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Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione Prima

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N.3336/02 Reg. Sent.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione Prima

composto dai Giudici:

Giancarlo Coraggio -Presidente Angelo Scafuri -Consigliere rel.est.

Sergio De Felice -Primo Referendario ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 2841/1999 R.G. proposto dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata e dalle Case di Cura “Villa dei Fiori”, “Clinic Center S.p.A.”, “Alma mater S.p.A.”, “Maria Rosaria S.p.A.”,, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t.,

rappresentati e difesi dall'avv. B. Ricciardelli, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati;

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la Regione Campania,costituitosi in giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura regionale, nella persona dell’avv. C. Argenzio;

per l'annullamento

della deliberazione della Giunta regionale n. 8806 del 22.11.1998 nonché di quella n. 9036 del 23.12.1998 e di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale;

VISTO il ricorso, notificato in data 11 marzo 1999 e depositato in data 9 aprile 1999, con i relativi allegati;

VISTO gli atti di costituzione in giudizio della Regione intimata;

VISTO le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive pretese;

VISTO gli atti tutti di causa;

Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2001 relatore il Cons. Scafuri e presenti gli avvocati di cui al relativo verbale;

RITENUTO e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

L’Associazione e le case di cura ricorrenti si dolgono della determinazione regionale di fissazione per l’anno 1999 di un volume massimo di prestazioni ospedaliere “per un valore non superiore a quello complessivamente erogato nel corso dell’anno 1997” (ovvero al numero delle giornate di degenza per le case di cura ad indirizzo neuropsichiatrico, lungodegenziale e riabilitativo), con esclusione delle prestazioni di alta specialità e con la previsione di decurtazioni in caso di superamento del predetto limite (del 50 per cento per incrementi fino al 10%, dell’ottanta per cento per sforamenti superiori).

Al riguardo deduce violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

La Regione intimata si è costituita in giudizio ed ha resistito al ricorso.

Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2001 la causa è stata introitata per la decisione.

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DIRITTO

1.- Con l’atto odiernamente impugnato (8806 del 22.11.1998) la Regione ha disposto – in via provvisoria in attesa dell’accreditamento definitivo – un tetto di spesa per l’intera categoria delle strutture private per un valore non superiore a quello erogato nel corso dell’anno 1997, consentendo peraltro l’effettuazione di prestazioni al di sopra dello stesso con abbattimenti tariffari in percentuali progressivamente riduttive (cd regressione tariffaria).

A sostegno del gravame l’associazione e le case di cura ricorrenti deducono la mancanza della preventiva contrattazione con esse strutture direttamente interessate, la limitazione della disposizione alle sole istituzioni private, il difetto di istruttoria e motivazione, la violazione del principio di irretroattività, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento.

2.- Sulle tematiche generali sollevate dalla fissazione di “tetti di spesa” in materia sanitaria la sezione si è già soffermata in occasione delle impugnative avverso i provvedimenti della specie emanati negli anni precedenti (ex plurimis cfr. sentenza n. 2003/1999).

Nella sede odierna non si ha motivo di discostarsi dall’orientamento già espresso.

Il principio di libertà dell’utente nella scelta della struttura di fiducia per la fruizione dell’assistenza sanitaria - su cui si basa il nuovo modello di servizio sanitario nazionale che si è andato delinenando a partire dal D.Lgvo 30 dicembre 1992 n. 502 - non esclude ma anzi postula come esigenza altrettanto fondamentale la programmazione del servizio medesimo.

La libertà di scelta è assicurata dal riconoscimento della qualità di erogatori delle prestazioni sanitarie a tutti i soggetti, pubblici e privati, titolari di rapporti fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione e

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prestazioni erogate (art. 8,comma 7, D.Lgvo cit. n. 502/1992).

La necessaria programmazione sanitaria è attuata invece mediante l’adozione di un piano annuale preventivo, al fine di realizzare un controllo tendenziale sul volume complessivo della domanda quantitativa delle prestazioni mediante la fissazione, sulla base dei dati epidemiologici, di livelli uniformi di assistenza sanitaria (fatta salva la potestà delle Regioni di prevedere livelli superiori con il proprio autofinanziamento) e la elaborazione di protocolli diagnostici e terapeutici (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 luglio 2000 n. 3920).

Il suddetto piano preventivo, previsto inizialmente per le sole aziende ospedaliere (art.6,5°

comma,della legge 23.12.1994 n. 724) è stato esteso a tutti i soggetti, pubblici e privati accreditati, ex art. 2,comma 8°, della legge 28 dicembre 1995 n. 549.

Il principio della pianificazione preventiva è stato poi confermato, con significative modifiche, dall’art.1, comma 32°, della legge 23 dicembre 1996 n.662 e dall’art.32, comma 8°, della legge 27 dicembre 1997 n. 449 e si è evoluto mediante il rafforzamento dei poteri decisori unilaterali della Regione di stabilire i limiti massimi annuali di spesa e di fissare i preventivi annuali delle prestazioni, vale a dire la quantità e la tipologia delle medesime.

Nel momento bifasico di pianificazione introdotto dalla legge n. 449/1997 – che come detto prevede prima l’adozione da parte della Regione di un atto autoritativo di programmazione e poi la contrattazione di piani annuali preventivi con i singoli operatori – il momento centrale è rappresentato dalla previa determinazione regionale mentre i successivi piani annuali preventivi assolvono un ruolo ormai principalmente attuativo ed esecutivo di scelte già compiute dalla Regione.

Quest’ultima infatti non solo definisce unilateralmente il tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il Fondo sanitario per singola istituzione o per gruppi di istituzioni ed i

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preventivi annuali delle prestazioni ma inoltre vincola la successiva contrattazione dei piani determinandone modalità ed indirizzi.

L’atto programmatorio regionale rappresenta quindi un primo e fondamentale strumento di orientamento per le strutture sanitarie pubbliche e private.

Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di gravame, in quanto la contrattazione dei piani annuali preventivi con le strutture pubbliche e private eroganti prestazioni sanitarie, secondo la scansione fissata dal citato art. 32,comma 8°, della legge n. 449/1997, deve seguire e non invece precedere la determinazione unilaterale da parte della Regione dei limiti annuali di spesa sostenibili per ciascuna istituzione sanitaria.

Inoltre il provvedimento impugnato non preclude la successiva stipulazione di specifici piani annuali con ciascun operatore, da negoziarsi tuttavia nel rispetto dei tetti di spesa e dei preventivi delle prestazioni stabiliti dalla Regione.

In definitiva “il valore autoritativo e vincolante delle determinazioni in tema di limiti della spesa sanitaria esprime la necessità che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell’ambito di una pianificazione finanziaria, con la conseguenza che tale imprescindibile funzione programmatoria, tendente a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, deve intervenire in ogni caso, perché la fissazione dei limiti di spesa rappresenta comunque l’adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate” (Consiglio di Stato, V sez, n.418 del 25 gennaio 2002).

3.- Peraltro la determinazione regionale dei limiti di spesa si appalesa viziata nella misura in cui riduce le risorse disponibili in maniera automatica e generalizzata per le sole istituzioni private né fornisce alcuna motivazione in ordine all’incidenza comparativa di tali misure sulle strutture pubbliche.

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fissazione dei limiti di spesa deve avvenire uniformemente per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, vale a dire deve essere univocamente stabilita per tutti gli operatori sanitari, siano essi pubblici o privati.

Nella specie l’esclusione dal deliberato delle strutture pubbliche concretizza la violazione del principio cardine di parità ed equiordinazione tra tutte le istituzioni erogatrici.

D’altra parte l’Amministrazione neppure si è preoccupata di porre il raffronto tra le due diverse tipologie di istituzioni, quantomeno relativamente al dato globale riferito alle strutture sanitarie pubbliche.

In altri termini l’azione regionale ha perseguito l’obiettivo di economia della spesa sanitaria nei confronti di un solo fattore di essa, il comparto privato accreditato, mentre l’assistenza sanitaria pubblica è stata del tutto esentata dal programma di contenimento, finendo con il vanificare il modello ordinario di concorrenza voluto dal legislatore tra i due sistemi (pubblico e privato).

Del resto il legislatore ha attribuito alle Regioni il potere di contingentamento della capacità produttiva per assorbire l’eccedenza del volume di attività rispetto al tetto massimo di risorse disponibili, per cui il contingentamento deve avvenire in misura proporzionale al concorso al superamento del volume di attività tra il pubblico e il privato.

In sintesi l’impianto legislativo, nel suo esatto ambito di applicazione, presuppone la definizione del volume di attività, la definizione dell’entità dell’eccedenza da parte del pubblico e del privato, la riduzione proporzionale dei due sistemi in ragione del superamento per assicurare il rispetto del limite massimo finanziario e dei concorrenti principi di libera scelta e di par condicio.

Né sotto il profilo strettamente collegato alla ratio legis – contenimento della spesa sanitaria – emerge ragione alcuna per non tener conto anche delle strutture pubbliche.

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Sotto altro profilo va osservato che la necessità di contenere la spesa sanitaria dilagante - seppure preoccupazione costante del legislatore nazionale che vi ha dedicato puntuali previsioni nelle leggi finanziarie ultime a far tempo da quella del 1995 (legge 28.12.1995 n.

549) – non può costituire da sola la giustificazione di ogni operazione: in realtà il fenomeno è unitario, in quanto la programmazione sanitaria non è solo fissazione di spesa ma anche e soprattutto governo della distribuzione e della conformazione razionale dell’offerta di servizi sanitari (cfr. questa sezione n. 4218 del 18 settembre 2001 e n. 1336 del 12 maggio 2000).

D’altra parte come detto sopra la responsabile programmazione organizzativa e pianificazione rappresenta comunque l’adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per remunerare le prestazioni erogate (Corte Costituzionale n. 416/1995) e risponde al dovere di leale collaborazione, incombente su entrambe le parti del rapporto.

“Da qui la necessità che nell’ambito delle scelte politico-istituzionali spettanti alla Regione, venga trovato un equo e giustificato contemperamento delle varie esigenze fondamentali che influiscono nella materia: la pretesa degli assistiti alle prestazioni sanitarie (con la connessa salvaguardia del diritto di primaria rilevanza alla salute), il mantenimento degli equilibri finanziari (che comunque non possono contare su risorse illimitate), gli interessi degli operatori privati (che rispondono a logiche imprenditoriali meritevoli di tutela) e l’efficienza delle strutture pubbliche” (Consiglio di Stato, IV sez, cit.

n. 3920/2000).

4.- L’adozione del parametro costituito dalla capacità operativa dell’anno 1997 appare indenne dalle censure mosse.

La legittimità e la razionalità del parametro di riferimento (volume di prestazioni complessivamente erogate nel 1997) deriva dal necessario rispetto delle esigenze di

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dato empirico certo – nonché di quelle connesse alla qualità del servizio, le quali richiedono il raffronto con prestazioni già rese.

Invero il criterio del rinvio al volume delle prestazioni già erogate (intendendosi per queste ultime le prestazioni rese e non quelle pagate nel suddetto anno) – oltre a costituire una costante dell’Amministrazione – da un lato, attraverso il raffronto con il dato certo della spesa già effettuata, salvaguarda le esigenze di contenimento della spesa sanitaria e di modulare la programmazione di essa su un dato empirico, denotante il concreto fabbisogno di prestazioni sanitarie; dall’altro, riferendosi ad un volume di prestazioni in passato già rese, fonda una presumibile certezza sulla reale salvaguardia dell’esigenza di qualità del servizio in relazione alla dimensione ed alle effettive capacità del soggetto erogatore.

5.- Il sistema della regressione tariffaria non risulta censurabile nella sua impostazione teorica ma soltanto nella sua concreta applicazione.

Il principio della regressione tariffaria appare logicamente volto a contemperare le esigenze di risparmio e contenimento della spesa con quelle della struttura privata a vedere attuata la propria reale capacità operativa.

D’altra parte l’evenienza di splafonamenti del limite del volume di attività fissato non può essere ignorata dall’Amministrazione, che è quindi tenuta ad individuare criteri per la remunerazione delle strutture ove queste abbiano appunto erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo fissato.

La regressione progressiva del rimborso tariffario per le prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo non è contemplata in modo espresso da nessuna delle leggi che hanno successivamente regolato i poteri regionali in materia ma va ritenuta legittima attuazione del potere autoritativo affidato alle Regioni, trattandosi di un criterio strumentale all’obiettivo del contenimento della spesa, che trova una sua giustificazione concorrente

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nella possibilità che le imprese fruiscano di economie di scala e che effettuino opportune programmazioni della rispettiva attività (Consiglio di Stato, IV sez, n. 939 del 15 febbraio 2002).

Peraltro non è da ritenere corretta la concreta applicazione, atteso che le specifiche percentuali di riduzione stabilite non risultano suffragate dall’esternazione degli elementi e dei dati posti a base delle medesime, pur essendo complessi e molteplici i fattori che concorrono a determinare la tariffa di una prestazione (si veda ad esempio l’art. 3 del DM 15 aprile 1994).

Al contrario la Regione si è limitata ad introdurre due soli classi generalizzate di regressione tariffaria, caratterizzate inoltre da elevate percentuali di abbattimento.

6.- La censura concernente l’inidoneità della fissazione del budget di spesa ad incidere sulle prestazioni realizzate o realizzande è priva di pregio in quanto per il 1999 i tetti di spesa sono stati fissati dalla Regione in via autoritativa in tempo utile - la delibera è del novembre 1998 - a consentire la dovuta pianificazione organizzativa e finanziaria da parte delle strutture interessate.

7.- Infine non può condividersi la doglianza inerente l’omessa comunicazione di avvio del procedimento

A prescindere dalla sua natura giuridica – atto plurimo o atto amministrativo generale:

aspetto non risolto univocamente dalla giurisprudenza intervenuta sul punto – per quanto sopra è innegabile che la determinazione regionale risulta espressione della funzione di programmazione e pianificazione e quindi rientra nel novero degli atti per i quali espressamente l’art.13 della L.n.241/1990 consente la dispensa dall’onere partecipativo.

In definitiva il ricorso deve essere accolto anche se le spese di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

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ACCOGLIE

il ricorso proposto dall’AIOP e dalle case di cura in epigrafe indicate e, per l'effetto, pronuncia l'annullamento dei provvedimenti impugnati.

Le spese del giudizio sono compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio del 17 ottobre 2001 e del 24 aprile 2002.

IL PRESIDENTE

IL CONSIGLIERE estensore

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