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GIMLa ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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G I D M

La ricerca in Italia

24, 211-214, 2004

LA RICERCA IN ITALIA

PANCREATIC ELASTASE-1 IN STOOLS,

A MARKER OF EXOCRINE PANCREAS FUNCTION, CORRELATES WITH BOTH RESIDUALβ-CELL SECRETION AND METABOLIC CONTROL IN TYPE1

DIABETIC SUBJECTS

F Cavalot*, K Bonomo*, P Perna*, E Bacillo**, P Salacone**, M Gallo**, L Mattiello*, M Trovati*, E Gaia**

*Unità di Diabetologia,

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Unversità di Torino, Ospedale San Luigi Gonzaga, Orbassano (TO);

**Unità di Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale San Luigi Gonzaga, Orbassano (TO) Diabetes Care 27: 2052-2054, 2004

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Scopo della ricerca è valutare la correlazione tra la funzione pancreatica esocrina, misu- rata mediante il dosaggio dell’elastasi pancreatica-1 nelle feci (PE-1), la funzionalità β-cellulare e il controllo metabolico nel diabete di tipo 1.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Era stato segnalato che nel diabete di tipo 1 esiste una riduzione della PE-1, ma non erano note le correlazioni con la funzionalità β-cellulare.

Sintesi dei risultati ottenuti

Il nostro studio ha permesso di osservare che la funzionalità pancreatica esocrina in soggetti affetti da diabete di tipo 1 asintomatici è circa il 60% di quella dei soggetti non diabetici e pre- senta una correlazione positiva con il C-peptide e negativa con l’HbA1ce la durata di malattia.

In particolare, nei pazienti con C-peptide ≤ 0,5 ng/mL i valori di PE-1 sono circa il 50% rispetto a quelli dei pazienti con C-peptide > 0,5 ng/mL. Mediante regressione multipla, C-peptide e HbA1c, ma non la durata del diabete, sono indipendentemente correlati con PE-1.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Il nostro studio ha dunque dimostrato le strette interrelazioni tra pancreas esocrino e pancreas endocrino.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

I risultati ottenuti gettano luce sulla compromissione asintomatica della funzionalità pan- creatica esocrina nel diabete di tipo 1 e stimolano a valutarne: 1) la reversibilità con il rag- giungimento di un compenso glicemico ottimale; 2) il significato clinico mediante il dosaggio della escrezione fecale di grassi.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Il nostro studio sensibilizza sull’esistenza di un problema oggi ignorato nella pratica cli- nica e suggerisce di studiare la funzionalità pancreatica esocrina mediante il dosaggio della PE-1 in tutti i soggetti affetti da diabete di tipo 1, valutando la presenza di steator- rea in caso di valori di PE-1 sotto il limite di norma.

ENHANCED INTERLEUKIN-1BETA IN

HYPERCHOLESTEROLEMIA. EFFECTS OF SIMVASTATIN AND LOW-DOSE ASPIRIN

P Ferroni*, F Martini*,

CM Cardarello*, PP Gazzaniga*, G Davì**, S Basili*

*Università di Roma

“La Sapienza”; **Università di Chieti “G. D’Annunzio”

Circulation 108: 1673-1675, 2003

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Verificare se l’attivazione piastrinica in vivorappresenti una fonte di IL-1 in pazienti con ipercolesterolemia.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi in vitrohanno dimostrato l’importanza dell’attivazione piastrinica nella sintesi e nel rilascio di IL-1.

Sintesi dei risultati ottenuti

Lo studio ha dimostrato un’associazione tra attivazione piastrinica e livelli elevati di IL-1.

Il trattamento con simvastatina o aspirina a basse dosi si associa a riduzioni significative e comparabili di IL-1 e dell’attivazione piastrinica in vivo.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

I risultati ottenuti in pazienti ipercolesterolemici trattati con simvastatina o aspirina a basse dosi indicano un’origine piastrinica di IL-1. La dimostrazione che la simvastatina è in grado di esercitare effetti simili a quelli dell’aspirina, contribuisce a spiegare la ridu- zione precoce degli eventi cardiovascolari osservata in alcuni trial clinici.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Approfondire le conoscenze sul ruolo delle piastrine quali cellule infiammatorie attiva- mente coinvolte nella patogenesi dell’aterosclerosi.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La riduzione di IL-1beta di derivazione piastrinica mediante aspirina o simvastatina con- tribuisce alla riduzione dello stato protrombotico e degli eventi a esso correlati.

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La ricerca in Italia

24, 211-214, 2004

QUALITY OF CARE AND OUTCOMES IN TYPE2 DIABETIC PATIENTS

G De Berardis, F Pellegrini, M Franciosi, M Belfiglio, B Di Nardo, S Greenfield, SH Kaplan, MCE Rossi, M Sacco, G Tognoni, A Nicolucci

Consorzio Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro (CH)

Diabetes Care 27: 398-406, 2004

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca era rivolta a valutare la qualità dell’assistenza diabetologica erogata nel corso di due anni a 3437 pazienti con diabete di tipo 2, in cura presso il proprio medico di fami- glia o in strutture specialistiche.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I precedenti lavori che avevano confrontato la qualità della cura fra specialisti e medici di fami- glia presentavano il più delle volte seri problemi metodologici, in quanto nelle analisi non veni- vano considerati due aspetti molto importanti: la severità del diabete e delle condizioni pato- logiche concomitanti e le caratteristiche socio-demografiche degli assistiti (case-mix). Inoltre, i pazienti seguiti presso una stessa struttura non possono essere considerati come osservazio- ni indipendenti, in quanto la cura ricevuta tende a essere omogenea. Questo comporta l’as- soluta necessità di utilizzare appropriate tecniche statistiche, note come analisi multilivello.

Sintesi dei risultati ottenuti

La qualità dell’assistenza erogata dai servizi di diabetologia è risultata migliore di quella prestata dai medici di famiglia per quanto riguarda la frequenza di monitoraggio del compenso metabolico, del profilo lipidico, della funzionalità renale e dell’esame del fondo dell’occhio. I risultati migliori erano ottenuti se il paziente era seguito sempre dallo stesso specialista, e se questo aveva una specializzazione in diabetologia. I pazienti segui- ti nei due contesti assistenziali non differivano in termini di controllo metabolico e pres- sorio, mentre la probabilità di avere valori di colesterolo totale < 200 mg/dL era di circa il 25% più alta se i pazienti erano seguiti dallo specialista.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Lo studio ha evidenziato l’importanza di essere seguiti presso un centro specialistico e, all’interno di questo, sempre dallo stesso medico, al fine di garantire un migliore pro- cesso di cura e, per quanto riguarda il profilo lipidico, anche migliori risultati.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Un’analisi attualmente in corso consentirà di stabilire se una migliore qualità della cura all’ingresso nello studio sia in grado di predire un più basso rischio di eventi cardiova- scolari a distanza di 5 anni.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I risultati dello studio forniscono importanti indicazioni riguardo agli aspetti dell’assi- stenza che necessitano maggiormente di azioni correttive al fine di garantire risultati cli- nici adeguati e sottolineano ancora una volta le necessità di protocolli di gestione con- divisa fra medico di famiglia e specialista.

INFLAMMATION AS A POSSIBLE LINK BETWEEN CORONARY AND CAROTID PLAQUE INSTABILITY

A Lombardo, LM Biasucci, GA Lanza, S Coli, P Silvestri, D Cianflone, G Liuzzo, F Burzotta, F Crea, A Maseri

Istituto di Cardiologia, Università Cattolica, Roma; Dipartimento di Malattie Cardio-Toraciche, Università Vita-Salute, Istituto Scientifico S. Raffaele, Milano Circulation 109: 3158-3163, 2004

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Possibili meccanismi responsabili della multifocalità di placca instabile in differenti terri- tori vascolari.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Nei pazienti con sindromi coronariche acute erano state osservate placche coronariche instabili con caratteristiche infiammatorie diffuse a tutto l’albero coronarico.

Sintesi dei risultati ottenuti

In un primo studio retrospettivo condotto su 273 pazienti con cardiopatia ischemica abbiamo osservato una maggiore prevalenza di placche carotidee complesse nei pazien- ti con angina instabile rispetto ai pazienti con angina stabile. In un successivo studio pro- spettico abbiamo dimostrato un’associazione indipendente tra placche carotidee com- plesse, angina instabile e livelli serici di proteina C-reattiva.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Questi risultati indicano che l’aterosclerosi complessa, potenzialmente instabile, è un fenomeno diffuso e legato a uno stato infiammatorio sistemico.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Tali risultati suggeriscono la possibilità di meccanismi fisiopatologici diversi sottostanti l’aterosclerosi semplice e l’aterosclerosi complessa.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I nostri dati suggeriscono la possibilità di identificare categorie di pazienti con ateroscle- rosi complessa diffusa sui quali intervenire con trattamenti terapeutici mirati.

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La ricerca in Italia

24, 211-214, 2004

RELATIONSHIP BETWEEN ERECTILE DYSFUNCTION AND SILENT MYOCARDIAL ISCHEMIA IN APPARENTLY

UNCOMPLICATED TYPE2 DIABETIC

PATIENTS

C Gazzaruso, S Giordanetti, E De Amici, G Bertone, C Falcone, D Geroldi, P Fratino, SB Solerte, A Garzaniti

IRCCS Fondazione Maugeri Pavia, Università di Pavia, Centri Antidiabetici di Pavia e Mede, AO Provincia di Pavia Circulation 110: 22-26, 2004

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare se la disfunzione erettile (DE) è un possibile predittore nell’identificare, tra i dia- betici di tipo 2 a relativamente basso rischio cardiovascolare, quelli da sottoporre a screen- ing per ischemia miocardica silente.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Era nota l’associazione tra DE e cardiopatia ischemica sintomatica, ma non era mai stata verificata l’associazione tra DE e ischemia silente.

Sintesi dei risultati ottenuti

I diabetici con ischemia miocardica silente avevano una prevalenza di DE pari al 33%, mentre in quelli senza ischemia silente la DE era presente nel 5% dei soggetti. La DE con- feriva un rischio di ischemia miocardica silente di circa 14 volte.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

È la prima segnalazione in letteratura circa un possibile ruolo della DE come predittore di ischemia miocardica silente.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Dovrebbe essere chiarito se la DE possa essere aggiunta alla lista stilata dall’ADA/ACC dei fattori di rischio da utilizzare per individuare i pazienti da sottoporre a screening per ischemia cardiaca silente.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La presenza di DE dovrebbe essere indagata in tutti i pazienti diabetici sia per avere a dis- posizione un ulteriore marcatore di rischio cardiovascolare sia per identificare un mag- giore numero di soggetti che sono affetti da DE. Lo studio suggerisce anche che, prima di iniziare un trattamento per DE in un diabetico, è opportuno valutare il rischio cardio- vascolare globale al fine di decidere se eseguire un test da sforzo per escludere l’ischemia silente.

NEUROENDOCRINE AND METABOLIC EFFECTS OF ACUTE GHRELIN ADMINISTRATION IN HUMAN OBESITY

F Tassone*, F Broglio*, S Destefanis*, S Rovere*, A Benso*, C Gottero*, F Prodam*, R Rossetto*, C Gauna**,

AJ van der Lely**, E Ghigo*, M Maccario*

*Divisione di Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università di Torino; **Divisione di Endocrinologia e Metabolismo, Erasmus University, Rotterdam, Olanda

J Clin Endocrinol Metab 88: 5478-5483, 2003

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Allo studio del ruolo di ghrelina sulla funzione somatotropa, lattotropa, corticotropa, nonché sul metabolismo glicoinsulinico in donne affette da obesità centrale essenziale.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Era già stato dimostrato che i livelli di ghrelina sono correlati negativamente al BMI, sono incrementati dal digiuno, diminuiti dall’assunzione di cibo, dal carico di glucosio, dal- l’infusione di insulina e di somatostatina.

Sintesi dei risultati ottenuti

Nelle pazienti obese l’infusione di ghrelina ha incrementato i livelli di GH, PRL, ACTH, e di cortisolo. La risposta somatotropa era però inferiore del 55% rispetto a quella evoca- ta nei soggetti normali di controllo. Inoltre, nelle pazienti obese ghrelina ha incremen- tato i livelli glicemici (come nei soggetti normali) e ridotto i livelli insulinemici (immodi- ficati nei controlli normali).

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

È stata osservata una minore sensibilità all’effetto GH-stimolatore di ghrelina nell’obesi- tà, a fronte di un effetto preservato sulla secrezione di PRL, ACTH, cortisolo. È stata inol- tre dimostrata un’azione anche sui livelli glicoinsulinemici.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Poiché ghrelina stimola il food-intake e sembrerebbe modulare i livelli insulinici sarebbe opportuno studiare eventuali interazioni tra questo peptide e altri gastroentero-ormoni implicati nella regolazione insulinica.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Non nell’immediato, peraltro questo studio chiarisce alcuni meccanismi fisiopatologici mediati da ghrelina nell’obesità che potrebbero in futuro favorire lo sviluppo di nuovi far- maci per correggere le alterazioni endocrino-metaboliche di tale condizione patologica.

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La ricerca in Italia

24, 211-214, 2004

BASSI LIVELLI PLASMATICI DI GHRELINA SI ASSOCIANO AD INSULINORESISTENZA NELLA STEATOSI EPATICA NON ALCOLICA

G Marchesini, U Pagotto, E Bugianesi, R De Iasio, R Manini, E Vanni, R Pasquali,

N Melchionda, M Rizzetto Unità di Malattie del Metabolismo, Unità di Endocrinologia,

Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia e Centro di Ricerca Biomedica Applicata, Università di Bologna;

Dipartimento di

Gastroenterologia, Università di Torino

J Clin Endocrinol Metab 88:

5674-5679, 2003

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Scopo dello studio è stato quello di misurare i livelli plasmatici basali di ghrelina in una larga serie di pazienti con steatosi epatica non alcolica (nonalcoholic fatty liver disease, NAFLD) di differente fenotipo, al fine di valutare l’importanza del peso corporeo, della regolazione glucidica, dell’insulinemia e dell’insulino-resistenza nella regolazione della ghrelina circolante.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I rapporti tra ghrelina e insulina non sono chiari, ma pare esistere una relazione inversa tra insulinemia e/o insulino-resistenza e ghrelinemia. La NAFLD è una patologia associa- ta all’insulino-resistenza, presente in maniera indipendente dall’obesità e dalle alterazio- ni del metabolismo glucidico. La varietà di fenotipi presenti nella NAFLD ha permesso di valutare il contributo relativo dei vari parametri antropometrici e metabolici nella rego- lazione della ghrelinemia basale.

Sintesi dei risultati ottenuti

Insulinemia e insulino-resistenza (HOMA-R) sono aumentate nei pazienti NAFLD, men- tre i livelli plasmatici di ghrelina sono ridotti. All’aumentare del quartile di HOMA-R, la ghrelinemia si riduce in entrambi i gruppi ed esiste una correlazione inversa tra HOMA- R e ghrelina plasmatica. Quando invece vengono considerati i quartili di BMI, la ghreli- na si riduce progressivamente solo nel gruppo di controllo, nel quale si osservava una correlazione inversa tra BMI e insulino-resistenza. All’analisi multivariata, dopo aggiusta- mento per sesso ed età, il solo fattore associato ai ridotti livelli di ghrelina è l’HOMA-R, sia nell’intera popolazione studiata, sia isolatamente nei pazienti NAFLD.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Questo studio suggerisce un controllo sui livelli di ghrelina plasmatica da parte dell’insu- lina, o più verosimilmente di fattori umorali non definiti correlati all’insulino-resistenza.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Approfondire lo studio dei fattori circolanti correlati all’insulino-resistenza nella NAFLD e valutarne il peso relativo nella severità della patologia.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La disponibilità di ghrelina sta aprendo orizzonti farmacologici in altri campi. Una mag- giore conoscenza dei risvolti fisiopatologici è la base per eventuali impieghi clinici.

ALTERAZIONI POSTPRANDIALI DELLE LIPOPROTEINE DI ORIGINE ESOGENA ED ENDOGENA IN PAZIENTI DIABETICI TIPO2

IN BUON COMPENSO GLICOMETABOLICO E CON NORMALI LIVELLI DI TRIGLICERIDI A DIGIUNO

AA Rivellese*, C De Natale*, L Di Marino*, L Patti*, C Iovine*, S Coppola*, S Del Prato**, G Riccardi*, G Annuzzi*

*Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II Napoli;

**Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa J Clin Endocrinol Metab

89: 2153-2159, 2004

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Identificazione delle alterazioni postprandiali delle lipoproteine plasmatiche in pazienti diabetici tipo 2.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Già da tempo si era a conoscenza che i pazienti diabetici tipo 2 con lieve ipertrigliceri- demia e non ben compensati erano caratterizzati da una risposta lipidica postprandiale elevata e prolungata. Non era, invece, chiaro se tali alterazioni fossero presenti anche in diabetici ben compensati e normotrigliceridemici.

Sintesi dei risultati ottenuti

I pazienti diabetici da noi studiati, pur se normotrigliceridemici e con ottimale controllo glicemico, presentano in fase postprandiale alterazioni che riguardano sia le lipoprotei- ne di origine esogena sia di quelle di origine endogena.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

È stato chiarito che le alterazioni lipidiche postprandiali dei pazienti con diabete tipo 2 sono presenti anche in assenza di ipertrigliceridemia a digiuno e anche in presenza di un ottimale controllo glicemico.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Devono essere chiarite le cause di tali alterazioni e gli interventi terapeutici più idonei per correggerle.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Potendo le alterazioni riscontrate contribuire all’elevato rischio cardiovascolare tipico dei pazienti diabetici, una maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta alla loro individua- zione e correzione.

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