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Indice

Introduzione

Ai bambini più piccoli, ai ragazzi fino agli studenti universitari, agli adulti ed oltre

La “fabbrica del fare”. Coniugare cuore e mente di Angela Casaregola 1. Le tecniche e i metodi

1.1. Diritto alla creatività. Il valore sociale dello sviluppo delle nostre capacità creative

1.2. La mano, i modelli, gli astri

1.3. Le tecniche di animazione ed il coinvolgimento creativo 1.3.1. Tecnica e tecniche

1.3.2. Esercizio di disegno e creatività strampalata ma non troppo 1.4. Temi e spunti

1.4.1. La geometria inizia con un punto 1.4.2. Geometria elementare

1.4.3. Geometria = ritmo 1.4.4. Animare e progettare 1.5. Riflessioni sul metodo

1.5.1. Il metodo diretto

1.5.2. La gioia essenziale al metodo 1.5.3. Ancora sulle tecniche

1.5.4. La vita dissepolta. Aver fiducia nella creatività tra le bandiere per la pace e i venti di guerra

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6 2. Laboratorio al Casale dei Monaci:

“Dalla carta al cartone al metallo”

2.1. Dalla carta al cartone 2.2. Dal cartone al metallo

3. Sulla scia del metodo usato al Casale dei Monaci 3.1. Il luogo degli eroi. Animare attraverso il mito 3.2. I fratelli dell’infinito. Animare attraverso il racconto 3.3. Creare un cappello usando la propria testa come supporto.

Un esempio di creatività diretta

3.4. Progettare l’aura. Trasformazioni analogiche

3.5. Libera creatività. Un esempio di stimolazioni attraverso immagini 3.6. Comporre volumi nello spazio. Scuola di Architettura

3.7. Progettare senza pensare 3.8. Coltivare le fonti della creatività

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Introduzione

Ai bambini più piccoli, ai ragazzi fino agli studenti universi- tari, agli adulti ed oltre

Il libro contiene le tecniche, le finalità ed alcune dimostrazioni del lavoro d'animazione svolto al Casale dei Monaci, Ciampino, in collabo- razione con il Centro Culturale per le Arti Applicate ed il Territorio diretto da Angela Casaregola, nel 2002 e 2003. Il “Casale dei Monaci”

di Ciampino è stato il centro di un'ampia sperimentazione creativa con bambini, ragazzi di tutte le età, con studenti dell’Università La Sapienza di Roma e con insegnanti e psicologi. L’iniziativa ha approfondito metodi e ricerca per una nuova didattica, per un nuovo pensiero nelle dinamiche dell’immaginazione, nelle possibilità che risiedono al fondo di tutti noi, sulle possibilità quasi senza confine di coinvolgimento dei piccoli, sulla gioia che si fa utile motore dei rapporti interpersonali: con se stessi, con gli altri, con la materia, con il mondo. Ciò al punto che se ne possa intravedere l'individuazione di opportune tecniche trasmissibi- li e d’altro canto sviluppi successivi ed approfondimenti teorici e meto- dologici.

Il lavoro si è poi esteso oltre il Casale stesso: a Marino, all’Università La Sapienza di Roma, a Napoli, a Torre del Greco, a Messina, a Trieste, a Monaco ecc.

Il metodo proposto acquista tanta più importanza, oggi, quanto più si pensi al rischio dell'omologazione dilagante, alla necessità di rifondare,

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al fianco del computer e della digitazione, un modo di riconquistare un rapporto diretto, sensitivo, e quindi anche manuale, col mondo. Ciò dà spessore, profondità e sfondo di significato e di pregnanza alle cose della nostra vita. Riteniamo che tutto questo vada inteso come un dirit- to: “diritto alla creatività”.

Il libro vuole anche mostrare come l’esperienza animativa possa ali- mentare ogni ricerca sfociando nella vita adulta e in tutte le professioni.

Per le sue caratteristiche più generali appare, in certi casi, utilmente liberatoria e “terapeutica”.

Riccardo Dalisi

La “fabbrica del fare”. Coniugare cuore e mente

Le attività al “Casale dei Monaci”, centro per le Arti Applicate e il Territorio, sono segnate da mostre, avvenimenti, dibattiti, stages, labo- ratori, contribuendo in questo modo al raggiungimento di un obiettivo primario dell’Amministrazione Comunale di Ciampino: quello di costruire nuovi spazi di condivisione e progettualità per il territorio che trova in questo luogo terreno fertile per ripensare la proprio identità in uno scambio fruttuoso con altre culture.

Questa particolare esperienza di intervento pubblico vede la cultura e l’arte come mezzi di incontro e di confronto sulle complesse proble- matiche che investono la contemporaneità nel tentativo di combattere il degrado sociale, soprattutto inteso come degrado delle relazioni umane.

In questo modo si è individuato un modello di benessere sociale non legato esclusivamente al benessere economico, ma inteso come parteci- pazione ad un ideale di nuovo umanesimo dove lo sviluppo della crea- tività è un tassello importante per il suo raggiungimento.

La rete di rapporti attivata tra operatori culturali, artisti, istituzioni, settori della produzione, docenti universitari, storici dell’arte, rende questo progetto un progetto condiviso e aperto a nuove proposte per un inserimento dell’arte nel quotidiano, nella vita sociale ed economica, nel territorio.

L’arte attraverso sue intrinseche specificità di libertà creativa, di autonomia collegata a molteplici altri aspetti, costruisce un tessuto di

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civiltà aperta all’oggi senza rinnegare le radici e la memoria. In partico- lare l’impegno è quello di tutela di mestieri che rappresentano la storia e le tradizioni del nostro paese, perché il “saper fare” possa essere tra- mandato da artisti e artigiani ai giovani che potranno proseguire con proprie strade espressive e imprenditoriali.

Il motore di questa “fabbrica del fare”, inserita in un edificio agrico- lo del seicento che ha radici molto più antiche, quindi è l’arte, la creati- vità, i bambini e i giovani, le donne e gli uomini che trovano in questo spazio nuove possibilità per raccontare e raccontarsi, per creare e ricrea- re, per progettare un futuro di pace e di benessere.

L’esperienza di più di tremila giovani e adulti in meno di due anni di attività, accompagnati da docenti che hanno con la leggerezza propria della creatività sollecitato le mani, le menti e i cuori ci ha confermato che questa è la strada che vogliamo percorrere.

In particolare i laboratori didattici che Dalisi ha condotto in questi anni ci hanno fatto sperare che può essere ritrovata l’armonia perduta tra gli uomini e il nostro pianeta. In diversi periodi e con persone diverse si è così progettato con le mani, mani che hanno saputo coniugare cuore e mente in una sintesi feconda.

Partendo dalla carta, dal cartone e dal metallo si sono scoperte, attra- verso il piegare e ripiegare, le tante potenzialità di queste materie e con- seguentemente le grandi potenzialità creative di coloro che hanno volu- to abbattere le proprie resistenze e provare ad osare sapendo che anche l’errore era ricco di nuove prospettive.

Ognuno ha trovato il suo spazio in uno spazio creato da altri: ha saputo trovare e dare energia vitale e creativa, ha trasformato la sempli- ce carta, il cartone e il metallo in “monumenti contemporanei” di una città ideale e in oggetti quotidiani “diversamente usati”: le poltrone- amanti per potersi guardare senza distrazioni, la sedia scala per sentire il mondo da un’altra posizione, la sedia-trono per provare l’ebbrezza di essere unici.

Questo intimo rinnovamento, dove il mondo diventa nuovo e più vivibile, è la risposta alla poetica, all’impegno, al fascino dell’opera didattica, sociale e artistica di Dalisi.

Angela Casaregola

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1. Tecniche e metodi

1.1. Diritto alla creatività. Il valore sociale dello sviluppo delle nostre capacità creative

Si dice che è creativo chi riesce nel suo campo a tirar fuori qualcosa di “nuovo” capace di proiettarsi nel futuro. In un certo qual modo crea il futuro, contribuisce... a determinarlo. Basta questo a cogliere il poten- ziale sociale che vi è in questo termine.

Creatività è anche un’altra cosa, è fondamentale per la vita presente, per la felicità delle persone singole e per l’intera comunità. E sarei per dire che la felicità ha un fondamentale valore che è comunque alla base della vita della comunità, di ogni comunità. La gioia è personale, ma è anche collettiva e se si prova felicità la si vuole irradiare, condividere, a volte incontenibilmente. Ciò crea contatto, solidale trasporto, volontà di stare assieme ed in conseguenza di strutturarsi insieme, bisogno di aggregarsi, di vivere insieme. Se, in ultima analisi, politica significa capacità di creare comunità, va da sé che la gioia, il senso della bellez- za e della vita ne sono più che un semplice condimento. Ne sono il pre- supposto, uno dei motori più importanti. Creatività dà il senso della pie- nezza e della meraviglia tipici dell’esser uomo.

Ma c’è un altro aspetto importante: creatività è anche capacità di capire più esattamente le cose. L’impulso ad andare oltre le apparenze, oltre il consueto ed il conoscimento irrora l’intelligenza e mette nel- l’angolo, a volte, lo stesso potere raziocinante. E così sono creativo solo

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se entro di più nell’essenza della realtà. Cogliere l’essenziale è il mondo del bisogno creativo: basta vedere il ruolo che ha la ricerca scientifica per l’economia, per il prestigio di una nazione, per la sua vita culturale.

Ciò per l’adulto. Per i bambini lo sviluppo della creatività è doppia- mente importante sia in vista del loro sviluppo, sia per i presupposti che crea per il futuro, per la capacità di accrescere la disposizione alla ricer- ca ed all’arte, sia per l’immediato presente, per la forza che ha tale alle- namento all’atteggiamento creativo. Per la felicità del presente (che è cosa fondamentale) e per la prevenzione contro la crescente disposizio- ne alla depressione cui sono soggetti i giovani. L’esperienza dimostra come sia variegato e quanti aspetti prenda lo slancio e la disposizione alla creatività. Ogni individuo ha la propria vena creativa e la indirizza nei più diversi campi dell’espressione umana e sociale, nei più diversi linguaggi: politica, economia, sociologia ecc. sono anche linguaggi.

Ebbene (e qui c’è ancora un altro aspetto della creatività): il valore corale plurimo delle dinamiche creative. Faccio un esempio: un gruppo efficace che porta avanti un istituto, un laboratorio di ricerca od un’im- presa produttiva si compone “naturalmente” di individui le cui creatività si complementarizzano, si aiutano e si stimolano. Creano la politica del piccolo o più grande gruppo. Lo stesso dicasi per l’intera comunità.

L’estesa ricchezza dei campi e dei modi in cui la creatività si mani- festa è una componente importante sia per il presente sia per il futuro stesso della società. La diversità degli individui è anche la diversa disposizione ad essere creativi, è possibilità di complementarizzazione, fa accedere alla grande esperienza della “creatività di gruppo”, è capa- cità di creare realtà, di fare la polis al cui fondamento è la capacità coe- siva della società. I bambini, i ragazzi sono naturalmente capaci di aggregarsi, al di là del superare la loro indispensabile esperienza del liti- gio e della difesa della propria individualità. Mi sia concesso un sugge- rimento: è quello di fare sempre, incessantemente degli scritti di grup- po, dei disegni di gruppo, di utilizzare la grande ebbrezza del gioco assieme, del sentirsi parte di una realtà più ampia dell’individuo isolato che è quella del gruppo e della comunità. È questa, forse, la risposta più grande ai ruoli del mondo. Tutto ciò è controcorrente rispetto a quanto si sta facendo e non è, malgrado le apparenze, contrario alla spinta a specializzarsi, a rendersi funzionali a progetti mirati il che rimane un

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momento importante della formazione. Ma ciò deve scaturire dall’inter- no di una visione più ampia, più umanistica e creativa.

1.2. La mano, i modelli, gli astri

«L’organo mediatore tra l’uomo e quel vissuto mondo degli astri

sembra essere la mano...

le piccole stelle, all’uomo hanno dato immensamente,

quasi tutto...»

È Ernst Bernhard che parla. La mano deriva dal cuore, promana da esso; difatti ogni nostro impulso mette in moto le braccia e le mani.

Vorremmo abbracciare l’amata o prendere a pugni il nemico. La mano si pone tra noi ed il cielo, tra il cuore e le stelle. Con le mani l’uomo ha trasformato il mondo, e già Giordano Bruno diceva della mano come di qualcosa di veramente peculiare e di distintivo senza la quale non ci sarebbe civiltà alcuna. Bisogna guardarla la mano dell’artigiano o del- l’artista: ad esempio di un torniante. È meraviglioso il suo moto e la forma del vaso che si modella, che vien su, sempre più su, che prende forma piegandosi all’attenta sensibilità del torniante.

Disegnare, ridisegnare, modellare, digitare ancora, modellare, pla- smare, schizzare. Gran parte del design viene fuori dall’artigianalità, dalla modellistica, dalla prototipizzazione. Anche la mano si è modifi- cata e plasmata e riplasmata. Dal legame con la terra la mano si va evol- vendo; la forma stessa della mano si affina, e questo parallelamente all’affinamento del gusto e delle forme che ne derivano.

Se potessimo vedere la progressione della mano dell’uomo di Neanderthal a quella di oggi e parallelamente la fattura e le forme evo- lutive degli oggetti troveremmo una sottile analogia. Ed il prodotto delle tecnologie avanzate? E la mano nell’era del computer? L’uomo trasferi- sce alla macchina la valenza della mano e non potendo fare a meno di essa, anzi, dovendola oggi rivalutare, ne consegue un modo nuovo di concepire ed usare la manualità. Più sottile, più magica, direi, io vedo la manualità del futuro.

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1.3. Le tecniche di animazione ed il coinvolgimento creativo

Essere un po’ di più.

Come faccio?

Essere un po’ di più (non tanto sapere di più

non tanto avere di più)

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Premesso che il fare affiorare la creatività e il suo sviluppo sono indi- spensabili alla maturazione, alla crescita ed alla salute di ogni individuo, di ogni giovane e si estende ad ogni età.

Premesso che creatività è espressione di sé, è manifestarsi, è venire alla luce, è autopresentarsi, ne consegue che è gioia di vivere, e se non c'è gioia non c'è creatività che ne è l’indice, il metro e la condizione.

Premesso che la creatività è rapporto, è comunicazione, è socializza- zione, è incontro, è riconoscere l’altro.

Premesso che creatività è modalità diversa da individuo ad individuo ed è quindi indefinibile benché riconoscibile. Ha voce, volto, timbro, è forza.

Premesso che ha da essere trattato il tema del come coltivarla per sé e per gli altri (bambini che ci sono affidati, giovani, anziani ecc.).

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Se non indicato diversamente tutte le immagini si riferiscono alle realizzazioni degli allunni della Scuola Media “Umberto Nobile” di Ciampino e dell’Istituto d’Arte “Paolo Mercuri” di Ciampino-Marino prodotte durante i laboratori al

Proviamoci. Innanzitutto provarsi con se stessi; la crescita di sé è con- dizione prima di ogni altro intendimento (si dà quel che si ha). La cre- scita di sé si svolga alternando riflessioni, letture, scritture, poesie, dise- gno, per se stessi e nel silenzio di una stanza, di mattino presto, di sera, di notte secondo le proprie inclinazioni e disponibilità (facendo un dia- rio ad esempio). Si può cominciare subito a tentare di rafforzarsi (se stessi e l’altro).

Animare, condurre una persona od un gruppo è sempre creare un rap- porto (un’ellisse a due centri), è un’unità che dinamicamente si muove, si configura, si sviluppa, fa delle scoperte per sé. E quindi rapportarsi col sentimento in lietezza, cercare la via della lietezza. Cominciare con un atteggiamento di piccole volontà, sorridere anche se non si ha molta voglia; poi ci si accorge che lo sforzarsi un pochino a sorridere traspor- ta con sé la lietezza tipica di chi è sorridente. Ho sperimentato ciò con persone non eccessivamente simpatiche. Mi atteggiavo al sorriso ed al saluto cordiale e via via, giorno dopo giorno è diventata vera cordialità.

Ora parlo, mi fermo, scambio con loro quelle semplici parole che sono attenzione e rapporto e... mi piace, ne ricavo serenità per il giorno.

E quindi ci si può provare con chi ci è affidato forgiando in lietezza, cordialità, simpatia il nostro comportamento. Che diventi un nostro stile. Servirà anche per la nostra vita personale e ciò è fondamentale, ciò è “tecnica primaria”.

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1.3.1. Tecnica e tecniche

Le tecniche sono sempre procedimenti da irrorare d’interesse perso- nale, con il piacere di farle (il più possibile, tentare incessantemente).

Mettere dentro il proprio atteggiamento anche la propria incertezza, il fatto cioè che anch’io sto tentando e le cose si fanno insieme, anch’io ho bisogno di comprendere di più, di ricercare, che ho solo qualche stru- mento in più (forse) ed un po’ di esperienza in più.

Ecco: Su un foglio traccio un segmento bianco. Invito un giovane a tracciare un altro segmento dove vuole e della lunghezza che vuole. E poi un altro e così via. Tutti guardano. Ognuno si comporterà in modo diverso. Un segmento lontano, uno vicino, un altro sovrapposto. Non diciamo niente, incoraggiamoli a comportarsi liberamente. Vengono fuori i comportamenti. Ci sarà qualcuno che lo farà storto. È interessan- te, vien fuori un disegno collettivo. Ognuno osserva e riflette.

16 Disegni di Riccardo Dalisi

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I disegni elaborati dai bambini al Casale dei Monaci sono stati realizzati in creta, su iniziativa della docente di plastica.

Faccio tre segmenti che arieggiano ad una sedia. Dico: “Continuatela arricchendola”:

• In modo coerente ed attendibile;

• in modo libero e decorativo;

• in modo strampalato, inattendibile.

Tre livelli diversi d’intervento, d’ideazione nel design.

Cinque segmenti che arieggiano ad una casetta. Continuare il dise- gno collettivamente sempre e solo con segmenti. Il segmento può tra- dursi in una spezzata od ancora in una puntinata od ancora in un tratto e punto eccetera.

Altro esercizio: giocare con l’intensità del segmento. Tutto il foglio può essere invaso da segmenti. Ognuno prolunga il segmento dell’altro sottilmente, con sottolineature e rafforzamenti.

Si introducano i colori. Si possono prendere i disegni precedenti ed introdurre segmenti colorati. Aggiungere quadratini colorati (accostati o distanti). Aggiungere sagome diverse come forma e dimensione.

Derogare con segni liberissimi.

La progressione è importante e occorre cercare di mantenere il più possibile l’ordine degli interventi contenendo (con dolcezza) chi vuole subito derogare. I temperamenti vengono fuori e, ridendo ed un po’

scherzando, con gioia, si può procedere.

Si può procedere poi a dare ad ognuno un disegno da fare separata- mente, alternando il disegno collettivo a quello singolo.

Ideare nel fare ed attraverso il fare. Anche il disegno è un fare.

Pensiero ed azione, azione e pensiero. Concentrarmi, manifestarmi. E poi ancora riflettere sull’esito del manifestarmi.

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1.3.2. Esercizi di disegno e

creatività, strampalata ma non troppo

• Disegnare ciò che non si vede, ad esempio ciò che è indicato in un pugno chiuso, in una scatola esi- bita;

• disegnare ad occhi chiusi;

• disegnare a partire da macchie, farle diventare vive;

• disegnare dalla sagoma di un oggetto sul foglio. Considerarlo un corpo, estenderlo disegnando sul foglio la testa, le braccia, le gambe e poi togliere l’oggetto e dise- gnare il corpo;

• immergersi nella lettura di un testo intenso, interessante camminando lenta- mente e poi, così come naturalmente può avvenire, alzare lo sguardo e ciò

che capita sotto i nostri occhi si coglie come una sorpresa perché appare come nel mezzo di una meditazione, come un’apparizione.

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Mi è capitato due volte: su una salita ripida ed aspra ecco all’im- provviso una castagnetta sola sola. Vien voglia di raccontare una fiaba sulla castagnetta... e poi ho alzato lo sguardo dal foglio ed ecco una stri- scia di mare sopra al tetto di una casa. Mai visto! Eppure quante volte ho fatto la strada. Una striscia di luce la segna fortemente. Disegnare la castagnetta od il tetto col mare così come l’emozione dice, utilizzare la concentrazione e l’emozione oppure raccontare, fare un racconto.

Passeggiare lasciando andare il pensiero e lo sguardo e porsi un tema.

Ad esempio una storia di una castagnetta caduta. Se non viene alcuno spunto lasciare tutto così com’è con qualche considerazione: in fondo la castagnetta non è che un seme. Prima o poi, ripasseggiando od in altra circostanza, spunterà fuori l’idea.

Eccola: Il dramma meraviglioso del morire per far essere... la pianta:

C’era una volta una castagnetta che viveva in perfetta armonia, stretta assieme ad altri tre fra- tellini in un unico riccio. Le piaceva quando c’era il sole che rendeva tutto tiepido tiepido;

affluiva più energia e più linfa e vita dal miste- rioso gambo a cui era legato il riccio. Era bello dondolare nei giorni di vento e col freddo ci si stringeva sempre fortemente l’uno all’altro. Ma ecco un colpo di vento ed il riccio cade, un colpo e si apre e la castagnetta sbalza fuori su una strada sassosa, ripida, ingrata. I fratellini rimangono imprigionati mentre la castagnetta rotola lontano fino in fondo sbalzando di lato nel terreno fertile.

Scopre così un mondo nuovo, un altro tepore, la terra nera sotto il sole. Sta così parecchio tempo a sognare e gemere finché qualcosa avviene e si trova avvolta nel buio immobile del terriccio. Passano i giorni. La pioggia, l’umidità le ricorda gli umori del ventre del riccio, ma non vi è il bel tepore del sole, la luce trapelante, la com- pagnia stretta, non sempre affettuosa dei fratellini. Sopratutto il dondolio dolce e furioso le manca. Era un bel divertimento perché le raffiche del vento erano imprevedibili, a volte a strappi, a volte dolci e modulate. Le manca anche il rumore, il sibilo e le voci.

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Erano una musica per lei. Tutto ciò l’aveva aiutata a crescere, ad essere quello che era, una ben formata casta- gnetta. Ed eccola ora, immersa in quel buio costante ed umido, una temperatura senza estro.

Ed ecco ancora, la tristezza, la rassegnazione, il dolo- re che a volte provava in tutto il corpo le lasciavano pre- sagire un evento eccezionale che non avrebbe mai voluto incontrare. Le capitava di sonnecchiare a lungo e dormire profondamente, sognare tutte le fasi della sua esperienza prima e dopo la nascita, il volo, il dolore lancinante della caduta, il rotolamento, gli incontri con le pietrine, le erbe, la luce intensa ed insopportabile del giorno. Ecco, un giorno sognò una bella fatina che le puntò il dito luminoso sulla pelle e le disse: “In questo punto sentirai un giorno dolore.

Sopportalo, ne verrà fuori qualcosa di straordinario. È impor- tante che tu stia calma, poi tutto sarà meraviglioso.”

Non venne subito quello che le aveva predetto la fata, tanto che la castagnetta si stava rassicurando. Quando all’im- provviso esplose dal suo petto come una luce che irrorò la terra morbida davanti a lei. Un dolore fortissimo alla pancia misto ad un grande piacere. La corteccia si aprì e ne uscì un tenerissimo fila- mento nuovo come solo i semi e le castagnette di buona tempra

sanno provare, simile all’amore (amore castagnesco).

Tutti i sentimenti forti sono sempre un misto di dolore e di gioia, di vincolo e di libertà, di certezza e di paura. Un’intensa, lunga vita racchiusa in brevi momenti rapidi od interminabili. Un amore provò, senza sapere perché, ancestrale e carico di futuro per quel filamento a cui avrebbe dato la vita, a cui stava dando la vita, a cui diede la vita di buon grado, se così può essere perché in quello slancio tipico dell’amo- re tutto si traspose nel filamento. Il vecchio-giovane corpo dilacerato servì da alimento per giorni e giorni finché quell’erbetta che emanava un chiarore di un verde gentile non fece capolino in quella zona brillante di luce che è oltre la terra. E fu così che Castagnetta ritrovò il giorno adorato.

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1.4. Temi e spunti

1.4.1. La geometria inizia con un punto

Tutto ha origine dal punto, da un punto, dove tutta la materia-energia era concentrata. Ad un certo momento vi fu un’esplosione e si diede ori- gine all’universo: il “big-bang”. Si può affermare che ogni cosa è fatta di punti infinitamente piccoli e che ogni cosa sembra piena, ma, in realtà, è vuota. Se prendo una cosa solida, una pietra, e la faccio ruota- re verticalmente, mi apparirà un cerchio: il punto-pietra più il movi- mento mi dà il cerchio. Dobbiamo immaginare tanti punti-solidi picco- lissimi che ruotano incessantemente, al punto che io posso prendere una

“cosa” in mano e questa cosa ruota, continua ad essere “cosa”.

È un’interpretazione fisico-nuclea- re di cui la scissione atomica è un esempio dimostrativo. Le figure che noi vediamo alla televisione ed anche in fotografia sono un insieme di punti.

La geometria inizia con il punto.

Esempio: disegnare un viso usando i punti.

Ora immaginiamo due punti: ciò che li unisce è un segmento fatto d’in- finiti punti. Alcuni di essi si ribellano all’idea di dover stare sempre allinea- ti e si muovono. Così portano con sé tanti altri punti a loro legati, c’è infat- ti un legame tra l’uno e l’altro...

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Nel delica- to lavoro d’anima- zione si possono indi- viduare delle vere e pro- prie tecniche di primo grado ed è il momento in cui si cerca di liberare i partecipanti dagli ingombri di ciò che si sa, dagli automatismi. I mezzi adoperati di solito sono di una grande sempli- cità ed immediatezza: 1. Su un foglio comporre una figura usando solo puntini. 2. Disegnare un esem- pio usando solo segmenti. Partire da punto, linea, superficie, costruire figure. 3. Partire da un cerchio, un triangolo od un quadrato e farne figure animate (tale tecnica merita

uno sviluppo particolare).

Tecniche della dissonanza che usano la deroga, la singolarità

(linee spezzate, eterogenee, con spessori diversi)

manipolando i risul- tati 1, 2, 3.

Il terzo punto utilizza la figura geometrica sugge- rendone la manipola- zione figurativa (gli occhi, la bocca...). Per un bambino è immediato e sti- molante ed è più diretto. Può essere dato anche il primo giorno. Nel porgerlo ai bambi- ni giova l’uso di parole, toni partecipati, carichi d’interesse e di aspettativa. Introduce il secondo livello.

Tecniche d’immagine prelu- dono al racconto. Animare con le figure di un possibile rac- conto. Si può scegliere di ani-

mare direttamente con le immagini, cariche di per sé

di energia: il drago, il cane, il diavolo, il brigante, l’e-

roe ecc. ecc. Oppure il lago con i pesci, il

bosco con gli uccelli, l’an-

gelo.

1.4.3.

Geom etria

=ritmo

1.4.2. G

eometriaelementar e

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1.6.4. Animare e progettare

Ad una studentessa d’architettura che mi chiede- va come iniziare al saper progettare, cogliendo la sua natura ho detto: “Immagina due albe- ri che s’innamorano l’uno dell’altro”. Ne è nato un lavoro fertile giunto fino ad un progetto con tanti lavori, tanti disegni, anche un fumetto. Questo lavoro è sfociato poi in una struttu- ra leggera. In uno spazio vero e proprio. Le nozioni, le tecniche sono necessarie ma chi si entu- siasma, se le cerca e se ne appropria col tempo, progressi-

vamente.

E difatti, progettare è un processo, un iter lungo, avven- turoso, un torrente meraviglio- so di riflessioni e di modifi- che, di modellazioni continue:

esigenze, costi, armonie, pae- saggio, tradizioni, ecc. ecc.

Tutto intorno ad un fulcro forte ed invisibile, e dentro un’idea – sentimento che circola, che muta, che perdi e riprendi.

Quell’idea-sentimento è la cosa preziosa, è quella che fa il proget- to e che impegna tante competen- ze. È come un ideale, una luce davanti a te circonfusa di certezze ed incertezze, di verità, di dubbi che avanzano con te. È proprio un’avventu- ra col pericolo sempre in agguato. Piccola o grande che sia, abbozzata o precisa,

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embrionale o fuori scala, è l’intuizione pre- ziosa che occorre seguire fin dall’inizio, è il lampo che dà vita ed è fonte di energia.

La creatività che noi diciamo è la capa- cità di produrre idee, secernere solu-

zioni, provocare il futuro.

Come si fa? Suggerisco: Forme elementari di partenza capaci di racchiudere universi. Ecco, se penso ad una mela: è un concet- to nel suo aspetto freddo. Nel versante del sentimento (caldo), mela è un oggetto rosso o giallo come una sfera che contiene un’interna pasta granulosa fresca... poco suc- cosa, ecc. Dico mela e vedo, sento questa cosa… Dico arancio e dico, sento un’altra cosa, un’altra intensità, un’al- tra succosità… geometrica- mente si somigliano, ma sono tutt’altro. Cogliere in anticipo questa unità, procedere in modo da far “discendere” nella nostra testa-cuore un qualcosa, un’immagine. Parto da una forma, da un segno veloce, da un cerchio che butto lì sul foglio, da un triangolo… Se voglio essere fanciul- lo metto due occhietti ed un braccio…

oppure delle finestre... un portoncino... e lì vi abitano… È come se il quadrato pren- desse vita.

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È il tema dato ai bambini: una ragazzina ha fatto una casetta metten- do un quadrato sul cerchio e più su ancora, un triangolo.

Chi avrebbe concepito una casa che comincia con un cilindro che può rotolare?

Ho provato a dare a studenti le composizioni dei bambini, dicendo loro: traetene dei volumi (modellini delle pagine da 26 a 32). Sono venute fuori cose interessanti: di architettura dico. È come se nascesse

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«Ci si serve di un orologio senza amare l’orologiaio, ma non si può ascoltare con attenzione un canto perfettamente bello senza amare l’autore del canto e il cantore… la creazione artistica... non è altro che amore». (Simone Weil)

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sbagliate!

n o n

a b b i a t e paura: sba- gliate! sbaglia- te!

sbagliate!

non abbiate

paura : sba-

gliate!

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1.5. Riflessioni sul metodo

1.5.1. Il metodo diretto

Va direttamente al cuore dell’atteggiamento creativo, non disconosce l’importanza delle analisi purché calibrate ed opportunamente colloca- te. Non segue strettamente una propria progressione. I mezzi adoperati sono semplici ed immediati purché non si interponga nessuna lungaggi- ne iniziale.

È qualcosa di più di un metodo perché si basa sulla capacità creativa che risiede in tutti e nell’unicità del fare e del meditare dialetticamente intesi. Non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato visti in se stessi, cosa che blocca ogni movimento creativo perché interpone la mente dubitante. L’“errore” è un momento importante del processo conosciti- vo. Un giocatore di scacchi fa mille ipotesi su una mossa, la immagina

in tanti modi “errati” e deve immaginarla compiuta; deve, con la propria mente, effettuarla per capire quali sono le vie “sbagliate”.

Grande importanza hanno gli esercizi così come formulati; derivano da una lunga esperienza. Non sono né i soli né i migliori possibili. Se ne potranno trovare di più rispondenti ed efficaci. Questo ce lo fa dire la fiducia nella creatività e nella maggiore esperienza della direzione del- l’animatore. Non fa parte di un sapere intellettuale e quindi lo si può applicare d’amblé. Va sperimentato ed è importantissima la conduzione dell’intera operazione, aiutando ad esempio i giovani a “salvare” dalla propria scontentezza o stanchezza od idiosincrasia ciò che si produce.

Dei ragazzi si “divertivano” a distruggere i propri modelli.

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1.5.2. La gioia essenziale al metodo

I ragazzi mostrano felicità, senso di espansione dell’io, grande con- centrazione, emulazione e concordanza. Non solo gli insegnanti, ma anche noi stessi ci sorprendiamo dei risultati, spesso stravaganti, da valorizzare, salvare, interpretare, conservare ed evidenziare. Attorno ad un argomento ogni stereotipo è demolito. La visione-sentimento amplia enormemente l’immaginazione.

Ho dato un tema, “L’inferno, il purgatorio, il paradiso”. C’era da aspettarselo che il diavolo avrebbe fatto banco. Una ragazzina ha fatto un bellissimo inferno racchiuso sotto una volta, ed il diavolo tenerissi- mo, piccolissimo come un bambino. E poi? Si è, nella baraonda creati- va, perduto. Occorre comunque che tutto sia regolato da una certa “sag- gezza”. Ciò che si mette in moto, il modo di procedere, di tutelare, di salvare, di riorganizzare va guidato con grande semplicità, fiducia, senso di unità, comprensione; non giudizio, capacità di ascoltare, di intuire le possibilità in una persona, in una situazione, ed infine spazia- re con la mente e con desiderio verso confini più ampi. Come la pianta ama il sole e la pioggia, così l’uomo ama la felicità pura, quella a piene mani, diffusa nella vita.

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Il metodo diretto non è soltanto una possibilità, come un sasso lan- ciato nell’acqua, come una parentesi, né soltanto un esercizio prope- deutico. Vorrebbe essere qualcosa di più, dispiegandosi in fasi sempre più precise ed incidenti nell’iter dell’apprendimento. È controcorrente rispetto ai convincimenti ed ai percorsi che sempre più stanno prenden- do le modalità normative ed organizzative della scuola. Non possiamo fare degli studenti dei rassegnati ai programmi specialistici ed alle tec- niche dei mestieri. Proprio questa strada sembra essere controcorrente rispetto ai bisogni reali della società che chiede creatività e preparazio- ne umanistica, che di quella è la conseguenza ed il presupposto. Ricordo che, ad Architettura, i migliori, i più pronti tra gli studenti erano quelli che venivano da scuole umanistiche, erano quelli che capivano più a fondo la matematica e la tecnica. Erano quelli che traevano gioia dallo studio e dalle progressive “scoperte” che comporta. Più difficoltà incon- travano quelli che venivano da scuole specialistiche.

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1.5.3. Ancora sulle tecniche

Prendere un cartoncino ben tagliato, piegarlo accuratamente, operare un taglio, riflettere sul progressivo modificarsi dell’immagine, ipotizza- re altre piccole operazioni che contengono in sé il rigore da sentire e da mantenere. Educarsi alla cura dell’oggetto, amarlo... volerne fare qual- cosa d’interessante, continuare a riflettere: nel giro di mezz’ora si otten- gono i primi risultati. È un metodo Zen? E poi? Contiene tutto ciò una poetica? In realtà un quadrato ben tagliato dritto, con la sua patina, il colore, le dimensioni è qualcosa che contiene in sé il suo fascino.

Tutto è pervaso di bellezza, basta saperla vedere. Ci sono cose che ce l’hanno tutta fuori ed intorno, altre la nascondono dentro, in altre anco- ra è diversamente vagante. È importante poterla cogliere, ma è altret- tanto essenziale poterla produrre.

Ecco l’invito che si dà quando si dà un esercizio: produrre bellezza.

Si danno delle indicazioni e degli stimoli. Ognuno la deve trovare in se stesso per poterla “produrre”. È stupenda questa lotta e ha qualcosa di mitico: accresce ed appaga.

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1.5.4. La vita dissepolta. Aver fiducia nella creatività, tra le bandiere per la pace ed i venti di guerra

Basta poco: rotti gli argini, viene fuori un’incredibile risposta creati- va da tutti, indistintamente. Basta trovare la chiave giusta e proporre un metodo diretto, semplice, adeguato, immediato. Senza interporre lun- gaggini, analisi, complicati preparativi: un foglietto di carta, un paio di forbici tra le mani ed un’accorta attenzione, un provarsi e, giù di lì, pic- cole idee senza fine. In gruppo avviene un ribaltarsi continuo, un gareg- giare e suggerimenti diffusi.

A Ciampino, presso il Casale dei Monaci, un gruppo di ragazze e ragazzi della 3a della Scuola Media Statale “Umberto Nobile”, un’azio- ne dimostrativa su un foglietto di carta per conoscerne la meravigliosa candida consistenza, una piegatura fatta con cura, con amore, con pre- cisione, con calma, un piccolo taglio da qualche parte, ribaltando poi il lembo. Un quadrato di sole stampato sulla parete, di fronte ai ragazzi.

Le parti illuminate, le ombre, il disegno che si moltiplica.

Il senso dell’ordine, della geometria, della calma per contemplare: si riflette sullo schermo delle proprie anime, quella candida partitura del foglietto ripiegato, investito dal sole. Introdotto il tema: dopo un attimo di perplessità, un foglietto e una forbicina, qualcuno ha cominciato, e poi via via è stato un turbine, tantissimi modellini, altrettanti risultati e nessuno si stancava. I docenti sorpresi, noi tutti a fotografare. Era come aver stappato una bottiglia di champagne, una creatività semplice, una gran fiducia, un senso di vita dissepolta.

E non si tratta solo di gioco, di un motivo fugace di animazione: in nuce, in quanto gioco, vi è quella massima concentrazione ed impegno educativo, liberatorio ed evidentemente formativo (un ragazzo con pro- blemi seri è stato coinvolto e ha prodotto molto). E comunque in quei modellini, molto diversi l’uno dall’altro, attestanti la singolarità di ognuno, si alludeva ad edifici, ad architetture accennate ma belle a vedersi.

Tutti insieme e a gruppi richiamavano immagini di vita. Presi singo- larmente: sculture candide. L’approccio creativo, così fatto, è un primo gradino, se ne vedono i probabili ricchi sviluppi. I richiami alla

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Bauhaus, alle scuole d’arte, a Kandinsky, a Klee, sono possibili, leciti.

Ma la rapidità, la semplicità, la povertà assoluta di mezzi è singolare; il commento di una dei docenti presenti: «Tutto ciò dà fiducia, in un momento storico così difficile, così carico di depressione».

Questo voler innescare di nuovo una stagione creativa, che si slanci verso un futuro migliore, verso un mondo incantato cui si anela mal- grado il presente, rende ben singolare ed importante l’esperimento. Non sono mancati tra i ragazzi monumenti alla pace: «Fare l’amore e non la guerra», «Make love, not war», una grande scritta su tre colori della bandiera italiana; un cuore interposto su due grandi colonne. È stata un’esperienza indimenticabile.

Ecco come si sono svolti i lavori.

Al Casale dei Monaci, presso il Centro Culturale per le Arti Applicate e il Terri - to rio del Comune di Ciampino, una speri mentazione didattica partecipata, significativa per il tempo presente.

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2. Laboratorio al Casale dei Monaci:

“Dalla carta al cartone al metallo”

2.1. Dalla carta al cartone Esempi di lavori d’animazione al Casale dei Monaci, mag- gio 2003. Laborato rio di - retto da Riccardo Dalisi e condotto in colla bo - razione con Franco Iovanna, Alexandra Adriani, Monica Bar - bieri, Daniela Bello.

A parte alcuni schizzi di Dalisi tutte le immagini si riferi- scono alle realizzazioni degli alunni della Scuola Media “Umberto Nobile” di Ciampino e dell’Istituto d’Arte

“Paolo Mercuri” di Ciampino-Marino pro- dotte durante il laboratorio.

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Questo “laboratorio” è stato pensato come un’esperienza progressi- va nella conoscenza del materiale. Partendo dalla carta, passando al cartone e poi alle lamiere di metallo (latta, rame, argento, oro).

Un foglio di carta è un supporto per scrivere, per disegnare, uno schermo che ha memorizzato il segno. Come si può conoscere un mate- riale? Il materiale si conosce per ciò che mi ha dato. Se si disegna sul foglio la carta trattiene il segno. Disegnando la stessa cosa nell’aria, essa non la trattiene.

L’aria è un materiale? L’aereo, le farfalle appoggiano le ali sull’aria e sono sostenuti da essa nel volo. La stessa cosa per l’acqua; ci sostiene quando nuotiamo. Ma l’aria non può trattenere un segno. Non è un sup- porto che memorizza. Girando una corda nell’aria, si sente un sibilo. La corda, un segmento unito ad un moto circolatorio, disegna un cerchio nell’aria, ma non lo trattiene una volta che cessa il moto.

Il foglio di carta è qualcosa di consistente e per conoscere la consi- stenza devo provare il materiale. Il foglio di carta resiste ad una forza che tira, ad una trazione, ma quando viene compresso non ha resisten- za. Se viene piegato, creando così delle nervature, resiste meglio alla compressione.

Il fazzolettino è anch’esso di carta, ma resiste poco sia a compres- sione sia a trazione. Manca di componenti che lo rendono rigido proprio perché deve essere morbido. Proprio per questa sua proprietà cristallina che lo rende rigido, il foglio di carta fa rumore quando si accartoccia.

John Cage ha composto musiche utilizzando questo genere di suoni, di rumori. Se si osserva la gestualità delle mani che manipolano la carta, diventa teatro. Il rumore dei fogli di carta potrebbe simulare suoni misteriosi.

L’origami è l’arte di piegare la carta. Tutti i modi di fare arte inizia- no con cose semplici. Si piega la carta creando uno spigolo, lasciando un segno. Si crea uno spazio. Un muro non è un’architettura. Due muri creano uno spazio.

Con le piegature si modula lo spazio, si arricchisce. Il riflesso del sole sul foglio crea architettura. L’ombra fa un disegno sul foglio, sullo spazio architettonico.

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Un altro modo di conoscere il materiale è inciderlo. Con l’incisione si lascia un segno. Nel punto dove vie ne piegato o inciso il foglio di carta si deforma. Anche il taglio deforma il foglio. La deformazione rimane, diventa permanente. Medi ante il taglio e la piegatura, il foglio assume una conformazione diversa rispetto alla semplice piegatura.

Piegando più volte ed effettuando ulteriori tagli ottengo un’opera (di architettura). È un’auto operazione. Si fanno delle piccole operazioni, si osserva per cogliere ulteriori cambiamenti da fare.

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Diario di bordo a cura di Franco Iovanna, Alexandra Adriani, Monica Barbieri, Daniela Bello. Casale dei Monaci presso il Centro Culturale Comunale per le Arti Applicate e il Territorio

Alle 9.30 ci siamo incontrati con i ragazzi della 3a della Scuola media Umberto Nobile, un gruppo di 15 alunni e 3 insegnanti. Riprendendo l’introduzione del giorno precedente sul modellare un foglio di carta, attraverso piegature e tagli, i ragazzi hanno iniziato il loro primo giorno di laboratorio.

Dopo i primi timidi tentativi, vinto il disagio di trovarsi davanti ad un foglio bian- co, si è incrementato l’interesse verso questo esercizio. Da forme e modelli semplici si è passati a quelli più complessi. Osservando i modelli dei compagni e confrontan- doli con il proprio ci si è liberati, man mano, lasciandosi guidare dal proprio istinto.

Per esempio, un semplice nastro arrotolato intorno ad un dito è servito come spun- to per creare nuove forme morbide, rispetto allo spigolo netto di una piegatura. Una figura geometrica come un cerchio può diventare un’apertura, una piegatura, un pro-

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... Mentre continuavano l’esperienza, nell’ambiente adiacente, sul pavimento è stata allestita con cartoni colorati una zona per esporre e fotografare i modelli. Si è poi osservato che i giochi di luce e ombre hanno creato nuove forme interessanti disegnate sui cartoni e sui modelli vicini. L’osservazione ha ispirato ulteriormente i ragazzi che hanno così trovato nuovi stimoli per la creazione. L’esperienza dell’esposi- zione ha permesso di studiare la relazione tra i modelli esposti singolarmente e in dialogo con gli altri...

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...In una seconda fase dell’esperienza, i ragazzi della 3a hanno a disposizione

fogli di cartoncino colorato. Si usano le forbici e i taglierini, e piegando,

tagliando spuntano fuori strutture fan- tasiose, forme astratte, corpi sinuosi, a fiore, visi, animaletti sorridenti e curiosi a volontà. E la luce del sole arricchisce tutto con la sua magia...

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Diario di bordo

Istituto d’Arte “Paolo Mercuri” di Ciampino-Marino

In questa seconda esperienza di laboratorio siamo passati dal semplice foglio di carta al cartoncino. Il materiale richiede ora una maggiore cura nella modellazione.

Utilizzando, ad esempio, un righello si può in maniera semplice e sicuramente più pre- cisa fare delle piegature sul foglio e, utilizzando delle forbici, praticare dei tagli. Si è osservato come questo nuovo materiale abbia una consistenza più solida della carta. Si comincia a fantasticare sul cosa potrebbe diventare, ma lasciando in questa fase aper- te le più diverse possibilità creative. I ragazzi, dopo le prime osservazioni fatte assie- me al prof. Dalisi, hanno preso dei cartoncini colorati. Il colore in questa seconda fase è fondamentale, non più, quindi, semplici fogli bianchi (il prof. Dalisi ha consigliato tutti i colori tranne il nero)...

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... Insieme stiamo scoprendo come il cartoncino offra possibilità differenti dalla carta. I tagli morbidi diventano ora più stabili. Viene poi ancora una volta ripetuta l’e- sperienza del fotografare. L’armonia delle forme viene ora anche arricchita dalla rela- zione dei colori. Delle vere e proprie forme architettoniche prodotte in maniera com- pletamente spontanea... La partecipazione è totale, anche nella fase espositiva.

Viene poi proposto un secondo esercizio, l’idea è di fare ora uno schizzo che rap- presenti un’automobile. Dalisi mostra i disegni presenti nel suo libro Progettare senza pensare. L’esercitazione prende spunto dall’esperienza fatta precedentemente. Nasce

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... Dal bidimensionale si è passati ad un primo modellino tridimensionale; piegan- do il foglio più volte si dà spessore, poi si praticano dei tagli fatti questa volta in maniera più accorta, più curata, si tagliano le ruote, il muso, la portiera e via di segui- to. Pian piano comincia a prendere forma il nostro modellino...

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E poi... modellare una sedia!

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Diario di bordo

Ancora a Casale dei Monaci presso il Centro Culturale Comunale per le Arti applicate e il Territorio

Oggi i ragazzi della 3a hanno a disposizione alcuni cartoncini colorati di diversa dimensione. Il prof. Dalisi inizia la lezione creando un piccolo modellino di una sedia:

tre piegature del cartoncino ed è fatta. Continuando a modellare il cartoncino con le forbici ed effettuando piccoli tagli, la sedia inizia a diventare più complessa.

L’esercizio è quello di provare a creare un modellino semplice, quello della sedia, liberando la fantasia e la creatività. I ragazzi si mettono subito all’opera… Pochi di loro utilizzano il taglierino, quasi tutti le forbici, forse perché è più semplice modella- re, sembra il prolungamento delle mani...

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... Le prime creazioni prendono spunto dal modellino del prof. Dalisi: per ora non hanno ancora liberato la fantasia. Ma dopo il terzo giorno anche il gruppetto più irre- quieto è all’opera, tutti sono attenti. La prova definitiva è quella di verificare se la sedia regge... molte si rovesciano, alcune rimangono in piedi. Dopo i vari tagli, si con- tinua con i colori, pennarelli, pastelli e unioni di cartoncini colorati. Dopo le prime soluzioni semplici, si ci sbizzarrisce con forme più complesse, schienali ondulati, pog- giapiedi che fuoriescono “a richiesta” dalla sedia-poltrona, sedie che “si guardano”...

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Diario di bordo

Istituto d’Arte “Paolo Mercuri” di Ciampino-Marino

L’esperimento della modellazione della sedia, usando delle strisce di cartone colo- rato, viene ripetuto all’Istituto d’Arte. Dopo aver piegato il primo modellino si comin- cia ad osservare come ci siano dei punti che vanno rinforzati, il terzo modo è quello più sollecitato. Praticando dei tagli si arricchisce il modellino con nuovi elementi che possono contribuire alla staticità, ad alleggerire (con dei vuoti ad esempio) ed ad irri- gidire i punti più fragili creando delle nervature. Tali elementi possono anche donare

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Sedie elaborate da artigiani seguendo i modellini dei ragazzi.

Mostra al Casale dei Monaci, aprile 2003.

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Commento del professor Dalisi:

Sul tema della sediolina di G.T. Rietveld: una striscia di cartoncino ripiegato subi- to dà l’idea e lo spunto per una serie di elaborazioni fertili, inesauribili. L’importanza di un metodo così sintetico ed immediato è che va al cuore del problema compositivo.

Si raggiunge rapidamente come una sintesi, si coglie una globalità, una linea, un per- corso da seguire. I modelli di sedie scelte hanno delle particolarità che le rendono ori- ginali al di là di ogni discorso sulla funzione e sul loro specifico valore di design.

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70 Mostra al Casale dei Monaci, aprile 2003

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2.2. Dal cartone al metallo

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Il lavoro di Dalisi sui materiali: latta, rame, ferro e carta.

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Un foglio di carta, un filo, una lamiera di ferro sono materiali strut- turati. Ogni materiale possiede una sua “struttura” conferita dall’uomo con le sue macchine. La carta, il cartoncino ed il lamierino hanno pro- prietà simili. Il cartoncino non può essere prodotto in profilati a T, ad L, ad X ecc. che sono materiali strutturati con maggior grado di comples- sità. Ogni materiale strutturato ha la sua potenzialità. Il filo di carta non esiste, non ha consistenza, il filo di metallo è usato moltissimo; è dutti- le, assume qualsiasi forma: si lavora con le mani.

Se non indicato diversamente tutte le immagini si riferiscono alle realizzazioni degli allunni dell’Istituto d’Arte “Paolo Mercuri” di Ciampino-Marino prodotte

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Partendo da forme semplici di lamierino, ci si può provare a pla- smarlo direttamente. Il materiale con la sua struttura offre spunti, solle- cita idee. Si può creare un gioiello, qualcosa senza passare attraverso un

“progetto”; addirittura senza un’idea di partenza. Si parte da un quadra- to, un cerchio, una forma irregolare di lamiera, la si comincia a piegare, a tagliare,... un ciondolo, un anello, una collana... È l’esperimento.

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Ingioiellare le mani: ecco un tema affascinante e nuovo. Le mani modellano su se stesse il metallo. E poi ecco la ricerca dei materiali più vari, più semplici: una pietra colorata, una conchiglia, un pezzettino di vetro, un legno, la carta o qualcosa che sia lucente, un segmento di altro metallo. Anche il colore: gli smalti. La tensione è diretta e subito speri- mentabile. Adornare oltre le mani, i polsi, il collo, i vestiti, i capelli.

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Escono i primi gioielli... poveri fin che si vuole, ma immediati. Si passa alla prova, alla fotografia. Alcuni pezzi hanno una notevole forza espressiva. Proprio perché elaborati senza il timore di sbagliare, di sciu- pare materiali e di attenersi a regole particolari. I risultati mostrano una freschezza ed un interesse particolare. Si potrà ripartire per un percorso più rigoroso e controllato; ma questo appartiene al futuro.

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«Se ho incluso la Visibilità nel mio elen- co di valori da salvare è per avvertire del peri- colo che stiamo correndo di

perdere una facoltà umana fondamenta-

le: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall'allineamento di

caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini.

Penso a una possibile pedagogia del- l'immaginazione che abitui a control- lare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d'altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile

fantasticare…»(Italo Calvino, Lezioni

americane)

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Il luogo del racconto e il luogo dell'ascolto.

Il luogo della fiaba e il luogo degli animali.

Il luogo dell'eroe e il luogo dell'amicizia.

Il luogo degli gnomi e il luogo dei giganti.

Laboratorio con i bambi- ni della scuola materna

“Duchessa d’Aosta” di Pomigliano d’Arco, luglio 2003. Diretto da Riccardo Dalisi e condotto in collaborazione con Franco Iovanna, Alexandra Adriani, Monica Barbieri, Daniela Bello.

3. Sulla scia del metodo usato al Casale dei Monaci

3.1. “Il luogo degli eroi”. Animare attraverso il mito

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Il comune di Pomigliano d’Arco è particolarmente attrezzato per il lavoro con l’infanzia. In esso si è inserita la nostra sperimentazione. Il tema di fondo è la progettazione partecipativa per intervenire sul corti- le da trasformare da parcheggio a spazio-giardino per i bambini.

Negli atti preparatori del processo di quella specifica incubazione del progettare il mito è un racconto che genera spazio, dona visione dello spazio. Non ci è data la libertà con possibilità infinite se non per attimi, per tempi contenuti colla presenza del pensiero silenzioso e con l'im- maginazione. Finalizzati a disegnare spazi, gli atti “animatori” sono nella sfera del mito che genera racconti (incessantemente). Specie per un bambino (e comunque per l'uomo adulto fin dai tempi più remoti) gli spazi sono generati da un bisogno mitico che si svolge in un racconto- percorso. Anche l'edificio di un architetto razionalista può essere illu- strato, vissuto e dispiegato in un raccontarsi. I re ed i santi materializ- zati in statue dentro e sulle facciate delle cattedrali contengono mille racconti, li richiamano, sono la vera profondità dello spazio architetto- nico.

La componente tempo nello spazio cubista è ben misera cosa rispet- to al tempo mitico che, da sempre, è stata la quarta dimensione dell'ar- chitettura (come di qualsiasi arte). Ad un bambino non direi mai direttamente: “Dove mettiamo gli alberi?

Dove ci riuniamo?” eccetera. Ci si dovrebbe provare a dire loro, ad esempio: “Se gli alberi potessero cammina- re per venire da noi (per loro è sicuramente molto faticoso camminare perché non sono abituati) dove vorrebbero riposa- re? In che disposizione si potrebbero mettere per stare insieme e per guardare dall'alto noi bambini e non bambini? (sarebbe un esempio più per un adulto). Chi proteggerà lo spazio? I guerrieri o i giganti? Animali o armi telematiche o elettro- niche? Qual è il luogo della solitudine? Quale quello dello stare tutti insieme? Qual è il luogo del racconto e dell'ascoltare? Quale il luogo dei fiori che parlano,

ridono e giocano? Quale il luogo delle farfalle?”.

Non importa che non escano disegni attendibili, varrà l'animazione e gli spunti che ne usciranno.

Partecipazione significa questo rapporto.

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Se non indicato diversamente tutte le immagini si riferiscono alle realizzazioni dei bambini prodotte durante il laboratorio.

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La condivisione ed il dialogo sono la base del vivere comune, del rafforzamento dei principi della democrazia. Il percorso attraverso il racconto coinvolgente genera appunto condivisione e azione dialogan- te. È quindi da condividere il documento della Fondazione Pomigliano Infanzia e tutta la parte metodologica sull'importanza del “fare” per svi- luppare la propria immaginazione, la capacità di attenzione e di produr- re valutazioni ed idee.

Nel nostro caso un'ipotesi di progetto di partecipazione può essere questa - partendo dal fatto che si tratta di un suolo quadrangolare spa- zioso ed indifferenziato con le seguenti condizioni:

a) Lato sinistro entrando, muro alto afono ritmato da alberelli sempre- verdi a poca distanza.

b) Lato di fronte, muro alto afono senza alcuna apertura con alberi che spuntano oltre confine.

c) Lato destro entrando, un dislivello di m. 1 circa, una cancellata e una scaletta, luogo esterno della scuola che si disegna senza alcuna valenza.

d) Lato strada, un’alta inferriata forte e protettiva.

Si può cominciare da d.: un'inferriata (da lasciare? Sì mi dicono).

Come trasformarla in qualcosa che abbia significato? Ecco il tema: tra- sformare senza perdere il senso di forza, accentuandolo? Chi e che cosa, quali figure, quali oggetti da

1. sostituire?

2. aggiungere?

3. colorare?

4. deformare?

Sono spunti per immaginare. Chi è che protegge? Cosa dà il senso fiabe-

sco? In quale fiaba? Si entra, in fondo qualco- sa da vedere di primo acchito.

Su a) Sulla sinistra quel verde è da poten- ziare... sarà un bosco? Il muro che trapela tra gli alberi sarà da fare in modo che sembri sfondato? Un passaggio dise-

gnato?

Su b) Come dare un senso allo sfondo? Intervenire sul muro?

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Sperimentare lo spazio. Creare percorsi e luoghi, il gioco del cor- rere e fare disegni viventi.

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Forse creare qualcosa che si possa cambiare col tempo? Dare luogo a scene, installazioni?

Su c) È il luogo dell'affaccio e delle compe- netranze... Spazio su spazio. E qui è interessan- te: è una loggia? Un osservatorio? Avrà una sua defi- nizione, una sua deformazione. Il salto di quota avrà un suo accentuarsi, apparirà qualcosa d'altro che incornici la scuola?

Come apparirà dal basso la scuola stessa? È il luogo dei giganti che proteggono la scuola? È il luogo dei grandi lumi che raccon- tano che sono come casette non solo della luce ma anche di qual- cosa d'altro? E poi ancora, il grande invaso quadrangolare potrà essere agito... animativamente?

Un'idea: grandi fasce di legno (compensato), carta, plastica, tinte segmentanti lo spazio, colorate. Giocarci e poi disegnare. Porre tutt'in- sieme queste fasce sullo spazio, creare percorsi e luoghi. Con segni colorati. Correre, giocare su tali settori pensando a delle regole improv- visandole. Correre senza calpestare le fasce. Correre tenendosi per mano a gruppi di due, tre, quattro, dieci e poi disegnare. Comporre dise- gni viventi e rapportare il disegno a terra con il disegno dei gruppi di bambini a rette, a segmenti, a spezzate, a cerchi, a semicerchi.

Giocare poi agli alberi. Ogni bambino è un albero che arriva e si situa rapportandosi agli altri. E poi disegnare. Infatti, il lavoro prece- dente, il gioco del correre e fare disegni viventi serve anche a inte- riorizzare quello spazio, a dargli una storia ed il senso di proporzio- ni non metriche ma intuitive.

Si potrà potenziare tutto ciò attraverso il gioco classico della corsa e della “settimana”. Il dise- gnare tutto intero il lotto ponendo la domanda: “Ed ora come lo arti- colereste, perché non fare il dise- gno di come lo vorreste?”

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