"E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena"
(M. Montaigne)
Questa celebre frase di Montaigne, ispiratrice del libro di Edgar Morin “La testa ben fatta”, fornisce lo spunto per una serie di riflessioni su quelle che potrebbero o dovrebbero essere le linee d’indirizzo dell’insegnamento/educazione, basato oggi su tre sfide , culturale, sociologica e civica, importanti per procedere ad una "riforma dell’insegnamento che deve condurre alla riforma di pensiero"
Ma com’ è una testa ben fatta? Essa è caratterizzata non dall’accumulo del sapere quanto piuttosto dal poter disporre allo stesso tempo di un’ attitudine generale a porre e a trattare i problemi e di principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso.
La testa ben fatta va dunque al di là del sapere parcellizzato, al di là delle
"discipline", riconnettendo sapere umanistico e sapere scientifico, mettendo fine alla separazione fra le due culture e consentendo così di rispondere alle sfide poste dalla globalità e dalla complessità della vita quotidiana, sociale, politica, nazionale e
mondiale.
Si tratta di apprendere a vivere, di apprendere a trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in sapienza. E apprendere a vivere significa saper affrontare l’incertezza, attraverso la contestualizzazione e la globalizzazione di
informazioni e conoscenze e, soprattutto, attraverso l’utilizzo non di un programma e di una programmazione, ma di una strategia. La programmazione determina a priori una sequenza di azioni in vista di un obiettivo, mentre la strategia prefigura scenari di azione e ne sceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce di un ambiente incerto. La strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e
comporta perciò una scommessa. Essa deve essere pienamente cosciente della scommessa, in modo da non cadere in una falsa certezza.
In base a questo mutato paradigma, mutano anche i tratti essenziali dell’insegnante che dovrà fornire una cultura in grado di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi; preparare le menti a rispondere alle sfide che la crescente complessità dei problemi pone alla conoscenza umana; spingere ad affrontare
l’incertezza attraverso l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore;
educare alla comprensione umana fra vicini e lontani; insegnare la cittadinanza
terrestre come comunità di destino, dove tutti gli umani sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali
Sono questi i punti necessari per uscire dal pensiero chiuso e parcellizzato, ripiegato su se stesso, sul proprio, sempre più minuscolo, pezzetto di puzzle.
E qui sta anche il ruolo chiave della riforma del pensiero e dell’insegnamento: formare cittadini capaci di affrontare i problemi del loro tempo e frenare il deperimento
democratico suscitato in tutti i campi dalla politica di espansione dell’autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi che limita progressivamente la competenza dei cittadini.
Ecco che, allora, la riforma del pensiero altro non è che il superamento del suo lato più razionale e artificioso per tornare e per riscoprire il suo aspetto più umano ed accessibile quale è la “ragionevolezza”. Tornano attuali, allora, le parole di un grande filosofo:
"Poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate ed adiuvanti, mediate ed immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto”
(B. Pascal) A cura del D.S. Prof. Carmelo Profetto e della Prof.ssa Lucia Di Leo