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3. Dal simbolismo al simbolo in senso stretto: norme

3.4 Ratio e fondamento dell’intervento legislativo

Con l’inizio del 2004 la proposta della Commissione Stasi diventa progetto di legge138. Tale progetto prevede di introdurre nel Codice dell’Educazione l’art. 141-5-1, norma diretta a sancire il divieto di indossare, nelle scuole pubbliche, simboli e abbigliamenti diretti a manifestare in maniera «ostentatoria» un’appartenenza religiosa. Il legislatore impedisce in questo modo l’utilizzo di quei

138 La relazione preliminare al succitato progetto (c.d. Rapport Clément), partendo dalla considerazione che il principio di laicità esprime valori di rispetto, di dialogo e tolleranza, afferma esplicitamente che la laicità garantisce «la libertà di coscienza e, proteggendo la libertà di credere e di non credere, assicura ad ognuno la possibilità di esprimere e di vivere pacificamente la sua fede, di praticare la sua religione».

La relazione continua affermando che «malgrado la forza di questa conquista repubblicana, l’applicazione del principio di laicità, oggi, incontra delle difficoltà nuove e più grandi le quali hanno dato vita ad un dibattito molto ampio all’interno della società francese, particolarmente per quanto riguarda certi servizi pubblici come la scuola e gli ospedali». «A questo proposito la riaffermazione del principio di laicità nella scuola, luogo privilegiato di acquisizione e di trasmissione dei nostri valori comuni, strumento per eccellenza di rafforzamento dell’idea repubblicana, pare oggi indispensabile; la scuola, in effetti, deve essere salvaguardata al fine di assicurare l’eguaglianza delle scelte, l’eguaglianza davanti all’acquisizione dei valori e del sapere, l’eguaglianza tra ragazzi e ragazze, la varietà degli insegnamenti, tra cui l’educazione fisica e sportiva. Non si tratta di fare della scuola un luogo di uniformità e di anonimato, che ignori il fatto religioso: si tratta di permettere agli Materiali per una storia della cultura giuridica,1996, p. 181 ss.

simboli e di quei capi d’abbigliamento che, per le loro dimensioni, possano manifestare oggettivamente e visibilmente l’appartenenza confessionale, a prescindere dal fatto che essi siano indossati per finalità di proselitismo o di provocazione.

Oggetto del divieto non sono più determinati comportamenti, come previsto dalla precedente giurisprudenza, che affida poi ai capi d’istituto la delicata valutazione dei singoli casi concreti, ma le port di determinati segni religiosi in quanto tali: infatti il termine «ostensible»

caratterizza gli abbigliamenti e i segni che sono oggettivamente esteriorizzati139. In tal modo viene invertito il criterio di valutazione:

la regola è costituita dal divieto di portare segni religiosi, mentre l’eccezione è data dai segni discreti di appartenenza religiosa.

Da ciò deriva che i regolamenti interni degli istituti scolastici che prevedono un divieto generale di portare abbigliamenti o segni religiosi, prima esposti al rischio di essere invalidati dal giudice amministrativo, risultano conformi alla legge, dovendo solo precisare però che il divieto non riguarda i segni discreti. Il legislatore ha quindi

139 Il Consiglio di Stato nel 1989 sanziona il porto di quei segni religiosi che, congiunti a determinati comportamenti, assumono carattere «ostentatoire» (in francese: «aggettivo, letterario: ciò che viene fatto, mostrato con ostenatzione», M.

ROBERT, Dictionnaire du française primordial,Paris, 1984, p. 741), cioè non soltanto rivolti a manifestare la propria appartenenza religiosa ma altresì tesi, per le circostanze concrete cui si accompagnano, a generare una pressione su altre persone, trasformandosi in atti di provocazione, di proselitismo e di propaganda. La legge attuale ricorre invece all’avverbio ostensiblement, derivato dall’aggettivo ostensibile (in francese: «Ciò che viene fatto senza nascondersi o con l’intenzione di essere notato», M. ROBERT, Dictionnaire du française primordial… cit., p. 740) per colpire immediatamente qualunque segno o abbigliamento vistoso a prescindere dall’intenzione del soggetto.

respinto la proposta della mission d’information dell’Assemblea nazionale (Mission Debré) che propone di vietare «le port visible» di ogni segno di appartenenza religiosa al fine di evitare ogni contestazione sulla dimensione del segno e del suo carattere vistoso140.

Diversamente da quanto proposto sia dal Rapport Stasi che dalla Mission Debré, la legge non ricomprende nel divieto i segni di appartenenza politica, in quanto una circolare del 1° luglio del 1936 (c.d. circolare «Jean Zay»), tuttora in vigore, proibisce l’uso di segni politici a scuola, ed in particolare «tout object dont le port costitue une manifestation susceptible de provoquer une manifestation en sens contraire»: in questo modo sono vietati nella scuola tutti i segni politici, compresi quelli discreti.141

Il divieto si applica nella scuole, nei collegi e nei licei pubblici, cioè in tutti gli istituti di istruzione primaria («école») e secondaria («collège set lycéès) e in tutti i locali e spazi situati nella cerchia di tali istituti. Secondo il Rapport Clément, esso vale anche per le attività comunque poste sotto la loro responsabilità, comprese

140 Questo punto è stato oggetto di qualche discussione all’interno della Commissione delle leggi dell’Assemblea nazionale. Alcuni suoi membri, in particolare socialisti, hanno insistito per la formulazione proposta dalla mission d’information, ritenendola più oggettiva, meno esposta a possibili contestazioni e ritenendo per contro quella proposta dal governo più punitiva nei confronti della religione islamica.

141 P. CAVANA, I segni della discordia…cit., p.109.

quelle destinate a svolgersi fuori dai locali dell’istituto (come le gite scolastiche).

Ne restano quindi esclusi gli istituti privati, anche quelli sotto contratto con lo Stato e destinatari di finanziamenti pubblici. In essi quindi le convinzioni religiose possono manifestarsi più liberamente.

La legge non si applica alle università perché esse sono frequentate da soggetti maggiorenni e dove dunque deve essere consentita una maggiore libertà di espressione.

Il 10 febbraio 2004 l’Assemblea Nazionale è stato approvato il testo proposto142. Il 25 febbraio dello stesso anno, il Senato ha pubblicato il «rapporto n. 219 sul Progetto di legge adottato dall’Assemblea Nazionale disciplinante il fatto di indossare simboli o abbigliamenti che manifestano un’appartenenza religiosa nelle scuole, nei collegi e nei licei pubblici». Il Senato ha affermato che il progetto di legge testimonia «la volontà del legislatore di realizzare un compromesso fedele alla tradizione laica della Repubblica francese e

142 In Commissione, a seguito della presentazione di alcuni emendamenti e della successiva discussione, è stato introdotto nel testo dell'art. 1 del progetto un secondo comma che subordina l'irrogazione di ogni sanzione in caso di inosservanza del divieto alla previa attivazione, da parte del capo d'istituto, di un tentativo di persuasione e di dialogo con l'alunno/a per indurlo a conformarsi spontaneamente al divieto, rinviando al regolamento interno d'istituto per le sue modalità. Il testo che è stato definitivamente approvato in aula il 10 febbraio reca una formulazione più rispettosa delle prerogative dei capi d'istituto: «Il regolamento interno prevede che l'avvio di una procedura disciplinare è preceduta da un colloquio con l'alunno».

A. FERRARI, Islam in Europa/Islam in Italia tra diritto e società, Ed. Il Mulino, Bologna, 2008, p. 150 ss.

conforme tanto alla Costituzione, che garantisce la libertà di coscienza, quanto agli accordi internazionali come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».143

Il progetto di legge che, introduce nel corpo del Codice dell'Educazione l'art. L. 141-5-1144 e vieta nelle scuole pubbliche l'utilizzo di simboli religiosi ostentatori, è stato definitivamente approvato al Senato il 3 marzo 2004; la legge è stata promulgata il 15 marzo 2004 con il numero 2004-228145.

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