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2 LA DIAGNOSTICA DEL FASCIO 222

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2 LA DIAGNOSTICA DEL FASCIO

2.1 Introduzione

Nel presente capitolo si introduce il tema della diagnostica. L’interesse ini-ziale è rivolto ad una classificazione dei vari settori della diagnostica e all’individuazione dei principali obiettivi e metodi. In un secondo momento si descrivono i dispositivi più utilizzati nella diagnostica del plasma.

2.2 Oggetti della diagnostica

Ogni motore elettrico, può essere classificato e caratterizzato da un certo numero di quantità, le principali si possono suddividere in tre sottoinsiemi:

I. Prestazioni del motore

o Spinta; spinta nominale, range di spinta, rumore asso-ciato alla spinta, allineamento e stabilità del vettore di spinta.

o Impulso specifico e velocità di scarico; impulso speci-fico nominale (Isp) e range dell’impulso specifico,

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II. Proprietà del fascio

o Potenza del fascio, corrente di fascio e densità, profilo

del fascio; divergenza del fascio e omogeneità.

o Composizione del fascio; particelle, velocità e distribu-zione di energia, spettro di carica e di massa degli ioni, grado di neutralizzazione e impurità.

III. Caratteristiche del sistema propulsivo

o Potenza e consumo del propellente; efficienze relative. o Modo di funzionamento (stazionario, quasi-stazionario,

pulsato); tempo di accensione e spegnimento,

accura-tezza nella ripetizione della performance.

o Affidabilità e vita operativa; massimo numero di cicli, tasso di usura, rischio di rottura da erosione.

o Compatibilità con il velivolo spaziale; rischio di con-taminazione da parte del fascio, assenza di disturbi e-lettrici, magnetici e campi elettromagnetici.

o Massa e dimensione del motore (assemblaggio).

Tutte queste quantità, che sono importanti per un efficiente e affidabile fun-zionamento dei motori elettrici nello spazio, devono prima essere misurate al suolo in un opportuno impianto per la sperimentazione. Le prestazioni ri-chieste devono essere verificate, i rischi di rottura e le sorgenti di danno de-vono essere eliminate.

L’enorme campo d’interesse della diagnostica, può essere diviso in sei sezioni principali, si veda lo schema di Fig. 2-1.

1. Misura della spinta. La grandezza più importante, per un si-stema di propulsione elettrica, è la forza di reazione (generata sul motore dall’espulsione del getto) che viene misurata preci-samente tramite un’opportuna bilancia di spinta su cui il moto-re è posizionato. In linea di principio, la spinta può essemoto-re mi-surata anche tramite un collettore a pendolo posto all’interno del fascio. I vantaggi essendo la completa indipendenza dal ti-po di motore testato e la ti-possibilità di scansione del fascio,

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29 d’altra parte si presentano problemi di erosione del materiale, riflessione degli ioni, problemi di raffreddamento e perdite di particelle nel gas di background tra il motore e il sistema di misura della spinta.

2. Misura dei parametri funzionali. Tutte le grandezze macrosco-piche relative alle prestazioni del motore possono essere diret-tamente misurate, come ad esempio i dati relativi alla potenza elettrica, il flusso di massa del propellente, voltaggi e correnti. 3. Caratteristiche della scarica. Gli obiettivi di questa

diagnosti-ca, riguardano la scarica che si genera nel plasma (densità del-le particeldel-le e temperature), i campi edel-lettrici e magnetici che si generano all’interno e all’esterno del motore, dati relativi a pressione e temperatura (inclusi gradienti e variazioni tempo-rali) ecc.

4. Diagnostica intrusiva del fascio. Tutti i dati relativi agli ioni e al fascio di plasma possono essere misurati a mezzo di sonde elettrostatiche o magnetiche posizionate internamente al fa-scio. Le sonde possono anche esser posizionate su supporti mobili in modo da effettuare una scansione. In questa maniera può essere determinato il profilo del fascio e le perdite di spin-ta a causa della disomogeneità. Inoltre è possibile misurare l’energia o lo spettro del fascio.

5. Diagnostica del fascio non intrusiva. Fin dai primi giorni sulla ricerca dei motori elettrici, il fascio è stato studiato con sistemi di monitoraggio visivo (che includono videocamere ad alta ve-locità per le operazioni non stazionarie), spettrometri ottici ecc. Recentemente sono stati messi a punto sistemi di diagnostica attiva come l’interferometria e l’utilizzo di laser (LIF: laser in-duced fluorescence).

6. Misura dell’erosione e monitoraggio delle condizioni di

fun-zionamento del motore. Gli effetti di erosione che riducono la

vita del motore e altri fenomeni critici devono essere osservati attentamente, anche tramite esami microscopici. Tutti gli even-tuali fattori di danneggiamento devono essere identificati e le rotture incipienti individuate.

I dati derivanti dalle misurazioni delle prestazioni del motore e dei vari pa-rametri individuati sperimentalmente tramite la diagnostica, possono essere utilizzati per modellizzare alcuni processi del motore, come ad esempio ciò che succede all’interno di un fascio di ioni durante la sua neutralizzazione. Viceversa i risultati ottenuti dalla simulazione tramite computer dovrebbero

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impiegarsi per la verifica dei fenomeni osservati e dei parametri misurati (ad esempio per la spinta calcolata in un motore a ioni o per la computazione della velocità di scarico di un motore al plasma).

Fig. 2-1. I settori della diagnostica. Il riquadro in rosso rappresenta attività che non appartengono propriamente alla diagnostica, ma che sono a questa direttamente connesse.

Si è visto che, informazioni provenienti da calcoli e simulazioni da un lato, e dati sperimentali dall’altro, possono costituire, gli uni nei confronti degli al-tri, una forma di supporto e un criterio di verifica. A questo scopo in realtà partecipano anche le diverse tipologie di diagnostica; ad esempio i dati rela-tivi al fascio come la velocità degli ioni, la densità di particelle e le impurità possono essere individuati sia attraverso misurazioni di sonde intrusive, sia con metodi non intrusivi (LIF).

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2.3 Obiettivi e metodi nella diagnostica del plasma

La diagnostica del plasma costituisce un punto fondamentale nella caratte-rizzazione e nello sviluppo dei motori elettrici.

Il plasma è spesso considerato il quarto stato della materia, e corri-sponde ad un gas ionizzato con alcune interessanti peculiarità (prima tra tut-te la quasi-neutralità da un punto di vista macroscopico). Fin da quando è stato individuato in natura, e sono stati effettuati i primi tentativi di impiego tecnologico, i fisici hanno cercato di studiarlo per scoprire i fenomeni ine-renti che lo caratterizzano e per ottimizzarne i relativi metodi applicativi.

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Pertanto lo studio sperimentale dei propulsori elettrici può beneficiare della diagnostica sviluppata e applicata ai plasmi.

Facendo riferimento alla Fig. 2-2 è ovvio che differenti tipi di plasma hanno bisogno di differenti sistemi per la diagnostica. Ad esempio l’investigazione del freddo plasma ionosferico può essere effettuata principalmente ad opera di misure di trasmissione o riflessione di onde radio ecc.

I velivoli spaziali planetari e interplanetari, di solito, sono equipaggiati con differenti strumenti per la diagnostica, come ad esempio contatori per le radiazioni, sonde per il plasma, collettori per ioni, spettrometri di massa ecc.

Un’altra situazione estrema, è rappresentata dal plasma di fusione ad elevata temperatura e densità che costituisce un problema per la diagnostica intrusiva (introdotta al paragrafo precedente punto 5). Sonde di Langmuir, di Mach, calorimetriche e magnetiche corrono il rischio di una rapida de-gradazione. Per questo motivo, sono spesso preferiti metodi che non com-portino il contatto, come la misura dell’indice di rifrazione del plasma, la determinazione dello scattering di onde elettromagnetiche ecc.

Nell’enorme campo della diagnostica del plasma, l’investigazione dei fasci dei propulsori elettrici costituisce una via di mezzo tra i casi estremi menzionati. Il gas dei motori risulta debolmente ionizzato (la probabilità di collisione ione-neutro è elevata), la densità numerica relativamente bassa (10 10 ), il cammino libero medio varia dalla decina di centime-tri al metro come ordine di grandezza. Inoltre il plasma non è all’equilibrio termico ( ) e vi sono gradienti nella temperatura elettronica. Gli elet-troni, al contrario degli ioni, sono magnetizzati e possiedono un moto caoti-co dovuto all’agitazione termica. Gli ioni hanno una caoti-componente di velocità dovuta all’agitazione termica decisamente inferiore a quella imposta dall’accelerazione. La velocità di uscita degli ioni è dell’ordine dei 20000 m/s, il flusso risulta ipersonico e l’utilizzo di una diagnostica intrusiva è a-gevolato dal fatto che le perturbazioni introdotte non risalgono indietro ver-so il motore. Tuttavia l’interazione fascio-ver-sonda non è del tutto trascurabile, come si vedrà nel capitolo successivo.

Nonostante il fatto che alcuni strumenti per la diagnostica siano irrile-vanti per i propulsori elettrici, e alcuni metodi siano problematici, il grande campo della diagnostica del plasma è disponibile per l’investigazione del fa-scio dei motori in questione. Naturalmente, anche se disponibili in linea di principio, non tutti i metodi risultano utilizzabili o ragionevoli in termini e-conomici.

In Fig. 2-3 gli obiettivi principali della diagnostica sono raggruppati in tre grandi famiglie sul lato sinistro della figura, ognuna delle quali riguarda un aspetto specifico della caratterizzazione del fascio; a fianco invece

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ven-33 gono riportati i principali strumenti utilizzati per ottenere gli obiettivi pro-posti.

Nel primo grande raggruppamento sono comprese le quantità pertinenti alla spinta: flusso di massa degli ioni, velocità degli ioni o energia. In pratica, la corrente di fascio, così come la potenza del fascio, possono essere misurate insieme con i relativi profili di densità, i quali forniscono anche informazio-ni riguardo alla divergenza (perdite nella spinta e contaminazione del veli-volo) e al baricentro della spinta (inclusa la stabilità del vettore di spinta, eventuale disallineamento e deriva).

La seconda famiglia riguarda le quantità che, dal punto di vista micro-scopico designano la composizione del plasma e del fascio. Quest’ultime sono l’energia o velocità di dispersione, la carica e lo spettro di massa degli ioni, le miscele di elettroni, neutri, e di impurità nel fascio etc . Tali quantità caratterizzano lo stato microscopico del fascio del motore elettrico.

Infine la terza famiglia di compiti della diagnostica, si riferisce alla determinazione dei campi elettrici e magnetici, responsabili principali del movimento delle particelle e della propagazione del fascio.

La distribuzione di densità del fascio, la determinazione della direzio-ne del vettore di spinta, la composiziodirezio-ne del fascio e la distribuziodirezio-ne di e-nergia del fascio costituiscono degli obiettivi assolutamente indispensabili per la diagnostica della maggior parte dei propulsori elettrici (motori a ioni, a effetto Hall, MPD, FEEP, ET).

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2.4 Principali dispositivi utilizzati nella diagnostica del

pla-sma

In questo paragrafo, si prendono in rassegna i principali dispositivi utilizzati nella diagnostica del plasma, cercando di fornire principi di funzionamento e basi teoriche, caratteristiche generali di funzionamento, vantaggi, svantag-gi e limitazioni dovute a errori e fenomeni d’interazione (questi ultimi ap-profonditi nel Cap.4). Le sonde di Faraday saranno ulteriormente approfon-dite nel capitolo seguente.

2.4.1 Diagnostica per la stima della potenza del fascio e dell’energia.

Il metodo più utilizzato nella determinazione della potenza del fascio, è la

calorimetria. Le sonde calorimetriche convertono l’energia del fascio in

e-nergia termica, la quale può essere misurata in differenti maniere. L’efficienza relativa alla conversione dell’energia generalmente varia tra 0.9 e 1.0.

Detta la densità di potenza del fascio, la potenza totale è fornita da: , con area di raccolta della sonda. Ovviamente è possibile ot-tenere la potenza totale del fascio se la sonda è sufficientemente grande da raccogliere tutte le particelle del fascio; altrimenti solo una parte è scansio-nata. Mentre per la determinazione del profilo della potenza del fascio, si ri-corre a piccole sonde calorimetriche con opportuni dispositivi per la scan-sione, dei quali si farà menzione più avanti.

I vantaggi di questo tipo di sonde risiedono principalmente nel fatto che, i processi di scambio di carica che si hanno con il gas residuo nella ca-mera, non producono errori nella misurazione (come invece succede nelle sonde di Faraday analizzate più avanti). I neutri veloci che si formano, infat-ti, trasportano l’energia degli ioni primari alla sonda. Inoltre, gli errori nella misurazione della potenza, dovuti all’emissione di elettroni secondari (fe-nomeno che verrà analizzato insieme all’erosione o “sputtering” nel para-grafo 4.2 del capitolo successivo), sono poco rilevanti <1% a causa della bassa energia degli elettroni stessi. Infine il metodo della calorimetria risulta insensibile all’erosione.

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36

Tra gli svantaggi si riscontra un’elevata inerzia termica la quale produce una risoluzione temporale limitata. Oltre a ciò, esistono tre differenti meccani-smi di trasporto di calore che interagiscono tra loro.

o Conduzione. L’espressione più generale del calore trasmesso per conduzione, comprendendo fenomeni non stazionari risul-ta:

Λ · 2.1

con massa della sonda, calore specifico del materiale, Λ conducibilità termica e elemento di volume della sonda. o Convezione. Generalmente questo fenomeno di trasporto di

ca-lore è utilizzato per il raffreddamento della sonda e il liquido di raffreddamento è costituito da acqua. Si ha:

2.2

dove si sono indicati con il flusso di massa di acqua o liquido di raffreddamento, la sua densità, la veloci-tà, è l’area della sezione dell’elemento di raffreddamen-to. Ora ponendo ∆ la differenza di temperatura tra esterno e interno, e il calore specifico del liquido di raffreddamen-to si ha:

∆ 2.3

o Irraggiamento. Vale la relazione di Stefan-Boltzmann:

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37 Con costante di radiazione, costante di emissione e di as-sorbimento, è l’area totale della superficie della sonda, Tp

temperatura della sonda e Tenv dell’ambiente.

Di questi meccanismi di trasporto di calore, generalmente solo uno è utiliz-zato per la misurazione calorimetrica, allora, gli altri due devono essere mi-nimizzati o tenuti in considerazione per l’influenza che hanno sulla misura stessa. In aggiunta a ciò, al fine di ridurre al massimo la conduzione dovuta al gas molecolare presente in camera, la pressione di background deve esse-re mantenuta ad un livello il più basso possibile. Infine, la pesse-resenza di altesse-re sorgenti di calore come la luce visibile e infrarossa proveniente dal motore, oppure l’esistenza di pozzi di calore come i pannelli criogenici possono mo-dificare la misura calorimetrica. Anche l’energia di ricombinazione degli ioni sulla superficie della sonda deve essere considerata come fonte di pro-babili errori.

2.4.1.1 Sonde calorimetriche a temperatura costante

Questo tipo di sonde funzionano a temperatura costante e possono essere impiegate per la determinazione della potenza del fascio. In questa sezione verranno analizzati alcuni esempi nel dettaglio.

I. Collettore calorimetrico. Si tratta di un dispositivo molto

sem-plice in uso fino dagli anni 60, che ricava la potenza fornita dal fascio a partire dalla misura dell’aumento della temperatura dell’acqua di raffreddamento (si veda la Fig. 2-4a). Il flusso di energia delle particelle derivanti dalle particelle di fascio rac-colte sulla superficie della sonda, è convertito in energia termi-ca ( il rendimento come si è visto in precedenza va dal 90% al 100% ). Il calore è trasportato da un liquido di raffreddamento (ad esempio l’acqua) e la differenza di temperatura tra refrige-rante in uscita e in entrata è proporzionale alla densità di po-tenza del fascio . La popo-tenza fornita alla sonda può calcolar-si a mezzo della (2.3). A causa dello spazio richiesto dalla spi-rale di raffreddamento la superficie della sonda spesso non può essere ridotta sotto certi valori in modo da ottenere una suffi-ciente risoluzione spaziale, d’altra parte le dimensioni possono essere aumentate allo scopo di raccogliere l’intero fascio e mi-surare tutta la potenza . Si possono avere così grandi

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assor-38

bitori di fascio o piccole sonde: in entrambi i casi c’è anche la possibilità effettuare misurazioni della corrente ionica; a tale scopo le sonde vengono dotate di strutture ad honeycomb più o meno profonde per impedire che una frazione anche molto piccola di potenza sia dispersa dalle particelle secondarie. Tut-tavia quest’ultime devono risultare piuttosto sottili e di un ma-teriale altamente conduttivo cosicché si possano minimizzare le perdite di potenza per irraggiamento. I vantaggi che si hanno nell’utilizzo di questi dispositivi sono da ricercare nella sem-plicità della progettazione e nella capacità di effettuare misura-zioni di corrente e di potenza, oltre che nella possibilità di uti-lizzare un assorbitore di fascio per ottenere la misura della po-tenza totale. Tra gli svantaggi principali la bassa risoluzione spaziale e temporale. Fluttuazioni delle proprietà del fascio a frequenze maggiori di 1 Hz sono difficilmente individuabili. L’accuratezza della misura con fluido refrigerante è migliore dello 0.4%, mentre l’errore sulla misura della potenza totale è circa del 2% (senza le strutture ad honeycombs). La sensibilità risulta piuttosto scarsa.

Fig. 2-4. Schema di funzionamento di un collettore calorimetrico. [6]

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39

II. Calorimetro a tazza a scambio conduttivo. Questo sistema può

essere costruito in dimensioni più piccole a beneficio di una maggiore risoluzione spaziale. Anche in questo caso è possibi-le la misurazione sia della potenza che della corrente di fascio. Il principio di funzionamento si basa su una piastrina metalli-ca, che viene riscaldata dal fascio. Dopodiché un cilindro cavo con spessore di 0.2 mm trasporta il calore ad un supporto raf-freddato ad acqua. Il gradiente di temperatura ∆ tra la piastra e il supporto è misurato da una termocoppia e permette, trami-te la (2.1), dove si pone in questo caso 0, di calcolare la potenza trasmessa. Inoltre la presenza di uno scudo termico at-torno al cilindro riduce le perdite di calore per irraggiamento. I vantaggi di tale dispositivo sono la semplicità e le ridotte di-mensioni che ne permettono l’applicazione in gran numero su sistemi per la scansione del fascio come la rastrelliera. Gli svantaggi sono la cattiva risoluzione temporale, l’accuratezza varia nell’intorno del 2-5% (a causa delle perdite per irraggia-mento) e la sensibilità è bassa.

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2.4.1.2 Sonde calorimetriche a temperatura non costante

Recentemente, l’utilizzo delle sonde calorimetriche, si è attestato sulla tipo-logia a temperatura non costante. Il principio di funzionamento è basato sul riscaldamento di una piastrina metallica esposta con la sua superficie per-pendicolarmente al flusso di plasma. Il flusso di calore può facilmente esse-re determinato dal cambiamento nella temperatura del bersaglio:

2.5

Con evidente significato dei simboli.

La temperatura della sonda, è misurata a mezzo di una termocoppia, connessa alla parte posteriore della piastrina bersaglio, che deve possedere uno spessore il più piccolo possibile (1-3 mm), a seconda del diametro del bersaglio e della rigidezza necessaria. Per la scansione del fascio, è possibi-le, al fine di ottenere una risoluzione spaziale ottimapossibi-le, utilizzare piccole sonde. Altrimenti vi è la possibilità di misurare la potenza totale di fascio ricorrendo ad un bersaglio con dimensione pari almeno a quella della sezio-ne trasversale del fascio da investigare.

La scelta dei materiali, per questa tipologia di sonda, deve effettuarsi tra alluminio, titanio, acciaio inossidabile, molibdeno, grafite, ecc, e deve essere fatta sulla base delle costanti termiche e meccaniche, così come la sensibilità alla erosione.

Infine la sonda può funzionare con e senza polarizzazione, in partico-lare è polarizzata negativamente nel caso in cui si debba misurare la densità di potenza degli ioni.

I vantaggi derivanti dall’utilizzo di questa tipologia risiedono ancora una volta nella semplicità costruttiva e nella possibilità di compiere misure della corrente e termiche e di scansionare il fascio. Gli svantaggi, soprattutto per le sonde in alluminio, sono rappresentati dall’alto tasso di erosione a cui sono soggette. La risoluzione spaziale generalmente è > 0.5 cm e quella temporale ≥ 1 s nella direzione radiale e 1 s in quella assiale. L’accuratezza risulta circa del 3% La sensibilità varia da 0.1 W/cm2 per mo-tori stazionari a 2 W/cm2 per motori pulsati.

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2.4.2 Diagnostica per la determinazione della corrente di fascio, densi-tà di fascio, profilo del fascio e direzione del vettore di spinta.

2.4.2.1 Sonde di Faraday

Questa tipologia di sonde appartiene alla classe degli analizzatori di parti-celle: il cui elemento distintivo è un elemento di filtro (campo elettrico e/o magnetico), che possa selezionare le particelle in base alle loro proprietà di energia, massa, carica elettrica e di un collettore in grado di misurare il nu-mero di particelle che possiedono tali proprietà specifiche.

Le sonde di Faraday costituiscono da oltre 40 anni il metodo standard, relativamente alla diagnostica intrusiva, per investigare il plasma e, nella ca-tegoria degli analizzatori elettrostatici di particelle, sono annoverati tra quel-li più sempquel-lici.

Poiché il flusso totale di carica nel plasma è la somma di due compo-nenti, e così la densità di corrente, si ha infatti:

2.6

una delle componenti ionica o elettronica deve essere filtrata o soppressa al fine di ottenere un segnale di corrente dalla sonda di Faraday. Generalmen-te, al fine di ottenere informazioni dalle quali si possa determinare il vettore di spinta, si ricorre alla eliminazione della corrente elettronica. Si ha infatti che il contributo al momento per gli elettroni risulta nettamente inferiore. 2.7 Si veda che per l’Idrogeno e lo Xeno i rapporti tra i momenti risultano ri-spettivamente 1: 1.84 · 10 e 1: 2.41 · 10 .

Al contrario dei metodi calorimetrici, le sonde di Faraday non sono in grado di misurare le particelle neutre contenute nel fascio di un propulsore elettrico. Questo tuttavia, rappresenta un problema serio solo per lo studio dei sistemi di propulsione elettrotermica e per quelli in cui il numero di neu-tri veloci prodotti dallo scambio di carica è significativo.

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Tali sonde misurano la corrente ionica come il prodotto della densità di corrente e della superficie della sonda :

2.8 Il dispositivo in questione, è costituito, nella sua forma più elementare, da un cilindro collettore interno collegato ad un amperometro che misura l’intensità della corrente drenata e da un cilindro esterno di protezione uti-lizzato come schermo elettrostatico, esistono poi opportuni elementi di filtro capaci di separare gli ioni dagli elettroni. Tuttavia, come sarà chiarito nel prossimo capitolo, esiste un gran numero di varianti, che sono state proget-tate al fine di migliorarne le prestazioni: ad esempio l’aggiunta di campi e-lettromagnetici, ulteriori elettrodi ecc, oppure l’utilizzo di geometrie diffe-renti con posizione degli elettrodi diverse. In particolare molti degli sforzi sono stati rivolti alla riduzione di problemi specifici, come l’emissione se-condaria di elettroni, che è una delle cause principali che limitano la preci-sione della sonda, alterando in modo non facilmente quantificabile il valore della corrente drenata.

a) b)

Fig. 2-6. (a) Schema di una sonda di Faraday con anello di protezione; (b) fo-tografia di una sonda di Faraday con anello di protezione, Università del Mi-chgan. [6]

Le caratteristiche che rendono queste sonde particolarmente utili per lo stu-dio dei plasmi generati dai motori in campo aerospaziale sono le seguenti:

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43 o capacità di misurare direttamente la densità di ioni positivi o capacità di misura in plasma non perfettamente neutro

o elevata risoluzione della misura che consente di ottenere dati sulla distribuzione angolare della densità del fascio

o semplicità e compattezza costruttiva rispetto ad altri tipi di a-nalizzatori di particelle

o maggiore resistenza all’erosione rispetto alle sonde di Lan-gmuir (descritte più avanti)

o capacità di riduzione del fenomeno di emissione secondaria o capacità di soppressione degli ioni lenti.

Si noti che le prime due caratteristiche sono molto importanti perché con-sentono di indagare il fascio nelle zone in cui l’ipotesi di neutralità del pla-sma viene meno (regioni a bassa densità oppure, nel caso di motore a ioni, zone prossime all’uscita del motore). Quest’ultima è alla base della teoria delle sonde di Langmuir. Oltre a ciò, nelle zone in cui si perviene alla neu-tralità del plasma, le sonde di Faraday, misurando direttamente la densità di ioni positivi, forniscono dati confrontabili con quelli delle sonde di Lan-gmuir, in cui la densità del plasma è misurata tenendo conto della presenza degli elettroni.

Queste caratteristiche peculiari ripagano ampiamente della maggior complessità costruttiva e dei maggiori ingombri rispetto alle sonde di Lan-gmuir che saranno descritte nel prossimo paragrafo.

2.4.3 Diagnostica delle proprietà del plasma

Un compito fondamentale della diagnostica dei motori elettrici è la determi-nazione delle componenti del plasma, del potenziale e dei campi elettrici del plasma, includendo le loro distribuzioni spaziali e le eventuali fluttuazioni temporali. Tutti i sistemi di propulsione elettrica richiedono misurazioni re-lative per caratterizzare la scarica, la regione di accelerazione, la zona vicina e lontana del fascio. Le proprietà del plasma non sono d’interesse solo nei programmi di ricerca, sviluppo e qualifica che vengono effettuate negli im-pianti a terra, ma anche per le missioni spaziali, dove la propagazione del fascio del motore elettrico e l’interazione con il velivolo dovrebbero essere identificati.

Le sonde di Langmuir sono tra i dispositivi che più spesso vengono u-tilizzati nella diagnostica dei plasmi. I motivi sono sicuramente da ricercarsi

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44

nelle loro ridotte dimensioni, e nella semplicità costruttiva, tutto ciò a fronte di una maggiore complessità nella teoria che permette di ricavare le proprie-tà del plasma a partire dalle misurazioni sperimentali effettuate. Inoltre le ipotesi fondanti di questa teoria non sono quasi mai del tutto verificate nella pratica.

2.4.3.1 Sonde di Langmuir a singolo filamento

Per comprendere il principio di funzionamento di questa tipologia di sonde si studia dapprima il caso a singolo filamento. Successivamente la discus-sione verrà estesa alle sonde con più filamenti, che possono essere conside-rate come un sistema di più sonde a singolo filamento, opportunamente col-legate tra loro e con un sistema di alimentazione esterno.

Una sonda a singolo filamento, si veda Fig. 2-7, consiste di un elettro-do cilindrico con rapporto lunghezza raggio molto elevato ( in questo moelettro-do risulta più agevole la stima dell’area di raccolta ). Tale elettrodo viene di-sposto, generalmente, in direzione ortogonale alla direzione del flusso ioni-co, è inoltre collegato ad un amperometro che misura la corrente drenata ed a una batteria che sia in grado di variare il potenziale dell’elettrodo stesso rispetto alla camera di prova e quindi al plasma.

Fig. 2-7. Schema di una sonda di Langmuir a singolo filamento. [4]

A el et tr od o ∆V

Direzione locale del fascio ionico

I

L

(19)

45 Riportando la curva caratteristica della sonda, ovvero la curva I-V, si posso-no individuare alcuni punti fondamentali per l’estrazione dei dati:

o Vf , è detto potenziale flottante, poiché la sonda si comporta

come se fosse elettricamente isolata, rappresenta il valore del potenziale a cui corrisponde una corrente drenata nulla: in questo caso corrente ionica ed elettronica sono esattamente uguali e si compensano

o Vp, rappresenta il potenziale del plasma indisturbato: la sonda

in questo caso non produce nessuna perturbazione nel plasma e la corrente che si misura è quella dovuta al moto di agitazio-ne termica e/o di fascio delle particelle

o A, rappresenta la zona di saturazione elettronica. Aumentando il potenziale al di sopra di Vp si ottiene un valore pressoché

costante della corrente drenata poiché l’effetto di schermo per la formazione della guaina, tende ad impedire il richiamo di altre cariche negative dal plasma. Per questo motivo la corren-te è sempre quella dovuta al moto corren-termico e/o di fascio posse-duto dalle particelle, salvo un piccolo aumento dovuto all’ispessimento della guaina all’aumentare di V

o B, zona di transizione: variando il potenziale da Vp a Vf

au-menta il numero di elettroni che vengono respinti, per cui si ha una netta variazione della corrente raccolta

o C, zona di saturazione ionica: diminuendo V al di sotto di Vf si

respingono praticamente tutti gli elettroni, mentre la corrente ionica rimane quasi costante a causa della minore mobilità de-gli ioni positivi. In definitiva si ha un valore asintotico della corrente che tende a coincidere con quella ionica.

(20)

46

Fig. 2-8. Esempio di una curva cartteristica in cui si riportano i punti fonda-mentali da cui è possibile ricavare le grandezze del plasma.

In Fig. 2-8, si vede anche che il potenziale Vf risulta minore di Vp, questo

accade perché il flusso di particelle, a causa della maggiore mobilità degli elettroni (velocità termica molto più elevata), è prevalentemente elettronico. Ne consegue che l’elettrodo flottante deve caricarsi negativamente diminendo il suo potenziale per respingere un maggior numero di elettroni ed u-guagliare i due flussi alla condizione di equilibrio.

Si noti anche l’asimmetria nelle correnti di saturazione, dovuta anch’essa alla diversa mobilità delle particelle.

Sempre dalla Fig. 2-8 si veda che la regione di maggiore interesse pra-tico è la zona di transizione B; a seguito di alcune ipotesi è possibile ottene-re un’espottene-ressione analitica della corottene-rente dottene-renata:

o plasma non collisionale o guaina sottile

o ioni monovalenti freddi (velocità pari a quella di fascio) o elettroni in moto termico

per quanto riguarda la corrente ionica:

2.9 V I Vf Vp Isat A B C + Isat

(21)

-47 mentre per la corrente elettronica:

Γ

4 4 2.10

dove si è posto:

· area trasversale della sonda

area di raccolta degli elettroni 0.5 ≤ β ≤ 1 velocità media di fascio

velocità termica media degli elettroni

densità numerica del plasma indisturbato (neutro).

Nel calcolo delle aree di raccolta delle particelle, si è tenuto conto del-la formazione di una scia priva di particelle neldel-la zona posteriore deldel-la son-da (vedere Fig. 2-9). Gli ioni infatti, vengono schermati son-dalla sezione tra-sversale del cilindro, mentre per gli elettroni l’accesso è negato dalla pre-senza della guaina (quest’ultimo fenomeno si verifica solo se lo spessore della guaina è sufficientemente piccolo rispetto alle dimensioni della sonda, altrimenti gli elettroni possono penetrare dentro la scia per una profondità pari ad alcune volte la lunghezza di Debye ).

Essendo λd dell’ordine di grandezza del diametro della sonda, è

neces-sario considerare per gli elettroni un’area di raccolta uguale a β (0.5 ≤ β ≤ 1) volte quella laterale della sonda introducendo anche fattori correttivi (repe-ribili in letteratura) per tenere in considerazione l’effetto prodotto dallo spessore della guaina.

Inoltre sarebbe opportuno, almeno per la corrente ionica tenere pre-sente l’effetto dell’emissione secondaria attraverso il coefficiente correttivo (1+γ ).

Tralasciando gli effetti secondari si può calcolare l’espressione della corrente totale drenata dalla sonda in funzione del potenziale applicato:

(22)

48

inoltre è possibile stimare la densità ionica come segue:

2.12

Infine per la temperatura elettronica si ha:

2.13

Il valore di Vp può ottenersi graficamente dalla Fig. 2-8, come intersezione

del prolungamento della curva relativa alla zona di transizione e quella rela-tiva alla corrente di saturazione elettronica.

Trascurando le incertezze dovute alla geometria, composizione del fa-scio, fenomeni di emissione secondaria, comunque presenti anche negli altri tipi di sonde, le limitazioni che interessano una sonda a singolo filamento sono:

o l’incertezza legata alla stima dell’effettiva area di raccolta del-le particeldel-le

o la necessità di costruire la curva caratteristica I-V durante ogni misurazione, ciò che, sebbene comporti un intervallo di tempo piuttosto breve, può risultare in una alterazione della misura. Infatti le eventuali instabilità del plasma dovute al funziona-mento del motore, potrebbero modificare le proprietà del pla-sma stesso, soprattutto per quanto riguarda il potenziale Vp

che a rigore dovrebbe mantenersi costante durante la misura (determinando un punto di riferimento per la repulsione degli elettroni). L’utilizzo di sonde di Langmuir a triplo filamento potrebbe risolvere questo inconveniente (vedere paragrafo 2.4.3.3)

(23)

49 Fig. 2-9. Esempio di sonda di Langmuir immersa nel fascio di un motore elet-trico e formazione della regione di scia. [6]

2.4.3.2 Sonde di Langmuir a doppio filamento

Le sonde di Langmuir a doppio filamento consistono di due elettrodi colle-gati tra loro a mezzo di una batteria che stabilisce un opportuna differenza di potenziale ∆ e di un amperometro, che misura la corrente che passa attra-verso il circuito chiuso elettricamente dal plasma. La Fig. 2-10 riporta uno schema della sonda.

(24)

50

Fig. 2-10. Schema di una sonda di Langmuir a doppio filamento. [4]

Si noti che i due elettrodi devono essere montati ad una distanza tale che le due sfere di Debye non si sovrappongano e d’altro canto devono distare il minimo possibile l’uno dall’altro per garantire una risoluzione spaziale suf-ficiente.

Il sistema è reso poi flottante rispetto alla camera, in modo che i po-tenziali degli elettrodi, all’equilibrio siano negativi rispetto al plasma circo-stante per rendere uguali tra loro i flussi di ioni e di elettroni. Le correnti drenate da ciascun elettrodo devono uguagliarsi in valore assoluto al fine di prevenire l’accumulo di carica nel circuito.

Per quanto riguarda le correnti raccolte nei due filamenti si ha:

4 2.14

4 2.15

secondo quanto è stato visto per la sonda singola.

La curva caratteristica della sonda ( I-∆V in questo caso) si può anco-ra definire, al variare del potenziale tanco-ra i due elettrodi (∆V), si veda la Fig. 2-11. L el et tr od o ∆V I A Ø d V 1 2 V ∆V

(25)

51 Fig. 2-11. Curva caratteristica I-∆V di una sonda di Langmuir con elettrodi eguali.

Guardando la curva caratteristica, si osserva che:

o se V1 V2, la sonda 2 si porta ad un potenziale molto negativo ri-spetto al plasma respingendo tutti gli elettroni, corrente elettronica nulla. Ciò equivale al raggiungimento di una situazione di saturazio-ne ionica, la corrente saturazio-nel circuito è allora .

o Se V1 V2, la sonda 1 si porta ad un potenziale molto negativo ri-spetto al plasma e si raggiunge un’altra condizione di saturazione e-lettronica in cui .

Se si utilizzano elettrodi uguali e si trascurano le differenze di spessore nella guaina, si ottengono correnti di saturazione uguali in modulo e opposte in verso, la curva caratteristica diviene quindi antisimmetrica rispetto al punto ∆V = 0 V per il quale, la corrente che scorre nel circuito risulta nulla.

Si consideri ora proprio il caso di elettrodi uguali, ciò che comporta che , , dalla curva caratteristica si possono estrar-re i parametri del plasma:

I Isat2 -Isat1 ∆V + + f(T e)

(26)

52

2 2.16

con temperatura elettronica,

2.17

con densità del plasma e

ln

4

2.18

con potenziale del plasma e potenziale flottante rispetto alla camera che si ha quando ∆V = 0 V, e che viene misurato con un voltmetro posto tra le sonde e la camera.

Il vantaggio principale, rispetto alla tipologia precedente, risiede nel fatto che le misure ottenute con la sonda doppia sono meno disturbate dalle variazioni di potenziale del plasma. Tuttavia sono ancora presenti disturbi legati alla emissione secondaria e alla definizione dell’area di raccolta tipici delle sonde di Langmuir.

2.4.3.3 Sonde di Langmuir a triplo filamento

Nella Fig. 2-12 si riporta lo schema di una sonda a triplo filamento, con i tre elettrodi nominalmente uguali, immersi nel plasma.

Il sistema è flottante rispetto alla camera, la quale, fornisce il valore di riferimento del potenziale; si veda che i filamenti 1 e 2 sono connessi elet-tricamente da un generatore di d.d.p, il filamento 3 è isolato dagli altri. In aggiunta ci sono un amperometro che misura la corrente tra gli elettrodi 1 e

(27)

53 2, un voltmetro che misura ∆V13 tra gli elettrodi 1 e 3, infine un altro

volt-metro che misura la differenza di potenziale tra 3 e la camera.

Fig. 2-12. Schema di una sonda di Langmuir a triplo filamento.

Oltre a ciò, si tenga presente che, come per i casi precedenti gli elettrodi de-vono trovarsi ad una distanza minima che non comporti una sovrapposizio-ne delle guaisovrapposizio-ne.

Tralasciando per brevità i passaggi analitici, relativi al calcolo delle correnti nei singoli filamenti (nel filamento 3 risulta nulla), si osserva che alla fine si ottiene una relazione analitica che lega ∆V, ∆V13 e Te: quindi,

una volta imposta una certa differenza di potenziale ∆V tramite la batteria, e dopo aver misurato sperimentalmente ∆V13, è possibile calcolare

diretta-mente la temperatura elettronica del plasma Te, senza necessariamente

de-terminare la caratteristica. Lo stesso dicasi per la densità del plasma.

I vantaggi di questo tipo di sonde risiedono proprio nel fatto che per-mettono di ottenere una misura diretta della temperatura elettronica e della densità del plasma senza necessariamente ricorrere alla caratteristica della sonda. Inoltre, queste misure sono indipendenti dal potenziale del plasma, e almeno per la determinazione di Te, dal coefficiente di emissione secondaria

del metallo dei filamenti. D’altra parte permangono ancora le incertezze do-vute all’emissione secondaria di elettroni e alle aree di raccolta. Infine si

de-A ∆V V 2 1 I V 3 12 31 3

(28)

54

ve sottolineare che questo tipo di sonde non deve essere impiegato nelle zo-ne del fascio vicizo-ne alla fonte di ioni positivi, dove decade l’ipotesi di zo- neu-tralità macroscopica del plasma, tacitamente assunta alla base della teoria che permette di conseguire i risultati esposti (come si è potuto evidenziare in esperimenti condotti con questo tipo di sonda).

2.4.4 Diagnostica della energia, della massa e della carica degli ioni

La determinazione degli spettri di energia, massa e carica degli ioni risulta importante per approfondire lo studio del fascio di un propulsore elettrico.

Generalmente un singolo tipo di analizzatore non è in grado di fornire tutte le informazioni richieste: esiste infatti una grande varietà di spettrome-tri di energia, massa e carica il cui uso, spesso, deve essere combinato.

Gli ioni che devono essere analizzati, sono affetti principalmente da due forze fisiche:

o la forza di Coulomb, che accelera, decelera o devia gli ioni in movimento. L’accelerazione, positiva o negativa, è sempre pa-rallela al campo elettrico :

2.19 o la forza di Lorentz, che agisce ortogonalmente sia alla velocità ionica che alle linee di forza di ; quindi non può determinare variazioni in modulo della velocità degli ioni ma può deflet-terne la traiettoria:

2.20 Naturalmente, né il campo elettrico né quello magnetico, da soli, sono in grado sono in grado di separare lo spettro ottenuto, in spettro di massa o di carica, infatti e sono legati al numero di carica Z e alla massa A de-gli ioni molecolari o atomici:

(29)

55 , · 2.21

con e carica elementare e amu unità di massa atomica. In casi eccezionali (come ad esempio Ne+/Ar2+ o CO2+/Xe3+), una separazione delle specie

io-niche richiede strumenti con una risoluzione molto elevata.

Nelle sezioni che seguono si descrivono i differenti dispositivi utiliz-zati in questo settore della diagnostica del plasma.

2.4.4.1 RPA (Retarding Potenzial Analyzer)

Gli RPA (o Retarding Potential Probe o Modulated Faraday Cup) rappresen-tano gli strumenti standard per la misura dell’energia ionica. Nella loro co-struzione, come ricorda anche una delle sigle identificative, somigliano le sonde di Faraday, in realtà possono operare sia come collettori per ioni,sia come analizzatori dell’energia. Come gran parte dei dispositivi usati, posso-no essere installati su un braccio rotante o rastrelliera per scansionare il fa-scio e determinare la distribuzione dell’energia Wi(r).

Si riporta in Fig. 2-13 lo schema di un RPA: come si vede sono pre-senti più elettrodi ognuno dei quali ha uno specifico compito:

o schermo esterno spesso a potenziale nullo

o elettrodo di filtro degli elettroni primari del fascio a potenziale negativo (ERE : Electron Retarding Electrode, elettrodo di re-pulsione degli elettroni)

o elettrodo di filtro degli ioni del fascio a potenziale positivo va-riabile (IRE: Ion Retarding Electrode, elettrodo di repulsione degli ioni). Nota: possono essere uno o due per limitare la ca-duta di potenziale nel foro di passaggio delle particelle e ga-rantire così un potenziale effettivo di filtro(risentito dagli ioni) pressoché coincidente con quello nominale applicato dal gene-ratore esterno

o elettrodo di soppressione degli elettroni secondari (SESE: Se-condary Electron Suppressor Electrode), polarizzato negativa-mente per respingere gli elettroni secondari che si generano dal collettore oppure da altri elettrodi precedenti

(30)

56

Fig. 2-13. Schema di una sonda RPA. [4]

Si noti che l’elettrodo di filtro per la repulsione degli ioni con energia infe-riore a un dato livello (IRE), è ciò che costituisce la differenza tra sonda di Faraday e RPA. Il potenziale dell’elettrodo come già accennato, può essere variato tra 0 e un valore positivo . Gli ioni con energia inferiore a non possono oltrepassare la barriera di potenziale e sono respinti; solo quelli con energia maggiore sorpassano lo schermo e raggiungono il collettore: in questo modo l’elettrodo funziona come filtro selettivo per l’energia. Natu-ralmente il dispositivo RPA diventa una normale sonda di Faraday quando lo schermo non è polarizzato.

Si vedano ora i seguenti passaggi analitici per il calcolo della corrente e della distribuzione di energia:

2.22

dove è la corrente raccolta considerando la velocità degli ioni uniformi in direzione e una sola specie di ioni monovalenti, e dove e

rappre-S ERE IRE Vp

SESE COLLETTORE

(31)

57 sentano la distribuzione ionica in funzione della velocità e del potenziale equivalente, dato dalla seguente:

1

2 , 2.23

e la velocità e il potenziale di soglia.

Differenziando ora la 2.22 rispetto a :

2.24

si ottiene che la distribuzione di energia delle particelle risulta proporzionale alla derivata della corrente raccolta rispetto al valore del potenziale di so-glia: questa relazione dà importanti informazioni qualitative sulla distribu-zione energetica. Le informazioni di tipo quantitativo, d’altra parte, sono af-fette dall’incertezza sul coefficiente di proporzionalità.

Nella Fig. 2-14 è mostrato un esempio di caratteristica corrente-voltaggio I(V) di un RPA, come si è detto la differenziazione fornisce la di-stribuzione intrinseca di energia degli ioni.

Si prendono in rassegna adesso le principali limitazioni di questo tipo di sonda:

o difficoltà di calcolare esattamente il flusso incidente di parti-celle, considerando l’area di raccolta e la perturbazione che la sonda introduce nel plasma

o gli ioni che oltrepassano lo schermo (IRE) sono quelli che hanno una componente di velocità ortogonale alle superfici equipotenziali tale da permettere il superamento della soglia di potenziale. Questo comporta che, gli ioni che eventualmente presentino un certo angolo di incidenza, anche se posseggono energia sufficiente, vengono riflessi dall’elettrodo di filtro, producendo un alterazione della distribuzione di energia

o la presenza di ioni plurivalenti, nella composizione del plasma o le particelle con energia appena sufficiente a superare la bar-riera di potenziale vengono fermate, perciò le loro traiettorie

(32)

58

all’interno della sonda sono fortemente influenzate dal campo elettrico interno alla sonda. Quest’ultimo deve essere ben con-formato e privo di effetti di bordo per non deviare le particelle lontano dal collettore.

o Il valore del potenziale ritardante deve essere dello stesso or-dine di grandezza della d.d.p di accelerazione.

Tutte le fonti di incertezza e limitazione prospettate qui sopra, devono esse-re tenute sotto controllo e indagate a fondo durante la progettazione di un RPA. Così facendo è possibile ricavare informazioni sulla distribuzione di energia e direzione della velocità piuttosto utili per lo studio del fascio. Inol-tre si possono identificare comportamenti propri del motore, ad esempio per un motore SPT, è possibile individuare la zona di ionizzazione massima del-lo Xe sulla base della posizione del picco della distribuzione dell’energia e conoscendo l’andamento del potenziale del motore.

Fig. 2-14. Esempio di corrente raccolta da un RPA al variare del potenziale e corrispondente distribuzione di energia. La prova è stata effettuata dalla Mi-chigan University su un motore ad effetto Hall. [6]

(33)

59

2.4.4.2 Analizzatore a piani paralleli

Questo analizzatore elettrostatico, fa uso del campo elettrico tra due piastre piane o tra le armature di un condensatore cilindrico per deflettere gli ioni, allo scopo di misurare la distribuzione di energia di un fascio (come nel caso RPA). In virtù della sua capacità di separare le particelle tramite distorsione della traiettoria in base a proprietà specifiche (qui energia cinetica per unità di carica), viene ascritto nella categoria delle sonde di tipo dispersivo.

Il dispositivo, mostrato in Fig. 2-15, è costituito da due elettrodi piani, posti a distanza d, tra i quali è presente una differenza di potenziale ∆V .

Fig. 2-15. Schema di un analizzatore a piani paralleli. [6]

L’elettrodo inferiore, presenta due fessure poste a distanza L tra di loro: in una delle due entrano le particelle, con un angolo α di 45° rispetto all’elettrodo (al fine di ottimizzare la risoluzione), quest’ultime, non appena risentono del campo elettrico, vengono deflesse verso la seconda fessura. Al di fuori, posizionato oltre la fessura è presente un collettore.

(34)

60

Δ 2 sin 2α

Δ

2 2.25

Si noti dalla Fig. 2-15, che data la limitata dimensione della fessura di usci-ta, soltanto gli ioni con specifico rapporto / (nella figura denominati con 1) possono raggiungere il collettore, gli altri sono perduti sulla superficie dell’elettrodo negativo. Quindi facendo variare il potenziale Δ , si può in-tercettare l’intero spettro energetico degli ioni.

Per avere una stima della risoluzione, al primo ordine, tenendo presen-te che le particelle entrano nel campo elettrico di separazione con un angolo α diverso da 45° e lo spessore delle fessure è w, detti ∆α e ∆β gli angoli del vettore di velocità con i piani parallelo e ortogonale a quelli del moto nomi-nale si può scrivere:

Δ ∆ 1

2 ∆ 2.26

La geometria, come si è visto, risulta piuttosto semplice, inoltre la d.d.p. ri-chiesta tra i due elettrodi può essere molto inferiore a quella di accelerazio-ne delle particelle misurate. Per i suddetti motivi questo tipo di sonda, appa-re molto inteappa-ressante. Tuttavia è necessario pappa-rendeappa-re in considerazione le seguenti limitazioni:

o sebbene la disposizione degli elettrodi sia di per se sufficiente a separare gli elettroni, sarebbe opportuno introdurre dei filtri per limitare gli effetti dell’emissione secondaria di elettroni all’interno della sonda

o le fessure di passaggio si trovano in zone di contorno di un campo elettrico intenso, perciò si manifestano fenomeni nocivi di aberrazione delle traiettorie non trascurabili (formarsi di len-te elettrostatica)

o il campo elettrico formato tra gli elettrodi risulta di norma mol-to intenso, per tale motivo sono opportune schermature allo scopo di evitare effetti di disturbo sul plasma circostante la sonda

(35)

61 o gli ingombri risultano notevoli e le capacità di misura sono

so-stanzialmente simili a quelle di un RPA, invece molto più compatto, pertanto l’utilizzo appare consigliato soprattutto nel-le zone del fascio lontane dal motore.

2.4.4.3 Sonde E B

Rientrando anch’esso nella categoria di sonde a dispersione, questo disposi-tivo ricorre all’interazione del moto delle particelle con i campi elettrico e magnetico per separare le particelle stesse in base alla loro quantità di moto per unità di carica.

In un’apposita sezione infatti, detta filtro di Wien, campo elettrico e magnetico, mutuamente ortogonali tra loro e perpendicolari alla direzione della velocità, sono applicati in modo da lasciar passare indisturbate parti-celle con un particolare valore di velocità e deflettere tutte le altre.

Si ha infatti :

2.27

nel caso suddetto si può scrivere:

2.28 dove la direzione della forza è quella del campo elettrico.

Ponendo un collimatore all’uscita del filtro, di larghezza w e modu-lando il valore del campo elettrico opportunamente, è possibile selezionare le particelle in base alla loro velocità ( ). Le formule su scritte valgo-no sia per ioni che per elettroni, i quali pertanto devovalgo-no essere respinti pri-ma di raggiungere la sonda, o comunque in fronte al collettore.

L’analizzatore è definito in letteratura separatore di massa, fil-tro di massa, o spetfil-tromefil-tro dell’energia, ed è utilizzato normalmente nella diagnostica del fascio per determinare il rapporto Xe++/Xe+. In realtà tale sonda non è altro che un selettore di velocità, tutte le altre quantità, come mi, qi,Wi (energia), possono solo derivarsi dalle seguenti:

(36)

62

2 , 1

2 ,

1

2 2.29

Assumendo che tutte le particelle, vengano accelerate attraverso la stessa d.d.p. solo gli ioni che possiedono un determinato rapporto tra massa e cari-ca sono trasmessi, si vedano a tal proposito le equazioni… .

Fig. 2-16. Schema di un analizzatore . [6]

La deflessione subita dalla particella, in assenza di spazio di deriva, può es-sere calcolata come segue:

(37)

63 1

4

Δ 2 Δ

Δ 2.30

dove è la lunghezza della zona dove il campo magnetico può considerarsi uniforme, è invece la distanza tra gli elettrodi. Da questa relazione è poi possibile ricavare la risoluzione energetica, di massa o di carica della sonda come massima differenza tra le grandezze delle particelle che passano effet-tivamente dall’apertura di larghezza finita del collimatore e quelle nominali. Infatti, a causa della larghezza finita del collimatore, vengono raccolti ioni con velocità diversa da quelli selezionati nominalmente.

Si vedano adesso i seguenti passaggi analitici per il calcolo della cor-rente raccolta e della densità di ioni nel caso di risoluzione ideale.

Δ 2.31

Dall’ultima si può ricavare , ovvero il numero di particelle con velocità compresa tra e e costruire la curva di distribuzione di velocità sot-to l’ipotesi che ioni con carica diversa non abbiano velocità uguali. Così fa-cendo è possibile selezionare le particelle in base al valore della carica (que-sta è un ipotesi che risulta tanto più verificata quanto più la differenza di po-tenziale è elevata). Si ha pertanto:

2.32

dove viene scelto come valore della carica della specie ionica con ve-locità media più vicina a .

Un funzionamento corretto della sonda può essere ottenuto solo a seguito di opportune accortezze:

o la velocità delle particelle entranti deve essere allineata con l’asse della sonda, se ciò non accade, la soluzione

(38)

64

diventa più complicata di quanto si è visto e così il cal-colo della deviazione

o i campi elettrici e magnetici devono risultare uniformi: a tale scopo è necessario limitare gli effetti di bordo con l’ausilio di opportuni elettrodi compensatori e cir-coscrivere gli effetti elettromagnetici alla zona del fil-tro di Wien

o tenere presenti e stimare con la maggior precisione possibile gli effetti di aberrazione prodotti dai campi elettromagnetici sulla traiettoria delle particelle.

2.4.4.4 T.O.F (Time-of-flight Analyzers)

Gli spettrometri “a tempo di volo”, appartengono alla categoria degli

analiz-zatori dinamici, ossia funzionano con campi non statici o flusso di ioni non

statico.

I fasci attraversano lo spazio di deriva e raggiungono il collettore dopo un tempo / , in maniera analoga alla sonda questo dispositivo se-leziona le particelle sulla base delle loro velocità. Altre quantità possono es-sere soltanto calcolate: nel caso speciale di voltaggio di accelerazione co-stante, è possibile poi ottenere lo spettro del rapporto massa/carica del fascio (comprese le impurità).

Uno schema di questo analizzatore è riportato in Fig. 2-17. La caratte-ristica tipica di questa sonda è la presenza di un elemento (elettrodo) che funziona da otturatore, ovvero che permette o impedisce ad un fascio di par-ticelle (ioni) di entrare nella sonda durante precisi intervalli di tempo. In pratica si utilizzano sostanzialmente due metodi per ottenere una tale pro-prietà:

o Un elettrodo è polarizzato positivamente per respingere gli ioni come succede in un RPA

o Un condensatore con piastre piane parallele presenta un campo elettrico trasversale che deflette gli ioni. Quan-do il campo di deflessione è spento, un fascio di ioni può passare attraverso un’apertura ricavata in uno schermo posizionato a valle del condensatore (vedere Fig. 2-17).

(39)

65 Fig. 2-17. Schema di una sonda T.O.F. [6]

Il primo metodo richiede potenziali pari a quelli di accelerazione per respin-gere gli ioni che risultano pertanto molto elevati, il secondo metodo invece può funzionare correttamente deflettendo gli ioni con potenziali molto limi-tati (es -30 V). In base a queste considerazioni quest’ultimo è da preferirsi.

Si pensi adesso di disattivare il filtro all’istante t=0, in questo modo gli ioni penetrano all’interno della sonda: il tempo in cui raggiungono il col-lettore dipende dalla velocità che possedevano indisturbati all’interno del plasma. Sotto l’ipotesi di ioni monovalenti, la corrente che viene drenata si può esprimere in funzione del tempo nella maniera che segue:

2.33

dove d rappresenta la distanza tra otturatore e collettore. Dopo un certo tem-po , si raggiunge una situazione stazionaria in cui la corrente risulta costan-te e pari a . Al costan-tempo si attiva di nuovo il filtro notando che la cor-rente misurata tende a diminuire con andamento dato da:

(40)

66

2.34

Calcolando la derivata della 2.34 si ottiene:

2.35

da cui si ricava:

1 2.36

In quest’ultima si osserva che la funzione di distribuzione delle velocità è proporzionale alla derivata temporale della corrente misurata, pertanto, è presente un estrema sensibilità ai disturbi e al rumore.

Un’altra limitazione per questa sonda è dovuta alla capacità di risoluzione, che dipende dalla distanza ed è quindi fortemente limitata dagli ingombri massimi ammissibili della sonda, non si potranno studiare plasmi molto e-nergetici ( 1 ). Infine è necessario che il plasma si presenti staziona-rio per un tempo almeno pari ad un ciclo dell’otturatore ( 0.7 ).

Figura

Fig. 2-1. I settori della diagnostica. Il riquadro in rosso rappresenta attività  che non appartengono propriamente alla diagnostica, ma che sono a questa  direttamente connesse
Fig. 2-2. Esempi di plasmi. [6]
Fig. 2-3. Obiettivi e strumenti della diagnostica.
Fig. 2-5. Calorimetro a tazza con scambio conduttivo.  [6]
+7

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