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AMNISTIA E INDULTO: QUALE LEGALITÀ VA DIFESA? di Giuseppe Pelazza

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Academic year: 2022

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AMNISTIA E INDULTO: QUALE LEGALITÀ VA DIFESA? di Giuseppe Pelazza

29 ottobre. Il tema dell’amnistia e dell’indulto è un tema estremamente serio ed importante.

Va, dunque, subito detto che è miserevole lo spettacolo che offre il sistema mediatico e politico che riduce la questione, ancora una volta, alle peculiarità delle vicende di Silvio Berlusconi, senza così avvedersi che, ancora una volta, viene fatto, di costui, il “sole” attorno al quale tutto gira.

In un simile contesto si assiste ad una mobilitazione di opinione contro l’amnistia e l’indulto in chiave anti berlusconiana e, pretesamente, in chiave di difesa della legalità.

Orbene, già lo abbiamo detto: l’universo coinvolto dalla tematica di amnistia e indulto è tutt’altra cosa da Silvio Berlusconi: è l’universo della sofferenza carceraria,

l’universo della esasperata sovradeterminazione delle pene, tipica dell’ordinamento giuridico italiano, l’universo della carcerizzazione senza fine dei prigionieri politici degli anni 70 e 80.

La difesa della legalità, inoltre (ammesso che la legalità possa essere un valore in sé e per sé: pensiamo a quanto sarebbe stata utile e vantaggiosa per l’umanità intera una massiccia lotta contro la legalità nazista nella Germania degli anni trenta…), non ha nulla a che vedere con

l’opposizione a provvedimenti di amnistia e indulto, che non solo sono previsti dalla nostra Carta Costituzionale, ma fanno parte dell’intera storia della civiltà occidentale (e

probabilmente non solo).

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«L’amnistia è stata per lungo tempo percepita coma una

pratica politica democratica, di cui i promotori potevano, a buon diritto, inorgoglirsi. La generosità, la magnanimità, il senso di umanità, in quanto caratteristiche fondanti del

processo di civilizzazione, erano associate a questa pratica che aveva per effetto di accogliere di nuovo nella città quelli che non avevano rispettato le regole, le leggi».

Così esordisce Sophie Wahnich nel suo scritto La clémence est une idée neuve en Europe: amnisties in “Le territoire de

l’Amnistie entre clemence et tolerance zero”, ed. L’Harmattan, Parigi, 2007; la pessima traduzione è mia).

Ora invece, nel quadro dei mutamenti istituzionali che caratterizzano la nostra epoca (svuotamento delle forme

democratiche, costruzione di un “comando” libero da controlli, marginalizzazione ed esclusione di chi non condivide il

pensiero unico del “partito del mercato”, costante costruzione della figura del “nemico assoluto”, libera circolazione dei capitali finanziari e libertà di annegamento per i migranti), anche l’amnistia, come pratica “includente”, non viene più tollerata. E si ha il coraggio, in questo contesto di

progressiva distruzione della legalità democratica, di opporsi all’amnistia stessa rivendicando il valore di una indistinta e vana legalità.

E pensare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a proposito della situazione carceraria in Italia, ha

riconosciuto la piena sussistenza di trattamenti disumani e degradanti. E che alcuni Tribunali di Sorveglianza (ricordiamo in particolare quello di Venezia, ord. 13.02.2013) sentendosi chiamati “a dover dare applicazione al principio di non

disumanità della pena”, e non esistendo nel nostro ordinamento la possibilità – in via generale – di ricorrere all’istituto del rinvio facoltativo della pena, giustamente ritenuto «…

l’unico strumento di effettiva tutela in sede giurisdizionale al fine di ricondurre nell’alveo della legalità costituzionale

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l’esecuzione della pena a fronte di condizioni detentive che si risolvono in trattamenti disumani e degradanti», hanno sollevato questione di costituzionalità dell’art. 147 cod.

pen. nella parte in cui non prevede «il caso di rinvio dell’esecuzione della pena quando questa debba avvenire in condizioni contrarie al principio di umanità».

E proprio sul punto della “legalità”, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha acutamente sottolineato questo aspetto:

«La pena è legale solo se non consiste in trattamento

contrario al senso di umanità, di talché la pena inumana è e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato».

E penso che queste considerazioni, espresse da un organo giudicante che è – per giunta – fortemente e strutturalmente coinvolto nella gestione della disumanità (in via astratta e in via concreta) della pena, mettano irrimediabilmente

“nell’angolo” le posizioni di chi si dice contrario all’amnistia e all’indulto in difesa della legalità!

La Corte Costituzionale, peraltro,

«… ha ritenuto di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato dai remittenti (i Tribunali di

Sorveglianza n.d.r.), cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile. Nel caso di inerzia legislativa la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità». (Dal Comunicato Stampa 9.10.2013 della Corte Costituzionale).

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Il radicamento degli istituti dell’amnistia e dell’indulto nella nostra storia è, d’altra parte, dimostrato dai numeri.

Basti pensare che nel periodo 1865/1915 si possono contare circa 120 provvedimenti.

Venendo, poi, a tempi più recenti, negli anni 50 e 60 del secolo scorso i provvedimenti sono stati 9, di cui cinque emessi in relazione a fatti politici, ma contenenti anche disposizioni in ordine a reati comuni. Dopo il decreto

22.05.1970, relativo ai reati «…commessi anche con finalità politiche a causa e in occasione di agitazioni o

manifestazioni sindacali o studentesche, o di agitazioni o manifestazioni attinenti a problemi del lavoro,

dell’occupazione e della sicurezza sociale…» non vi saranno più amnistie per fatti politici (fonte dei “numeri”: Politici e amnistia di Amedeo Santosuosso, Floriana Colao ; Verona 1986).

Tale dato è peraltro significativo del mutamento del quadro normativo-istituzionale che si è verificato a partire dalla metà degli anni 70: inizio dell’erosione dei diritti dei lavoratori e aumento della repressione penale, con i primi segni del recupero della figura del “tipo di autore”, ossia della teoria in base alla quale si colpiscono non le condotte ma le identità politiche. E da qui si dipanerà, poi, la

costruzione della figura del “nemico assoluto”.

Comunque, provvedimenti di amnistia si susseguiranno ancora.

Dopo quello del 70 possiamo ricordare i provvedimenti (non più relativi ai reati politici) del 1978, del 1980 (amnistia per reati commessi da militari in occasione di iniziative intese a sollecitare la riforma dei servizi di assistenza al volo), del 1981, del 1986, del 1990.

La concessione di amnistia del 1990 è l’ultima. Seguiranno soltanto il provvedimento di indulto della fine del 1990 e quello del luglio 2006.

Ricordiamo, a questo proposito, che mentre l’amnistia estingue

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(in parole povere “cancella”) il reato, l’indulto diminuisce soltanto l’entità della pena inflitta.

Proprio nel 1992, d’altra parte, venne approvata una legge costituzionale (6.3.1992 n. 1) di modifica dell’art. 79 della Costituzione, che, appunto, prevede la concessione di amnistia e indulto, stabilendo, per la loro concessione “la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera”, una

maggioranza, cioè assai difficilmente raggiungibile.

Orbene, a proposito del tema che stiamo trattando, abbiamo già accennato alla sovradeterminazione delle pene che caratterizza il sistema penale italiano. Non si tratta di vuote

affermazioni: basti pensare, ad esempio, che fin dalla

Risoluzione (76)2 del 17.02.1976 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul trattamento dei detenuti in detenzione di lunga durata era stato raccomandato ai Governi degli Stati membri (e quindi, ma vanamente, anche al Governo Italiano), considerando, fra l’altro, che “l’esecuzione di lunghe pene può avere degli effetti nefasti sul detenuto e il suo

entourage”, di assicurarsi che i casi di tutti i detenuti siano esaminati il più presto possibile per verificare se

possa essere loro accordata la liberazione condizionale, e che tale esame, per i condannati all’ergastolo, abbia luogo al più tardi dopo 8-14 anni di reclusione e sia ripetuto

periodicamente.

Per quanto poi riguarda i prigionieri politici, la Risoluzione 32/121 15.12.1977 dell’Assemblea Generale delle Nazioni

Unite,

«… cosciente del fatto che in numerose regioni del mondo un grande numero di persone sono detenute per delitti che esse hanno commesso, o che le si sospetta di aver commesso, a causa delle loro opinioni o convinzioni politiche.. e «… osservando che queste persone sono spesso esposte a dei pericoli

particolari dal punto di vista della protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali«, richiedeva agli Stati Membri di «esaminare periodicamente la possibilità di liberare

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tali persone, sia per un atto di clemenza, sia ammettendole al beneficio della liberazione condizionale, sia in altro modo»

(la traduzione dal francese è di chi scrive).

Allora basti a questo proposito osservare che chi è stato oggetto, dopo l’arresto nel 1982, di pesantissime torture (ingurgitare acqua e sale essendo impedita la respirazione nasale, esplosione ravvicinata di colpi di arma da fuoco, ustioni alle mani e in altre parti del corpo, ferite ai polpacci con strumenti taglienti, scariche elettriche agli organi genitali) è tutt’ora, continuativamente, imprigionato nelle sezioni di Alta Sicurezza, mentre i torturatori, avuta l’attenuante di aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, furono prosciolti per intervenuta

prescrizione.

Vale dunque la pena di domandarsi: qual è la legalità che va difesa?

Ma forse sarebbe meglio parlare non di strumentali forme giuridiche, bensì di contenuti….

E tornando, ora, al tema dell’amnistia e dell’indulto, e per concludere, ci sembra veramente abominevole l’opporsi a tali provvedimenti pretendendo di essere dei democratici.

Ma (ancora una volta “ma”) chi oggi può essere definito democratico?

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