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COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa degli intermediari.

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COLLEGIO DI NAPOLI

composto dai signori:

(NA) CARRIERO Presidente

(NA) SANTAGATA DE CASTRO Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) GATT Membro designato dalla Banca d'Italia

(NA) MIOLA Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(NA) PALMIERI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore MASSIMO MIOLA

Seduta del 13/07/2021

FATTO

Il ricorrente afferma in ricorso di avere intrattenuto per molti anni con l’intermediario un rapporto di conto corrente, cointestato con il proprio coniuge; che negli anni 2008/2009, a seguito di difficoltà economiche connesse ai licenziamenti dal rapporto di lavoro intervenuti, richiese credito alla banca, ma non fu autorizzato in quanto non aveva garanzie da offrire, mentre, verbalmente, gli fu concesso uno sconfinamento per circa 2.000,00 € sul conto. Il ricorrente aggiunge che per il rientro dallo sconfinamento è stato invitato a sottoscrivere un piano con rate mensili di non meno di 500 €, per lui non sostenibile; nel settembre del 2020 ha ricevuto comunicazione di revoca e risoluzione del rapporto di conto corrente, con invito al pagamento entro 15 giorni dell'importo dovuto già accresciuto ad € 2.923,34 per l'incremento degli interessi, e nel marzo 2021 ha ricevuto tre raccomandate prive di data, con comunicazione di sofferenza del credito e conseguente segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia.

Il ricorrente aggiunge che, al momento, è disabile al 100% ex L. 104 e percepisce esclusivamente ed unicamente un assegno di invalidità mensile che viene accreditato su altro conto corrente estraneo alla banca, non ha nessuna proprietà o altre forme di sostentamento, non ha nessuna occupazione in quanto permanentemente inabile al lavoro, ma nonostante tutto continua ad offrire la sua disponibilità ad effettuare versamenti mensili sul conto in debito per quanto sia possibile riuscire a risparmiare dall'assegno di invalidità. Ciò premesso il ricorrente chiede al Collegio di “interagire” con l’intermediario, cercando di instaurare una conciliazione che rientri nelle proprie disponibilità; chiede

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altresì che venga sospesa l’iscrizione, o disposta la cancellazione se già avvenuta, nella Centrale Rischi, nonché di valutare gli eventuali danni scaturenti da ciò.

L’intermediario, costituitosi, eccepisce in via preliminare che la che Sezione VI

“Procedimento e Decisione” delle “Disposizioni sui sistemi di Risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari finanziari”, al paragrafo 1,

“Avvio del Procedimento”, sancisce espressamente che “il ricorso all’ABF è preceduto da un reclamo preventivo all’intermediario”; le stesse Disposizioni forniscono altresì la definizione di “Reclamo”, che consiste in “ogni atto con cui un cliente chiaramente identificabile contesta in forma scritta (es., lettera, fax, e-mail) all’intermediario un suo comportamento anche omissivo” e - dato che il presente ricorso non risulta essere stato preceduto da un reclamo, né i ricorrenti hanno fornito alcuna prova a riguardo, chiede innanzitutto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Nel merito, l’intermediario afferma che i ricorrenti risultavano titolari di un conto corrente acceso nel gennaio 2000; dall’analisi della movimentazione del conto corrente, si può rilevare che già al 31 dicembre 2016 lo stesso presentava un saldo negativo, ancorché modesto, di € 97,69; che sul conto in oggetto non era stata concessa alcuna apertura di credito in quanto; come risaputo, il processo di valutazione ed erogazione del credito da parte degli intermediari finanziari è soggetto ad una disciplina normativa e regolamentare particolarmente rigorosa – che ha inizio con una domanda formalizzata secondo certi criteri da parte del cliente e che, dopo un’istruttoria finalizzata alla valutazione del merito di credito ed alla capacità di rimborso del richiedente, determina la concessione o meno del finanziamento richiesto - a tutela della stabilità finanziaria ed economica degli Istituti di credito e, di riflesso, del sistema economico nel suo complesso; in tale quadro normativo non è assolutamente possibile per una banca consentire “ufficiosamente” che un proprio cliente possa avvalersi di uno “scoperto” su un conto corrente o di qualsiasi altra forma di finanziamento;

L’intermediario deduce altresì che al 31 marzo 2017 il saldo a debito del conto corrente in argomento era aumentato ad € 881,04, principalmente per addebiti a fronte di utilizzo di carta di credito e di servizio Telepass; successivamente le operazioni registrate sul rapporto si sono praticamente azzerate, fatta eccezione per gli addebiti di competenze e spese periodiche previste dalle condizioni contrattuali nonché degli interessi passivi tempo per tempo maturati, che hanno determinato un progressivo aumento del saldo a debito del conto corrente sino alla somma, determinata al 31 luglio 2020, di € 2.923,34.

L’intermediario aggiunge che, a seguito del persistere dell’andamento negativo del conto, nel settembre 2020 ha comunicato ai clienti il recesso dal contratto di conto corrente, regolarmente recapitato agli interessati, con invito al pagamento del debito maturato entro e non oltre 15 giorni; con la medesima lettera i ricorrenti sono stati informati che in caso di mancato pagamento del debito e conseguente passaggio a sofferenza della posizione,

“verrà dato corso alle segnalazioni dovute in Centrale Rischi di Banca d’Italia”; che nonostante la predetta comunicazione, non è stato possibile addivenire ad un accordo con i ricorrenti per la sistemazione della loro posizione debitoria; che in data 6 marzo 2021 il conto corrente viene definitivamente chiuso ed il saldo a debito (diminuito ad € 2.895,39 a seguito di alcuni rimborsi per commissioni e spese erroneamente contabilizzate sul conto è stato volturato tra le posizioni a “sofferenza” della Banca, come da comunicazione spedita ai ricorrenti e regolarmente recapitata ai destinatari, con le relative conseguenti segnalazioni alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, così come espressamente sancito dalla normativa vigente; che non sussiste alcun obbligo in capo all’intermediario di accettare un piano di rientro secondo le tempistiche e modalità stabilite dal cliente, tanto più in termini generici (infatti viene affermata la sommaria disponibilità “ad un rientro che mi sarei gestito io a seconda delle mie possibilità”, senza specificare né importi né termini

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in cui tali pagamenti sarebbero stati effettuati) e, di fatto, privo di un impegno concreto da parte del debitore che possa convincere l’Istituto di credito a concedere dilazioni e facilitazioni per favorire il rientro dall’esposizione debitoria; che indipendentemente dalla formalizzazione di un piano di rientro o meno, ai correntisti era comunque consentito effettuare versamenti per ripianare, se non integralmente almeno parzialmente (così da limitare la maturazione degli interessi passivi), la situazione debitoria del proprio conto corrente; tuttavia, dall’analisi della movimentazione del conto corrente, non risulta alcun versamento a decurtazione del saldo debitorio; che ciò nonostante, “nel corso di queste ultime settimane (successivamente al passaggio a “sofferenza” della posizione), sono intercorsi alcuni contatti tra i ricorrenti e le dell’intermediario preposte alla gestione della pratica; in particolare, in data 31 marzo 2021 è stata chiesta ai coniugi la formulazione di un piano di rientro che potesse tener conto della situazione finanziaria da loro attraversata e che, nel contempo, consentisse all’intermediario di rientrare dal credito vantato in tempi abbastanza ragionevoli; in data 6 aprile il cliente ha proposto un versamento mensile decisamente esiguo (€ 20,00) chiedendo comunque la possibilità di poter versare una somma maggiore in quei mesi in cui avrebbe potuto godere di maggiore disponibilità.

L’intermediario riferisce, quindi, che a dimostrazione della volontà di cercare di addivenire ad una soluzione definitiva della questione e senza che ciò comporti una qualsivoglia accettazione di responsabilità riguardo alle contestazioni avanzate dai ricorrenti, è disposta ad accordare la chiusura della “sofferenza” previo versamento di € 950,00 omnia (ovvero a saldo e stralcio della maggior esposizione), da effettuarsi improrogabilmente entro la fine del 2021 e previa tacitazione di ogni pretesa presente e futura avanzata da parte dei clienti

L’intermediario conclude, quindi, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile in quanto non preceduto da un reclamo; nella denegata ipotesi che venga considerato ammissibile, che venga respinto in quanto infondato nel merito. Ribadisce, inoltre, la disponibilità, considerate le difficoltà economiche dei ricorrenti, a concedere loro la possibilità di procedere alla chiusura della “sofferenza” previo versamento di €. 950,00 omnia (ovvero a saldo e stralcio della maggior esposizione, con un risparmio a favore dei ricorrenti di € 1.945,39, pari a circa il 67% rispetto al debito attualmente maturato), da effettuarsi improrogabilmente entro la fine del 2021, e previa tacitazione di ogni pretesa presente e futura avanzata, da parte dei ricorrenti, in sede di codesto ricorso nei propri confronti.

Il ricorrente ha prodotto repliche sostenendo che l’apertura di credito non necessariamente deve essere convenuta per iscritto; che la revoca dell’affidamento e la chiusura del conto sono in contrasto con l’art. 56 del decreto Cura Italia; che ““per i principi di gestione dei contratti secondo buona fede, affermati sia dall’ABF sia dalla Corte di Cassazione, anche i piani di rientro non possono essere proposti con modalità tali che è certo che il debitore non potrà fare fronte”; infine, esprime la propria disponibilità ad un piano di rientro di euro 950,00, consistente in 9 rate da euro 100,00 al mese, e l’ultima di euro 50,00, decorrenti dal mese successivo all’accettazione dell’intermediario e comunque in modo da non terminare i pagamento oltre i 12 mesi.

L’intermediario, nelle proprie controrepliche, riguardo all’affermazione del ricorrente, secondo cui “l’apertura di credito non necessariamente deve essere convenuta per iscritto”

rileva che l’art. 117, comma 1, del Testo Unico Bancario sancisce espressamente che “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”. Ciò conferma l’impossibilità per l’intermediario di poter concedere “ufficiosamente” qualsiasi sorta di apertura di credito a valere sul conto corrente intrattenuto dal ricorrente. Riguardo l’affermazione secondo cui “la revoca dell’affidamento e la chiusura del conto sono avvenuti nel mese di settembre 2020, in contrasto con l’art. 56 del Decreto “Cura Italia”,

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che stabilisce un sostanziale divieto di recesso da parte degli intermediari fino a tutto settembre 2020”, rileva, innanzitutto, che si tratta di contestazione nuova, non contenuta nell’originale ricorso presentato dinnanzi a codesto spettabile Arbitro; in merito, che l’art.

56 del c.d. Decreto “Cura Italia” tratta, come specificato dal titolo dell’articolo, delle misure di sostegno alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19 (mentre i ricorrenti hanno depositato il presente ricorso in qualità di “Consumatori”). Quanto all’affermazione, secondo cui “per i principi di gestione dei contratti secondo buona fede, affermati sia dall’ABF sia dalla Corte di Cassazione, anche i piani di rientro non possono essere proposti con modalità tali che è certo che il debitore non potrà fare fronte”, sottolinea che i ricorrenti non hanno mai dimostrato una effettiva volontà di rientrare, almeno parzialmente, dalla propria esposizione debitoria, dato che inizialmente si sono limitati a manifestare un sommario impegno ad un rientro gestito discrezionalmente o comunque con termini eccessivamente dilatati.

Nel confermare le conclusioni rassegnate, l’intermediario ribadisce la disponibilità a concedere un rientro mediante il pagamento di 9 rate mensili costanti da €. 100 cadauna ed il pagamento della rata finale da 50 euro entro e non oltre i 12 mesi dalla formalizzazione dell’accordo, a fronte della rinuncia, da parte dei ricorrenti, di ogni pretesa presente e futura avanzata col presente ricorso nei confronti della scrivente. In merito alla richiesta di cancellazione della segnalazione della “sofferenza” nella Centrale Rischi della Banca d’Italia, precisa che la normativa attuale ammette la cancellazione solo ed esclusivamente in caso di errori nei dati inseriti. Pertanto la segnalazione di “sofferenza”

rimarrà sino a quando non si saranno completati i pagamenti concordati col piano di rientro e per i 36 mesi successivi, così come previsto dalla normativa attualmente vigente.

Ciò premesso, si rileva quanto segue in

DIRITTO

La controversia ha ad oggetto il recesso operato dall’intermediario da un rapporto di conto corrente a seguito dello scoperto di conto realizzatosi, e la conseguente segnalazione a sofferenza effettuata presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.

Il ricorso è irricevibile.

In primo luogo, l’intermediario eccepisce la mancata preventiva presentazione del reclamo da parte del ricorrente. Come sancito dalle vigenti “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari”, emanate dalla Banca d’Italia con provvedimento del 18 giugno 2009 " ... l'espletamento della fase di reclamo presso l'intermediario costituisce ... condizione preliminare e necessaria per adire l'Arbitro Bancario Finanziario" e che "il ricorso ha ad oggetto la stessa contestazione del reclamo '' (cfr. Sez. VI, § 1 e 2). Nelle predette Disposizioni viene altresì precisato che per “reclamo” debba intendersi “ogni atto con cui un cliente chiaramente identificabile contesta in forma scritta (es. lettera, fax, email) all’intermediario un suo comportamento o un’omissione”.

La carenza della suddetta prova equivale alla mancanza del reclamo, che integra l’inesistenza di un presupposto necessario dell’azione – normativamente previsto dalle disposizioni che regolano l’ABF – e rilevabile anche d’ufficio (cfr. Collegio di Roma dec. n.

8540/2015; Collegio di coordinamento n. 5304/2013). Il sistema dell’ABF è stato, d’altronde, istituito “come forma di controllo sulle modalità con cui gli intermediari bancari e finanziari reagiscono ai reclami della clientela, non già come organo che riceve direttamente i reclami” stessi (cfr. Coll. Milano, dec. n. 1656/2013). Si aggiunge che il Collegio di Coordinamento, nella decisione n. 5304/2013 ha statuito “… Pertanto, il

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mancato esperimento della condizione di procedibilità, in quanto tale, integrando l’inesistenza di un presupposto dell’azione, può bene essere rilevata d’ufficio, con la conseguenza che l’Arbitro possa definire in rito la procedura, senza entrare nel merito della stessa”.

Nel caso di specie, il Collegio evidenzia che nel modulo di ricorso risulta indicata, quale data del reclamo, quella di presentazione del ricorso. Al riguardo, osserva che, quand’anche il ricorrente avesse effettivamente provveduto alla presentazione del reclamo contestualmente al deposito del ricorso, non risulterebbe comunque trascorso il termine di 60 giorni per il relativo riscontro, circostanza quest’ultima che comporta, secondo il recente arresto del Collegio di coordinamento (decisione n. 15400/2021), l’inammissibilità, rilevabile anche d’ufficio, del ricorso

Si aggiunga che il ricorrente, nel chiedere al Collegio di “interagire” con l’intermediario cercando di instaurare una conciliazione con l’intermediario, sembrerebbe voler chiedere al Collegio lo svolgimento di un’attività di tipo consulenziale, la quale, per orientamento condiviso dei Collegi, non è consentita. Come sancito sul punto proprio dal Collegio di Napoli, decisione n. 2950/2017: “[…] Il Collegio è stato chiamato a svolgere un’attività di natura consulenziale sulla base di una domanda di tipo esplorativo e “l’Arbitro Bancario Finanziario ha più volte statuito di non potere esaminare domande aventi natura consulenziale ed esplorativa: come appunto può leggersi nei precedenti sul tema, ciò accade in presenza di un’allegazione connotata da vaghezza e genericità, atteso che ogni domanda giudiziale postula un’affermazione univoca, un vanto determinato, una pretesa insoddisfatta rispetto ai quali sia resa possibile al Collegio la verifica di fondatezza su base documentale al quale è chiamato dalla normativa applicabile (cfr., ex multis Collegio di Napoli, decisione n. 4135/2014; Collegio di Roma, decisioni n. 2358/2014 e n. 758/2015)”:

così la decisione di questo Collegio n. 8680/2016, e la decisione n. 7768/2016. Del medesimo avviso il Collegio di Milano (decisioni n. 4777/2015, n. 1894/2013, n. 644/2010, n. 385/2011)”.

P.Q.M.

Il Collegio dichiara il ricorso irricevibile.

IL PRESIDENTE

firma 1

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