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DIRITTI UMANI DIRITTI UMANI. 1. Crescente sensibilità nei confronti dei diritti umani. Giuseppe Mattai

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DIRITTI UMANI

DIRITTI UMANI

Giuseppe Mattai

1. Crescente sensibilità nei confronti dei diritti umani

2. I diritti umani parametro storico della pace e verifica puntuale dell’autenticità dell’etica sociale

2.1. Diritto alla pace

2.2. Verifica della pace e dell’etica sociale

3. Il lungo cammino storico dei diritti dell’uomo e dei popoli

4. Fondazione e giustificazione dottrinale dei diritti dell'uomo e dei popoli 4.1. La fondazione individualistica

4.2. La fondazione solidaristica

5. L’apporto della Chiesa all’individuazione e promozione dei diritti umani 5.1. L’apporto conciliare

5.2. L’apporto di Giovanni Paolo II 6. Questioni aperte

7. Indicazioni pastorali

1. Crescente sensibilità nei confronti dei diritti umani

Sia per esperienze negative di contrasto a fronte delle gravissime violazioni dei diritti dell’uomo e dei popoli, che ancora al presente sussistono, sia a motivo di una crescente consapevolezza della propria dignità soggettiva, è un fatto che la percezione del valore e dell’intangibilità di tali diritti è oggi più chiara e diffusa che in altri tempi.

Lo ammette a tutte lettere l’enciclica​​ Sollicitudo rei socialis​​ di

Giovanni Paolo II, il quale afferma che la​​ preoccupazione​​ per il rispetto dei diritti umani è dappertutto​​ più viva​​ e più deciso il rigetto delle loro violazioni (cf SRS 26). Come segno rivelatore di questa consapevolezza il Papa adduce il numero crescente delle istituzioni, alcune delle quali di portata mondiale, che s’impegnano a fondo nella denuncia delle violazioni dei diritti e per la loro promozione. Ciò, sempre secondo il pontefice, è dovuto anche all’influsso diffuso e pervasivo della Dichiarazione dell’ONU del 1948

​ (ivi).

Proprio in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani (11 dicembre 1947), trentanovesimo anniversario della​​ Dichiarazione​​ dell’ONU, insieme alle celebrazioni, hanno avuto luogo manifestazioni di protesta e denunce che hanno visto come protagonisti soprattutto i giovani.

L’anniversario della​​ Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo​​ e la consapevolezza, largamente diffusa, delle molteplici violazioni, gravi e ripetute, dei principi fondamentali cui la Dichiarazione si ispira,

alimentano tra i ceti più responsabili e nelle aliquote dei giovani associati in organizzazioni come​​ Amnesty international,​​ Gioventù Aclista, Mani Tese, e simili, l’esigenza dell’informazione oggettiva e di una resistenza attiva a tale stato di cose che compromette profondamente la pace mondiale.

Il fatto che la libertà d’informazione sia spesso violata e molti giornalisti siano feriti o uccisi, ostacolati o imprigionati in molti paesi, induce a moltiplicare lo sforzo della riflessione per meglio fondare i diritti e il relativo convincimento della loro inviolabilità, nonché a promuovere l’azione universale intesa a garantirli.

In tale direzione sembra che i giovani nel mondo svolgano un ruolo non certo trascurabile, in quanto rivelano forte sensibilità ai problemi etici

sollevati da situazioni collettive e, in primis, della violazione al diritto di esprimersi liberamente; «Hanno la sensazione che le situazioni attuali richiedano una specie di conversione morale e che non si possano più

affrontare con i mezzi dell’azione politica tradizionale. Ci troviamo dunque di fronte a un​​ enorme potenziale etico​​ presente nelle giovani

generazioni. Bisognerebbe poterli aiutare ad orientare questa loro capacità verso vie costruttive». Le espressioni citate sono del Card. Poupard​​ (La morale cristiana nel mondo,​​ Ed. Piemme, Casale M. 1987, p. 123) e mi paiono molto significative; ancorché riguardino solo il Belgio, possono essere

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assunte come la conclusione di un amplissimo sondaggio, curato dal

Segretariato per i non credenti, che si è avvalso dell’apporto estremamente ricco e differenziato di più di duecento corrispondenti diffusi in tutto il mondo.

Della nuova sensibilità giovanile relativa al diritto a dissentire sarà fatto ampio cenno nella voce​​ pace.​​ Nel nostro paese questo appello alla

disobbedienza creativa, che dice no a certi dispositivi di legge e a

determinate istituzioni per affermare valori più alti e ineludibili, ha preso corpo nella obiezione al servizio militare e in altre obiezioni che in genere raccolgono appoggi da parte di organizzazioni in cui i giovani sono presenti e operanti.

2. I diritti umani parametro storico della pace e verifica puntuale dell’autenticità dell’etica sociale

1 giovani non dimostrano molta preoccupazione nei confronti

dell’approfondimento teorico della fondazione dei diritti umani e, pertanto, in questa direzione vanno aiutati sul piano culturale e pastorale. Per

contro, rivelano sensibilità e peculiare attenzione al collegamento che intercorre tra diritti e pace, solidarietà e pace. Finché i diritti delle persone sono violati non è possibile parlare di pace vera e stabile. Le giovani generazioni dimostrano altresì di non fare gran conto delle

istituzioni internazionali — che invece l’insegnamento della chiesa, compreso l’intervento di Giovanni Paolo II (SRS 43) ha da sempre privilegiato — per indurre all’osservanza dei diritti e spianare così il cammino alla pace.

Mirano, al contrario, a rafforzare l’azione delle ONG (Istituzioni Non Governative) per quanto riguarda sia l’informazione oggettiva delle situazioni oppressive dei diritti che la promozione dei diritti umani.

In effetti è molto frustrante constatare che, in oltre quarant’anni dalla loro fondazione, le Nazioni Unite non siano riuscite a diffondere

informazioni sui diritti umani, le loro violazioni e gli strumenti internazionali idonei a fronteggiarle.

Anziché isolarsi in un lavoro unilaterale, le ONG, che operano nel campo della difesa dei diritti umani, debbono premere sulle Nazioni Unite e sui governi (i quali sono i maggiori responsabili di questo stato di cose) perché a questo programma di informazione globale delle popolazioni del mondo venga data la dovuta priorità.

«È assolutamente necessario che le potenziali vittime di violazione dei diritti umani prendano coscienza del valore fondamentale di questi diritti:

esse devono conoscere quali siano gli strumenti giuridici a disposizione, i mezzi amministrativi a livello nazionale ed internazionale per far valere la difesa dei diritti. Esse devono sapere che la mancanza di libertà di parola, di libertà di culto, la discriminazione in base all’origine etnica, al sesso, costituiscono violazione dei principi fondamentali della dignità umana» (F.

Sciuto,​​ L’informazione pubblica nel campo dei diritti umani,​​ in​​ Pace diritti dell’uomo diritti dei popoli,​​ Liviana ed., Padova 1987, p. 88).

Anche recenti indagini (come quelle di R. Mion) confermano che un buon numero di giovani del nostro paese connette l’idea di pace con la giustizia, il rispetto dei diritti umani e lo sviluppo dei più deboli ed emarginati.

L’approfondimento teorico rivela che il sentire giovanile è tutt’altro che infondato. Il riferimento infatti alla concreta tutela e promozione dei diritti di tutto l’uomo e di tutti i popoli (per fare uso della plastica espressione che ricorre nella​​ Populorum progressìo​​ di Paolo VI)

costituisce un parametro storico e un criterio fondamentale per verificare l’autenticità o meno della pace che si vuole istituire e promuovere. La pace vera è opera della giustizia e della solidarietà, come ha autorevolmente rimarcato l’enciclica del Papa (cf SRS 39); ma la giustizia non esiste di fatto se i diritti delle persone e dei popoli non sono effettivamente riconosciuti. Il riconoscimento e la garanzia dei diritti escludono le discriminazioni e le ingiuste diseguaglianze; del pari, rifiutano chiusure statiche e postulano una dinamica promozionale sempre aperta, che spinge a prendere atto dei diritti fondamentali come anche dei nuovi diritti

emergenti, al di là di quanto le dichiarazioni scritte riescono a formulare.

Come è noto, il diritto risulta sempre alquanto in ritardo sull’evoluzione storica e culturale.

2.1. Diritto alla pace

Ad esempio, il​​ diritto alla pace​​ e​​ il diritto allo sviluppo​​ (non

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soltanto economico-sociale, ma anche culturale e pienamente umano), che costituiscono oggetto privilegiato di riflessione e di azione all’interno delle ONG, tardano a trovare esplicito riconoscimento nelle istituzioni internazionali e nelle loro dichiarazioni.

Esiste, benché poco conosciuta, una Dichiarazione dell’Assemblea dell’ONU, adottata il 15 dicembre 1978, in cui si afferma che «ogni nazione e ogni essere umano... hanno il diritto fondamentale a vivere nella pace», e, ancora più decisamente, nella Dichiarazione del 12 novembre 1984 viene di nuovo sancito il «diritto dei popoli alla pace», definito «sacro diritto», cui si connette di conseguenza, l’obbligo fondamentale​​ di ogni Stato di adoprarsi per la «preservazione del diritto dei popoli alla pace e la promozione della sua attuazione».

Tuttavia così come oggi viene configurato, il diritto alla pace non entra ancora nella lista dei diritti umani fondamentali, in quella cioè dei diritti degli individui, non soltanto perché enunciato in una Dichiarazione (che resta «raccomandazione» e non un trattato o una convenzione) ma soprattutto perché riferito, quanto ai soggetti, ai «popoli». Il corrispettivo del

«diritto» così enunciato è un onere di adempimento a carico degli Stati, dei singoli Stati, «non già anche l’esercizio di funzioni per così dire di

iniziativa e di partecipazione da parte dei titolari del diritto medesimo»

(A. Papisca,​​ La pace come diritto umano fondamentale,​​ nella rivista da lui diretta:​​ Pace diritti dell’uomo diritti dei popoli, cit.​​ 40-41).

2.2. Verifica della pace e dell’etica sociale

Fare riferimento ai diritti dell’uomo e dei popoli, anche limitandosi alle dichiarazioni storiche che hanno tentato di codificarli, costituisce un parametro storico prezioso per verificare se la pace che si persegue è autentica. È vero che il cristiano dispone anche di un referente più alto e ideale che è la «pace di Cristo», la «nobilissima pacis ratio» di cui parla la GS (n. 78). Ma trattasi di un ideale forse troppo alto che solo

progressivamente, e sempre imperfettamente, viene calato nella storia: per la verifica concreta di una tale incarnazione oggi disponiamo della coscienza dei diritti e della loro promulgazione, anche sul piano positivo, che non possiamo disattendere.

Il riconoscimento e la garanzia dei diritti umani rappresentano altresì un parametro fondamentale di verifica dell’autenticità delle nostre elaborazioni dell’etica sociale, oltre che della prassi sociale. Se l’etica sociale, nelle sue diverse articolazioni — familiare, politica, economica, etica delle

comunicazioni sociali, etica medica e bioetica — non confluisce nel

riconoscimento e nella promozione dei​​ diritti di tutto l’uomo e di tutti i popoli,​​ ma tende a ignorarli e misconoscerli, in toto o in parte, rivela impianti dottrinali, presupposti e condizionamenti falsificabili e da riconcettualizzare.

La fondamentalità del tema della pace, storicizzata nei diritti dell’uomo e nella fraternità universale, che è l’operazione «forse più significativa, anche se meno rilevata, dell’enciclica​​ Pacem in terris»,​​ è stata

recentemente assunta dal teologo moralista E. Chiavacci, il quale afferma che

«è legittimo, e magisterialmente corretto, tradurre nel concetto sociale e giuridico dei diritti dell’uomo l’idea e l’annuncio cristiano di pace» (E.

Chiavacci,​​ Teologia morale,​​ p. 142). Oltre ad essere corretta,

l’operazione risponde anche a una nuova domanda, autentico segno dei tempi, espressa dalla lunga vicenda dell’affermazione dei diritti dell’uomo.

3. Il lungo cammino storico dei diritti dell’uomo e dei popoli

Già​​ ab antiquo,​​ di fronte alle frequenti manomissioni dei diritti

fondamentali delle persone, si è venuta affermando l’esigenza di formularli chiaramente contro la strapotenza dei sovrani e delle strutture politiche oppressive. Tra i precedenti storici delle moderne dichiarazioni (ancorché ogni dichiarazione esiga una precisa contestualizzazione storico-culturale) generalmente vengono ricordate le concessioni delle libertà feudali, ottenute a forza dai feudatari inglesi ed espresse nella «magna charta libertatum» del 15 giugno 1215. Tra l’altro, veniva garantita la libertà della chiesa

anglicana e della persona, il diritto alla procedura giudiziaria nei casi di reato, la protezione delle vedove e degli orfani, la difesa della proprietà e una limitazione delle prestazioni feudali imposte dal sovrano.

In successive dichiarazioni, fino al​​ Bill of Rights​​ del 1689, ispirato dal Locke, i diritti vengono estesi alla borghesia emergente. Trattasi sempre

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di​​ libertà da,​​ cioè di affermazioni delle libertà individuali che prendono corpo in tre diritti ritenuti fondamentali:​​ diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà,​​ diritti che sottolineano la priorità dell’individuo contro la progressiva affermazione dello Stato moderno e mirano a salvaguardarlo da ogni possibile intrusione statuale.

Dal patto sottoscritto sulla nave Mayflower nel 1620 dagli emigrati puritani si sviluppano gradualmente le libertà tipiche della società americana. Nella dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti (4 luglio 1776) per la prima volta vengono menzionati i diritti inalienabili degli uomini, tra cui

figurano in primo piano​​ la vita, la libertà e la ricerca del benessere.​

Menzione questa che viene ripresa nelle costituzioni della maggioranza dei paesi dell’America Latina. La «ricerca della felicità» mitiga un poco

l’individualismo illuminista, in quanto prelude all’indicazione di un compito da svolgere anche in direzione solidaristica.

Sul continente europeo i diritti degli uomini trovano la loro solenne formulazione nelle «Dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo e del cittadino», votate in Francia nel 1789 e nel 1793, ispirate rispettivamente da Montesquieu e da Rousseau, in cui si oppone l’uomo al cittadino,

considerato il primo come estraneo allo Stato e il secondo come fondamentalmente ad esso soggetto.

Nella​​ Déclaration​​ dell’89 si legge: «gli uomini nascono liberi ed eguali nei diritti e lo rimangono. Le differenze sociali possono essere motivate solo dall’utilità generale. Lo scopo di ogni associazione politica è la tutela dei diritti naturali e inalienabili dell’uomo. Questi diritti sono:

libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione».

Negli altri articoli i diritti vengno così precisati: libertà religiosa, libertà di parola, di stampa, di associazione; inviolabilità della proprietà privata, proibizione di leggi penali retroattive, di arresti arbitrari, adeguamento delle pene al delitto commesso.

In questo ultimo dopoguerra registriamo due fatti molto significativi: le costituzioni di non pochi paesi (ad es. Italia e Germania occidentale)

rivelano il passaggio dalla concezione individualistica dei diritti (libertà da)​​ a quella solidaristica (libertà per),​​ esse infatti cominciano a fare largo posto anche ai diritti economico-sociali dei cittadini, senza

discriminazioni, consacrando la trasformazione dello​​ Stato liberale​​ in​

Stato sociale​​ e garantista. Il secondo fatto è la già citata Dichiarazione dei diritti dell’uomo, sottoscritta dai paesi aderenti all’ONU, con 48 voti favorevoli e 8 astensioni, il 10 dicembre 1948, dopo lunghi studi

preparatori.

Penso non sia inutile, anche ai fini di una più attenta riflessione

teologico-pastorale, richiamare alcuni articoli di questa dichiarazione e della nostra Costituzione.

Art. 1.​​ — Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e​​ devono agire gli uni verso gli altri con spirito di fratellanza.​​

Art. 2.​​ —1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica e di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. — 2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del

territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.

Art. 3​​ — Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona.

Seguono altri 27 articoli che enunciano i diritti degli individui.

Ed ora ecco alcuni articoli della nostra Costituzione, che documentano la sua forte ispirazione solidaristica.

Art. 2​​ — La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili

dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3​​ — 2) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4 —​​ 2) Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie

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possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Ulteriori passi in avanti.

A completamento della Dichiarazione del ’48, il 16 dicembre 1966 l’Assemblea Generale dell’ONU siglava un​​ Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali,​​ entrato in vigore il 3 gennaio 1976. Dai diritti degli individui passiamo, con più chiari accenti solidaristici, ai diritti dei popoli, come si evince già dai primi articoli.

Art. 1 —​​ Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto essi decidono liberamente del loro statuto politico e

perseguono liberamente il loro sviluppo economico sociale e culturale.

Art. 2 —​​ Ciascuno degli Stati, parti del presente Patto, si impegna ad operare, sia individualmente sia attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone, al fine di assicurare progressivamente, con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l’adozione di misure

legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel presente Patto.

Il Patto è articolato in sei parti per complessivi 53 articoli. Attualmente sono ancora in via di elaborazione definitiva la dichiarazione dei diritti dell’infanzia, del malato, dell’anziano, del lavoratore, e così via.

L’espressione «diritti dell’uomo» sembra al presente significare una doppia serie di diritti:​​ diritti di libertà:​​ diritti dei singoli e anche dei popoli a non essere ostacolati da terzi;​​ diritti di solidarietà,​​ il diritto per il singolo e per le comunità in stato di bisogno ad essere

aiutati dalla comunità nel suo insieme e il dovere corrispettivo da parte dei popoli e dei singoli di lavorare e sacrificarsi per il bene degli altri.

Si apre però, a questo punto, la questione, assai difficile e discussa, della giustificazione dei diritti che progressivamente sono stati consacrati in dichiarazioni e patti così solenni.

4. Fondazione e giustificazione dottrinale dei diritti dell’uomo e dei popoli

«Sui diritti dell’uomo si può andare d’accordo, a condizione che non si domandi perché» (Maritain). Visto tale disaccordo, N. Bobbio scrive che il problema non è più quello di giustificare i diritti, dal momento che essi sono divenuti «positivi», cioè riconosciuti e sanciti da quasi tutti gli Stati del mondo, quanto quello di promuoverli (cf​​ Il problema della guerra e le vie della pace,​​ p. 129). Eppure, poiché l’accordo non regna né sul piano teorico né su quello della prassi, come dimostrano le ripetute e diffuse violazioni dei diritti umani (attestate ad esempio puntualmente da​

Amnesty International)​​ la giustificazione, facile o difficile che sia, è necessario tentarla. Da tale impegno non può sottrarsi l’educatore e

l’operatore pastorale che deve non soltanto esortare per via parenetica ma anche convincere, spiegando il perché della inviolabilità dei diritti e motivando la loro gerarchia.

4.1. La fondazione individualistica​​

Le Dichiarazioni dei diritti di ispirazione illuminista partivano da una concezione individualistica dell’uomo e da una fondazione della società di tipo giusnaturalista. Lo Stato sovrano non doveva rendere conto a nessuno della sua gestione, se non attraverso autolimitazioni pattizie. La natura e il diritto naturale, di cui allora si parlava, facevano riferimento alla situazione «nativa» e «originaria» dell’uomo pensata ora in chiave

pessimistica (Hobbes), ora ottimistica (Rousseau). Le libertà proclamate, come già abbiamo notato, erano intese come libertà dell’individuo rivendicate contro ogni intrusione da parte dello Stato (libertà quindi «negative», in opposizione all’assolutismo politico, amaramente sperimentato per lunghi periodi storici).

Il processo storico ha indotto mutazioni positive: dall’individualismo si è passati al solidarismo. Del pari, superate le prospettive giusnaturalistiche, rimane aperta un’altra concezione di «natura» che non fa appello alla

situazione originaria, ma a quella finale (o teleologica), o comunque avanzata, sviluppata e matura.

«Intesa in tal modo, la natura non si oppone più alla cultura o alla storia, le quali del resto sono anch’esse opera dell’uomo e quindi sono perfettamente a lui “naturali”. In base a tal concetto la natura non è l’inizio, ma il

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compimento, il​​ telos​​ dell’uomo, cioè la sua perfezione, il suo pieno sviluppo, la piena realizzazione di tutte le sue facoltà e di tutte le sue dimensioni, sia fisiche che psichiche, sia animali che spirituali...» (E.

Berti, in​​ Pace diritti dell’uomo diritti dei popoli,​​ p. 32). È

precisamente questo nuovo concetto di natura, o meglio di persona umana, vista senza arbitrari riduttivismi, biologici, sociologici e filosofici, in tutte le sue dimensioni, verticali e orizzonali, diacroniche e sincroniche, che fonda i diritti umani che non sono soltanto negativi (libertà da) ma anche positivi e dinamici (libertà per). Così si intendono e si giustificano i diritti politici (diritto-dovere di partecipare responsabilmente

all’esercizio del potere, diritti sociali come diritto al pieno sviluppo di sé nell’ambito della comunità di cui si fa parte, diritto alla salute, alla istruzione e all’informazione).

Ulteriori approfondimenti sono richiesti oggi per confrontarsi con 1​

’utilitarismo​​ che emerge anche in forme nobili, come nella trattazione di Rawls sulla giustizia, (cf​​ Una teoria della giustizia,​​ Feltrinelli, Milano 1983), l’intuizionismo e il decisionismo (sostenuto, in maniera peraltro acuta e vicina al tomismo, da E. Chiavacci, cf​​ Osservazioni sul significato dei diritti dell’uomo e sulla loro giustificazione)​​ e

soprattutto con il pensiero debole e nichilista che attraversa e contagia aree giovanili. Tale confronto è necessario per superare obiezioni a carattere metafisico (inesistenza della «natura»), gnoseologico

(inconoscibilità della natura) ed etico (insuperabilità dell’egoismo e indimostrabilità della necessità morale di aprirsi agli altri con amore oblativo).

Il vivere​​ con​​ e​​ per​​ gli altri, in altre parole il principio solidaristico che abbiamo visto emergere nel suo lento processo di

maturazione storica, sta crescendo, dice ancora Chiavacci (art. cit., p. 17) nella coscienza dell’umanità. La sollecitudine verso gli altri per loro stessi e non per convenienza egoistica, per quanto non formulata con tutta chiarezza e ancora offuscata dal principio della sovranità degli Stati, tende a diffondersi e raccoglie consensi. «11 solo modo di giustificare i diritti umani — nella loro complessa concezione attuale — è di accettare come un assiomatico​​ primum ethicum​​ non i diritti soggettivi, ma un rapporto interumano oblativo... La sollecitudine per l’uomo — ogni uomo sulla terra, di oggi e di domani — non deve essere secondaria alla sollecitudine verso sé stessi: anzi deve diventare la realizzazione della propria vita»​​ (ivi,​​ p.

15).

4.1. La fondazione solidaristica​​

La fondazione della concezione solidaristica dei diritti affonda le sue radici nella visione antropologica della persona, il cui vivere è convivere, il cui essere è co-essere, entro l’orizzonte di un personalismo, che è di chiara ispirazione cristiana.

Rifarsi alla teleologia profonda dell’uomo (persona come fine da realizzare e tendenza verso una pienezza di rapporti) significa anche superare un’altra obiezione contemporanea: quella della «fallacia naturalistica», già

denunciata da Hume e ricalcata dall’analitica contemporanea (cf ad es., G.E.

Moore), secondo la quale proposizioni normative (come la regola aurea «non fare agli altri, ecc.») sarebbero indeducibili da proposizioni descrittive.

La concezione personalistica fa riferimento alla persona come fine e non alla

«natura» come insieme di fatti, collegato solo da leggi meccaniche,

descrivibili solo mediante calcoli matematici, dalla quale ovviamente non si può ricavare alcun dovere, alcuna norma, alcun diritto (cf Berti,​​ art.

cit.,​​ p. 34).

5. L’apporto della Chiesa all’individuazione e alla promozione dei diritti umani

Ancorando solidamente la dignità della persona​​ imago Dei​​ a un piano metafisico e teologico, l’insegnamento sociale della chiesa si è assunto il compito di rivendicare — contro ogni negazione teorica e pratica — i

fondamentali diritti della persona, vista come espressione di una​​ lex naturalis​​ che esprime la legge eterna di Dio.

Contro i regimi totalitari del suo tempo nella​​ Divini Redemptoris​​ (1937) Pio XI, tra «le svariate e molteplici prerogative dell’uomo» ricordava «il diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza;

il diritto di tendere al suo fine nella via tracciata da Dio, alla proprietà

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e all’uso della proprietà». In modo speciale Pio XII, esaltato per questa ragione come «defensor personae», rivendicò in numerosi radiomessaggi i diritti fondamentali dell’uomo, radicandoli sul diritto naturale e divino, considerandone la difesa e la pratica attuazione come lo scopo precipuo della convivenza organizzata e la condizione imprescindibile di una pace stabile (cf ad es. il Radiomessaggio del Natale 1942).

Per trovare un’organica formulazione dei diritti umani e una loro più precisa storicizzazione, bisogna giungere alla già ricordata enciclica di Giovanni XXIII​​ Pacem in terris.​​ In questo insigne e profetico documento vengono proclamati come diritti universali, inviolabili e inalienabili, il diritto all’esistenza e a un tenore di vita dignitoso, e tutta una serie di altri diritti, fondamentali e derivati, attinenti ai valori morali e culturali (tra cui emerge il diritto di onorare Dio secondo il dettame della «retta»

coscienza e il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato), diritti attinenti alla vita economica, il diritto di riunione e di associazione, di emigrazione e immigrazione, i diritti a contenuto politico. Questo complesso di diritti viene presentato nell’enciclica in termini non preclusivi, ma aperti e dinamici, come un blocco unitario, solidamente connesso e

interdipendente, legato alla struttura oggettiva e storica della persona, finalisticamente considerata. L’accento viene posto sulla persona e non sull’individuo, i diritti vengono correlati ai doveri morali e si fa appello alla generale corresponsabilità perché l’elenco dei diritti non costituisca una retorica formulazione, ma — grazie alla dinamica della​​ solidarietà operante —​​ possa trovare effettiva garanzia e realizzazione nelle comunità umane, senza discriminazioni.

5.1. L’apporto conciliare

Il tema dei diritti umani attraversa i documenti conciliari e trova una sua singolare e contrastata affermazione nella Dichiarazione sulla libertà religiosa che rivendica per ogni persona umana il diritto a non essere né costretto né impedito nella sfera dei propri convincimenti religiosi.

Diritti e doveri delle persone e delle comunità politiche in campo educativo vengono rivendicati nella Dichiarazione​​ Gravissimum educationis.​​ Per quanto attiene ai doveri dell’uomo in genere, i diritti politici ed economici, i diritti dei popoli, è necessario rifarsi alla GS che resta aderente alle prospettive sia della​​ Mater et Magistra​​ che della​​ Pacem in terris.

La GS rileva (al n. 26) che oggi «cresce la coscienza della esimia dignità della persona, superiore a tutte le cose, e i cui diritti sono universali e inviolabili». Ne consegue che «tutte le cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana» devono essere rese accessibili a ogni persona umana.

Per quanto concerne lo sviluppo economico, il documento conciliare afferma che esso «non può essere abbandonato né al solo svolgersi quasi meccanico dell’attività economica dei singoli, né alla sola decisione della pubblica autorità» (GS 65). In ordine ai diritti politici, la GS rimarca il diritto dovere di partecipare responsabilmente alla vita della comunità politica, il diritto al voto libero e segreto (GS 75) e il diritto-dovere di «apportare alla cosa pubblica le prestazioni materiali personali richieste dal bene comune» (GS 75). Questo non va inteso chiudendosi nell’ambito della sovranità politica, ma aprendosi all’orizzonte internazionale e tenendo ben presente l’impegno etico di superare lo squilibrio Nord-Sud per la «costruzione di una vera comunità internazionale» (GS 83ss).

Al presente, in campo teologico, si stanno facendo riletture più attente della GS, alle quali rinviamo, che consentono di verificare meglio lo spessore dell’apporto conciliare alla tematica dei diritti umani e la sua attualità (cf ad es. N. Galantino, a cura di,​​ Il Concilio vent’anni dopo, vol. 3,​​ Il rapporto chiesamondo,​​ AVE, Roma 1986).

5.2. L’apporto di Giovanni Paolo II

Fin dall’inizio del suo pontificato, Giovanni Paolo II si è schierato

decisamente dalla parte dell’uomo, «via alla chiesa», e ha assunto come suo compito specifico la difesa dei diritti delle persone, peculiarmente di quelle deboli e marginali. La​​ Laborem exercens​​ rappresenta un

significativo documento per la rivendicazione, entro l’orizzonte etico della solidarietà, dei​​ diritti dei lavoratori​​ in un mondo attraversato dalle innovazioni tecnologiche che mettono in pericolo tanti posti di lavoro,

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determinando in unione ad altri fattori (concezione economicistica della produzione e dello sviluppo) inoccupazione giovanile e disoccupazione strutturale.

Nella concezione del Papa, il​​ diritto alla libertà religiosa,​​ concepito entro modalità ecumeniche (che oltrepassano il dettato conciliare, in quanto sembrano includere anche il diritto alla noncredenza), tiene una posizione di primato tra gli altri diritti e la sua presenza garantita o meno viene

assunta come segno dell’esistenza o meno anche degli altri diritti.

«Fondamento e fine dell’ordine è la persona umana, come soggetto di diritti inalienabili che non riceve dall’esterno, ma che scaturiscono dalla sua stessa natura: nulla e nessuno può distruggerli, nessuna costrizione esterna può annientarli, poiché essi hanno radice in ciò che vi è di più

profondamente umano...».

«Il diritto civile e sociale alla libertà religiosa, in quanto attinge la sfera più intima dello spirito, si rivela​​ punto di riferimento​​ e, in certo modo, diviene​​ misura degli altri diritti fondamentali.​​ Si tratta, infatti, di rispettare lo spazio più geloso dell’autonomia della persona, consentendole di agire secondo il dettame della sua coscienza, sia nelle scelte private che nella vita sociale. Lo Stato non può rivendicare una competenza, diretta o indiretta, sulle convinzioni religiose delle persone.

Esso non può arrogarsi il diritto di imporre o di impedire la professione e la pratica pubblica della religione di una persona o di una comunità. In tale materia è dovere delle Autorità civili assicurare che i diritti dei singoli e delle comunità siano ugualmente rispettati e salvaguardare, in pari tempo, il giusto ordine pubblico...».

«... La libertà religiosa, in quanto attinge la sfera più intima dello spirito, sorregge ed è come​​ la ragion d’essere delle altre libertà (Messaggio​​ per la giornata mondiale della pace, 1987, in​​ Oss. Rom.​

16.12.1987). Nell’ultima enciclica (Sollicitudo rei socialis) che intende rivisitare la​​ Populorum progressio​​ vent’anni dopo (1967-1987), alla luce dei mutamenti intercorsi in quest’ultimo scorcio di tempo, Giovanni Paolo II sottolinea fortemente il diritto di tutti i popoli e nazioni al​​ pieno sviluppo.​​ Questo, pur implicando aspetti economico-sociali, a giudizio del Papa «deve comprendere pure la rispettiva​​ identità​​ culturale e l’apertura verso il trascendente. Nemmeno la necessità dello sviluppo può essere assunta come pretesto per imporre agli altri il proprio modo di vivere o la propria fede religiosa» (SRS 32).

Diritto quindi allo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini e popoli.

Sviluppo che è in stretta e​​ intrinseca connessione​​ con il rispetto e la promozione dei «diritti umani,​​ personali e sociali, economici e politici, inclusi i​​ diritti delle Nazioni e dei popoli»​​ (SRS 33). «Un vero

sviluppo, continua l’enciclica, secondo le esigenze proprie dell’essere umano, uomo o donna, bambino, adulto o anziano, implica soprattutto da parte di quanti intervengono attivamente in questo processo e ne sono responsabili una viva​​ coscienza​​ del​​ valore​​ dei diritti di tutti e di ciascuno, nonché della necessità di rispettare il diritto di ognuno all’utilizzazione piena dei benefici offerti dalla scienza e dalla tecnica»​​ (ivi).

«Sul​​ piano interno​​ di ogni Nazione, assume grande importanza il rispetto di tutti i diritti, specialmente il diritto alla vita in ogni stadio

dell’esistenza; i diritti della famiglia in quanto comunità sociale di base o

“cellula della società”; la giustizia nei rapporti di lavoro; i diritti inerenti alla vita della comunità politica in quanto tale; i diritti basati sulla vocazione trascendente dell’essere umano, a cominciare dal diritto alla libertà di professare e di praticare il proprio credo religioso»​​ (ivi).

Mi sono permesso questa lunga citazione perché riassume bene la sfera dei diritti più cara al Pontefice e da lui fortemente richiamata. Del pari egli rimarca la rilevanza del diritto delle nazioni (espressione, mi sembra, preferita a quella di «popoli») al rispetto della loro identità, del diritto alla eguaglianza economico-sociale e all’iniziativa economica.​​ Questo ultimo diritto, a dire del papa, oggi viene spesso soffocato: «eppure si tratta di un diritto importante non solo per il singolo individuo, ma anche per il bene comune» (SRS 15). 11 suo misconoscimento distrugge la​

soggettività creativa del cittadino,​​ provoca sensi di frustrazione e predispone al disimpegno dalla vita nazionale e favorisce forme di

«emigrazione psicologica». La violazione di questo diritto ha ripercussioni negative anche nella sfera dei «diritti delle singole nazioni», in quanto le priva della legittima sovranità in campo economico-politico e socioculturale e tende ad oggettivarle​​ (ivi).

(9)

6. Questioni aperte

L’ultimo cenno fatto al diritto all’iniziativa economica apre un discorso relativo al diritto di proprietà: a partire da Locke e dal codice napoleonico se ne è rivendicata la sacralità e la inviolabilità. Purtroppo anche la

manualistica etica è scesa a gravi compromessi con tali prospettive sulle cui basi è venuta articolandosi la normativa relativa al «non rubare».

Progressivamente l’insegnamento sociale della chiesa ha sottolineato la funzione sociale della proprietà e la secondarietà di tale diritto rispetto al diritto alla vita e all’uso dei beni che consegue alla «destinazione universale di essi» a tutti gli uomini. Già la​​ Populorum progressio​

conteneva importanti approfondimenti di tale questione (cf un mio scritto su​​ La proprietà privata nella «Populorum progressio»)​​ che sollecitano una più attenta elaborazione del​​ De ìustitia et iure​​ in chiave

universalistica e solidaristica (cf E. Chiavacci,​​ Teologia morale e vita economica,​​ pp. 226ss). Altro diritto che oggi merita grande attenzione è il diritto aliavita, soprattutto alla luce delle innovazioni biotecniche che attingono il DNA e le «microcassette della musica della vita» (si veda in proposito il documento emesso il 22 febbraio 1987 dalla Congregazione per la dottrina della fede:​​ Istruzione su il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione).

Del diritto alla pace abbiamo già fatto cenno, come anche del diritto delle persone e dei popoli a uno sviluppo pieno, che superi le angustie del

materialismo economicista che lo riduce a crescita economica del PIL (Prodotto Interno Lordo).

Resta da mettere in evidenza il diritto dell’uomo a poter usufruire di un ambiente ecologicamente equilibrato e non inquinato e sconvolto. A tale diritto ovviamente fa riscontro il dovere di assumere, ciascuno per la propria parte, la responsabilità della creazione in maniera che il mondo risulti abitabile per gli uomini di oggi e di domani e non sia

irreparabilmente compromessa la biosfera.

7. Indicazioni pastorali

Nello sforzo, urgente e grave, di appassionare i giovani alla vita, sembra quanto mai opportuno far leva sulla sensibilità che essi mostrano nei

confronti dei diritti emergenti dalla dignità della persona: in particolare del diritto alla «qualità» della vita, alla «qualità» dell’ambiente, a una pace stabile e sicura, alla comunione partecipativa ai beni e alle risorse.

In tali ambiti l’apporto dei gruppi e movimenti giovanili appare notevole e costituisce un’importante base sia per la riflessione teologico-pastorale che per una prassi pastorale sintonizzata alle esigenze più vive e profonde del mondo giovanile.

Sarà appena necessario notare che il richiamo alla natura o alla persona umana in ordine alla giustificazione razionale dei diritti e alla loro obbligatorietà, ha da essere fatto in chiave teleologica e non

giusnaturalistica, evitando l’individualismo e le conseguenti chiusure alla solidarietà e fraternità universale.

Relativamente poi alla gerarchia dei diritti, sarà urgente sottolineare il primato del diritto alla vita, oggi messo in forse dalle prospettive di guerra, non escluse quelle nucleari, dalla prassi abortiva ed eutanasica.

Quanto poi alla qualità della vita, è necessario verificare con i giovani quali siano i parametri di tale qualità e quando una vita valga veramente la pena di essere vissuta: vita​​ con​​ e vita​​ per.

Infine, non va dimenticata l’istanza avanzata da non pochi giovani nei

confronti del diritto al dissenso e alla disobbedienza creativa: il​​ no​​ a certi obblighi positivi, ritenuti in contrasto con la propria coscienza, ultimo parametro dell’azione, vuol essere un​​ sì​​ a valori più profondi e più alti per i quali acquista senso il nostro vivere e convivere.

Bibliografia

I diritti fondamentali del cristiano nella chiesa e nella società​​ (trad.

it.), Giuffré, Milano 1981; Bobbio N.,​​ Sul fondamento dei diritti

dell’uomo,​​ in​​ II problema della guerra e le vie della pace,​​ Il Mulino, Bologna 1979, pp. 119-130; Cassese A.,​​ I diritti umani nel mondo

contemporaneo,​​ Laterza, Bari 1988; Chiavacci E.,​​ Osservazioni sul

significato dei diritti dell’uomo e sulla loro giustificazione,​​ in «Rivista di Teologia Morale» 1979, n. 41, pp. 7-24; Id.,​​ Teologia morale e vita

(10)

economica,​​ Cittadella, Assisi 1987;​​ Le dichiarazioni dei diritti dell'uomo.​​ ONU 1948-Helsinkj 1975, Simposio, in «Studia Patavina» XXV (1978) pp. 288-293; Mattai G.,​​ Il diritto alla proprietà privata nella

«Populorum progressio»​​ in «Rivista di Teologia Morale», 1969, 2, pp. 13-62;

Id.,​​ Nascere e morire oggi. Riflessioni di un teologo,​​ Augustinus,

Palermo 1987 (sul diritto alla vita e al «morire in pace»); Id. ,​​ Diritti e doveri del cittadino,​​ in​​ Morale Politica,​​ Ed. Dehomiane, Bologna 1971, 192-204; Mengozzi P.,​​ Diritti dell'uomo,​​ in​​ Dizionario di Politica​​ (a cura di N. Bobbio e N. Matteucci), UTET, Torino 1976, 313-320;​​ Rivista internazionale dei diritti dell’uomo,​​ Vita e Pensiero, Milano 1987.

Per i testi citati delle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo cf​​ Pace

diritti dell’uomo diritti dei popoli.​​ Per il testo originale in inglese cf l’ottima raccolta di Brownlie 1.,​​ Documents in International law,​​ Oxford

21972.

DIRITTI UMANI

Indicano le​​ esigenze fondamentali della persona​​ che vanno soddisfatte per assicurare una realizzazione adeguata di ciascuno nella globalità delle sue dimensioni materiali e spirituali.

1.​​ Il fondamento e i contenuti.​​ I d.u. rappresentano un​​ dato ontico​​ che trova nella dignità della persona la fonte ultima: di conseguenza, essi precedono la legge scritta, che può soltanto riconoscerli e non invece crearli. Nella dottrina giuridica attuale, questa posizione giusnaturalista sembra sopravanzare sia l’interpretazione contrattualistica, che fonda i d.u. su un patto intervenuto tra i gruppi sociali e quindi destinato a cambiare in base ai rapporti di forza reciproci, sia la spiegazione positiva dell’autolimitazione dello Stato sovrano che, pertanto, concederebbe i d.u. e non li riconoscerebbe in quanto preesistenti. Il medesimo orientamento è adottato più o meno esplicitamente anche dalle​​ →​​ organizzazioni internazionali, tra cui vanno segnalate a livello mondiale le Nazioni Unite e sul piano regionale il Consiglio d’Europa. In seguito all’esperienza delle dittature e delle barbarie perpetrate soprattutto nell’ultimo conflitto mondiale, il processo di​​ internazionalizzazione​​ dei d.u. ha trovato un sbocco solenne con l’adozione, il 10 dicembre del 1948, della Dichiarazione universale ad opera dell’Assemblea generale dell’ONU. Il passaggio dalla condizione di pura raccomandazione a norma giuridica vincolante si è successivamente compiuto con l’entrata in vigore nel 1976 di due Convenzioni, o Patti internazionali, rispettivamente sui d. civili e politici e sui d. economici, sociali e culturali. Tra i d.​​ finora riconosciuti​​ a livello internazionale, una prima categoria è costituita da quelli civili e politici, i cosiddetti d.u. della «prima generazione». Sono stati infatti i primi ad essere sanciti sul piano interno a partire dalla seconda metà del sec. XVIII e sono denominati d. «negativi», in quanto fanno divieto all’autorità pubblica di ingerirsi nell’ambito di libertà della persona: si tratta dei d. alla vita, all’identità personale, alla riservatezza, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, al voto libero e segreto, alla libertà associativa, alle garanzie processuali. La seconda categoria consiste nei d. economici, sociali e culturali o d.u. della

«seconda generazione»: vengono anche chiamati d. positivi, in quanto l’autorità pubblica è tenuta a porre in essere interventi specifici per la loro realizzazione, e il loro riconoscimento sul piano statuale è iniziato nella seconda metà del sec.

XIX. Di questo gruppo vanno ricordati in particolare i d. all’alimentazione, alla casa, all’educazione, al lavoro, alla salute, all’assistenza. A livello internazionale la prima categoria gode di una tutela più forte rispetto alla seconda. Recentemente si parla anche di d.u. della «terza generazione» o di solidarietà come il d. alla pace, a un ambiente sano, allo sviluppo: su questi il dibattito è ancora aperto, anche se si sta progredendo verso il loro riconoscimento internazionale.

2.​​ L’educazione ai d.u.​​ Sotto la spinta del processo di internazionalizzazione appena descritto ha preso​​ l’avvio​​ anche l’ educazione ai d.u. Infatti, «La comprensione e l’esperienza vissuta dei d. dell’uomo sono, per i giovani, un elemento importante della preparazione alla vita in una società democratica e pluralista» (Council of Europe, 1985, 2). L’elaborazione della disciplina sul piano curricolare ha portato a identificarne gli​​ obiettivi.​​ Tra l’altro, vengono indicati i seguenti: conoscenza degli sviluppi storici relativi ai d.u.; conoscenza delle dichiarazioni, convenzioni e patti contemporanei; conoscenza di alcune delle maggiori violazioni dei d.u.; comprensione della distinzione tra d. politici / legali e sociali / economici, dei concetti di base e delle relazioni tra individui, gruppi e d. nazionali; valutazione critica dei propri pregiudizi e sviluppo degli atteggiamenti di tolleranza; apprezzamento dei d. degli altri; simpatia per coloro a

(11)

cui sono negati i d.; abilità intellettuali; abilità operative. Passando poi ai​

contenuti,​​ va anzitutto richiamato un criterio organizzatore fondamentale:

l’educazione ai d.u. andrà strutturata in modo da tener conto dell’età dell’allievo, delle sue condizioni e delle situazioni particolari delle scuole e del sistema educativo. Gli argomenti possono essere articolati in quattro gruppi: le principali categorie di d., doveri, obbligazioni e responsabilità dell’uomo; le diverse forme di ingiustizia, diseguaglianza e discriminazione; le personalità, i movimenti e i grandi eventi che nella storia hanno contrassegnato la lotta costante a favore dei d. dell’uomo; le principali dichiarazioni e convenzioni internazionali. La​

didattica​​ di questa disciplina mantiene la lezione tradizionale, purché si ispiri alle migliori pratiche: essa deve riuscire a trasmettere le informazioni essenziali, a spiegare i concetti in modo comprensibile e a stimolare gli studenti a porre domande. Al tempo stesso bisognerà utilizzare altri metodi quali: la discussione di gruppo, i progetti di ricerca, la drammatizzazione e il «role-play», i giochi e le simulazioni e la partecipazione ad attività pratiche. Il coronamento di queste metodologie è costituito dalla realizzazione della «scuola dei d.u.», cioè di una scuola il cui clima sia propizio per l’apprendimento dei d.u. Nonostante gli sviluppi accennati, rimane il problema di trovare​​ una collocazione​​ per l’educazione ai d.u. all’interno del​​ →​​ curricolo. Infatti, i programmi d’insegnamento sono già sovraccarichi di contenuti e molte aree di nuove conoscenze, finora escluse dalla scuola, sono in lista di attesa. In generale si cerca di risolvere il problema con un compromesso: non una nuova materia separata, ma una dimensione dell’​​ →​​ educazione socio-politica, in particolare dell’educazione alla cittadinanza democratica. Altre difficoltà riguardano la delimitazione di un minimo di saperi ammessi da tutti, che è continuamente rimessa in discussione.

Quanto ai metodi, si constata un’oscillazione continua tra la lezione di morale, la descrizione di organigrammi astratti dei processi politici e sociali e il ricorso alla ricerca. Riguardo poi alla valutazione, è certamente possibile introdurre esami e votazioni, ma la loro importanza è molto relativa per una disciplina che intende fornire conoscenze rilevanti per la vita. Da ultimo, lo scopo ricercato è quello di un influsso sull’agire delle persone, cioè sul modo di vivere con gli altri e con la società, ma una tale proposizione costituisce un problema per una parte notevole degli insegnanti che è legata a una concezione sbagliata della laicità della scuola, intesa come neutralità.

Bibliografia

Council of Europe,​​ Recommendation No. R (85) 7 of the Committee of Ministers to member States on teaching and learning about human rights in schools,​​ 14 May 1985; Papisca A.,

«D.u.», in E. Berti - G. Campanini (Edd.),​​ Dizionario delle idee politiche,​​ Roma, AVE, 1993, 189-199; Marino M.,​​ Per una pedagogia dei d.u., Roma, Anicia, 2003; Brander P. - R.

Gomes - E. Keen,​​ Compass.​​ Manuale per l’educazione ai d.u. con i giovani, Roma, Sapere 2000, 2004; Di Pol Redi S.,​​ Educazione e d.u., Torino, Marco Valerio, 2004; Gramigna A. - M.

Righetti,​​ D.u. Interventi formativi nel sociale, Pisa, ETS, 2005; Cassese A.,​​ I d.u. oggi, Bari, Laterza, 2006.

G. Malizia

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