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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTA DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

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FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA IN

DIRITTO ECCLESIASTICO

IL PROBLEMA DEI SIMBOLI RELIGIOSI.

PROFILI STORICO – GIURIDICI

RELATORE: CANDIDATA:

CH.MO PROF. MARIA MARINA VALSIGLIA MARIO TEDESCHI MATR. 991/004915

ANNO ACCADEMICO 2009/2010

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INDICE

1. Lo Stato ed il fattore religioso

1.1 Legislazione ecclesiastica dal 1948 al 1922 4 1.2 La tendenza separatista: 1848-1876 5 1.3 Vicende politiche e legislative dalla proclamazione del regno d’Italia: la legge delle Guarentigie 10 1.4 Disciplina del fenomeno religioso

secondo la Costituzione 15 1.5 Il confessionismo dallo Statuto Albertino

alla Costituzione 17

2. Questione del Crocifisso

2.1 Simbolo e simbolismo religioso 23 2.2 Il quadro normativo 27 2.3 Il problema dell’applicabilità delle norme regolamentari a seguito dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale 33

2.3.1 Esposizione del Crocifisso e laicità dello Stato 37

2.4 Esposizione del Crocifisso e libertà religiosa 40

2.5. Il simbolo religioso come espressione del «sentimento religioso» dei singoli e dei gruppi 44

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2.5.1 La tutela penale del «simbolo religioso» 44

2.5.2 La tutela civilistica del «simbolo religioso» 47

2.6 I simboli religiosi nella valutazione della giurisprudenza di merito

2.6.1 Il Crocifisso come simbolo di «civiltà»: il parere del Consiglio di Stato 27 Aprile 1988, n. 63 49

2.6.2 La sentenza della Cassazione penale 1 Marzo 2000, n. 439 53

2.6.3 Ordinanza del 23 Ottobre 2003 del Tribunale dell’Aquila 56

2.6.4 Ordinanza del Tar Veneto 14 Gennaio 2004,

n.56 58

2.6.5 La sentenza del Tar Veneto 22 Maggio 2005,

n. 1110 62

2.6.6 La decisione del Consiglio di Stato n. 556

del 2006 65

2.6.7 Brevi riflessioni sulla decisione del Consiglio

di Stato 69

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2.6.8 La recente sentenze della Corte di Strasburgo 71

3. Dal simbolismo al simbolo in senso stretto: norme relative all’abbigliamento dei fedeli in alcuni ordinamenti religiosi

3.1 L’ordinamento canonico 75

3.2 L’ordinamento islamico 79

3.3 L’hijab e l’ordinamento francese 81

3.4 Ratio e fondamento dell’intervento legislativo 90

3.5 Divieto dei segni religiosi e libertà religiosa 94

3.6 La circolare applicativa 97

3.7 Il velo e il principio di eguaglianza 100

3.8 Il velo ed il principio di laicità 102

3.9 La laicità scolastica 106

3.10 L’ hijab e l’ordinamento italiano 111

3.11 Il principio di laicità 113

3.12 L’hijab e la comunità scolastica 116

3.13 Abbigliamento confessionale e suoi limiti 118

Bibliografia

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CAPITOLO I

LO STATO ED IL FATTORE RELIGIOSO

1.1

Legislazione in materia ecclesiastica dal 1848 al1922

I rapporti tra Stato e Chiesa, ed i problemi connessi al suddetto rapporto, rappresentano i capisaldi della storia italiana. La disciplina giuridica del fenomeno religioso deve essere esaminata tenendo conto delle vicende del passato: non può dunque prescindersi dalla storia delle relazioni tra Stato e Chiesa nel nostro Paese. Per convenzione, si suole trattare delle vicende che attengono alla politica legislativa ecclesiastica tra Ottocento e Novecento dove in corrispondenza ai diversi periodi storici sono connessi tre differenti regimi politici che hanno caratterizzato la vita del Paese: il periodo liberale, il regime fascista, la fase repubblicana e democratica. Prima di affrontare tale tematica, appare necessario soffermarsi sul significato e sulla rilevanza giuridica del fenomeno religioso, il quale oltre ad essere un fenomeno individuale esplica la sua importanza anche da un punto di vista sociale. L’aspetto comunitario si evidenzia ancor di più nell’ambito della Chiesa cattolica, laddove esistono veri e propri “centri organizzati” attraverso i quali vengono soddisfatti

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interessi di natura religiosa. E’ la rilevanza sociale del fenomeno religioso che ha giustificato vari interventi da parte dello Stato che saranno poi analizzati. Laddove l’individuo conforma la propria condotta a regole morali tratte da dogmi religiosi, il comportamento che ne scaturisce è oggetto di attenzione da parte dello Stato , che si fa portatore degli interessi palesati dalla popolazione.

1.2 La tendenza separatista: 1848-1876

Nel periodo liberale la religione veniva concepita come un problema individuale, di esclusiva competenza dei cittadini. La protezione dell’individuo prevaleva rispetto alla tutela del gruppo a cui il singolo era legato. D’altra parte, le dottrine giuridiche che si affermarono in Germania alla fine del XIX secolo imponevano una rivalutazione delle collettività organizzate e più in generale del gruppo.

L’ordinamento allora vigente doveva quindi considerare, da un lato l’affermazione dei valori individuali propri dell’ideologia liberale e dall’altro non poteva sottrarsi dall’influsso delle teorie giuridiche tedesche. Orbene, l’interesse religioso individuale diveniva rilevante nella misura in cui riguardava il valore fondamentale della libertà: il principio della libertà della persona umana, costituiva il

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fulcro dell’intera materia religiosa e di tutti gli istituti giuridici di quell’epoca. Occorre inoltre ricordare che il legislatore liberale si preoccupava di garantire la libertà e l’uguaglianza dei singoli cittadini nei confronti del fenomeno religioso mentre assumeva un atteggiamento di indifferenza riguardo a quei gruppi che perseguivano scopi culturali.

La tendenza separatista1 ispirò la legislazione ecclesiastica a partire dal 1848, anno in cui in Piemonte la Destra aveva sviluppato una politica destinata ad estendersi alle altre regioni d’Italia a partire dal 1859. Essa era basata sulla formula “libera Chiesa in libero Stato”

nella quale erano facilmente individuabili due atteggiamenti contrapposti: molti esponenti della destra storica erano più sensibili alla tradizione cattolico-liberale, i quali auspicavano un rafforzamento dello Stato attraverso valori religiosi che potevano conseguirsi anche mediante un programma di rinnovamento della Chiesa; altri esponenti seguivano invece il solco tracciato dalla tradizione giurisdizionalista.

1 Il separatismo tra Stato e Chiesa è convenzionalmente indicato come la separazione di tali entità e rappresentò un mezzo politico per risolvere la c.d. questione romana nel quadro dell’Unità d’Italia. Tale tesi separatista fu annunciata per la prima volta da Cavour nei discorsi alla Camera del 25-27 marzo del 1861, con la celebre formula “libera Chiesa in libero Stato”. In origine questa tesi fu utilizzata soprattutto per tutelare la Chiesa nel senso della sua indipendenza, successivamente fu impiegata per far prevalere l’autorità dello Stato. Nella sua concreta attuazione, il separatismo ebbe solo una modesta applicazione. Negli anni di contrasto con la Chiesa, le leggi eversive del 1948, 1855, 1866, 1867 risentivano della tradizione giurisdizionalista, della tradizione che si riteneva competente a giudicare quali enti ecclesiastici erano utili o inutili per la società. Si può affermare che fino ai Patti Lateranensi del 1929, il rapporto tra Stato e Chiesa non era collocabile nell’ambito del separatismo ma piuttosto poteva parlarsi di giurisdizionalismo liberale. F.

FINOCCHIARO, Diritto…cit p. 30-32, M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, II ed, Ed. G. Giappichelli, Torino, p. 18-25.

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L’articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848 n. 674 dichiarava che «La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Stato» mentre le altre confessioni erano tollerate

«conformemente alle leggi».

I principi espressi dalle norme statuarie in materia religiosa erano chiariti da più leggi: in primo luogo vi era la legge Sineo2 del 19 giugno 1848 n. 735, la quale disponeva che «La differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici, ed all’ammissibilità delle cariche civili e militari». Tale legge vigeva seppure in contrasto con l’art.1 dello Statuto sopra menzionato che invece non operava nessun riconoscimento della libertà religiosa nei confronti dei cittadini non cattolici.

Nel quadro di un aspro conflitto tra Stato e Santa Sede si inserivano le due leggi Siccardi: gli anni 1848-1849 non erano i migliori per trattare con la Santa Sede in quanto Pio IX, profugo a Gaeta a causa delle vicende che interessarono la Repubblica Romana, non era disposto ad alcuna concessione. Proprio in quegli anni però il Parlamento approvava le due leggi proposte dal Guardasigilli Siccardi, quelle del 9 aprile 1850 n. 1013 e del 5 giugno 1850 n. 10373. La

2 Sia prima che dopo la concessione dello Statuto, erano stati emanati dal re di Sardegna vari atti che pure riguardavano il fattore religioso: la Lettera Patente 17 febbraio, n. 673, sul godimento dei diritti civile e politici e il conseguimento dei gradi accademici dei valdesi; il r. d. 29 marzo 1848, n. 700, per l’ammissione degli ebrei al servizio militare. F. FINOCCHIARO, Diritto…cit p. 47.

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prima era volta a sopprimere l’autonomia del foro ecclesiastico in ogni genere di controversia o processo, cioè il diritto degli ecclesiastici a godere di un trattamento giudiziario separato dal resto dei cittadini, nonché a sopprimere il diritto di asilo nelle chiese e nei luoghi immuni. La seconda invece, rendeva necessaria l’autorizzazione per gli acquisti di tutti gli enti morali, pubblici e privati, ecclesiastici e laici, nazionali e stranieri.

Sempre negli anni 1848-1876 si collocava, per quanto riguarda la scuola pubblica, la legge 22 giugno 1857 n. 238, la c.d.

legge Lanza, la quale all’art. 10 prevedeva che «Negli istituti e nelle scuole pubbliche la religione cattolica sarà fondamento dell’istruzione e dell’educazione religiosa. Per gli acattolici sarà lasciato alla cura dei rispettivi parenti. Nelle leggi speciali e nei regolamenti relativi all’insegnamento pubblico si determinano le cautele da osservarsi nella direzione ed istruzione religiosa degli alunni cattolici». Due anni più tardi, la legge 13 novembre 1859 n. 3725 (la c.d. legge Casati) stabiliva l’obbligo dell’istruzione religiosa secondo la confessione cattolica e l’esonero per gli acattolici e per coloro il cui il padre, o chi ne facesse le veci, avesse per iscritto dichiarato di «provvedere privatamente all’istruzione religiosa». Tale legge non sempre veniva

3 «Gli stabilimenti o corpi morali, siano ecclesiastici o laicali, non potranno acquistare beni stabili senza essere a ciò autorizzati con regio decreto, previo il parere del Consiglio di Stato. Le donazioni tra vivi e le disposizioni testamentarie a loro favore non avranno effetto se essi non saranno nello stesso modo autorizzati ad accettarli».

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applicata in conformità al principio in essa proclamato (da ricordare la circolare Correnti 29.9.1870 che rendeva facoltativo l’insegnamento della religione per gli allievi delle scuole elementari)4.

In precedenza, con la legge 25 agosto 1848 n.777, aveva inizio la legislazione eversiva e soppressiva degli enti. Essa infatti prevedeva la soppressione della Compagnia di Gesù; l’esproprio dei suoi beni; l’espulsione dei gesuiti che non facevano parte del regno, “i regnicoli”, di uscire dall’ordine e vietava le case della corporazione delle Dame del Sacro Cuore. Si trattava di un provvedimento tipicamente giurisdizionalista e per nulla liberale.

Ciò che più appariva strano era il fatto che tale legislazione, fortemente anticlericale, era stata emanata subito dopo l’entrata in vigore dello Statuto Albertino, che invece qualificava la Stato in senso confessionale, ritenendo gli altri culti meramente tollerati. Non dobbiamo dimenticare che lo Statuto era una Costituzione flessibile e non rigida come la nostra attuale ed era per questo che mancava un meccanismo di controllo sulla costituzionalità delle leggi.

La tendenza giurisdizionalista5 era evidente anche nella legge 29 maggio 1855 n. 878, la quale soppresse le associazioni religiosa di

4 S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, Ed. Cedam, Padova, 1986, p. 16.

5 Le scelte che giustificavano la politica ecclesiastica della destra piemontese erano determinate dalle esigenze del bilancio dello Stato: difatti la liquidazione dell’asse ecclesiastico consisteva in vari provvedimenti con i quali si provvedeva alla soppressione degli ordini, delle corporazioni religiose; alla tassazione dei redditi

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vita contemplativa sulla base della utilità o inutilità degli enti ecclesiastici. Ancora la legge 7 luglio 1866 n. 3036, soppresse tutte le associazioni religiose, ne incamerò il patrimonio convertendo in rendita pubblica al cinque per cento i beni di tutti gli enti ecclesiastici.

A completare l’eversione dell’asse ecclesiastico, vi era la legge 15 agosto 1867 n. 3848, la quale soppresse varie categorie di enti ecclesiastici devolvendone allo Stato i beni; provvide poi alla liquidazione di tali beni.

Le due leggi da ultimo richiamate furono poi estese anche alla provincia di Roma.

1.3 Vicende politiche e legislative dalla proclamazione del regno d’Italia: la legge delle Guarentigie

Dopo l’unificazione, il quadro legislativo si presentava disorganico ed incompleto. Il legislatore italiano, in conformità al principio dell’agnosticismo,6 proclamava l’uguaglianza tra i cittadini e delle confessioni religiose dinanzi alla legge senza alcuna distinzione

delle persone giuridiche. Solo così poteva fronteggiarsi il gravoso deficit del bilancio statuale. S. LARICCIA, Diritto…cit p. 17.

6 L’agnosticismo consiste in un atteggiamento filosofico che non nega l’ esistenza di Dio o di realtà soprasensibili, ma afferma l’impossibilità di conoscerle in www.dizionari.corriere.it

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derivante dalla religione professata, nonché la libertà di coscienza e di culto.

Il regno d’Italia proclamato nel 1861, aveva come sua Costituzione lo Statuto Albertino concesso da Carlo Alberto re di Savoia al regno di Sardegna nel 1848 e poi esteso al Regno d’Italia. Al momento dell’unificazione nazionale fu estesa a tutto il Regno la legislazione sardo-piemontese, la quale si ricollegava direttamente al codice civile napoleonico del 20 giugno 1837.

I rapporti tra il nuovo Regno d’ Italia e la Chiesa Cattolica erano tesi, in quanto all’unificazione mancavano alcuni territori soggetti al dominio temporale del Papa: si trattava dello Stato Pontificio sul quale Papa Pio IX non aveva nessuna intenzione di perdere la propria sovranità temporale.

Nel 1870 lo Stato italiano occupava Roma proclamandola Capitale del Regno d’Italia: di qui nasce la “Questione Romana”. Per compensare il pontefice della perdita del potere politico veniva approvata la legge delle Guarentigie 7 del 13 maggio 1871 n. 214,

7 La legge delle Guarentigie, legge di diritto pubblico interno era suddivisa in due titoli: il primo “Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede” stabiliva all’art.1 che «La persona del Sommo Pontefice è sacra ed inviolabile», mentre all’art 2 stabiliva che «L’attentato contro la sua persona e la provocazione a commetterlo sono puniti con le stesse pene stabilite per l’attentato e per la provocazione a commetterlo contro la persona del re». Inoltre vi erano altre importanti norme che riconoscevano altrettante importanti prerogative al Sommo Pontefice e alla Santa Sede. Il secondo titolo riguardava “le relazioni dello Stato con la Chiesa”, laddove veniva abolita ogni restrizione speciale all’esercizio del diritto di riunione dei membri del clero cattolico; non si richiedeva più ai Vescovi di prestare il giuramento al re. S. LARICCIA, Diritto…cit, p. 20-2, M. TEDESCHI, Manuale…cit, p. 67-76.

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considerata come ultimo prodotto della legislazione eversiva, la quale gli riconosceva importanti prerogative: l’inviolabilità della persona con gli onori sovrani, il possesso dei palazzi del Vaticano, del Laterano e la villa di Castelgandolfo, una cospicua dotazione annua, e la piena libertà di svolgere la propria missione spirituale nell’Italia e nel mondo. Ma il Papa, nonostante la concessione, non accettò ed anzi vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica (con la bolla “Non expedit” ossia “non conviene”). Con tale legge di carattere propriamente giurisdizionalista e non separatista, la “questione romana”8 era ancora aperta.

La tutela alla libertà religiosa venne garantita anche successivamente alla caduta della Destra e all’avvento della Sinistra al potere e cioè anche dopo il 1876. La politica ecclesiastica di questi anni fu ispirata da principi laicisti e aconfessionali. E’ proprio in tale

8 Dopo la breccia di Porta Pia del 1870, che segnava l’estinzione dello Stato Pontificio, la Santa Sede, cioè l’organo di governo della Chiesa cattolica, si trovava ad agire sul piano internazionale in un situazione particolare poiché, venuto meno uno degli elementi costitutivi degli Stati - il territorio - ed essendo considerati soggetti di diritto internazionale solo questi ultimi, non si vedeva a che titolo potesse aver riconosciuta una sua personalità sul piano internazionale. Sembrava possibile affermare che la personalità internazionale spettasse unicamente alla Santa Sede, ente differente dallo Stato della Città del Vaticano, anch’esso rilevante sul piano internazionale, e che entrambi non potevano confondersi con la Chiesa cattolica che non aveva una personalità internazionale diversa da quella della Santa Sede.

L’enorme importanza attribuita dalla Chiesa Cattolica alla soluzione della questione romana, costituì il motivo principale della sottoscrizione dei Patti Lateranensi. Il Trattato era il protocollo principale dei Patti, con il quale nasceva lo Stato della Città del Vaticano, che rimane in vita ancora oggi, dopo la revisione del Concordato. M.

TEDESCHI, Manuale…cit. p. 67-71. ID, Cavour e la questione romana 1860-1861, Ed. Giuffrè, Milano, 1978. ID. I capitolati Cavour-Ricasoli. Documenti sui primi tentativi per il componimento della questione romana, nel vol. Vecchi e nuovi saggi di diritto ecclesiastico, Ed. Giappichelli, Milano, 1990.

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fase che si collocava anche la legge Coppino9 di matrice chiaramente giurisdizionalista: essa rendeva obbligatoria l’istruzione elementare;

non indicava la religione tra le materie obbligatorie di insegnamento nelle scuole elementari, anche se non sopprimeva espressamente l’insegnamento di tale materia; riteneva essenziale «… lo studio delle prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino» ( art.2)10.

Subito dopo l’avvento del fascismo iniziarono le trattative segrete Pacelli-Barone, considerati i fautori della riconciliazione tra lo Stato e la Santa Sede. Il fascismo, alle origini, non era certo favorevole alla Chiesa la quale voleva che fosse operato un pieno riconoscimento della personalità della Santa Sede, in modo da poter essere considerata soggetto di diritto internazionale. Solo con i Patti Lateranensi11, la Questiona Romana poteva ritenersi conclusa. Tali Patti vennero sottoscritti l’11 febbraio del 1929 tra lo Stato, rappresentato da Benito Mussolini, e la Chiesa, rappresentata dal cardinale Gasparri, segretario di Stato del Vaticano. Essi erano

9 Legge 15 luglio 1877, n. 3961.

10 Questa norma insieme ad altre con le quali si voleva realizzare la laicizzazione della scuola,veniva contrastata soprattutto nei comuni laddove era vivo e fervido il movimento cattolico organizzato. S. LARICCIA, Diritto…cit, p. 23.

11 Per il diritto ecclesiastico italiano, i Patti costituiscono una vera e propria svolta in quanto con essi si riprese la contrattazione bilaterale che era stata interrotta intorno al XIX secolo. I Patti rappresentarono un duro colpo per le posizioni liberali e giurisdizionaliste, oltreché un grandissimo successo per la Chiesa Cattolica. Di essi però, restano in vigore solo il Trattato ed i relativi allegati mentre il Concordato no.

Dopo la seconda guerra mondiale, la Costituzione del 1948 recepì i Patti nonostante la loro matrice fascista, proprio per non riaprire la questione romana. M.

TEDESCHI, Manuale… cit, pp. 30-31.

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composti da tre documenti: un Trattato, un Concordato ed una Convenzione finanziaria. Gli accordi non riguardavano solo la

“questione romana”, alla quale è dedicato il Trattato, ma anche le condizioni della religione e della Chiesa in Italia (disciplinate nel Concordato). All’art.1 del Trattato si ribadiva che la religione di Stato era quella cattolica; lo Stato rinunciava alla propria sovranità sul territorio della Città del Vaticano a favore del Papa; nel Concordato si regolavano anche molte altre materie, fra cui l’obbligo dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali; il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio cattolico (matrimonio concordatario); venivano sancite agevolazioni fiscali per gli enti ecclesiastici e sovvenzioni per i parroci da parte dello Stato (cosiddetta “congrua”). Il Concordato del 1929 riconosceva ampia libertà alla Chiesa cattolica, rinunciava a taluni vecchi strumenti dell’apparato giurisdizionalista anche se manteneva in vigore quelli che erano ritenuti funzionali.

Nel 1929, il governo sottopose le leggi per l’esecuzione dei Patti all’approvazione della Camera e del Senato: il Parlamento approvò rapidamente le leggi che davano ad essi esecuzione.

Con essi l’allora Capo del Governo Benito Mussolini si augurava di poter contare sulla Chiesa e di aver eliminato nel contempo un potenziale avversario politico.

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1.4 Disciplina del fenomeno religioso secondo la Costituzione

La religione, intesa come insieme di credenze attinenti ad un ordine trascendente, non può essere regolata dal diritto soprattutto quando l’atto di fede è destinato a rimanere nell’interiorità umana,12 senza che esso si manifesti all’esterno con gesti o comportamenti.

Dunque, il fenomeno religioso si manifesta attraverso atti e fatti che sono giuridicamente irrilevanti, destinati ad acquisire rilevanza nel momento in cui attraverso di essi vengono espressi convincimenti interiori. Tale fenomeno è destinato ad esplicarsi soprattutto nei gruppi umani organizzati, in quanto soltanto in essi si può cogliere la sua completa estrinsecazione.

La Costituzione contiene norme che direttamente o indirettamente si riferiscono al fenomeno religioso: all’art. 313, si vieta la discriminazione fra i cittadini per motivi religiosi; agli artt. 8.114 e

12 DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Ed. Giappichelli Torino, 2002, p.23.

13 Art. 3.1 «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

14 Art. 8.1 «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere dinnanzi alla legge»

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1915, si tutela la libertà religiosa collettiva e individuale; si fa divieto di discriminazione alle istituzioni ed associazioni aventi carattere ecclesiastico e fine di religione o di culto all’art. 2016; viene riconosciuto il diritto alle altre confessioni religiose di organizzarsi autonomamente agli artt. 7.117 e 8.218; ed infine vengono regolamentati i rapporti tra Stato e confessioni religiose agli artt.7.219 e 8.320.

Le norme costituzionali che si riferiscono al fenomeno religioso non solo prevalgono sulla legge ordinaria, ma i principi da esse fissati sono il presupposto di tutta la normativa attinente al fenomeno religioso e fungono da criterio di interpretazione della stessa.

15 Art. 19 «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume»

16 Art.20 «Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività».

17 Art. 7.1 «Lo stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

18 Art. 8.2 «Le confessioni religiose diversa da quella cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».

19 Art 7.2 «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti non richiedono procedimento di revisione costituzionale».

20 Art. 8.3 «I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».

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Come è stato notato, la Costituzione considera “i valori religiosi come grandezze di segno positivo: nel senso che essa li fa oggetto di un diritto di libertà; ossia non si limita a considerare le manifestazioni individuali o collettive di religiosità quali espressioni di mera liceità (dinnanzi alle quali mantenere un atteggiamento passivo di astensione da interventi), bensì le riconosce e garantisce quali estrinsecazioni fra le più elevate della dignità dell’uomo”21.

1.5 Il confessionismo dallo Statuto Albertino alla Costituzione

Il problema che oggi si pone è quello di vagliare se dallo Stato italiano sia stato espugnato il principio confessionistico.

Per rispondere a questa domanda bisogna notare anzitutto che nella Costituzione non è menzionata nessuna norma che esprima un principio, quello confessionistico, così come accade nello Statuto Albertino all’art. 1. Non vi è dunque nessuna norma che qualifica in senso confessionista o laico il nostro Stato22. Nonostante ciò si assiste

21 P.BELLINI, Principi di diritto ecclesiastico, Bresso, Ed. Cetim ,1976, p. 171.

F. FINOCCHIARO, Diritto Ecclesiastico, Bologna, Ed. Zanichelli, 1997, p.180.

22 La laicità costituisce una componente essenziale dello Stato hegeliano, cioè dello Stato di diritto che garantisce le aspettative di tutti i propri consociati in virtù della considerazione che lo Stato è un ordinamento giuridico primario, il quale non ripete da altri la propria legittimazione e che non può porre alla base della propria esistenza valori, che seppure largamente diffusi, non costituiscono patrimonio di tutti i cittadini. L’unico esempio di Stato laico è quello liberale, ispirato ad una

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ad uno “strisciante confessionismo23” che si manifesta attraverso l’affissione del Crocifisso o di altri simboli nelle aule scolastiche, in quelle giudiziarie ed in qualsiasi altro luogo pubblico, o ancora attraverso l’ esistenza di feste religiose al calendario e così via.

Se si esaminano le singole disposizioni costituzionali che si riferiscono al fattore religioso si può comprendere come esse esprimono un principio diverso rispetto a quello confesionistico. Tutto ciò può costatarsi soltanto attraverso un’analisi approfondita dell’art.1 dello Statuto di Carlo Alberto. In primo luogo viene affermata l’esistenza di una confessione di Stato individuata nella “sola religione cattolica”; in secondo luogo viene in rilievo la mera tolleranza per le altre confessioni religiose ed infine tale tolleranza è limitata ai soli “ culti ora esistenti” (e cioè quello ebraico e valdese).

Dunque, appare chiaro che tali postulati, non solo non sono enunciati dalla Costituzione, né direttamente, né indirettamente, anzi vengono propugnati principi del tutto opposti, quali la separazione tra Stato e Chiesa ciascuno nel proprio ordine e la dichiarazione d’incompetenza dello Stato in materie che riguardano il fattore religioso (art. 7.1); la piena ed eguale libertà di tutte le confessioni

legislazione anticlericale e di stampo unilaterale. Non può definirsi laico uno Stato che regolamenta i propri rapporti con le altre confessioni attraverso modelli concordatari, né che prevede una tutela differenziata per i vari culti esistenti e quindi, nemmeno quello attuale potrebbe definirsi tale. M. TEDESCHI, Manuale…cit, p.100-101.

23 M.TEDESCHI, Manuale…cit, pp. 101-102.

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religiose (art.8.1); il riconoscimento della libertà religiosa intesa come libertà di pratica religiosa, e cioè del diritto di esercitare il culto in privato o in pubblico con un unico limite: non deve trattarsi di riti religiosi contrari al buon costume (art. 19). La Costituzione, dunque, riconosce e garantisce la piena libertà in materia religiosa, così come prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini nei confronti della legge.

Fatte queste premesse e ripercorrendo le tappe dell’evoluzione legislativa in materia ecclesiastica, dall’affermazione del principio confessionistico dall’art. 1 dello Statuto Albertino in poi, è evidente come quello stesso principio fu contraddetto già dalle prime norme emanate subito dopo l’entrata in vigore dello Statuto medesimo. Lo Statuto, infatti, era una costituzione “elastica,” dotata di una forza e di un’efficacia giuridica pari a quelle delle leggi ordinarie, ed era proprio per questa ragione che rimase formalmente in vigore anche in regimi istituzionali diversi tra loro. A riprova di quanto detto, può considerarsi che subito dopo l’entrata in vigore di tale Statuto furono emanate, come già detto, leggi irrispettose del principio confessionista proclamato nell’art 1 di tale Statuto.

La situazione rimase immutata fino alla stipulazione dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929: nel Trattato,24 tutt’ora in vigore, all’art. 1 veniva precisato che «l’Italia riconosce e riafferma il

24 Il 18 febbraio del 1984, il Protocollo Addizionale all’Accordo aveva apportato le modifiche al solo Concordato lasciando immodificati il Trattato e la Convenzione finanziaria.

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principio consacrato nell’articolo primo dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Nell’art. 1 del Concordato si rinveniva la disciplina che regolava le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia “ai sensi dell’art. 1 del Trattato”.

Da una parte si registra l’opinione di chi ha ritenuto che attraverso i Patti venne operata una “riconfessionalizzazione” 25 dell’ordinamento.

Dall’altra vi è chi in dottrina26 ha sostenuto che gli Accordi Lateranensi avrebbero connotato lo Stato come concordatario, giacché la formulazione del principio espresso all’art. 1 della Costituzione Albertina, sarebbe stata sempre e nient’altro che una dichiarazione priva di conseguenze giuridiche.

La questione è stata messa a tacere, e dunque chiarita, dal successivo Protocollo Addizionale all’Accordo27 che apporta modificazioni al Concordato del 1984, anche se la fine della qualificazione confessionale dello Stato si deve far risalire al

25 DALLA TORRE, Lezione…cit, p.35.

26 O. FUMMAGALLI CARULLI, Società civile e società religiosa di fronte al Concordato, Milano, 1980, pp. 200-201.

27 L’art.1 del Protocollo Addizionale all’Accordo di revisione del Concordato lateranense, considera non più in vigore il principio della religione cattolica come la sola religione di Stato: a ben vedere, la norma non ha solo un valore meramente dichiarativo, ma funge anche da principio di interpretazione di tutte le norme pattizie e di derivazione pattizia, nel senso che queste non saranno passibili di applicazione da parte degli organi dello Stato secondo interpretazioni che possono essere difformi rispetto al principio di non confessionalità.

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momento dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1°

gennaio 1948) per la contraddizione esistente tra il principio confessionistico ed i principi di libertà ed uguaglianza in materia religiosa sanciti dalla Costituzione.28

Sull’ultimo inciso del secondo comma dell’art. 7, Cost., il quale sancisce che «Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale», si è incentrata l’attenzione della dottrina. Questa, in un primo momento, aveva interpretato a contrario il suddetto articolo, ritenendo necessario, per le modifiche unilaterali, il procedimento di revisione costituzionale, per cui non solo le disposizioni dei Patti assumevano il rango di norme costituzionali, ma in quanto speciali, potevano addirittura prevalere sulle stesse norme costituzionali.

Tale tesi è stata superata successivamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Parte della dottrina29 aveva sostenuto si trattasse di una interpretazione molto forzata che si basava sul primato del

28 In senso contrario, P. CIPROTTI, Diritto ecclesiastico, Padova, 1964, p. 47, il quale riteneva in vigore il principio confessionistico anche sulla base di alcune pronunce della Corte costituzionale (sent. 28 novembre 1957, n.125, in Giur. Cost., 1957, p. 1209 ss., e sent. 17 dicembre 1958, n. 79, ivi 1958, p. 990 ss.) in materia penale del sentimento religioso. Tuttavia la Corte costituzionale ha evitato per lungo tempo di pronunciarsi sulla legittimità degli artt. 402-404 e 724 c.p.

sostenendo che il riferimento alla “religione di Stato” contenuto nelle predette norme penali dovesse essere interpretato non come diretto a dare rilevanza ad una qualificazione formale della religione cattolica in seno al nostro ordinamento giuridico, bensì soltanto come circostanza che la religione cattolica è professata dalla quasi totalità dei cittadini italiani.

29 G. CATALANO, Problematica giuridica dei concordati, Milano, 1963. ID.

Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella Costituzione repubblicana, Ed.

A. Giuffrè, Milano, 1974).

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diritto internazionale rispetto a quello interno, in forza della quale le singole norme del Concordato del 1929, non solo avrebbero assunto livello costituzionale ma finivano con il prevalere su altre norme e principi costituzionali.

La Corte Costituzionale30 poi, aveva avallato una tesi diversa che si era consolidata nel 1971: ciò che in realtà aveva costituzionalizzato l’art. 7 non erano le singole norme degli accordi del 1929, ma il principio pattizio31. Lo Stato cioè non avrebbe proceduto, nelle materie di comune interesse, unilateralmente ma in via bilaterale. Il vincolo, pertanto, riguarda solo la materia concordataria, in quanto non si può intaccare la sovranità dello Stato che rimane libero, una volta denunziato l’accordo, di intervenire in maniera contraria agli impegni assunti.

30 Corte Costituzionale, sentenze nn. 30, 31, 32/1971.

31 M. TEDESCHI, Manuale…cit, pp.80-82.

(25)

CAPITOLO II

LA QUESTIONE DEL CROCIFISSO

2.1Simboli e simbolismo religioso

Non è necessario accettare teorie sociologiche sull’origine della religione per scoprire la fitta rete di vincoli che unisce quest’ultima alla società. Poiché ogni popolo è il risultato di una storia, le religioni riflettono le esperienze dei popoli. Nelle concezioni storiche più avanzate il legame dell’uomo con Dio si stabilisce nella coscienza del singolo individuo (culto interiore); ma anche in questo momento la fede interna trova spontaneamente gesti e simboli per esprimersi. Quando l’esperienza religiosa è vissuta in comunità, il gesto simbolico diventa necessario. Anche il potere ha bisogno di simboli: i simboli statuali, ad esempio, uniscono coloro che condividono valori di una determinata comunità politica. Ma anche i simboli, per poter svolgere appieno la propria funzione, hanno bisogno del diritto. La norma giuridica in tal senso crea un connubio tra il simbolo ed i messaggi e valori sintetizzati da un obbligo giuridico in capo a soggetti pubblici e privati di astenersi dal turbare l’ostensione o l’utilizzo del simbolo medesimo. Tuttavia il diritto non

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disciplina soltanto i simboli del potere, ma considera anche i “simboli della coscienza” che rappresentano l’insieme dei valori condivisi da individui appartenenti ad una collettività istituzionale. Di fronte a tali simboli l’ordinamento può assumere un triplice comportamento: può vietarne l’ostensione in quanto essi esprimono valori di segno opposto32. Il secondo atteggiamento può essere, per converso, di assoluta indifferenza. Infine l’ordinamento può tutelare l’ostensione del simbolo della coscienza (anche con norme di carattere penale) in quanto valore positivo: e a questo punto la scelta dell’ordinamento è quello non solo di prestare tutela al diritto soggettivo, spettante ad ogni consociato, di mostrare il simbolo, ma esisterà anche un obbligo giuridico in capo a soggetti pubblici e privati di astenersi dal turbare l’

ostensione o l’ utilizzo del simbolo medesimo. Anche i simboli religiosi33 possono essere sia simboli del potere che simboli della coscienza. I simboli religiosi sono simboli del potere quando sintetizzano i valori di una religione ed i valori di una comunità

32 Può riferirsi in tal caso il divieto di utilizzare simboli che hanno la capacità di innescare meccanismi discriminatori.

33 I simboli religiosi possono essere definiti come rappresentazioni iconografiche che consentono di comunicare agli uomini, sotto una forma oggettivizzata ed immediatamente riconoscibile: la fede in un valore, in un dogma o in un evento propri di un determinato credo (si pensi alla Croce che per i cristiani è rappresentazione iconografica della morte di Gesù Cristo per la salvezza degli uomini e della sua resurrezione); una determinata appartenenza confessionale (si pensi alla circoncisione, che per gli ebrei è segno di appartenenza al popolo d’Israele); un determinato status all’interno della confessione di appartenenza (si pensi a determinate forme di abbigliamento che consentono ai cattolici di distinguere i fedeli laici dai fedeli chierici). (V. PACILLO- PASQUALI CERIOLI, I simboli religiosi. Profili di diritto ecclesiastico italiano e comparato. Ed.

Giappichelli, Torino, 2005, p.1).

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organizzata. L’ordinamento in quest’ultimo caso non si ispira ai valori della società da esso governata ma a valori appartenenti all’ideologia religiosa. Soltanto in uno Stato confessionale o teocratico34 può aversi quella corrispondenza tra simboli del potere e simboli religiosi.

Nell’ordinamento italiano il discorso può essere impostato tenendo conto dell’importanza che assume il principio di laicità35. Nella nota sentenza 203/1989 la Corte Costituzionale ha asserito che «Il principio

34 Il sistema teocratico realizzava la soggezione dello Stato alla Chiesa, e, in particolare, alla Santa Sede. Solo alla Chiesa spettava il potere di decidere in modo unilaterale su ciò che fosse di sua competenza, e ciò che fosse di competenza dello Stato; tutta la materia ecclesiastica era sottratta ad ogni ingerenza del potere civile;

però questo era tenuto a mettere a disposizione della Chiesa i suoi mezzi coercitivi per l’esecuzione dei provvedimenti dell’autorità ecclesiastica (il c.d. braccio secolare); nel contrasto tra leggi civili e leggi ecclesiastiche, dovevano essere queste a prevalere; le leggi civili contrarie ai diritti della Chiesa erano, ipso jure, illegittime, nulle e non obbliganti; nessuna autorità era legittima se non derivava il proprio potere da un investitura ecclesiastica che poteva essere revocata in caso di indegnità, sciogliendo i sudditi dal vincolo di sudditanza. Solo il Papa poteva decidere in ultima istanza della guerra e della pace, ripartire le terre scoperte e, in generale, disporre delle cose e delle persone di tutto il mondo. (F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, ottava edizione, Bologna, Ed. Zanichelli, 2000, pp. 22-24).

35 Al riguardo la Corte costituzionale (con sentenza 12 aprile 1989, n.203, in Dir.

eccl.,1989, II, p. 293 ss.; e in Quaderni di dir. pol. eccl., 1990/1, p.193 ss) ha ricompreso nel novero dei “principi supremi” anche il principio della “ laicità dello Stato” (ricavandolo dal combinato disposto degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost). In particolare, secondo la Corte costituzionale, il principio “supremo” della “laicità”, oltre a costituire “uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale” repubblicana, “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale.”

Sul riconoscimento del principio di laicità, CASAVOLA, Costituzione italiana e valori religiosi, in AA.VV., Ripensare la laicità. Il problema della laicità nell’esperienza giuridica contemporanea, a cura di G. DALLA TORRE, Torino, 1993, p.59 ss.; G. DALLA TORRE, La questione scolastica nei rapporti fra Stato e Chiesa, II ed., Ed. Patron, Bologna, 1989, p. 185 ss.; ID.; Il primato della coscienza, Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea, Ed. Studium, Roma, 1992, p.44 ss.; L. GUERZONI, Problemi della laicità nell’esperienza giuridica positiva: il diritto ecclesiastico, in AA.VV., Ripensare la laicità, cit., p.113 ss.;

AA.VV., Il principio di laicità nello Stato democratico, a cura e con introduzione di M. TEDESHI, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli, 1996. Cfr. anche A. RAVA’, Corte costituzionale e religione di Stato, in Dir.soc., 1998, 4, p. 559 ss.

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di laicità implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» e infine, il suddetto principio imporrebbe la distinzione tra «l’ordine delle questioni civili e l’ordine delle questioni religiose». Da ciò deriva che l’ordinamento non può adottare un atteggiamento di indifferenza nei confronti delle molteplici confessioni religiose esistenti in una società multiculturale come la nostra. Il postulato che ne deriva è che nessun simbolo religioso può essere scelto dall’ordinamento se non corrisponde ai valori condivisi dall’intera comunità dei consociati. In secondo luogo, se un qualsiasi simbolo religioso fosse frutto dell’imposizione da parte dello Stato si lederebbe quel principio di distinzione degli “ordini”, in considerazione del fatto che l’ordinamento non può utilizzare simboli di altre confessioni religiose per raggiungere i propri fini36. Nel nostro ordinamento i simboli religiosi sono considerati solo come simboli della coscienza, e la loro ostensione non può mai essere imposta da parte dei pubblici poteri anche se può accadere che un simbolo abbia un carattere semantico ambiguo. Tra questi simboli rientra sicuramente il Crocifisso che secondo alcuni avrebbe perso il carattere

36 In realtà il potere politico tendeva a sfruttare la forza della religione a proprio vantaggio. La tendenza emerse molto presto: a Roma l’imperatore stesso riceveva gli onori divini. Negli Stati cristiani e musulmani si formava la dottrina dell’origine divina dell’autorità, applicata alle istituzioni. Le monarchie acquistarono un carattere sacro, che renderà difficile l’adesione dei credenti ai regimi repubblicani. A Roma e in altre città dell’Italia antica, della Grecia e dell’Asia Minore le funzioni regie e quelle sacerdotali ricadevano su una stessa persona: i re-sacerdoti. (F.

FINOCCHIARO, Diritto…cit pp. 16-17).

(29)

di simbolo religioso, trasformandosi in simbolo di cultura e come tale liberamente utilizzabile dalle istituzioni, ovvero quello del Presepe, il quale è stato considerato in una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione37 come «tradizione che richiama la nostra identità culturale e come simbolo dell’amore più estremo portato fino al sacrificio della morte […] Questo è il significato del Natale per chi è credente e per chi non lo è».

2.2 Il quadro normativo

L’inclusione del Crocifisso tra gli elementi d’arredo obbligatori negli edifici pubblici trova origine nelle scelte di politica ecclesiastica del Regno di Sardegna dopo il 1848, in ossequio al principio espresso nell’art. 1 dello Statuto Albertino (legge 4 marzo 1848 n. 674), per il quale la religione cattolica è «la sola religione dello Stato».

L’esposizione del Crocifisso nelle aule delle scuole elementari è poi prevista dall’art. 140 del Regio Decreto 15 settembre 1860, n. 4336 (Regolamento per l’istruzione elementare, attuativo della legge 13 novembre 1859, n. 3725, c.d. legge Casati), il quale

37 Circolare del Ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti (protocollo n.

7529/MR) 15 dicembre 2004.

(30)

recita: «Ogni scuola dovrà, senz’altro, essere fornita dei seguenti oggetti: (…) 7. Un Crocifisso»38. Tale disciplina viene poi estesa successivamente a tutto il territorio nazionale dopo l’unificazione del Regno d’Italia.

La presenza del Crocifisso nei luoghi d’istruzione pubblica è disposta anche dal Regio Decreto 6 febbraio 1908, n. 150 di approvazione del regolamento generale per l’istruzione elementare, il quale per un verso, all’art. 3 prevede come facoltativo l’ insegnamento della religione (i genitori interessati avevano l’onere di presentare una specifica richiesta ed i comuni potevano decidere, a maggioranza dei consiglieri, di non impartirlo), per altro verso, all’art. 12 dell’Allegato D, si dispone che l’«immagine del Crocefisso» è inserito al primo posto tra gli «Oggetti e mobili occorrenti in ogni aula scolastica»39. All’inizio degli anni Venti, con la «riconfessionalizzazione della scuola»40, vengono adottate una serie di circolari ministeriali, assunte tra il 1922 ed il 1967, le quali riportano in auge l’obbligo dell’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche: esso è previsto,

38 Tra gli altri oggetti si rinvengono: 1. Banchi da studio con sedili; 2. Tavolo con cassetto a chiave e seggiola per il Maestro; 3. Armadio chiuso a chiave per riporre libri e scritti; 5. Calamai; 8. Un ritratto del Re.

39 N. MARCHEI, Il simbolo religioso e il suo regime giuridico nell’ordianmento italiano, in Symbolon/diabolon. Simboli, religioni, diritti nell’età nell’Europa multiculturale a cura di E. DIENI, A. FERRARI, V. PACILLO, Ed. Il Mulino, Bologna, 2005 pag. 264.

40 A. TALAMANCA, Libertà della scuola e libertà nella scuola, Ed. Cedam, Padova, 1975, p. 224 ss.

(31)

in particolare, da alcune circolari del Ministro della Pubblica istruzione.41

Tali circolari si inseriscono nel più ampio disegno di ridefinizione del ruolo della religione nelle scuole nell’ambito del Governo fascista: il regio decreto 1° ottobre 1923 n. 2185 (riforma Gentile) all’art. 3, prescriveva: «A fondamento e coronamento dell’istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta nella tradizione cattolica»42.

La ratio della normativa non risiede nella formale adesione da parte delle istituzioni statali ai principi fondamentali della religione cattolica intesa nel senso di «religione di Stato» (che si avrà solo con il Trattato Lateranense del 1929), ma nel riconoscimento di uno Stato

41 Circolare n. 68 del 22 novembre 1922 per le scuole elementari, circolare del 10 giugno 1926 per le scuole di ogni ordine e grado e circolare del 12 settembre 1927 per le scuole secondarie. Con la circolare n. 8823 del 1923 si consentiva di sostituire il Crocifisso «con un’immagine del Redentore in una espressione significativa che valga a manifestare il medesimo altissimo ideale che è raffigurato nel Crocifisso per esempio Cristo e i fanciulli» ed in questo modo si diede soddisfazione alle «richieste dei valdesi» e si limitò «il carattere di privilegio del provvedimento nei confronti dei cattolici». La circolare del 1926 per le scuole di ogni ordine e grado, prevedeva che l’obbligo dell’esposizione del Crocifisso fosse ripristinato «secondo l’antica tradizione» ed «il simbolo della nostra religione (…) sacro alla fede ed al sentimento nazionale, ammonisca ed ispiri la gioventù studiosa, che nelle università e negli studi superiori tempra l’ingegno e l’animo agli alti compiti cui è destinata»

Analogamente era disposto anche per tutti gli uffici pubblici (ord. Min. dell’11 novembre 1923) e per le aule di giustizia (circolare n. 1867 del 29 maggio 1926 del Ministero di Grazia e Giustizia). (A. GIANNINI, La legislazione ecclesiastica fascista preconcordataria, in Chiesa e Stato. Studi storici e giuridici per il decennale della conciliazione tra la Santa Sede e l’Italia,Vita e pensiero, Milano, 1939, pag. 500. L. ZANNOTTI, Il Crocifisso nelle aule scolastiche, in Dir. eccl. I, 1990, pag. 327, nota 14).

42 N. MARCHEI, Il simbolo religioso…cit p. 226.

(32)

«etico», che la religione è «un valore che (…) doveva essere presente anche nella scuola»43.

Nell’ambito della riforma si colloca il regio decreto 30 aprile 1924, n. 965 che regola l’«Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media», all’art. 118 (Capo XIII – Dei locali e dell’arredamento scolastico) il quale dispone che: «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e del Re». Il regio decreto 26 aprile 1928, n. 1927 di «Approvazione del regolamento Generale sui servizi dell’istruzione elementare», pur non prevedendo espressamente l’obbligo di esposizione del Crocifisso nelle aule, include «il Crocifisso nell’Allegato C all’art. 119 (Capo V- Arredamento scolastico), che elenca gli arredi ed il materiale occorrente nelle varie classi delle scuole elementari.

La legislazione in materia di arredamento scolastico successiva all’entrata in vigore della Costituzione non contiene nessuna disposizione che prevede l’obbligatoria esposizione del

43 A. TALAMANCA, Libertà…cit., p. 251. ID, voce Istruzione religiosa, in Enc.

Dir. vol. XXIII, Ed. Giuffrè, Milano, 1973, p. 123 s. dove si legge che

«profondamente difformi da quelli della Chiesa erano i motivi ideologici e pedagogici che ispiravano il nuovo indirizzo della politica scolastica italiana. Si esauriva infatti nel riconoscimento del valore sociale della religione e della sua utilità un funzione educativa la convergenza tra cattolici ed idealisti. (…) Questi i motivi addotti a sostegno dell’obbligatorietà dell’istruzione religiosa, che si concretizzava nell’insegnamento della religione cattolica, non per ragioni di fede o dogmatiche, ma solo per motivi culturali e per la conformità all’educazione ambientale ed alla tradizione nazionale, poiché, come ebbe ad affermare il Gentile,

«in Italia se lo Stato è coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire rispetto al passato, coscienza storica, esso è coscienza religiosa cattolica».

Sullo Stato etico gentiliano, G. MOLTENI, MASTAI FERRETTI, Stato etico e Dio laico. La dottrina di Giovanni Gentile e la politica fascista di conciliazione con la Chiesa, Ed. Giuffrè, Milano,1983, p. 207 ss. S. DE SIMONE, Disciplina giuridica dell’insegnamento della religione in Italia, Ed. Giuffrè, Milano, 1973, p. 35 ss.

(33)

Crocifisso nelle aule scolastiche: gli unici atti che disciplinano la questione sono alcune circolari del Ministro della Pubblica Istruzione.

La circolare n. 367 del 1967, nel dare applicazione alla legge 28 luglio 1967 n. 641, Nuove norme per l’edilizia scolastica e universitaria e piano finanziario dell’ intervento per il quinquennio 1967-197144, dispone che le aule delle scuole elementari e medie siano arredate con «a) Crocifisso». 45

Dopo la modifica del Concordato Lateranense ad opera dell’Accordo del 1984, che considera non più in vigore il principio della religione cattolica come «religione di Stato» contenuto nell’art. 1 del Trattato Lateranense, la questione della obbligatorietà dell’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, viene affidata alla circolare n. 157 del 9 giugno 1988 che rende pubblico il parere n.

63 espresso dalla sezione II del Consiglio di Stato46 il 27 aprile 1988.

La suddetta circolare è confermativa della vigenza dei regi decreti degli anni venti in quanto mai abrogati ai sensi dell’art. 15 delle

44 L’art. 30 comma I della legge 28 luglio 1967 n. 641, rubricato Sussidi per l’arredamento di scuole elementari e medie, dispone che la «facoltà spettante al Ministero della pubblica istruzione, a norma degli articoli 119, 120, 121 del regolamento generale sui servizi delle scuole elementari, approvato con regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, si estende per l’arredamento delle scuole medie».

N. MARCHEI, Il simbolo religioso..cit., pag. 268, nota n. 12.

45 Tra gli altri arredi, «b) ritratto del Presidente della Repubblica; «C) tavolini e seggioline per alunni; «d) tavolino e scrivania con due poltroncine per l’insegnate;

«e) lavagna di uso collettivo ed eventuali lavagne per alunni (…)». N. MARCHEI, Il simbolo religioso…cit., p. 268.

46 In Dir. eccl., II, 1988, pp. 401 s.

(34)

disposizioni sulla legge in generale ed in quanto il Crocifisso per i principi che evoca (…) fa parte del patrimonio storico47».

In tempi recenti occorre rammentare la nota n. 2667 del 3 ottobre 2002 e la direttiva48 n. 2666 della medesima data del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, che ricalcano il parere dell’Avvocatura dello Stato di Bologna del 16 luglio 200249, e nel ribadire la vigenza delle norme regolamentari, insistono affinché «sia assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche»50.

47 Parere del Consiglio di Stato n. 63 del 1988 in www.anir.it.

48 Tale direttiva da un lato che sia adibito nella scuola uno spazio destinato al raccoglimento ed alla riflessione per alunni e docenti di diverse credenze e convinzioni; dall’altro rammenta ai dirigenti scolastici il dovere di assicurare nelle aule l’esposizione del Crocifisso. V. PACILLO, J. PASQUALI CERIOLI, I simboli religiosi…cit., p. 54.

49 Parere del 16 luglio 2002 dell’Avvocatura dello Stato di Bologna in www.filodiritto.com

50 Proposta di legge n. 2749, di iniziativa parlamentare –on. Bricolo (Lega Nord)- assegnata il 17 giugno 2002 alla commissione affari costituzionali in cui è disposto l’obbligo penalmente sanzionato, di esposizione, in tutti i pubblici uffici e le pubbliche amministrazioni della Repubblica, del Crocifisso «emblema di valore universale della civiltà e della cultura cristiana, (…) elemento essenziale e costitutivo e perciò irrinunciabile del patrimonio storico-culturale dell’Italia» (art. 1) e la proposta di legge n. 1717, di iniziativa parlamentare – on. Sodano (Udc, Ccd, Cdu, De) – assegnata il 25 febbraio 2003 alla commissione affari costituzionali che prevede anch’essa l’obbligo di esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici, in www.parlamento.it.

(35)

2.3 Il problema dell’applicabilità delle norme regolamentari a seguito dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale

Dopo l’avvento della Repubblica e la successiva enunciazione, da parte della Consulta, della laicità come principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano si è posta la questione della vigenza e/o dell’applicabilità delle norme regolamentari degli anni venti, unica fonte normativa dell’obbligo di esposizione del Crocifisso.

Parte della dottrina51 ha rilevato come le norme regolamentari si scontrino con i principi accolti nella Costituzione (1948) e nel nuovo Accordo di Villa Madama (1984) tra la Repubblica italiana e la Santa Sede. In particolare, appare evidente il contrasto della disciplina citata con il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge espresso nell’art. 8, primo comma, Cost. – definito come la «regola fondamentale del diritto ecclesiastico italiano»52 - che caratterizza in senso pluralista l’ordinamento costituzionale vigente.

L’abrogazione, poi, dell’art. 1 del Trattato Lateranense (legge 27 maggio 1929, n. 810, che, richiamando il già l’art. 1 dello Statuto Albertino, indicava la religione cattolica come la sola religione di

51 R. BOTTA, Tutela del sentimento religioso ed appartenenza confessionale nella società globale, Ed. Giappichelli, Torino, 2002, p. 177 s. A. VITALE, Corso di diritto ecclesiastico. Ordinamento giuridico e interessi religiosi, IX, Ed. Giuffrè, Milano,1998, p. 35.

52 G. CASUSCELLI, Il crocefisso nelle scuole: neutralità dello Stato e regola

«regola della precauzione», in www.olir.it, luglio 2005.

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Stato) ad opera dell’art. 1 del Protocollo addizionale all’Accordo del 1984 (legge 25 marzo 1985, n. 121) e l’affermazione della laicità come principio dell’ordinamento costituzionale compiuto dalla Corte Costituzionale (sent. 12 aprile 1989, n. 203) hanno portato alcuni autori53 a sostenere l’abrogazione implicita delle disposizioni sulla presenza del crocefisso nelle strutture pubbliche.

Una soluzione orientata nel senso della vigenza e dunque dell’applicabilità delle norme regolamentari degli anni venti è stata, invece, prospettata dal Consiglio di Stato54 e, più recentemente, dall’Avvocatura dello Stato di Bologna55.

La prima ipotesi da verificare riguarda l’avvenuta abrogazione della normativa da parte della legislazione successiva, ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale.

Quest’ultima norma disciplina due diverse modalità di abrogazione delle leggi: la prima, abrogazione espressa, si verifica quando la norma successiva contiene l’espressa dichiarazione di

53 R. BOTTA, Tutela del sentimento religioso…cit., p. 177 ss.

54 Il riferimento è al parere del Consiglio di Stato n. 63 in data 27 aprile 1988, che sostiene la vigenza delle norme poiché «le modificazioni apportate al Concordato Lateranense (…) non contemplando esse stesse in alcun modo la materia de qua (…) non possono influenzare, né condizionare la vigenza delle norme (…) Occorre, poi, anche considerare che la Costituzione Repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come quello del Crocifisso, per i principi che evoca (…) fa parte del patrimonio storico».

55 Il riferimento è al parere del 16 luglio 2002 dell’Avvocatura dello Stato di Bologna che conferma le conclusioni del Consiglio di Stato. (Pret. Roma, ord. 28 aprile 1986, in Dir. eccl. II, 1986, p. 419 ss.

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