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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÁ DI BOLOGNA DIRITTO DI ACCESSO E DIRITTO ALLA RISERVATEZZA. Tesi di laurea in Diritto amministrativo

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Matricola n. 0000241821

ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÁ DI BOLOGNA

FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA CORSO DÌ LAUREA MAGISTRALE

DIRITTO DI ACCESSO E DIRITTO ALLA RISERVATEZZA

Tesi di laurea in Diritto amministrativo

Relatore Presentata da Prof. Girolamo Sciullo Donato Lepore

Sessione Prima

Anno Accademico 2009/2010

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CAPITOLO PRIMO

COSA SI INTENDE PER DIRITTO DI ACCESSO E COS’È LA RISERVATEZZA

1.1 Questioni definitorie: il diritto di accesso ai documenti

amministrativi ... Pag. 1 1.2 Il diritto alla riservatezza ... » 6

CAPITOLO SECONDO

IL QUADRO NORMATIVO IN TEMA DI ACCESSO E RISERVATEZZA

2.1 Un breve percorso storico ... Pag. 11 2.2 Il fondamento costituzionale del diritto di accesso e della riservatezza . » 20 2.3 I rapporti tra la legge n. 241 del 1990 ed il decreto legislativo

n. 196 del 2003 ... » 24

CAPITOLO TERZO

IL BILANCIAMENTO TRA IL DIRITTO DI ACCESSO E LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA

3.1 La ricerca di un equilibrio tra il diritto di accesso e la tutela della riservatezza nella dottrina e nella giurisprudenza ... Pag. 39 3.2 Il ruolo della pubblica amministrazione nel rapporto tra accesso e

riservatezza: la valutazione sull’istanza di accesso ed il criterio del

«pari rango» ... » 50

3.3 Quando l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa degli interessi giuridici del richiedente ... » 57

3.4 L’accesso ai propri dati personali ... » 60 3.5 Il diritto di accesso relativo alla conoscenza di documenti contenenti

dati personali comuni ... » 65 3.6 L’accesso a documenti contenenti dati sensibili e giudiziari di titolarità

di un soggetto diverso dal richiedente ... » 68

3.7 L’accesso a documenti contenenti dati “supersensibili” riferibili ad un soggetto terzo ... » 73

3.8 Il caso dei documenti contenenti dati psico-attitudinali ... » 76

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CAPITOLO QUARTO MEZZI DI TUTELA

4.1 Sulla possibilità dell’interessato (titolare del diritto alla riservatezza) di opporsi, con ricorso al Garante o al giudice ordinario, ad un’istanza di accesso a documenti amministrativi contenenti suoi dati personali ... Pag. 79

4.2 La responsabilità della Pubblica Amministrazione nella gestione del

diritto di accesso e del diritto alla riservatezza ... » 89

4.3 La tutela risarcitoria del diritto di accesso e del diritto alla riservatezza » 95

CAPITOLO QUINTO IL DIRITTO D’ACCESSO E LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA NELLE LEGISLAZIONI STRANIERE ED IN AMBITO EUROPEO 5.1 L’accesso ai documenti comunitari ... Pag. 101 5.2 Il diritto d’accesso e la tutela della riservatezza nel contesto internazionale ... » 109

5.2.1 Il diritto di accesso e la tutela della riservatezza in Francia ... » 109

5.2.2 La disciplina spagnola ... » 112

5.2.3 L’accesso e la privacy nel Regno Unito ... » 114

5.2.4 Il diritto di accesso e la tutela della privacy negli Stati Uniti d’America ... » 117

CONCLUSIONI ……… Pag. 121

BIBLIOGRAFIA ……… Pag. 123

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CAPITOLO PRIMO

COSA SI INTENDE PER DIRITTO DI ACCESSO E COS’È LA RISERVATEZZA

SOMMARIO: 1.1 Questioni definitorie: il diritto di accesso ai documenti amministrativi. – 1.2 Il diritto alla riservatezza.

1.1 QUESTIONI DEFINITORIE: IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI.

Norma di riferimento per ciò che attiene al diritto di accesso ai documenti amministrativi, e più in generale al procedimento amministrativo, è la legge del 7 agosto 1990, n. 241, intitolata: «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi».

Al diritto di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione, è dedicato il Capo V («Accesso ai documenti amministrativi»), nello specifico gli artt. 22 e seguenti.

Come espressamente indicato dal legislatore, l’accesso è inteso anzi tutto come «il diritto degli interessati a prendere visione e ad estrarre copia di documenti amministrativi».1

Ne sono titolari «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».2

Per documento amministrativo si intende, invece, «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale».3

Una definizione molto ampia che ricomprende quindi, qualsiasi atto detenuto da una pubblica amministrazione e concernente attività di pubblico interesse.

Il diritto di accesso, come dottrina e giurisprudenza hanno indicato, è stato concepito al preminente scopo «di consentire ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, onde poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese»4, secondo una logica ed un’azione di riequilibrio dei rapporti fra cittadino e cosa

1 Art. 22, c.1, lett. a), legge 7 agosto 1990, n. 241.

2 Art. 22, c.1, lett. b), l. n. 241/1990.

3 Art. 22, c.1, lett. d), l. n. 241/1990.

4 Cons. St., Sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4855, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2006, v. 7-8, p. 2170.

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pubblica, intese a risollevare il primo da una condizione di debolezza nei confronti della seconda.5

L’accesso agli atti della pubblica amministrazione è consentito solo a coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente, si riferiscono, e che se ne possono eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva, la quale, anche se non deve assumere necessariamente la consistenza del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo6, «deve essere, però, giuridicamente tutelata, non potendo identificarsi con il generico e indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa».7

La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata e rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

Il documento amministrativo costituisce un limite “fisico” all’accesso, nel senso che le informazioni in possesso delle amministrazioni sono accessibili nella misura in cui abbiano forma documentale (art. 22, c. 4), e solo fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere il documento amministrativo oggetto della richiesta (art. 22, c. 6).8

Elementi fondamentali che caratterizzano l’accesso ai documenti amministrativi, sono identificabili, in primo luogo, «nell’interesse personale e concreto, diretto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, di colui che ne vanta la titolarità».9

Pertanto, si può accedere soltanto a quei documenti che abbiano un riflesso diretto sulla posizione del richiedente.

La disposizione di legge, indica espressamente che l’accesso ai documenti amministrativi è consentito solo a coloro cui gli atti, di cui si domanda l’ostensione, si riferiscono e che se ne possono avvalere per la tutela di una propria posizione soggettiva giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso (ex art.

22, c. 1, lett. b).

5 G. ARENA, voce Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., Treccani, Roma, 1995, v. XXXI, p. 1.

6 Secondo una prima interpretazione data dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. 24 giugno 1999, n. 16), è stata qualificata d’interesse legittimo la posizione giuridica soggettiva cui si correla il c.d.

diritto d’accesso. La pronuncia tuttavia non ha sopito il dibattito giurisprudenziale sulla natura giuridica del diritto di accesso, poiché anche dopo il 1999, alcune decisioni hanno ribadito la natura di diritto soggettivo. Sulla questione è tornata a pronunciarsi l’adunanza plenaria, ritenendo non utile prendere posizione sulla questione, dovendo essere il diritto di accesso qualificato come una situazione soggettiva strumentale la quale, più che fornire vantaggi finali, offre all’interessato poteri di natura procedimentale volti alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante. (Ad. Plen. Cons. St., 20 aprile 2006, n. 7 in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2006, v. 4, p.1121).

7 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 6 marzo 2008, n. 1136, in Foro amm. T.A.R., Giuffrè, Milano, 2008, v. 3, p. 802.

8 E. MENICHETTI, La conoscibilità dei dati: tra trasparenza e privacy in La trasparenza amministrativa a cura di F. MERLONI, G. ARENA, G. CORSO, G. GARDINI, C. MARZUOLI, Giuffrè, Milano, 2008, p. 287.

9 T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 15 settembre 2008, n. 8302, in Foro amm. T.A.R., Giuffrè, Milano, 2008, v. 9, p. 2472.

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Pertanto, colui che richiede l’accesso ai documenti amministrativi deve trovarsi in una posizione differenziata, diversa da quella della generalità dei consociati, costituita dalla titolarità di una situazione giuridica protetta dall’ordinamento.

L’interesse deve essere personale, riferibile al soggetto che lo fa valere, non essendo ammissibile l’accesso proposto per il conseguimento di un vantaggio di un terzo.

Inoltre, l’interesse a visionare il documento deve essere attuale, nel senso che deve sussistere al momento della proposizione dell’istanza, e non può essere permesso l’accesso quando l’interesse o la lesione arrecata dal provvedimento che si chiede di conoscere sia incerta o eventualmente futura.

L’interesse, infine, deve essere concreto, nel senso di non evanescenza, bensì, tangibilità dell’interesse. La posizione soggettiva del richiedente deve essere idonea a rendere utile la conoscenza del documento, di modo che un eventuale diniego dell’istanza di accesso realizzi un fatto lesivo nella sfera giuridica dello stesso.

Di conseguenza, il richiedente deve vantare un interesse non astratto ma calato in una situazione giuridicamente rilevante, in tal senso si sono volute escludere «istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni».10

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è quindi un diritto riconosciuto al cittadino in funzione dei rapporti con lo Stato e la Pubblica Amministrazione, al fine di garantirne la trasparenza di quest’ultima. Esso può essere esercitato, anche se non vi è un procedimento amministrativo in corso, e da ciò deriva «l’autonomia dell’accesso rispetto al procedimento».11

È stato indicato, infatti, che «la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto della sua richiesta di accesso, abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare, effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto».12

L’istituto in questione è caratterizzato da «una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale e dalla stessa possibilità di una sua instaurazione, poiché, il diritto di accesso è collegato a una riforma di fondo dell’amministrazione, informata ai princípi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa»13, che

10 Art. 24, c. 3, l. n. 241/1990; Cons. St, Sez. VI, 6 marzo 2009, n.1351, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2009, v. 3, p. 786.

11 E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2005, p. 434.

12 T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 11 febbraio 2009, n. 1596 in www.giustizia- amministrativa.it/ricerca2/index.asp; Cons. St., Sez. VI, 27 ottobre 2006, n. 6440, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2006, v. 10, p. 2889.

13 Cons. St., Sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6424, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2007, v. 12, p.

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s’inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e all’attività amministrativa.14

Oggetto di dispute giurisprudenziali è stato, poi, anche il tema dell’applicabilità delle norme in esame, in materia di accesso agli atti di diritto privato posti in essere dall’amministrazione pubblica.

La giurisprudenza, prevalentemente, accoglieva l’indirizzo dottrinale propenso a circoscrivere la sfera oggettuale del diritto di accesso, ai soli atti inerenti attività almeno latamente riconducibili all’esercizio di potestà, o comunque di strumenti pubblicistici, escludendo l’esercizio del diritto di accesso in relazione ad attività di diritto privato.15

In un secondo momento, poi, il Consiglio di Stato è giunto ad affermare il princípio secondo cui devono ritenersi documenti amministrativi, e in quanto tali, potenziale oggetto del legittimo esercizio del diritto di accesso, non solo quelli relativi ad atti che sono espressione di poteri autoritativi della pubblica amministrazione, ma anche quelli relativi ad atti di diritto privato, posti in essere dall’amministrazione, e finalizzati, al pari dei primi, alla cura concreta degli interessi della collettività.16

Il diritto di accesso non può essere riconosciuto, invece, in presenza di attività esclusivamente privatistica attuata dall’amministrazione, dove essa agisce come un soggetto privato e non è titolare di potere, un’attività che da luogo ad atti contrattuali di natura civilistica, in ordine alla quale l’amministrazione è carente di qualsivoglia discrezionalità amministrativa e che non può qualificarsi come procedimento amministrativo.17

Nel dare soluzione alla questione dell’ammissibilità del diritto di accesso con riferimento all’attività di diritto privato della pubblica amministrazione, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nelle pronunce n. 4 e 5 del 1999 rimarca che, «ciò che assume importanza, è che l’attività, ancorché di diritto privato costituisca, nella sua essenza, cura di un interesse pubblico e, soprattutto, debba essere espletata nel rispetto del canone d’imparzialità».18

Nella definizione di documento amministrativo, ex art. 22, lett. d), della legge n.

241/1990, come modificata nel 2005, il legislatore ricomprende espressamente quegli atti detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. Il legislatore, in tal modo, recepisce gli esiti dell’evoluzione

14 Ad. Plen. Cons. St., 18 aprile 2006, n. 6, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2006, v. 4, p. 1119, dove la plenaria richiama le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Art. 11

«Libertà di espressione e d'informazione» e Art. 41 «Diritto ad una buona amministrazione».

15 Cons. St., Sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, in Giorn. dir. amm., IPSOA, Milano, 1995, v. 11, p. 1061, con nota di A. SANDULLI.

16 Cons. St., Sez. IV, 4 febbraio 1997 n. 82, in Giur. it., U.T.E.T., Torino, 1997, III, v. 1, p. 1498, con nota di E. CANNADABARTOLI, Accesso ad atti di diritto privato di pubbliche amministrazioni.

17 Cons. St., Sez. IV, 15 gennaio 1998, n. 14, in Guida al diritto, 1998, v. 10, p. 78, con commento di O.

FORLENZA, Sul diritto soggettivo all'informazione un orientamento che suscita perplessità.

18 Ad. Plen. Cons. St., 22 aprile 1999, n. 4-5, in Foro amm., Giuffrè, Milano, 1999, v. 3-4, p. 593; più di recente Cons. St., Sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1363 in www.giustizia-amministrativa.it/ricerca2/index.asp

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giurisprudenziale, ed esclude che possa rilevare la modalità, pubblicistica o privatistica, dell’attività svolta dalla pubblica amministrazione in tema di accesso.

La pubblicità dei documenti amministrativi, oggi princípio generale, in passato era impedita o resa difficile dal dovere di segreto d’ufficio cui era tenuto il pubblico impiegato (art. 15 D.P.R. n.3/1957).19

Il princípio della segretezza è stato soppiantato dal princípio della trasparenza, che l’art. 1 della legge 241/1990 include tra i princípi generali dell’attività amministrativa, e la trasparenza ha nel diritto di accesso del cittadino alla documentazione amministrativa una delle manifestazioni più rilevanti.20

La pubblica amministrazione in caso di rigetto dell’istanza di accesso, deve fornire una valida giustificazione, motivando il diniego con la necessità di proteggere, mediante il segreto, uno o più interessi legislativamente previsti.21 Il segreto, quindi perde la valenza di princípio generale informatore dell’operato della pubblica amministrazione e diviene un’eccezione alla regola della trasparenza.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi si lega, sia a esigenze di tutela del singolo (il «diritto» è riconosciuto per salvaguardare posizioni giuridicamente rilevanti che preesistono, quali «diritti soggettivi» e «interessi legittimi», e che attraverso l’accesso sono salvaguardati), che a finalità d’interesse generale, com’è ben manifestato dalla dizione dell’art. 22, comma 2° della legge 241/1990, che riconosce come

«l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce princípio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza».

Il diritto di accesso alla documentazione amministrativa costituisce, quindi, una delle manifestazioni più rilevanti del concetto di trasparenza dell’amministrazione, ma esso, però viene in rilievo anche per avere un rapporto, per molti aspetti conflittuale, con le esigenze di riservatezza di terzi.

Alcuni problemi sorgono quando l’ostensione di un documento incide sulla posizione di altri.

19 Secondo l’art.15 del D.P.R. n 3/1957 («Statuto degli impiegati civili dello stato»), l’impiegato era tenuto al segreto d’ufficio e non poteva dare a chi non ne avesse diritto informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti e operazioni amministrative quando potesse derivarne danno per l’amministrazione e per i terzi. Con la nuova disciplina (contenuta nell’art. 28, l. 241/1990, che modifica il contenuto dell’art. 15 cit.) viene mantenuto il limite della riservatezza dei terzi, ma non opera più il limite del danno per l’amministrazione.

20 G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli Ed., Torino, 2006, p. 204.

21 Ai sensi dell’art. 24, l. 241/1990, il diritto di accesso risulta escluso per i documenti coperti da segreto di Stato, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo e dalle pubbliche amministrazioni; nei procedimenti tributari; nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. Inoltre, le pubbliche amministrazioni individuano con propri regolamenti le categorie di documenti che sono esclusi dal diritto di accesso. Al Governo è delegata la facoltà di emanare un regolamento che disciplini casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi quando, ad esempio, possa derivare una lesione alla sicurezza e alla difesa nazionale; in casi di pregiudizio alla politica monetaria e valutaria; per la tutela dell'ordine pubblico; per prevenire e reprimere la criminalità; e quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni.

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La legge n. 241/1990, distingue tra la figura di «interessati», (soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, ex art. 22, c. 1, lett. b) e «controinteressati», (soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza, ex art. 22, c. 1, lett. c).

Ed è appunto il controinteressato, il soggetto nei cui confronti possono sorgere le esigenze di riservatezza a seguito di un’istanza di accesso.

Il controinteressato, deve essere avvisato dell’avvio del procedimento, egli è parte sostanziale, in quanto deve essere messo in grado di far conoscere all’amministrazione le ragioni del suo eventuale dissenso.

La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, è tenuta a darne comunicazione agli stessi.22 Inoltre, entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione alla richiesta di accesso.23

1.2 IL DIRITTO ALLA RISERVATREZZA.

La nascita della nozione moderna di riservatezza, che in inglese è detta generalmente privacy, viene fatta comunemente risalire ad una vicenda americana di fine ottocento. A Boston, nel 1890, le cronache mondane dei giornali riservavano considerevole spazio alla moglie del famoso avvocato Samuel Warren, della qual cosa l’avvocato era naturalmente infastidito.

Warren decise, allora, di scrivere un articolo con il suo amico, Louis Brandeis, un giudice progressista, poi componente della Corte suprema degli Stati Uniti, articolo rimasto famoso: “The right to Privacy”, pubblicato nel 1890 sulla “Harvard Law Review”, tuttora considerato il punto di partenza della privacy.24

Essi sostennero che ogni individuo ha il diritto a non subire alcuna interferenza nella propria vita privata, ad essere lasciato solo, il c.d. “right to be let alone”.

Il concetto di privacy si è rinnovato nel tempo, ridefinendo i suoi contenuti, adattandoli a cambiamenti politici, economici e tecnologici, alle conseguenze di questi

22 L’art. 3, c. 1, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, prevede che «[…] la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione».

23 Ai sensi dell’art. 3, c. 2, D.P.R. n. 184/2006, «Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso».

24 S. WARREN, L.BRANDEIS, “The right to privacy” in Harvard Law Review, vol. IV, no. 5, December, 1890, p. 193.

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sul tessuto sociale, interpretando in modo dinamico le richieste di tutela di un bene fondamentale, che è venuto configurandosi come «parte necessaria di quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale non può svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana».25

La nozione di riservatezza si delinea inizialmente come diritto soggettivo, retaggio di una concezione del diritto di proprietà tipicamente ottocentesca. Essa era intesa, infatti, in un’ottica individualistica in cui condizione imprescindibile per l’accesso alla sfera privata, al proprium del soggetto interessato, era il suo consenso.26

In una società come quella attuale, che si fa più ricca e complessa, e dove le relazioni si basano sempre meno sul contatto diretto, e sempre più su rapporti costruiti attraverso la comunicazione e lo scambio d’informazioni personali, la nozione di riservatezza è diventata nel tempo riduttiva, intesa nella sua accezione tradizionale, sta infatti ad indicare il diritto a essere lasciati soli, a non essere disturbati da intrusioni altrui.

La privacy, pensata soprattutto come protezione contro la divulgazione di notizie private, ha via via lascito il posto a una tutela più ampia, che garantisce all’individuo il controllo su tutte le informazioni che lo riguardano, dandogli la possibilità di seguirle nei loro movimenti, di autorizzarne le diverse elaborazioni, di rettificarle e di bloccarne il flusso ove se ne faccia un uso illegittimo.

Un diritto, quello alla riservatezza, che supera la semplice tutela della propria intimità, per manifestarsi sempre più come garanzia del diritto di compiere libere scelte, senza essere condizionati o discriminati in base all’immagine che altri hanno costruito sugli interessati. Cessa di essere un diritto individuale per assumere una dimensione sociale, legandosi fortemente alla libertà, sia individuale sia collettiva.27

Com’è stato affermato in dottrina, un concetto così ampio di privacy, conduce non proprio alla formulazione di un diritto, sibbene a una «costellazione di diritti»28, non tanto accumunati da caratteri strutturali o formali, quanto da una certa matrice ideale di rifiuto d’intrusioni non consentite in una sfera riconosciuta come propria della persona.

Ad esempio, rientrano in tale «costellazione di diritti», il diritto all’intimità, all’identità personale, al nome, all’immagine, all’onore, alla reputazione, all’integrità psico-fisica ecc.29

Estensione del diritto alla riservatezza è rappresenta, poi, dal diritto alla protezione e al controllo dei dati di carattere personale. Tale diritto esprime la volontà dell’ordinamento di riconoscere e tutelare la c.d. «autodeterminazione informativa» dei soggetti, in altre parole, la possibilità di decidere e scegliere in autonomia gli ambiti e le modalità di circolazione delle informazioni che li riguardano.

25 Corte Cost., 23 luglio 1991, n. 366, in Giur. cost., Giuffrè, Milano, 1991, p. 2914.

26 P. LIBERTI, Brevi notazioni sui profili problematici del diritto alla privacy tra tutela della persona e diritto di accesso, in Nuova rass. legisl. dottr. giur., Noccioli Ed., Firenze, 2009, n. 2, p. 149.

27 G. GIACOBBE, voce Riservatezza (diritto alla), in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1990, v. XL, p. 1243.

28 F. MODUGNO, I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli Ed., Torino, 1995, p.

20.

29 A. CERRI, voce Riservatezza (diritto alla) III) Diritto Cost., in Enc. giur., Treccani, Roma, 1995, v.

XXVII, p. 3.

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Nel nostro ordinamento una tutela organica dei dati personali è stata introdotta con la legge del 31 dicembre 1996, n. 675, attuativa della direttiva comunitaria 46/95/CE30, e ora confluita nel d.lgs. n. 196/2003.

Prima di allora mancava una normativa relativa sia, alla tutela della riservatezza, che alla sua esplicazione più specifica attinente alla protezione e al controllo dei dati di carattere personale.

Anche se la Carta Costituzionale non fa un esplicito riferimento al diritto alla privacy, essendo essa espressione di un periodo storico dove tale protezione non era così sentita come lo è oggi, la tutela della riservatezza ha trovato in passato, prima della normativa del 1996, un’indiretta protezione attraverso il riferimento alle disposizioni della Costituzione concernenti la tutela della libertà personale (art. 13), l’inviolabilità del domicilio (art. 14), la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15), nonché, la libera manifestazione del pensiero, intesa nel suo profilo negativo di diritto a non rivelare le proprie convinzioni (art. 21), oltre che nell’art. 2 dove si riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo.

Atti che rappresentano la causa più immediata dell’approvazione della legge sulla tutela dei dati personali nell’ordinamento italiano, sono la Convenzione del Consiglio d’Europa n. 108 del 1981 (c.d. Convenzione di Strasburgo), e, come indicato in precedenza, la direttiva n. 95/46/CE.

Documento fondamentale è rappresentato inoltre, dall’Accordo di Schengen, mirante a creare uno spazio comune per la libera circolazione delle persone e delle merci, attraverso la progressiva soppressione dei controlli alle frontiere.31

L’approvazione della legge n. 675/1996 ha segnato un passaggio di estrema importanza nella definizione del diritto alla riservatezza. Ciò, sia perché ha consentito di andare oltre i confini di un diritto fondato essenzialmente sull’elaborazione dottrinale o, al più, giurisprudenziale, sia, perché ha portato al definitivo superamento della concezione di esso come diritto ad essere lasciati soli, prerogativa soprattutto di poche personalità particolarmente note, per affermarsi come diritto ugualmente goduto da tutti i cittadini: il diritto all’autodeterminazione informativa, vale a dire, la possibilità, per il cittadino, di poter controllare tutte le informazioni che lo riguardano.

Inoltre, parallelamente all’allargamento dei soggetti interessati dalla tutela, è stato ampliato l’oggetto della stessa protezione, non più solamente le informazioni personali più delicate, quali quelle inerenti allo stato di salute e la vita sessuale, ma di tutti i dati comunque riferibili ad un soggetto.

Il fine della normativa sulla protezione dei dati personali è quello di assicurare alle persone il controllo sul flusso delle proprie informazioni. Più che stabilire divieti, il legislatore prevede una serie di adempimenti per chi intende utilizzare i dati.

30 Direttiva n. 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dei Ministri relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, emanata il 14 ottobre 1995, in G.U.C.E., n. 281 del 23 novembre 1995.

31 L’autorizzazione alla ratifica dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 è stata data dall’Italia con la legge del 30 settembre 1993, n. 338.

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Adempimenti che variano secondo il tipo di dati, dell’uso che se ne intende fare, e dell’utilizzatore.

Oggi la normativa sulla protezione dei dati personali e sulla tutela della riservatezza è contenuta nel d.lgs. del 30 giugno 2003, n. 196, che raccoglie e integra la fitta disciplina originata da numerosi decreti delegati previsti dalla legge 676/1996 per dare attuazione alla normativa in materia.32

La tutela della sfera privata del singolo si concretizza nel diritto di pretendere che le informazioni, concernenti la sua persona, non siano fatte circolare, o comunque, nel diritto di conservare il controllo sull’uso di tali informazioni al fine di intervenire, eventualmente, per integrarle, modificarle, o addirittura, per ottenerne la distruzione.

In conclusione, quindi, ecco che si è avuta una sorta di maturazione della riservatezza: all’inizio era il diritto a isolarsi, a non avere interferenze esterne, poi è diventato il diritto di poter controllare tutte le informazioni personali raccolte da altri.

32 L’art. 1, della legge 31 dicembre 1996, n. 676, dispone che «Il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative della legislazione in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali […]».

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CAPITOLO SECONDO

IL QUADRO NORMATIVO IN TEMA DI ACCESSO E RISERVATEZZA

SOMMARIO: 2.1 Un breve percorso storico. – 2.2 Il fondamento costituzionale del diritto di accesso e della riservatezza. – 2.3 I rapporti tra la legge n. 241 del 1990 ed il decreto legislativo n. 196 del 2003.

2.1 UN BREVE PERCORSO STORICO.

Il rapporto tra l’attività della pubblica amministrazione e la riservatezza di terzi, è divenuto sempre più conflittuale da quando il legislatore, dapprima con la legge n. 142 del 1990 e poi con la coeva legge n. 241 del 1990, ha aperto le porte delle amministrazioni pubbliche agli amministrati, garantendo loro, in via generalizzata, l’accesso ai documenti amministrativi, ivi compresi quelli contenenti dati personali.

In passato, il problema era meno sentito in quanto «la non divulgazione dei dati in possesso dell’amministrazione, che costituiva la regola dell’agire amministrativo, di fatto impediva la configurazione di una lesione della riservatezza dei terzi in forza di un comportamento del soggetto pubblico».33

La questione viene fuori in tutta la sua complessità nel 1990, quando, con la legge n.

241, si attua una vera e propria «rivoluzione copernicana nei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini»34, cambiamento che è stato in qualche misura anticipato di alcuni mesi dalla legge 8 giugno 1990, n. 14235, il cui ambito di operatività era però limitato esclusivamente agli atti degli enti locali, mentre la legge n. 241/1990 disciplina il diritto di accesso ai documenti, nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche.

Grazie alla legge del 7 agosto 1990, n. 241, non a caso conosciuta come la legge sulla trasparenza amministrativa, si edifica nel nostro ordinamento un nuovo sistema di valori che, ribaltando l’impostazione tradizionale ancorata al segreto amministrativo, eleva «il diritto d’accesso e la pubblicità, a regola dell’azione amministrativa, relegando il segreto al ruolo di eccezione».36

33 Così, E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2005, p. 410.

34 C.E. GALLO, voce Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., U.T.E.T., Torino, Agg., 2000, p. 1.

35 L’art. 7 della legge 8 giugno 1990, n. 142, ora confluito nell’art. 10 T.U. Enti locali, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, stabilisce il diritto di accesso di tutti i cittadini, singoli e associati, agli atti amministrativi di enti locali, di ottenere coppie degli atti previo pagamento dei soli costi, ed il diritto di accesso alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione.

36 In questi termini, P. TANDA, voce Trasparenza (princípio di), in Dig. disc. pubbl., U.T.E.T., Torino, Agg., 2008, p. 888.

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Il punto di partenza della riforma degli anni novanta, è rappresentato dall’esigenza di trasformare l’amministrazione in «una casa di vetro»37, all’interno della quale, tutto è sempre e costantemente visibile.

Questo in una visione democratica dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, in quanto «la piena visibilità, tende a promuovere un controllo dell’attività amministrativa, minuzioso dal basso, tale da garantire il massimo grado di correttezza e d’imparzialità».38

Il segreto sull’attività amministrativa, come indicato, era fino alle leggi del 1990 la regola dell’operare della pubblica amministrazione.

Le norme dello Statuto dei dipendenti pubblici39, e il Codice penale40, prevedevano espressamente il segreto d’ufficio per il funzionario pubblico, il quale era tenuto a non divulgare notizie sull’attività dell’amministrazione, in una misura determinata dall’amministrazione medesima.41

L’obbligo del segreto era individuato come una connotazione peculiare del rapporto di pubblico impiego, uno «strumento volto a consentire il buon andamento dell’amministrazione, dove l’assenza di una conoscenza preventiva, in ordine alle scelte amministrative, costituiva elemento essenziale per la corretta formazione delle stesse, e per la loro efficace esecuzione».42

Il segreto caratterizzava l’idea di un’amministrazione che s’immaginava dotata sempre di potere, ciò perché si riteneva che il destinatario della decisione amministrativa dovesse semplicemente subirla, poiché una sua forma di collaborazione era del tutto impensabile.43

Con la legge n. 241 del 1990, l’accesso viene configurato come un princípio generale dell’attività amministrativa volto ad assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Si dà in tal modo forma ai canoni d’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica, enunciati nell’art. 97 della Costituzione.

Il diritto di accesso garantisce l’imparzialità, in quanto consente al destinatario, non solo di acquisire notizie, ma di farne un uso finalizzato alla tutela delle sue posizioni, e

37 Espressione usata per la prima volta da Filippo Turati nella discussione generale in Parlamento relativa alla legge 25 giugno 1908, n. 290.

38 In questo senso, G. ARENA, voce Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., Treccani, Roma, 1995, v.

XXXI, p. 2.

39 Art 15 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, secondo il quale l’impiegato pubblico era tenuto al segreto d’ufficio e non poteva dare a chi non ne avesse diritto informazioni o comunicazioni relative a provvedimenti e operazioni amministrative quando potesse derivarne danno per l’amministrazione e per i terzi.

40 Art 326 c.p. relativo alla «Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio», il quale prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni per il funzionario pubblico che riveli notizie d’ufficio che debbano rimanere segrete, o ne agevoli la conoscenza.

41 C.E. GALLO, voce Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., U.T.E.T., Torino, 2000, Agg., p. 2.

42 In tal senso, G. ARENA, Il segreto amministrativo, Profili teorici, v. II, CEDAM, Padova, 1984, p. 22.

43 C.E. GALLO, voce Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., U.T.E.T., Torino, 2000, Agg., p. 4.

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cioè di partecipare al procedimento amministrativo, prima che la scelta finale sia compiuta.

Cambia profondamente il rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione, in quanto, come dottrina ha indicato, «oggi i cittadini possono vedere l’attività amministrativa nel suo formarsi, essendo venuto meno l’obbligo del segreto».44

Si è avuto, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, anche nel nostro ordinamento, il passaggio da una concezione soggettiva e personale del segreto amministrativo, ad una concezione oggettiva e reale, più consona ad un’amministrazione moderna.

Il segreto amministrativo «non è più rapportato alla qualità della persona che detiene la notizia, bensì alla qualità delle informazioni protette dal segreto, ciò che rileva, è la tipologia delle informazioni, il loro rapporto con determinati interessi, e non la qualità del soggetto che le detiene».45

L’interesse pubblico alla trasparenza dell’azione amministrativa, mal si concilia però, con le esigenze di riservatezza dei terzi, che dalla richiesta di accesso potrebbero vedere leso il loro diritto alla privacy.

Il problema nasce anzitutto dall’assenza fino al 1996, anno in cui sarà emanata la prima legge in tema di trattamento dei dati personali, di una normativa specifica relativa alla riservatezza, e dal grado di ampiezza dato dal legislatore della legge n. 241/1990 alla disciplina generale in tema di diritto di accesso.

Infatti, la legge n. 241/1990 è informata al princípio, per cui, la regola generale è l’accesso, e le ipotesi in cui i documenti possono essere sottratti, sono soltanto eccezioni.

La norma, all’art. 24 c. 2, nella sua formulazione originaria, individuava limiti oggettivi all’istanza di accesso ai documenti amministrativi, consistenti nella sicurezza, nella difesa nazionale, nelle relazioni internazionali (lett. a), politica monetaria e valutaria (lett. b), ordine pubblico, prevenzione e repressione della criminalità (lett. c), e appunto, la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo agli interessati, la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici (lett. d).46

La legge sul procedimento amministrativo, pertanto, pur senza fornirne una definizione o una disciplina specifica, poneva il diritto alla riservatezza, ai sensi dell’art.

24, c. 2, lett. d), tra i limiti al diritto di accesso ai documenti amministrativi.

44 G. ARENA, voce Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., Treccani, Roma, 1995, v. XXXI, p. 2.

45 Corte Cass. Pen., Sez. VI, 15 marzo 2001, n. 20097, in tema di violazione del segreto di ufficio del pubblico dipendente, in Giur. It., marzo 2002, U.T.E.T., Torino, p. 1046, nota di FIORINO; Cons. St., Sez. VI, 28 gennaio 2003, n. 2976; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 20 gennaio 1998, n. 201, in www.giustizia-amministrativa.it/ricerca2/index.asp; in dottrina G. ARENA, Il segreto amministrativo, Profili teorici, v. II, CEDAM, Padova, 1984, p. 15.

46 Come formulato in origine, l’art. 24, 2° comma, lettera d), della legge 7 agosto 1990, n. 241, inseriva la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese tra le aree che l’esecutivo era chiamato a salvaguardare mediante l’adozione di regolamenti, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere interessi giuridici.

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Il D.P.R. del 27 giugno 1992, n. 352, costituisce il regolamento attuativo della legge n. 241/1990, esso, disciplina le modalità di esercizio ed i casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi.

Il regolamento dispone che le amministrazioni provvedano all’emanazione di propri atti regolamentari, per l’individuazione dei documenti sottratti all’accesso.

In via generale, erano comunque sottratti all’accesso, ai sensi dell’art. 8 D.P.R.

352/1992, i documenti amministrativi riguardanti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari. Ed inoltre, è disposto che deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici.47

La norma secondaria, riproduce in sostanza l’ossatura dell’articolo 24 della legge n.

241/1990, rinviando alle ulteriori specificazioni delle singole amministrazioni mediante adozione di propri regolamenti.

I regolamenti delle singole amministrazioni, però, si limitarono soltanto ad individuare i singoli tipi di documenti sottratti all’accesso, e a garantire la visione del documento laddove fosse funzionale alla tutela degli interessi giuridici dell’istante.

Pertanto, i richiedenti, di fronte a documenti che riguardassero la vita privata o la riservatezza di altri soggetti, non avrebbero in nessun caso potuto ottenere copia dei documenti, né trascriverli, ma avrebbero esclusivamente potuto prendere visione degli atti di quei procedimenti amministrativi relativi alla tutela dei propri interessi. Visione del documento, che comunque lede ugualmente l’esigenza di riservatezza del terzo.

Il confronto tra i due contrapposti interessi è, nella formulazione originaria della legge n. 241/1990 e del regolamento attuativo, fortemente sbilanciato a favore dell’accesso, il quale «prevale in caso di conflitto con le esigenze di riservatezza, configurando quest’ultimo come un limite non assoluto, e soccombendo quando la visione degli atti sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici». 48

La riservatezza è innalzata a diritto fondamentale, autonomo e degno di effettiva tutela solo con la legge n. 675 del 1996.49 È grazie a questa norma che la privacy, da eccezione o semplice limite al diritto di accesso, diventa «princípio cardine dell’attività amministrativa, almeno equi ordinato alla regola essenziale della pubblicità».50

A livello comunitario, però, già nel 1981 con l’approvazione della Convenzione di Strasburgo sulla protezione delle persone in relazione all’elaborazione automatica dei

47 Art. 8, c. 5, lett d), del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352.

48 Cons. St., Sez. IV, 4 febbraio 1997 n. 82, in Giur. it., U.T.E.T., Torino, 1997, III, v. 1, p. 1498, con nota di E. CANNADABARTOLI, Accesso ad atti di diritto privato di pubbliche amministrazioni.

49 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 5 del 8 gennaio 1997, supplemento ordinario n. 3.

50 M. LIPARI, Riservatezza e accesso ai documenti: le questioni aperte. in Il Corriere del Merito, novembre 2007, IPSOA, Milano, p. 1333.

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dati a carattere personale, tra i cui firmatari vi era anche l’Italia, si ha un primo atto normativo di rilievo in tema di tutela della privacy. 51

La Convenzione di Strasburgo elenca alcuni princípi fondamentali sulla qualità e sulla sicurezza delle informazioni personali, nonché sulle modalità di trattamento, in particolare, si possono segnalare il princípio di correttezza nella raccolta e nel trattamento, il princípio di esattezza, coi correlativi obblighi di aggiornamento e rettifica, il princípio di finalità, la quale deve essere conosciuta prima dell’inizio del trattamento.

Sarà soltanto nel 1996, con l’entrata in vigore della legge n. 675, che l’Italia adotterà una disciplina generale sulla privacy, questo a seguito dell’adozione da parte dell’Unione Europea della direttiva 95/46/CE.52

Aspetti rilevanti della direttiva comunitaria sono oltre che i suoi contenuti, che si presentano sotto diversi profili come profondamente innovativi rispetto alla disciplina della Convenzione del 1981, sia nel tipo di atto adottato dall’Unione, una direttiva, la quale vincola gli Stati membri ad adeguarvisi, e costituisce quindi uno strumento concreto per l’effettiva armonizzazione delle legislazioni degli Stati in tale materia.53

Il quadro normativo così aggiornato vedeva il contestuale operare di due princípi alquanto diversi: il princípio della trasparenza, ex lege n. 241 del 1990, e il princípio di riservatezza, ex lege n. 675 del 1996.

Il legislatore, infatti, nel giro di pochi anni, aveva emanato due normative che si fondavano su posizioni diametralmente opposte, senza preoccuparsi di effettuare gli adeguati e necessari collegamenti.

Infatti, da un lato, nell’operare un bilanciamento tra accesso e riservatezza, la legge n. 241 del 1990 dava prevalenza alla pubblicità, alla trasparenza e conoscenza degli atti quando era finalizzata all’esercizio del diritto di difesa (art. 24, c. 2, lett. d), mentre, dall’altro lato, la legge n. 675 del 1996 dava priorità alla riservatezza dei dati sensibili, sottraendoli all’accesso in tutti quei casi in cui mancava una norma che ne consentisse il trattamento (art. 27, c. 3).54

Più precisamente, l’art. 27, 3° comma, della legge n. 675/1996, stabiliva che i dati personali potessero essere comunicati e diffusi da parte di soggetti pubblici, a privati o a enti pubblici economici, soltanto nelle ipotesi previste da norme di legge o di regolamento.

51 Convenzione del Consiglio d’Europa, 28 gennaio 1981, n. 108, ratificata dall’Italia con legge 21 febbraio 1989, n. 98.

52 Direttiva n. 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dei Ministri relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, emanata il 14 ottobre 1995, in G.U.C.E., n. 281 del 23 novembre 1995.

53 Una delle maggiori innovazioni introdotte dalla direttiva comunitaria consiste nell’aver apportato una tutela della vita privata alle persone in quanto tali, indipendentemente dal fatto che siano parte di un rapporto contrattuale. Si è voluta superare un’impostazione che si limitava a garantire l’individuo relativamente ad una condizione soggettiva temporanea, ad esempio in quanto consumatore o lavoratore, e se n’è invece, in certa misura, assolutizzata la tutela.

54 M. OCCHIENA, Diritto di accesso, atti di diritto privato e tutela della riservatezza dopo la legge sulla privacy, in Dir. proc. amm., Giuffrè, Milano, 1998, p. 407.

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Per quanto riguarda invece il trattamento dei c.d. dati sensibili, quei dati idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l’art. 22 della legge 675/1996 disponeva che fosse una legge ad individuare i dati che potessero essere trattati, le operazioni eseguibili, e le rilevanti finalità d’interesse pubblico da perseguire mediante l’autorizzazione all’accesso.

La soluzione interpretativa accolta in giurisprudenza, si basava sul princípio per cui, quando l’accesso riguardava dati non sensibili, esso doveva ritenersi consentito solo per la tutela d’interessi rilevanti, ed era limitato alla presa visione del documento, nello specifico, con la pronuncia del 4 febbraio 1997, n. 5, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ha indicato che qualora l’accesso ai documenti amministrativi sia motivato dalla cura o dalla difesa di propri interessi giuridici, esso prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo. In tal caso, tuttavia, il richiedente non può ottenere copia dei documenti, ma solo la visione degli atti stessi. 55

Quanto ai dati c.d. sensibili, l’accesso è consentito solo se lo preveda una specifica disposizione di legge che evidenzi le finalità di pubblico interesse, le operazioni eseguibili ed i dati trattabili.

Pertanto, nell’ipotesi in cui l’accesso riguardi dati non sensibili, sarebbe prevalsa la disciplina ex lege 241/1990, che impone un bilanciamento tendenzialmente in favore del diritto di accesso.

Nell’ipotesi in cui venivano in rilievo dati sensibili, invece, il diritto alla privacy non sarebbe stato sacrificabile, in quanto a seguito della legge 675/1996, la pubblica amministrazione avrebbe potuto comunicare i dati sensibili in suo possesso, solo se espressamente autorizzata da una disposizione di legge.

Ciò con la conseguenza che i dati sensibili erano sottratti alla possibilità di essere conosciuti da terzi, anche quando la conoscenza del loro contenuto fosse stata in ipotesi l’unica via per esercitare il diritto di difesa, salvo che una disposizione di legge non consentisse espressamente al soggetto pubblico di comunicare a privati i dati oggetto della richiesta.

Successivamente, è intervenuto il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135, contenente disposizioni integrative della legge 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici.

Con tale disposizione, il legislatore delegato, ha integrato la legge n. 675/1996 sul versante del trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici, individuando

55 Ad. Plen. Cons. St., 4 febbraio 1997, n. 5, in Foro amm., Giuffrè, Milano, 1997, v. 2, p. 423; Cons. St., Sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59, in Giust. civ., Giuffrè, Milano, 1999, p. 2205, con nota di G. GUERRA, L’accesso ai documenti amministrativi, la difesa di interessi giuridici e la tutela della riservatezza, alla luce del nuovo d.lgs. n. 135 del 1999; anche in Corr. giur., IPSOA, Milano, 1999, p. 488, con nota di S.

SICA, Privacy o trasparenza? Un falso dilemma.

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anche alcune rilevanti finalità d’interesse pubblico per cui è autorizzato il trattamento di detti dati.56

Nello specifico, il trattamento dei dati sensibili da parte della pubblica amministrazione può avvenire in caso di espressa previsione di legge che specifichi i dati trattabili, le operazioni eseguibili e le finalità di pubblico interesse ritenute prevalenti, ovvero, in mancanza di legge, la pubblica amministrazione può chiedere al Garante per la protezione dei dati personali, di individuare quali fra le attività poste in essere, debbono considerarsi di rilevante interesse pubblico e come tali consentire il trattamento dei dati.

In oltre, le operazioni eseguibili e i dati suscettibili di trattamento, possono essere determinati dalle stesse amministrazioni mediante atti di natura regolamentare, laddove una disposizione di rango primario si limiti a specificare unicamente la finalità di rilevante interesse pubblico, a tale scopo, le amministrazioni, sono tenute ad adottare o a promuovere l’adozione di un regolamento in conformità al parere reso dal Garante sui relativi progetti.

Per quanto riguarda l’ipotesi di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dell’individuo (c.d. dati supersensibili), il decreto legislativo n. 135/1999, all’art. 16, c. 2, ne consente il trattamento, solo se il diritto da far valere o difendere è di rango almeno pari a quello dell’interessato.

Questa previsione, come il Consiglio di Stato ha indicato, non risolve in astratto «il conflitto tra ansia di conoscenza e protezione di quel nocciolo duro della privacy costituito dai dati sensibili, bensì, rimette alla ponderazione comparativa e concreta della stessa amministrazione, ed in sede di controllo del giudice, la soluzione dell’aspro contrasto».57

Con l’entrata in vigore del decreto 135/1999, non è più sufficiente motivare la richiesta di accesso con l’esigenza di esercitare il diritto di difesa, per poter accedere de plano ai documenti amministrativi contenenti dati sensibili, ma occorre aver riguardo al tipo di diritto da far valere in sede giudiziaria. Cosicché, «l’amministrazione prima, e, nel caso di controversia, il giudice poi, dovranno procedere ad un bilanciamento non in astratto, ma in concreto dei diversi interessi in gioco, attraverso una ponderazione attenta alle peculiarità della specifica vicenda portata alla loro attenzione con l’istanza di accesso».58

56 Rientrano tra le «rilevanti» finalità d’interesse pubblico i trattamenti dei dati personali qualora siano necessari per la salvaguardia della vita o dell’incolumità fisica dell’interessato o di un terzo nel caso in cui l’interessato non può prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità d’intendere o di volere, qualora il trattamento sia necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive, ed inoltre i trattamenti effettuati per scopi storici. Provvedimento del Garante, 30 giugno 2005, in www.garanteprivacy.it: doc. web n. 1144445, ed pubblicato in G.U. 23 luglio 2005, n.

170.

57 Cons. St., Sez. VI, 30 marzo 2001, n. 1882, in Materiali giurisprudenziali di diritto amministrativo, a cura di G. SCIULLO, C. BASEGGIO, G. BOSCHETTI, CEDAM, Padova, 2004, p. 132.

58 Cons. St., Sez. V, 3 luglio 2003, n. 4002, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2003, v. 7, p. 2440.

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La valutazione in concreto, effettuata caso per caso, degli interessi in gioco, «è la sola idonea ad evitare il rischio di soluzioni precostituite poggianti su un’astratta scala gerarchica dei diritti in contesa».59

In questo complesso scenario normativo, si è inserito nel 2003, il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), una norma dettagliata e completa, che razionalizza la materia, ed all’art. 1, sancisce il diritto di chiunque alla protezione dei dati personali che lo riguardano.

Il nuovo Codice sulla privacy ha però distinto varie tipologie di dati personali da tutelare: i dati comuni, i dati sensibili, i dati giudiziari e i dati supersensibili.

Relativamente alle prime tre categorie, l’art. 59 del decreto legislativo n. 196/2003, ha previsto espressamente che ad esse si applichi la disciplina dettata dalla legge n.

241/1990, per ciò che attiene le modalità ed i limiti relativi l’esercizio del diritto di accesso, con la conseguenza che l’istante potrà ottenere l’ostensione dei documenti contenenti dati afferenti alla sfera privata di soggetti terzi, qualora l’istanza di accesso sia correlata a una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento, attestante l’interesse alla conoscenza del documento richiesto, in relazione all’interesse al bene della vita da salvaguardare.

Il successivo art. 60, ha invece stabilito che in materia di dati “supersensibili”, vale a dire quei dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale, «il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile».

Questa norma, che ricalca l’art. 16 c. 2 del decreto 135/1999, è stata interpretata dalla giurisprudenza come un’attribuzione all’amministrazione del potere discrezionale di valutare, se la posizione soggettiva dell’istante, sia o meno di rango uguale o superiore, a quella concessa dall’art. 60 del d.lgs. 196/2003 ai dati cd. “supersensibili”. 60

Tale valutazione, discrezionale della pubblica amministrazione, sarebbe successivamente impugnabile davanti al giudice competente, il quale avrebbe il compito di valutare nel merito, se la stessa abbia o meno effettuato un bilanciamento degli opposti interessi non in astratto ma in concreto, e nel caso sostituirsi ad essa in tale valutazione.

Successivamente la legge 11 febbraio 2005, n. 15, ha apportato significativi cambiamenti alla legge n. 241/1990. Con questa nuova norma, si riconosce che «il diritto di accesso, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce

59 Cons. St., Sez. VI, 30 marzo 2001, n. 1882, in Materiali giurisprudenziali di diritto amministrativo, a cura di G. SCIULLO, C. BASEGGIO, G. BOSCHETTI, CEDAM, Padova, 2004, p. 133.

60 Cons. St., Sez. V, 16 maggio 2008, n. 2511; T.R.G.A., Sez. Bolzano, 24 dicembre 2007, n. 24, in www.giustizia-amministrativa.it/ricerca2/index.asp; Cons. St., Sez. VI, 30 marzo 2001, n. 1882, in Foro amm. C.d.S., Giuffrè, Milano, 2001, v. 3, p. 652.

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princípio generale dell’attività amministrativa al fine di favorirne la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza».61

Con specifico riferimento ai rapporti tra accesso e riservatezza, la nuova formulazione dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 16 della legge n. 15 del 2005, appresta al primo una tutela più ampia che in passato.

Anzitutto l’individuazione dei casi in cui l’accesso può essere escluso per ragioni, tra l’altro, di riservatezza deve aver luogo con regolamento governativo (comma 6, lett. d), ed alle singole amministrazioni viene sottratta ogni potestà d’intervento in materia.62

Poi, mentre nell’originaria versione dell’art. 24, comma 2, lett. d), l’accesso a documenti riservati era limitato alla sola “visione” degli atti amministrativi necessari alla cura o difesa dei propri interessi giuridici, nell’attuale versione dell’art. 24, come sostituito dalla legge n. 15 del 2005, tale previsione è stata sostituita dal nuovo comma 7, a mente del quale «Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici».

Da ciò deriva che «la tutela dell’istante, prima limitata alla sola “visione” degli atti, viene estesa all’onnicomprensivo concetto di “accesso” che, secondo la definizione contenuta nell’art. 22 comma 1 lett. a) legge 241/1990, come modificato dalla legge del 2005, include sia la visione degli atti sia l’estrazione di copia». 63

Il legislatore del 2005, riformulando l’art. 22, ha posto un legame inscindibile tra le due modalità tipiche di esercizio del diritto di accesso, vale a dire la visione e l’estrazione di copia.64

Inoltre, viene espressamente indicato nella seconda parte del nuovo comma 7 dell’art. 24, che, «nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale» imponendo così all’amministrazione, questa volta a livello normativo e non più giurisprudenziale, di valutare il rango del diritto che s’intende tutelare fornendo così un criterio con cui risolvere i potenziali conflitti.

61 Art. 22 c. 2, l. n. 241/1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15.

62 Tale conclusione si trae inequivocabilmente dalla scomparsa, nel nuovo testo normativo, della disposizione in precedenza contenuta nel c. 4° («obbligo per le singole amministrazioni di individuare con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso»). Con la nuova disposizione, ora introdotta nel comma 2 («Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso») è da reputarsi che lo strumento per l’individuazione dei casi di esclusione non può che essere sempre il regolamento nella forma dei decreti ministeriali, atteso che la finalità di rendere note le categorie di atti sottratti all’accesso non può essere raggiunta attraverso provvedimenti aventi efficacia meramente interna.

63 T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 5 febbraio 2007, n. 337, in Foro amm. T.A.R., Giuffrè, Milano, 2007, v. 2, p. 673.

64 In tal senso R. GAROFALI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Nel Diritto ed., Roma, 2009, p. 559.

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