per 2500 molecole di clorofilla nelle particolari condizioni sperimentali dei due ricercatori) suggeriva che fosse necessaria la collaborazione di più molecole di clorofilla per evolvere una sola molecola di ossigeno.

(23)

Nasceva cosi l'idea di unità fotosintetiche o

FOTOSISTEMI,

che sono di due tipi (I e II).

L’acronimo è PS, che sta per

PhotoSystem(s)

(24)

Lo schema a Z del trasporto di elettroni tra i due fotosintesi fu proposto per la prima volta da Hill & Bendall nel 1959.

(25)

I fotosistemi sono complessi di molecole inseriti nelle membrane tilacoidali dei cloroplasti. Le sigle che li contraddistinguono, P680 e P700, sono le lunghezze d’onda di massimo assorbimento delle clorofille negli “special pair” dei centri di reazione.

Ogni fotosistema contiene da 200 a 400 molecole di pigmenti (non solo clorofille), e può essere diviso in un complesso antenna, e un centro di reazione.

Il ruolo del complesso antenna è quello di “raccogliere” l’energia luminosa, e di convogliare al centro di reazione. Qui, una coppia speciale di molecole di clorofilla a (lo special pair) è in grado di trasferire un elettrone a un accettore. Tutte le altre molecole di pigmento invece non hanno questa capacità, e servono esclusivamente per far arrivare l’energia allo special pair.

I pigmenti sono mantenuti in posizione nei fotosintesi grazie al legame con specifiche proteine di membrana, che hanno quindi una funzione strutturale.

(26)
(27)

CLOROFILLE CAROTENOIDI

FICOBILIPROTEINE (limitate a

Cyanophyta, Rhodophyta, Cryptophyta) PROTEINE

STRUTTURALI

(28)
(29)
(30)
(31)

Almeno un nuovo evento, molto recente, di endosimbiosi primaria è stato riscontrato in alcune specie del genere Paulinella. Si tratta di organismi ameboidi, in cui l’endosimbiosi di un cianobatterio, probabilmente di un “sister group” dei gruppi di cianobatteri Synechoccus è avvenuta in tempi relativamente recenti, tra 60 e 140 milioni di anni fa, se comparati con il primo evento di endosimbiosi, che è datato a circa 1,5 miliardi di anni fa.

Il genoma dei plastidi in Paulinella ha dimensioni molto più elevate di quello dei plastidi più “antichi”, segno che la fase di riduzione del genoma conseguente all’endosimbiosi è probabilmente ancora in atto.

(32)
(33)

Orbitale a minore energia

Orbitale a maggiore energia

(34)

Quando una radiazione elettromagnetica colpisce una molecola, causa una oscillazione elettronica. Se la radiazione ha una lunghezza d’onda pari o superiore a quella della differenza energetica tra due orbitali, può provocare il “salto” di un elettrone da un orbitale a bassa energia ad uno ad alta energia. La molecola ha quindi assorbito il fotone, e passa uno stato “eccitato”.

Nel caso dei pigmenti (non solo quelli fotosintetici), la radiazione elettromagnetica deve cadere nel campo del visibile. Per quelli fotosintetici, la lunghezza d’onda massima deve essere di circa 700 nm (anche due vedremo che ci sono alcuni casi particolari, come la clorofilla d).

Una molecola però non può permanere in eterno in uno stato eccitata, e prima o poi restituirà l’energia in qualche forma, come una radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda inferiore.

Tuttavia, i pigmenti fotosintetici possono anche comportarsi

(35)
(36)

I pigmenti fotosintetici hanno la capacità di trasferire l’energia per risonanza induttiva, senza perdere l’elettrone.

Tuttavia le due clorofille dello special pair nel centro di reazione sono in grado di ossidarsi, trasferendo un elettrone a un accettare primario.

Perché il centro di reazione possa di nuovo funzionare, a questo punto, è necessario che la molecola di clorofilla venga ridotta, ottenendo un nuovo elettrone a sostituzione di quello perso.

(37)
(38)
(39)

Il “donatore” di elettroni, nel caso della fotosintesi ossigenica, è l’acqua. Questa, scissa tramite fotolisi nel fotosistema II, libera 1 elettrone (e-), 1 protone (H+), e OH, con l’ossigeno ossidato da -2 a -1. L’elettrone va quindi a “ricaricare” la clorofilla a del centro di reazione.

Il destino dell’OH è quello di unirsi a un altro OH, liberando acqua, riportando l’ossigeno allo stato ridotto (-2), e “mezza” molecola di ossigeno, che verrà presto unita a un’altra metà per liberare o s s i g e n o g a s s o s o ( m e c c a n i s m o n o n a n c o r a c h i a r i t o completamente).

Il fotosistema I, invece, non riceve elettroni dall’acqua (la fotolisi è

“esclusiva” del fotosistema II), ma da una catena di trasporto degli elettroni che proviene dal fotosistema II.

In questo modo, si instaura un processo non ciclico di trasferimento di elettroni dall’acqua ai due fotosistemi, elettroni che saranno usati per ridurre il NADP+ a NADPH.

(40)

H

2

O + NADP

+

NADPH + H

+

+ ½ O

2

; ΔG

0’

= + 218 KJ/mol NADPH

In conclusione, il donatore iniziale di elettroni è l’ossigeno dell’acqua, che si ossida (nei tilacoidi), e l’accettare finale è il NADP+ (nello stroma dei cloroplasti).

Un sistema ossidoriduttivo avente un potenziale fortemente negativo (NADPH+H+ / NADP+: E0 = -0,32 V) è di fatto ridotto ad opera di un sistema ossidoriduttivo con potenziale estremamente positivo (H2O/½O2: E’0= +0,82 V), e quindi richiede energia per avvenire.

(41)

½ O2

(42)

La produzione dell’NADPH+H+ è in ultima analisi un processo ossido-riduttivo che avviene grazie al cambiamento di stato dei centri di reazione: questi diventano “generosi” quando sono eccitati, cedendo un elettrone ad un accettore, che si riduce, l’ultimo dei quali è l’NADP+.

Il salto energetico tra la coppia H2O / NADPH+H+ è così elevato, che abbiamo bisogno di due cambiamenti di status ossidoriduttivo, e quindi di due fotosistemi.

Infatti quando il fotosistema I funziona da solo (fotososforillazione ciclica) non produce NADPH, ma solo ATP.

(43)

Clorofilla a (Chl a)

Tipo di clorofilla di colore verde-blu presente in (quasi?) tutti gli organismi con fotosintesi OSSIGENICA, dove partecipa come pigmento primario alla captazione dell'energia luminosa.

La molecola della clorofilla a è costituita da 4 anelli pirrolici sostituiti, uno dei quali ridotto, e da una lunga catena laterale terpenoide (fitolo); i due gruppi acidi sono esterificati uno dall'alcool metilico e l'altro dal fitolo.

La molecola che ne risulta presenta un polo idrofilo, quello con il nucleo tetrapirrolico, ed uno idrofobo, quello con il fitolo. Nei solventi organici presenta un massimo di assorbimento della luce alla lunghezza d'onda intorno a 430 e 660 nm. Ciò significa che assorbe la luce rossa e blu mentre la verde viene riflessa: ecco perché le foglie sono verdi!

(44)
(45)
(46)

Riferimenti

Documenti correlati

Requisiti minimi: per poter essere ammesso alla classe richiesta il candidato deve conoscere i contenuti nella loro globalità, esporre in modo semplice e saper compiere analisi

Un atomo molto elettronegativo tende ad attirare elettroni liberi ed, inoltre, quando forma molecole, tende ad attirare gli elettroni degli altri atomi, generando

Questo perché, secondo la legge di Lavoisier¸ la somma delle masse dei reagenti che partecipano ad una reazione chimica deve essere uguale alla somma delle masse

Ci saranno, quindi, 2 orbitali ibridi (s + uno dei p), che si dispongono sullo stesso piano con angoli di di 180°, e 2 orbitali “p” non ibridati, che si si pongono perpendicolari

È doveroso fare presente alla persona intervistata che i suoi dati sensibili non saranno diffusi pubblicamente ma che le informazioni fornite potrebbero

Grazie alla partecipazione dei principali attori del settore e alcuni esponenti delle istituzioni, si è aperto un importante tavolo di discussione tra le filiere-chiave

La riunione del 26 novembre del Consiglio Pastorale, pur vissuta online per l’aggravarsi della pandemia, è stata molto proficua, affrontando in par- ticolare la problematica delle

L’atomo di carbonio riemerso dal dattiloscritto assumeva per me, in quel momento, dopo il mio studio attento, un significato più profondo, non solo un