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1 Elementi di topologia di R

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Appunti di Analisi Matematica 2, A.A 2015 - 2016

1 giugno 2016

1 Elementi di topologia di R

n

e C

n

Definizione 1. Un gruppo è una coppia (G , ∗) ove con G si indica un insieme non vuoto e con

∗ : G × G → G (g1, g2) 7→ g1∗ g2

un’operazione binaria che soddisfi le seguenti proprietà:

1. Associatività: ∀g1, g2, g3G vale che (g1∗ g2) ∗ g3= g1∗ (g2∗ g3); 2. Esistenza dell’elemento neutro: ∃e ∈ G | ∀g ∈ G vale che g ∗ e = e ∗ g = g;

3. Esistenza dell’inverso bilatero: ∀g ∈ G ∃g−1G : g ∗ g−1 = g−1∗ g = e.

Definizione 2. Se ∀g1, g2 G vale che g1∗ g2= g2∗ g1, la coppia (G , ∗) è un gruppo abeliano o commutativo.

Esempi di gruppi abeliani e non possono essere:

• (Rn, +), (Z, +), (Q, +);

• L’insieme delle traslazioni è un gruppo abeliano;

• L’insieme delle rotazioni di centro fisso è un gruppo abeliano;

• (Bii(X), ◦)è un gruppo non abeliano (aka l’insieme delle funzioni biiettive definite su X a valori in X);

• L’insieme delle rototraslazioni è un gruppo non abeliano. Una semplice dimostrazio- ne/spiegazione può essere ottenuta grazie al teorema di isomorfismo: essendo le trasforma- zioni delle applicazioni lineari da Rn in Rn, ad ognuna di esse è associata in modo univoco una matrice Mn(f ) ∈ Mn(R). Poiché il prodotto fra matrici non è commutativo, così non è commutativa la composizione di rotazioni e traslazioni.

Definizione 3. Si definisce prodotto scalare nello spazio vettoriale Rn una forma bilineare simmetrica definita positiva

h,i : Rn× Rn → R (v, w) 7→ hv, wi che soddisfi le seguenti proprietà:

1. Positività: ∀v ∈ Rnhv, vi ≥ 0 ∧ hv, vi = 0 ⇐⇒ v = 0;

2. Linearità rispetto al primo (e al secondo, qui non riportata) termine: ∀v1, v2, w ∈ Rnhv1+ v2, wi = hv1, wi + hv2, wi;

3. Simmetria: ∀v, w ∈ Rnhv, wi = hw, vi.

(2)

Definizione 4. Sia Cnuno spazio vettoriale. Una forma sesquilineare sul campo C è una mappa φ : Cn× Cn→ C

(v, w) 7→ φ(v, w) che soddisfi le seguenti proprietà:

1. ∀v1, v2, w1, w2∈ Cnφ(v1+v2, w1+w2) = φ(v1, w1)+φ(v1, w2)+φ(v2, w1)+φ(v2, w2); 2. ∀v, w ∈ Cn∧ ∀λ ∈ C φ(λv, w) = λφ(v, w);

3. ∀v, w ∈ Cn∧ ∀λ ∈ C φ(v, λw) = ¯λφ(v, w).

Se la forma sesquilineare è simmetrica, cioè se ∀v, w ∈ Cn φ(v, w) = φ(w, v), viene chiamata forma hermitiana.

Il prodotto scalare standard su Rn, data la base canonica C := {e1, . . . , en}, è così definito:

hx, yi :=

n

X

i=1

xiyi

ove con xi, yisi intendono le componenti rispettivamente dei vettori x, y rispetto all’iesimo vet- tore della base ortonormale C . La forma hermitiana standard su Cn, data una base ortonormale C := {e1, . . . , en}, è invece:

φ(x, y) =

n

X

i=1

xiy¯i

La definizione di un prodotto scalare su Rnpermette anche di definire la norma euclidea/standard.

Definizione 5. Sia x ∈ Rnun vettore dello spazio vettoriale Rn, spazio in cui abbiamo definito un prodotto scalare hv, wi . Si definisce norma euclidea del vettore x

kxk :=phx, xi = v u u t

n

X

i=1

x2i

Valgono le seguenti proprietà:

1. ∀x ∈ Rn kxk ≥ 0 ∧ kxk = 0 ⇐⇒ x = 0; 2. ∀x ∈ Rn∧ ∀λ ∈ R kλxk = |λ| kxk;

3. ∀x, y ∈ Rn kx + yk ≤ kxk + kyk; 4. ∀x, y ∈ Rn

kxk − kyk

≤ kx − yk.

Teorema 1 (Di Cauchy-Schwarz). ∀x, y ∈ Rn hx, yi

≤ kxkkyk

Dimostrazione. Siano x, y ∈ Rn due vettori non nulli. Prendiamo λ ∈ R. Abbiamo che kx + λyk2= hx + λy, x + λyi = hx, xi + λ hy, xi + λ hx, yi + λ2hy, yi

= kxk2+ 2λ hx, yi + λ2kyk2

Scegliendo opportunamente λ (in questo caso ponendolo uguale a −hx,yikyk2) si ottiene

kx + λyk2= kxk2− 2hx, yi2

kyk2 +hx, yi2

kyk2 = kxk2hx, yi2 kyk2 Ricordando che kx + λyk2≥ 0, abbiamo che

kxk2hx, yi2

kyk2 ≥ 0; kxk2hx, yi2

kyk2 ; kxk2kyk2≥ hx, yi2

(3)

Elevando ambo i membri alla 0.5 otteniamo, con i dovuti accorgimenti kxkkyk ≥

hx, yi L’asserto è dimostrato.

Definizione 6. Una distanza o metrica su Rn è una funzione d : Rn× Rn→ R

(x, y) 7→ d(x, y) definita, data una norma, nel modo seguente

d(x, y) := kx − yk che verifica le seguenti proprietà:

1. ∀x, y ∈ Rn d(x, y) ≥ 0 ∧ d(x, y) = 0 ⇐⇒ x = y; 2. ∀x, x ∈ Rn d(x, y) = d(y, x);

3. Disuguaglianza triangolare: ∀x, y, z ∈ Rn d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y).

La coppia (Rn, d) viene chiamata spazio metrico. In particolare, in Rn, data una base C , la metrica è così definita:

d(x, y) = v u u t

n

X

i=1

|xi− yi|2

Definizione 7. Sia Rn uno spazio metrico, e sia x0∈ Rn. Si dice intorno sferico di centro x0

e raggio ρ > 0 l’insieme dei punti di Rn che hanno distanza da x0minore di ρ B(x0, ρ) := {x ∈ Rn : d(x0, x) < ρ}

In generale, un intorno di x0∈ Rn è un sottoinsieme di U(x0) ⊂ Rn tale che x0∈ U (x0) ∧ U (x0) ⊇ B(x0, ρ)per un certo ρ > 0

Abbiamo così definito una base B1 della topologia (detta standard) indotta dalla metrica eu- clidea su Rn. È importante notare che variando la definizione di distanza (ad esempio, definendo la p-distanza dp: Rn× Rn→ R, che manda la coppia (x, y) in dp(x, y) :=pPp n

i=1|xi− yi|p, op- pure l’∞-distanza, che manda la coppia (x, y) in d:= max1≤i≤n{|x1− yi|}) cambia la topologia indotta su Rn. Esempi di intorni sferici nei casi consueti R, R2 e R3 sono:

• In R, il segmento (i.e. estremi esclusi) di centro x0e semilunghezza ρ;

• In R2, il cerchio di centro x0e raggio ρ esclusa la circonferenza di centro x0e raggio ρ;

• In R3, la sfera di centro x0 e raggio ρ, esclusa la superficie sferica di centro x0 e raggio ρ.

Si può anche dare una definizione assiomatica di intorno, in particolare nel modo seguente:

1. Ogni punto x ∈ Rn ha un intorno U(x) e x ∈ U(x);

2. U1(x) ∩ U2(x)contiene un intorno di x;

3. Se y ∈ B(x), allora ∃U(y) ⊂ U(x);

4. Dati x, y ∈ Rn : x 6= y, allora esistono U(x) e U(y) tali che U(x) ∩ U(y) è nota (i.e. è l’insieme vuoto ∅)(proprietà di separazione di Hausdorff ).

1Sia T una topologia su un insieme X. Una collezione B ⊂ T viene chiamata base di T se ogni aperto A ∈ T può essere scritto come l’unione di elementi di B.

(4)

Definizione 8. Un punto x ∈ Rn si dirà interno ad E ⊆ Rn se ∃ρ > 0 : B(x, ρ) ⊆ E. Si dirà altresì esterno ad E se è interno al suo complemento Ec:= Rn\ E

Definizione 9. Dato un insieme E ⊆ Rn, si dice che x ∈ Rn è un punto di frontiera di E se

∀ρ > 0 B(x, ρ) ∩ E 6= ∅ ∧ B(x, ρ) ∩ Ec6= ∅ cioè ogni intorno di x interseca sia E, sia il suo complemento Ec.

Si suole indicare con E l’insieme dei punti interni di E e con ∂E = ∂Ec l’insieme dei punti di frontiera di E. Esempi di punti interni ed esterni in questo caso sono:

• Dato un sottoinsieme E ⊂ R : E = (a, b), tutti i punti di E sono punti interni: E= E e

∂E = {a, b};

• Dato un sottoinsieme E ⊂ R : E = [a, b], E= (a, b)e ∂E = {a, b};

• Dato un sottoinsieme E ⊂ R : E = [a, +∞), E= (a, +∞)e ∂E = {a};

• Sia Q ⊂ R; ogni intorno U(x) di un qualsiasi x ∈ R contiene sia razionali, sia irrazionali.

Quindi Q= ∅e ∂Q = R;

• Sia dato un intorno sferico B(x, ρ) di centro x e raggio ρ; B= B(x, ρ)e ∂B = {y ∈ Rn : d(x, y) = ρ};

• Sia data una retta E = {(x, y) ∈ R2: y = αx}; E= ∅e ∂E = E.

Definizione 10. Un punto x ∈ Rnsi dirà punto di accumulazione per l’insieme E ⊆ Rn se ogni intorno U(x) di x contiene almeno un punto di E \ {x}. Se un punto x ∈ E non è un punto di accumulazione per E, viene detto punto isolato.

Ogni punto interno di E è un punto di accumulazione, mentre i punti di frontiera possono essere sia punti di accumulazione, sia punti isolati (è questo il caso del punto c dell’insieme E := {x ∈ Rn : d(x, x0) ≤ ρ} ∪ {c}). L’insieme dei punti di accumulazione di E viene detto derivato di E e viene indicato con E0. Se E0 = E, di dice che E è perfetto.

Se E0 = ∅, l’insieme E è detto discreto. N.B. Se un insieme è discreto, tutti i punti appartenenti all’insieme sono punti isolati, ma l’implicazione inversa non vale. Esempio: consideriamo la successione {Sn}n∈N = {x ∈ R : x = 1n, n ∈ N} ⊂ (0, 1]; in questo caso, ogni punto della successione è un punto isolato, ma E0 6= ∅, in quanto 0 è un punto di accumulazione! Un altro esempio peculiare e pregnante è costituito da N ⊂ R, ove con R si intende l’insieme dei reali esteso, ovvero R ∪ {−∞, +∞}. In questo caso infatti +∞ costituisce un punto di accumulazione per N!

Teorema 2. Sia E ⊆ Rn un insieme, e sia x un suo punto di accumulazione. Ogni intorno U (x) contiene infiniti punti di E.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista un intorno U(x) che contenga un numero finto n di punti di E, che indichiamo con x1, x2, . . . , xn. Consideriamo l’intorno sferico B(x, ρ) di centro x e raggio ρ definito nel modo seguente:

ρ = min

1≤i≤nd(x, xi)

Questo intorno sferico non contiene punti di E, a parte x. Di conseguenza, considerando l’intorno U (x) conincidente con il suddetto intorno sferico, abbiamo trovato un intorno di x che non contiene punti di E. Ma questo è un assurdo, in quanto x è un punto di accumulazione per E.

L’assero è quindi dimostrato.

Definizione 11. Un insieme E ⊆ Rnviene detto aperto se ogni punto x ∈ E è un punto interno ad E (E= E). E è altresì chiuso se Ec è aperto.

N.B. Questa è una definizione basata sulla topologia indotta dalla metrica standard!

(5)

Teorema 3. E ⊆ Rn è aperto ⇐⇒ Ec= Rn\ E è chiuso.

Sarebbe opportuno indicare subito una convenzione: ∅ è per convenzione aperto; ciò implica che Rn è chiuso. L’esperienza (e una dimostrazione a detta di Romeo difficile) ci dice che Rn è aperto, e quindi ∅ è anche chiuso.

Esempi pregnanti:

• L’intervallo E ⊂ R : E = (a, b) è aperto, mentre R \ E = (−∞, a] ∪ [b, +∞) è chiuso;

• Q non è né aperto, né chiuso: infatti, anche R \ Q non è né aperto, né chiuso (cfr.

§Definizione 9, esempi);

• Sia data una retta E = {(x, y) ∈ R2: y = αx}; in questo caso, i semipiani individuati dalla retta sono aperti, e di conseguenza E è chiuso.

Teorema 4. 1. SiaF una famiglia2 di aperti di Rn. Allora S

iFi è un aperto di Rn. 2. SiaF una famiglia finita di aperti di Rn. Allora T

iFi è un aperto di Rn. 3. SiaF una famiglia di chiusi di Rn. Allora T

iFi è un chiuso di Rn. 4. SiaF una famiglia finita di chiusi di Rn. Allora S

iFi è un chiuso di Rn. Teorema 5. Sia E ⊆ Rn. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:

1. E è chiuso:

2. ∂E ⊆ E;

3. E0 = E.

Definizione 12. Sia E ⊆ Rn. Chiamo chiusura di E l’insieme ¯E := E ∪ ∂E. L’insieme è chiuso ⇐⇒ coincide con la sua chiusura.

Definizione 13. Sia A ⊆ E. A è denso in E se ¯A = ¯E. Ad esempio, Q è denso in R.

Definizione 14. Sia E ⊆ Rn. E si dice limitato se esiste un intorno sferico B(x, ρ) di centro x e raggio ρ tale che E ⊆ B(x, ρ)

La definizione da un’altra prospettiva: sia D := {d(x, y) : x, y ∈ E} ⊆ R. Se E è limitato,

∃M ∈ R : M ≥ d ∀d ∈ D. Per il teorema di completezza dei reali, D ammette un estremo superiore. Definiamo sup D diametro di E.

Teorema 6(di Bolzano-Weierstrass). Un sottoinsieme E ⊆ Rn limitato ed infinito (i.e. #E ≥ 0) ammette almeno un punto di accumulazione.

Dimostrazione. Per pigrizia (“è una virtù”) e semplicità, supponiamo di essere in R2. Conside- riamo il rettangolo T0 := [p0, q0] × [r0, s0] che contiene E (che esiste in quanto E è limitato).

Consideriamo ora i 4 rettangoli ottenuti tracciando gli assi dei segmenti (gli intervalli [p0, q0]e [r0, s0]). In almeno uno di questi sottoinsiemi, poiché per ipotesi E è infinito, si troveranno infi- niti elementi; indichiamo il suddetto sottoinsieme con T1:= [p1, q1] × [r1, s1], ove con p1, q1, r1, s1 indichiamo, a seconda della scelta, uno dei punti inziali p0, q0e il punto medio p0+q2 0 per il primo intervallo, e r0, s0 e r0+s2 0 per il secondo. Consideriamo le due, delle quattro che ne risultano (il procedimento è analogo per l’altro intervallo), successioni

{Pn}n∈N= {p0, p1, . . . , pn, . . . } {Qn}n∈N= {q0, q1, . . . , qn, . . . }

2Siano A e Ω due insiemi, e si supponga che ad ogni elemento α ∈ A sia associato un sottoinsieme Eαdi Ω.

L’insieme i cui elementi sono gli insiemi Eαviene detto famiglia di insiemi. Più formalmente, una famiglia è una tripletta (A, Ω, i) costituita da due insiemi A, Ω e da una mappa i : A → Ω.

(6)

Esse sono entrambe monotone, in particolare la prima crescente e la seconda decrescente (non necessariamente strettamente), per costruzione. Si ha quindi che

p0≤ p1≤ . . . q0≥ q1≥ . . .

Siano dati h, k ∈ N; ∀n ≥ h ∧ n ≥ k vale che ph ≤ pn ≤ qn ≤ qk. Abbiamo così dimostrato che la successione {Pn}n∈N ammette un maggiorante; di conseguenza, essendo la successione {Pn}n∈N⊆ R, per l’assioma di Dedekind (cfr. assioma di continuità o assioma di completezza) essa ammette un estremo superiore sup{Pn}n∈N. Sappiamo quindi che sup{Pn}n∈N≤ qk∀k ∈ N;

l’insieme {Qn}n∈N ammette quindi un estremo inferiore inf{Qn}n∈N. Si ha così che sup{Pn}n∈N≤ inf{Qn}n∈N

Dato che avevamo precedentemente identificato il comportamento delle successioni come rispetti- vamente crescente e decrescente, possiamo dedurre che limn→∞Pn= sup{Pn}n∈Ne limn→∞Qn= inf{Qn}n∈N. Possiamo altresì osservare che

∀n ∈ N qn− pn≥ inf{Qn}n∈N− sup{Pn}n∈N≥ 0 Poiché per come abbiamo costruito le successioni qn− pn= q−p2n , abbiamo che

q − p

2n ≥ inf{Qn}n∈N− sup{Pn}n∈N≥ 0

Per n → ∞ la quantità a sinistra della catena di disuguaglianze tende a 0, e quindi si ha che inf{Qn}n∈N= sup{Pn}n∈N. Indichiamo questo valore con x1, mentre quello ottenuto ripetendo il procedimento per l’altro intervallo verrà denominato x2. Sia x ∈ R2: x = (x1, x2): possiamo osservare che x = Tn=0Tn (in un certo senso può essere considerato un intorno degenere;

osservazione per quanto viene detto dopo). Consideriamo l’intorno sferico B(x, ρ) di centro x e di raggio ρ. Per l’osservazione precedente, posso trovare n(ρ) tale che Tn(ρ) ⊆ B(x, ρ). In particolare, n deve essere tale da garantire che la massima possibile distanza all’interno di Tn

(maggiorata dalla diagonale del quadrato avente come lato il maggiore fraq−p2n es−r2n )

2q−p2n < ρ. Risolvendo si ottiene che n ≥ [log2(

2q−pρ )] + 1. Poiché per costruzione i Tn contengono infiniti punti di E, l’asserto è dimostrato.

Definizione 15. Sia E ⊆ Rn. Sia F una famiglia di aperti di Rn tale che SiFi⊇ E. Diremo allora che F è un ricoprimento di E.

Definizione 16. Un sottoricoprimento di X è una famiglia G ⊆ F che ricopre X.

Definizione 17. Uno spazio topologico X si definisce compatto se da ogni suo ricoprimento F è possibile estrarre un sottoricoprimento finito G tale che Sni=1Gi⊃ X.

È assai utile studiare gli spazi compatti perché sono molto simili a degli spazi finiti; infatti, il fatto che siano contenuti in ricoprimenti finiti consente sempre di “approssimare” l’intero spazio con un numero finito di punti, permettendo l’estensione agli spazi compatti di molti risultati dimostrabili negli insiemi finiti.

Teorema 7 (di Heine-Borel). Sia E ⊆ Rn. Allora E è compatto ⇐⇒ E è chiuso e limitato.

Questa è definita la caratterizzazione dei compatti in Rn.

Dimostrazione. Per pigrizia e semplicità poniamoci in R2. La generalizzazione a n qualsiasi non richiede altro se non iterazioni del procedimento.

1. Dimostriamo la condizione necessaria.

• Verifichiamo prima l’implicazione della limitatezza. Considero gli intorni sferici B(0, n) di centro 0 e di raggio n ∈ N. Si ha che Sn∈NB(0, n) = R2: quindi la famiglia B := {B1, . . . , Bn, . . . }è un ricoprimento di R2. Poiché E ⊆ R2, B ricopre E. Ma E per ipotesi è compatto, indi per cui da B posso estrarre un sottoricoprimento finito

(7)

di aperti E che ricopre E. In altre parole, considero il sottoinsieme {k1, . . . , kN} ⊂ N tale che SNi=1Eki ⊇ E. Posso spingermi oltre: poiché {k1, . . . , kN} è un sottoinsieme finito di N, posso facilmente individuarne il massimo ¯k := max{k1, . . . , kN}. Vale che B(0, ¯k) ⊇SN

i=1Eki ⊇ E. Di conseguenza, E è contenuto in un intorno sferico B(0, ¯k) di centro 0 e raggio ¯k, ed è quindi limitato (cfr. Definizione 14).

• Verifichiamo ora l’implicazione della chiusura. Dimostro che il complementare in Rn di E Ec è aperto, ovvero che ∀x ∈ Ec ∃B(x, ρ) : B(x, ρ) ⊆ Ec. Fissiamo x. Per ogni y ∈ E definisco δ(y) := kx−yk2 . Considero l’intorno sferico B(y, δ(y)) al variare di y in E. Ottengo una famiglia B di aperti che ricopre E. Poiché E è compat- to, da B posso estrarre un sottoricoprimento finito di E: esistono y1, . . . , yN ∈ E : SN

i=1B(yi, δ(yi)) ⊇ E. Considero il minimo delle distanze δ := min{δ(y1), . . . , δ(yN)}. A δ corrisponde, in quanto funzione degli yi, un certo ¯y. Considero ora l’intersezio- ne B(x, δ) ∩ B(¯y, δ) che è uguale all’insieme vuoto, in quanto sono entrambi intorni sferici di raggio delta, che ho definito come la semilunghezza del segmento [x, y]. Ciò vale anche per qualsiasi yi, i = 1, . . . , N. Quindi B(x, δ) ∩ SNi=1B(yi, δ(yi)) = ∅. Ma allora B(x, δ) ⊂ Ec. Poiché vale per un qualsiasi x ∈ E, Ec è aperto, e quindi E è chiuso.

2. Devo ora dimostrare la condizione sufficiente; per farlo, passo attravero la dimostrazione che un qualsiasi rettangolo T := [a, b] × [c, d] è un compatto e che ogni sottoinsieme chiuso di un compatto è un compatto.

• Supponiamo che da un ricoprimento F del rettangolo T non sia possibile estrarre un sottoricoprimento finito di T0. Procediamo in un modo analogo a quello che si utilizza nella dimostrazione del teorema di Bolzano-Weierstrass (cfr. Teorema 6):

dati mj := bj−a2 j e nj := dj−c2 j, si considerino i segmenti [aj, mj], [mj, bj], [cj, nj]e [nj, dj], che individuano 4 rettangoli di cui almeno uno (sia esso Tj) non può essere ricoperto da una sottofamiglia finita di F (per l’ipotesi iniziale, ndr). Si ripeta il procedimento per Tj. Si ottiene una successione {Tn} := {T0⊃ T1⊃ · · · ⊃ Tn ⊃ . . . } di sottoinsiemi di T0non ricopribili da una famiglia finita di aperti la cui intersezione è il punto x = (x1, x2) =T

n∈NTn. Poiché x ∈ T0, posso trovare un aperto U ∈ F tale che x ∈ U. Poiché U è aperto, posso scegliere un certo ρ > 0 tale che B(x, ρ) ⊂ U.

A questo punto, posso trovare dei rettangoli Tn contenuti in questo intorno: ∃¯n(ρ) : Tn ⊂ B(x, ρ) ∀n ≥ ¯n. Si ha così che Tn⊂ U, e quindi esiste una sottofamiglia finita di aperti che ricopre Tn. Abbiamo un assurdo, e di conseguenza il rettangolo T0 è compatto.

• Siano E ⊂ F un chiuso e F un compatto. Per definizione di compattezza, esiste una famiglia finita di aperti F := {F1, . . . ,Fn}che ricopre F . Considero ora un generico ricoprimento E di E e il complementare del suddetto insieme Ec := Rn\ E. Vale che S

iEi∪ Ec⊃ F (il ricoprimento di E contiene E, mentre il complementare di E con- tiene tutti gli elementi appartenenti a F \E). Ho quindi individuato un’altra famiglia di aperti (il ricoprimento è una famiglia di aperti e Ecè aperto perché E è chiuso per ipotesi) che ricopre F . Ma quindi, poiché F è compatto, da quest’ultima famiglia è possibile estrarre un sottoricoprimento finito di F . Poiché la cardinalità della famiglia dipende (quasi) esclusivamente da E , ciò implica che esiste un sottoricoprimento finito E0 E di E, e quindi E è compatto (ricordiamo che E è un ricoprimento generico di E!).

Per tornare all’enunciato iniziale, essendo E limitato è inscrivibile, dati un certo ρ > 0 e un x ∈ E, in un intorno sferico B(x, ρ), e di conseguenza in un rettangolo T (ρ) sufficientemente grande (che è un compatto). Essendo E poi chiuso, ed essendo contenuto in un compatto, è a sua volta un compatto, e l’asserto è dimostrato.

Esempi di insiemi compatti sono quindi:

(8)

• Ogni intervallo chiuso [a, b] ⊂ R;

• Ogni chiusura di un intorno sferico ¯B(x0, ρ) di centro x0 e raggio ρ (un intorno sferico invece non è un compatto! ∂B 6⊂ B).

Definizione 18. Siano E1, E2⊆ Rn. Si dice che E1e E2 sono separati se valgono contempora- neamente le seguenti proprietà:

1. ¯E1∩ E2= ∅ 2. ¯E2∩ E1= ∅

Definizione 19. Sia E ⊆ Rn. Diremo che uno spazio topologico X è sconnesso se esistono due insiemi A, B aperti, non vuoti e disgiunti tali che X = A ∪ B. Altrimenti si dice connesso.

Definizione 20. Uno spazio topologico X si dice connesso per archi se ∀(x, y) ∈ X esiste una funzione continua α: [0, 1] → X tale che α(0) = x ∧ α(1) = y

Definizione 21. Sia E ⊆ Rn. E è detto dominio se è non vuoto, aperto, connesso.

2 Funzioni da R

n

a elementi in R

m

Definizione 22. Dato un insieme X ⊆ Rn, una funzione scalare è una funzione f : X → R.

Sono particolarmente interessanti perché, oltre a rappresentare i campi scalari, godono di molte delle proprietà delle funzioni g : R → R, in quanto f(X) ⊆ R.

Esempi di funzioni scalari possono essere:

• la norma euclidea k k: Rn → R;

• la funzione di proiezione πk: Rn → R che associa ad ogni vettore x la sua k-esima componente xk;

• fissato x0∈ Rn, il prodotto scalare standard h,i può essere visto come una funzione scalare, così come la distanza d;

• la funzione gaussiana f : Rn → R che associa ad ogni elemento x ∈ Rn l’elemento f(x) :=

e−kxk2.

Definizione 23. Siano X ⊆ Rn, f una funzione f : X → R e x0∈ ˙Rnun punto di accumulazione per X. Consideriamo l ∈ R( ˙R). Diremo che f (x) → l per x → x0o

x→xlim0

f (x) = l se ∀V (l) ∃U(x0) : f (x) ∈ V (l) \ {l} ∀x ∈ (U (x0) \ {x0}) ∩ X.

Da questa definizione è possibile risalire a quella classica, se si considerano x0∈ X0∧ l ∈ R:

∀B(l, ) ∃B(x0, ρ()) : dR(f (x), l) <  ∀x ∈ X : dRn(x, x0) < ρ()

È di vitale importanza notare però che l’esistenza del limite per Rncon n ≥ 2 è molto differente da quella di n = 1: infatti il limite esiste se e solo se esistono (e coincidono) i limiti in qualsiasi direzione; di conseguenza, questa direzione viene generalmente utilizzata per dimostrare la non- esistenza del limite. Ad esempio, si consideri la funzione

f : R2\ {0} → R

(x1, x2) 7→ f (x1, x2) := x1

kxk

(9)

−0.5 −1 0.5 0

−1 0 1 1

−1 0 1

−0.5 −1 0.5 0

1

−1 0

1

−1 0 1

In questo caso:

• per i punti del tipo (0, x2), x2∈ R, f(x) = 0;

• per i punti del tipo (x1, 0), x1∈ R, f(x) = ±1.

Come si può facilmente intuire, determinare l’esistenza o meno del limite in questo modo non è un processo immediato; richiederebbe infatti un numero di iterazioni infinito. Esiste tuttavia un trucco (per R2) utile per semplificare il tutto, e consiste nell’utilizzare le coordinate polari x1 = ρ cos(θ), x2 = ρ cos(θ), θ ∈ [0, 2π]. In questo caso infatti, nel limx→0f (x) la distanza d(x, 0) → 0e, poiché la distanza altri non è se non ρ, si ha che

x→0limf (x) = lim

ρ→0

f (ρ, θ)˜

In particolare, se dimostro che il limρ→0può essere fatto uniformemente (i.e. indipendentemente) rispetto a θ, il limite esiste.

∀ > 0 ∃δ() > 0 : ˜f (ρ, θ) − l <  ∀ρ ∈ (0, δ())

Definizione 24. Consideriamo una funzione f : X ⊆ R2 → R, e sia x0 = (0, 0) (per pi- grizia e semplicità) un punto di accumulazione per X. Se esiste una funzione g : U(0) → R : f (ρ, θ) − l

< g(ρ) ∀ρ ∈ U (0) ∧ limρ→0g(ρ) = 0, allora limρ→0f (ρ, θ) = lim(x,y)→(0,0)f (x, y) = l. A titolo di esempio, si consideri la funzione f : R2 → R che manda l’elemento x = (x, y) nell’elemento f(x) = x2x+y32. Si consideri innanzitutto la restrizione della funzione al dominio X := {(x, y) ∈ R2: y = mx}, in modo da capire quale possa essere il limite nel caso esista:

lim

(x,y)→(0,0)

x3

x2+ y2 = lim

x→0

x3

x2+ (mx)2 = lim

x→0

x3

x2(1 + m2) = lim

x→0

x 1 + m2 = 0 Ricorrendo ora alle coordinate polari, si ha che

f (x, y) =

f (ρ, θ)˜ =

ρ3cos3(θ) ρ2(cos2(θ) + sin2(θ))

=

ρ cos3(θ) ≤ |ρ|

Abbiamo quindi trovato una funzione g(ρ) che tende a 0 per ρ che tende a 0. Il limρ→0f (ρ, θ)˜ converge uniformemente rispetto a θ, e quindi

lim

(x,y)→(0,0)f (x, y) = lim

ρ→0

f (ρ, θ) = 0˜

Definizione 25. Una funzione f : X ⊆ Rn→ Rmche manda, date una base C = {e1, . . . , em} di Rm, l’elemento x ∈ X nell’elemento f(x) = y = (y1, y2, . . . , ym) = (f1(x), . . . , fm(x)) può essere vista come una m-upla di funzioni scalari f1, . . . , fm: X → R.

Data la definizione di numero complesso come coppia (a, b) di numeri reali, è possibile creare una corrispondenza naturale tra f : C → C e f : R2 → R2, tendendo a mente che le operazioni sono sempre definite su C. Ad esempio, si consideri

f (z) = z2= (x + iy)2= (x2− y2+ 2ixy)

f (x, y) = (x, y)(x, y) = (u(x, y), v(x, y)) = (x2− y2, 2xy)

(10)

Definizione 26. Siano f : X ⊆ Rn→ Rm, x0∈ ˙Rnun punto di accumulazione per X e l ∈ ˙Rm. Diremo che f(x) → l per x → x0 o

lim

x→x0

f (x) = l

se ∀V (l) ⊆ ˙Rn ∃U (x0) ⊆ ˙Rn: f (x) ∈ V (l)∀x ∈ (U (x0) \ {x0}) ∩ X

Teorema 8. Siano f : X ⊆ Rn → Rm, x0 ∈ ˙Rn un punto di accumulazione per X e l ∈ ˙Rm. Data una baseC = {e1, . . . , em} di ˙Rm si ha che

x→xlim0

f (x) = l ⇐⇒ lim

x→x0

fi(x) = li ∀i Teorema 9. Sia f : X ⊆ Rn→ R e sia x0∈ X. Vale che

x→xlim0f (x) = l ⇐⇒ lim

x→x0f |A(x) = l ∀A ⊆ X ∧ x0∈ A0 Questo teorema viene generalmente utilizzato in una ben precisa castistica:

1. Per trovare un candidato limite in modo più semplice restringendo ad un dominio comodo, per poi andare a controllare se il numero trovato sia effettivamente il limite attraverso la definizione;

2. Per verificare la non-esistenza di un limite, trovando, restringendo a due domini differenti, due limiti diversi.

Definizione 27. Una successione in Rn è un’applicazione x: N → Rn, dove per convenzione si denota x(n) con xn e si utilizza {xn}n∈Nper indicare l’immagine dell’applicazione stessa.

Definizione 28. Sia {xn}n∈N una successione di punti di Rn. Diremo che {xn}n∈Nconverge al punto x0∈ Rn e scriveremo limn→∞xn= x0 se

∀ > 0 ∃n() ∈ N : d(xn, x0) <  ∀n > n

Teorema 10. La successione {xn}n∈Nconverge ⇐⇒ la successione di ogni singola componente {xin}n∈N converge alla corrispondente componente xi0.

Dimostrazione. Supponiamo che la successione {xn}n∈N converga a x0 (vedasi la definizione di convergenza). Siccome si ha che, dato v ∈ Rn, |vi| ≤ kvk ≤

n max1≤i≤n|vi|, possiamo scrivere

che

xin− xi0

≤ kxn− x0k ≤  ∀ ∧ ∀i Abbiamo quindi dimostrato la prima implicazione.

Si supponga ora che la successione di ogni singola componente {xin}n∈Nconverga alla corrispon- dente componente x0i. Poiché in questo caso le successioni sono funzioni xi: N → R, si ha che

∀ > 0 ∃¯n() ∈ N :

xin− xi0

<  ∀n > ¯n. Si prenda ora h = max1≤i≤n

xin− xi0

. Si ha che

xin− xi0

≤ kxn− x0k ≤ nh <

n ∀ ∧ ∀i Poiché si ha che kxn− x0k <

n, la successione {xn}n∈Nconverge, e l’asserto è dimostrato.

Teorema 11. Ogni successione a valori in Rnconvergente è limitata, ove con limitata si intende dire che ∀k ∈ N kxkk < ρ per un certo ρ > 0.

Dimostrazione. Sia data la successione convergente a x0 ∈ Rn {xn}n∈N. Per il teorema pre- cedente, si ha che la successione di ogni singola componente {xin}n∈N converge alla rispettiva componente xi0. Queste sono successioni xi: N → R, e in questo caso, poiché sono convergenti, sono successioni di Cauchy. Vale che una successione di Cauchy è limitata:

∀ > 0 ∃¯n() ∈ N : d(xin, xi0) <  ⇐⇒ xi0−  < xin< xi0+  ∀n > ¯n Considero ora m := maxn≤¯nd(xin, xi0), e definisco ri:= max

xi0

+ , m. So quindi che xin <

ri ∀n. Posso quindi dire che kxnk2 <Pn

i=1(ri)2; definisco di conseguenza ρ := pPni=1(ri)2. L’asserto è dimostrato.

(11)

Teorema 12. Sia E ⊆ Rn, e sia y ∈ E0 un punto di accumulazione per E. Esiste una successione {xn}n∈N⊆ E che converge a y.

Dimostrazione. Sia dato un certo ρ1 > 0. Poiché x0 è un punto di accumulazione per E, per definizione ogni intorno sferico B(x0, ρ)di centro x0e raggio ρ contiene un punto x ∈ E \ {x0}. Indico con x1 suddetto punto, e definisco ρ2:= d(x, x0). Iterando il processo sopra riportato n volte, si otterrà una successione {xn}n∈Ndi punti di E il cui limn→∞xn è x0.

Teorema 13. Da una successione limitata posso estrarre una sottosuccessione convergente.

Teorema 14. Siano E ⊆ Rne y ∈ Rn. Allora y ∈ ¯E ⇐⇒ esiste una successione {xn}n∈N⊂ E tale che limn→∞xn= y.

Dimostrazione. 1. Iniziamo con il dimostrare la condizione necessaria. Possono presentarsi due casi:

• y ∈ E (se E coincide con la chiusura), ed in questo caso la soluzione è triviale: prendo la successione {xn}n∈N tale che xn = y ∀n ∈ N;

• y ∈ E0, e in questo caso per il teorema 12 esiste la suddetta successione.

2. Sia {xn}n∈N una successione di punti di E tale che xn → y per n → ∞. Supponiamo che y ∈ ¯Ec, ove ¯Ec indica il complementare in Rn della chiusura di E. Tale insieme è aperto: esiste quindi per definzione un intorno sferico U(y, ρ) ⊂ ¯Ec. Ma allora non esiste una successione di punti di E convergente a y, in quanto questi definitivamente (i.e. dopo un certo n(ρ)) dovrebbero appartenere a B(y, ρ) e quindi a Ec⊂ ¯Ec. Siamo giunti ad un assurdo, e l’asserto è dimostrato.

Teorema 15. Sia E ⊆ Rn. E è chiuso in Rn ⇐⇒ ogni successione convergente {xn}n∈N⊂ E ha come punto limite un elemento di E.

Dimostrazione. 1. Se E è chiuso E ≡ ¯E, e quindi per il teorema 14 posso creare una successione convergente per ogni punto x ∈ E;

2. Prendiamo y ∈ E0. Allora esiste una successione {xn}n∈N ⊂ E tale che limn→∞xn = y. Ma per ipotesi il punto limite di {xn}n∈N appartiene ad E: quindi ∀y ∈ E0 y ∈ E. Di conseguenza E ≡ ¯E.

Definizione 29. Sia K ⊆ Rn. Diremo che K è compatto per successioni o sequenzialmente com- patto se da ogni successione {xn}n∈N⊆ Kè possibile estrarre una sottosuccessione convergente ad un elemento di K.

Teorema 16. Sia K ⊆ Rn. K è compatto ⇐⇒ K è sequenzialmente compatto.

Dimostrazione. 1. Si supponga che K sia compatto (il che vuol dire, per il Teorema di Heine-Borel, che K è chiuso e limitato), e si consideri una successione {xn}n∈N (che è limitata in quanto K è limitato). Se l’insieme costituito dai punti della successione è fi- nito, consideriamo la successione (i.e. la sottosuccessione {pn}n∈N ⊂ {xn}n∈N) tale che p1 = · · · = pn = · · · = p. Se l’insieme è invece infinito, per il Teorema di Bolzano- Weierstrass ammette almeno un punto di accumulazione y0. Esiste allora una successio- ne di elementi di {pn}n∈N che converge a y0. Ho quindi trovato una sottosuccessione di {xn}n∈Nconvergente ad un elemento di K. Poiché la successione {xn}n∈Nè una successione generica, K è sequenzialmente compatto.

2. Si supponga che K sia sequenzialmente compatto. Sia y ∈ ¯K; per il teorema 14, esiste una successione {xn}n∈N⊂ K tale che limn→∞xn = y. Poiché K è sequenzialmente compat- to, da {xn}n∈N posso estrarre una sottosuccessione {xi}i∈N tale che limi→∞xi = y0, con y0 ∈ K. Essendo {xi}i∈N una sottosuccessione di una successione convergente, y0 = y. Per l’arbitrarietà di y, K è chiuso. Supponiamo ora che K sia illimitato (superiormente

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