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Capitolo 1 Fissatori Esterni: cosa sono

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Fissatori Esterni: cosa sono

Tutti i fissatori scheletrici esterni (FSE) sono costituiti da due elementi base, indipendentemente dal supporto o dal sistema che decidiamo di usare. Questi componenti fondamentali sono i chiodi e le barre di connessione.

I chiodi sono supporti che vengono inseriti nei frammenti maggiori dell'osso, e fissati all'esterno dell'arto alle barre di connessione.

Questi possono essere a loro volta classificati in chiodi per impianti monolaterali (half-pin) e chiodi per impianti bilaterali (full-pin); la differenza tra i due supporti sta nel fatto che i primi vengono inseriti in modo da attraversare entrambe le corticali dell'osso ed una sola superficie cutanea, mentre il secondo tipo attraversa sia le corticali che le superfici cutanee da una parte all'altra dell'arto.

I chiodi per impianti monolaterali sono fissati ad una barra di connessione su un solo lato dell'arto; i chiodi per impianti bilaterali vengono fissati a due barre di connessione, poste una su ogni lato (di solito medialmente e lateralmente), offrendo quindi di una struttura più resistente.

Il design e le caratteristiche dei chiodi sono state sviluppate per avere la miglior superficie di contatto tra chiodo e osso. I moderni chiodi utilizzati in medicina veterinaria sono realizzati in acciaio inox e sono quindi molto più rigidi e

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resistenti dei convenzionali Steinmann (utilizzati ancora come chiodi centromidollari).

Nel passato venivano utilizzati i chiodi lisci che venivano inseriti con angoli divergenti o convergenti tra loro per tenere ben saldi i frammenti ossei, mentre oggi i chiodi che utilizziamo per i fissatori esterni sono di tipo filettato; in questo modo, oltre a migliorare l'interfaccia osso-chiodo, si ha anche una maggiore resistenza. Si hanno chiodi con filettatura terminale oppure centrale, e risulta perciò chiaro che la parte filettata viene a contatto con l'osso, mentre la parte liscia viene coniugata con le barre di connessione.

Un’ulteriore suddivisione si ha in funzione del profilo della filettatura, che può essere positivo o negativo: i chiodi il cui stelo (o diametro interno della filettatura) è più piccolo di quello della parte liscia sono detti a profilo negativo, mente se il loro stelo coincide con quello della parte liscia si parla di profilo positivo.

Questa nuova tipologia di chiodi viene inserita in modo diverso rispetto ai vecchi Steinmann, cioè l'inserimento deve avvenire perpendicolarmente all’asse maggiore dell'osso lungo ed i chiodi devono essere posti paralleli tra loro; questo ci permette di avere un allineamento migliore dell'arto.

L’esperienza clinica ha consentito di rilevare che questo tipo di chiodi sono migliori delle viti ortopediche, sia per la forma che per la loro funzione ed il loro utilizzo; inoltre il perfezionamento delle tecniche di fissazione ha permesso di creare strutture di maggiore rigidità e resistenza, e questo ha ridotto molto l'incidenza di allentamento e distacco dei chiodi

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ed ha incrementato l'applicazione dei fissatori esterni anche alle fratture di più difficile riduzione.

Il secondo componente essenziale di un fissatore è rappresentato senza dubbio dalle colonne e dalle barre di connessione. Queste vengono poste esclusivamente all'esterno dell'arto, fissate ed interconnesse con i chiodi, e forniscono quindi un supporto stabile per i chiodi stessi nella risoluzione delle fratture. Ne esistono di varie misure (piccole, medie e grandi) e di diverso materiale: acciaio inox, lega di titanio, fibra di carbonio, alluminio e materiale acrilico. Quelle in fibra di carbonio sono radiograficamente radiotrasparenti permettendo così la visualizzazione della frattura in via di guarigione.

È il design delle barre di connessione che fornisce unicità al fissatore.

Il tradizionale sistema Kirschner-Ehmer (K-E) consiste in barre di connessione lisce e morsetti che fissano i chiodi ad una o più barre.

Anche i sistemi Securos e IMEX-SK utilizzano morsetti per connettere le barre ai chiodi, ma i sistemi di morsetti presentano componenti modificate rispetto ai K-E, così da essere facilmente posizionabili. In questi sistemi sono anche disponibili morsetti doppi per il passaggio

di chiodi e barre; comunque entrambi i sistemi sono superiori ai K-E per tenuta e versatilità, anche perché l'uso di chiodi a profilo positivo assicura una maggiore stabilità.

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Figura 1.1: morsetto di tipo Securos

Un altro sistema di fissazione esterna è rappresentato dai fissatori acrilici, incluso il sistema APEF (Acrylic-Pin External Fixation), in cui si usa un cemento acrilico (polimetilacrilato) come fissaggio per le barre ed i chiodi interconnessi (esistono in commercio particolari kit per la fabbricazione di stecche artigianali). Questo sistema contiene chiodi lisci e filettati, materiale acrilico preconfezionato e supporti di fissaggio sterili e sagomabili per la realizzazione delle colonne esterne del fissatore. I morsetti più usati sono di tipo Securos e IMEX-SK, ma talvolta anche del tradizionale sistema K-E. I supporti di fissaggio sagomabili possono servire per assicurare i chiodi alle barre di connessione senza l'uso dei morsetti, fungendo quindi da colonne di stabilizzazione.

I sistemi descritti sono stati studiati per migliorare e fornire rigidità ad un fissatore, ma anche per poter variare il posizionamento dei chiodi e dei morsetti durante il processo

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di guarigione in modo da poter dare al paziente il migliore riallineamento possibile dell'arto interessato.

Nomenclatura e Tipi:

Il sistema di nomenclatura per i fissatori esterni si serve di due presupposti: il disegno relativo alla loro configurazione evoca immediatamente l'impiego per cui sono stati progettati e questo è vantaggioso sia per la pratica clinica che per l'insegnamento e la ricerca; inoltre aiuta anche i non addetti ai lavori a capirne l'importanza delle prestazioni meccaniche. Uno dei maggiori vantaggi dei fissatori esterni è la possibilità di essere impiegato in un ampio range di differenti configurazioni, talvolta anche creative. Il lato negativo è che non c'è un sistema di classificazione che possa comprendere tutte le possibili configurazioni, anche se ci sono configurazione base comunemente accettate.

Per prima cosa si deve considerare se il fissatore è monolaterale (tipo I) o bilaterale (tipo II). Se per un fissatore monolaterale vengono utilizzati chiodi per impianti monolaterali (half-pin) collegati a barre di connessione poste su un solo lato dell'arto si parla di fissatori monolaterali-monoplanari di tipo Ia. Questi fissatori si applicano solitamente alla superficie mediale di radio e tibia ed a quella laterale di femore ed omero. Un altro tipo di fissatore monolaterale è costituito da una configurazione con due barre esterne; queste sono poste sulla superficie

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craniomediale e su quella craniolaterale dell'osso se la frattura è a carico del radio, mentre, nel caso la frattura riguardi la tibia, sono applicate sulla superficie craniale e su quella mediale. In questo caso si parla di fissatori monolaterali-biplanari di tipo Ib.

Quando impieghiamo questi fissatori è preferibile inserire due o più chiodi all'interno dei segmenti prossimali e distali in modo da stabilizzare la frattura.

I fissatori di tipo Ia sono relativamente deboli e rendono quindi i supporti altamente instabili anche se impiegati con barre di connessione molto rigide.

I fissatori di tipo Ib, avendo due barre monolaterali poste su un piano di 90°, offrono un aumento della rigidità complessiva del fissatore; in questo tipo di fissazione si possono sostituire le barre di connessione metalliche con barre acriliche e supporti di fissaggio sagomabili.

Una seconda strategia che può essere impiegata in tibia, femore ed omero, per compensare la relativa debolezza dei chiodi per impianti monolaterali, è quella di inserire un chiodo centromidollare nella configurazione del fissatore. Questo chiodo, essendo immesso all'interno della cavità midollare dell'osso lungo, è posto in una posizione meccanicamente favorevole e funge da supporto aumentando molto la stabilità del fissatore di tipo Ia. Questo tipo di configurazione è detto Tie-In (tied into).

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Figura 1.2: chiodo intramidollare di tipo Ia, con configurazione Tie-In. Figura 1.3: fissatore di tipo I, monolaterale monoplanare (A) e tipo II bilaterale

monoplanare (B).

I fissatori bilaterali sono caratterizzate dall'uso di chiodi per impianti bilaterali (full-pin), cioè quei chiodi che passano l’osso e la cute del paziente da parte a parte. In questi impianti possono quindi essere usati insieme half-pin e full-pin, che vengono interconnessi a due barre laterali poste su un piano di 180°. È la presenza di almeno due full-pin, uno nel segmento prossimale ed uno in quello distale, e di due barre di connessione a definire questa configurazione che prende il nome di bilaterale monoplanare di tipo II.

La struttura appena descritta non viene di solito applicata a livello di femore ed omero, data la vicinanza con il tronco

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dell'animale, ma si presta molto bene per radio e tibia su un piano medio-laterale.

Abbiamo un’ulteriore modello di fissazione, chiamato bilaterale biplanare di tipo III, che consiste nell'unione di un fissatore di tipo Ia ed un fissatore di tipo II, con l'uso di half-pin e full-pin sullo stesso piano ortogonale, cosa che conferisce un maggiore grado di stabilità.

È noto che la forza e la rigidità di un fissatore aumenta in ordine crescente di classificazione:

• Tipo Ia < tipo Ib ≈ tipo I tie-in < tipo II < tipo III

Questa classificazione ha uno scopo pratico; infatti come le diverse parti dei fissatori, anche la diversità tra il tipi serve per accrescere i risultati del chirurgo, incoraggiato anche dalla possibilità di scegliere tra molte configurazioni. I fattori che determinano la scelta sono molto complessi ed includono il numero dei chiodi da utilizzare, la rigidità e il tipo di barra, il tipo di frattura ed il gap a cui ci troviamo di fronte, così come la distanza tra chiodo e chiodo e tra barra ed osso; l'unica cosa che non deve mai essere motivo di dubbio è la resistenza del fissatore.

È possibile immaginare molti diversi fissatori e molte configurazioni che chiaramente non si prestano a questa classificazione, e questo perché ogni chirurgo può usare le proprie conoscenze e la propria tecnica per offrire il miglior risultato possibile al proprio paziente; ne è un esempio il fissatore a barra curva obliqua anteriore, che nasce per

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ovviare alle complicazioni ascrivibili ad impianti poco stabili o troppo rigidi e per adeguare configurazioni specifiche per differenti tipi di frattura. Infatti l'impiego della barra curva anteriore connessa a ponte tra barra mediale e laterale nel modello FSE tipo II, associa alcuni vantaggi di stabilità del tipo III, senza essere eccessivamente rigida né troppo pesante, ed aumenta la resistenza del fissatore di tipo II alla flessione antero-posteriore dell'arto. Inoltre, la rimozione della barra curva a ragionevole distanza di tempo dall'applicazione dell'impianto consente, mediante una semplice modifica a paziente sveglio, una migliore dinamizzazione adeguata a favorire ed accelerare il processo di guarigione, senza compromettere la stabilità complessiva dell'impianto.

Un altro tipo di fissatori esterni sono quelli circolari, che vengono utilizzati per stabilizzare le fratture, comprimere o distrarre fratture e pseudoartrosi, trasportare segmenti ossei, correggere dinamicamente le deformazioni angolari e provvedere all'allungamento degli arti. Questi sistemi possiedono quindi proprietà biomeccaniche particolari rispetto ai modelli monoplanari e biplanari, diversi componenti e differenti configurazioni. L'apparecchiatura utilizzata è costituita da fili metallici transossei, anelli e semianelli, bulloni, barre filettate o telescopiche, placche di connessione, cardini ed attacchi per viti e bulloni, tutto questo per formare una configurazione; tendifilo e chiavi completano lo strumentario.

La stabilità meccanica ottimale è data da una configurazione con quattro anelli che fissano quattro paia di fili metallici

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posti quanto più possibile perpendicolarmente tra loro, entro i limiti concessi dalla presenza dei tessuti molli. I fili metallici assicurano solidità ai segmenti ossei, ma consentono micromovimenti assiali controllati a livello del focolaio di frattura.

Anche questo tipo di impianti offre molteplici opportunità creative con la conseguente possibilità di costruire configurazioni adattabili e personalizzate al problema di ogni singolo paziente.

Indicazioni Terapeutiche:

vantaggi e svantaggi

Oltre ai fissatori esterni esistono altri sistemi in grado stabilizzare le fratture delle ossa lunghe, tra cui chiodi centromidollari, viti e placche da ossa, fili da cerchiaggio. Questi sistemi richiedono un approccio chirurgico più ampio rispetto ai fissatori esterni e quindi anche maggiori possibilità di contaminazione dei tessuti. Comunque, il sistema più idoneo da adottare viene valutato sulla base del tipo di frattura, del tipo di paziente, ma soprattutto accertandoci della sua attitudine e tolleranza al trattamento con FE.

I fissatori esterni ci permettono un buon riallineamento della zona interessata, in quanto possiamo agire sia durante che dopo la chirurgia, ed costituiscono anche l'unico mezzo che possiamo applicare senza fare una vera e propria riduzione a cielo aperto; in questo modo ottimizziamo il potenziale di

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riduciamo al minimo il rischio operatorio e le cicatrici. I fissatori esterni permettono anche un facile accesso all’area in qualsiasi momento perché, al contrario di fasciature e strutture in vetro-resina, non vanno a coprire la regione coinvolta, lasciandoci la possibilità di controllo e disinfezione dell'area. In questo modo, non solo l'animale può caricare l’arto fin dal primo giorno dopo l'intervento, ma si ha un incremento progressivo della capacità di sostenere il carico senza che questo comporti un calo nel processo di guarigione. Il micromovimento agevola “l’effetto pompa” sul focolaio di frattura, incrementando il circolo venoso e linfatico di ritorno, e prevenendo così la formazione di processi edematosi.

Un altro vantaggio è offerto dal fatto che durante la guarigione i fissatori possono essere smontati; la rimozione delle componenti ne diminuisce la rigidità, offrendo alleggerimento e facilitando l'appoggio, in modo da restituire rinnovata vitalità al paziente. La rimozione di queste strutture è piuttosto semplice e si può eseguire senza chirurgia invasiva.

La scelta di questi impianti offre ai chirurghi anche un notevole vantaggio economico, perché il costo dei componenti è relativamente basso ed alcune parti possono essere riutilizzate previo lavaggio e sterilizzazione in autoclave.

Questi sistemi comunque non sono perfetti, ma presentano alcuni svantaggi che devono essere compresi e superati per ottenere risultati soddisfacenti. Gli elementi di connessione sono posti distanti dall'asse centrale dell'osso e sono perciò meccanicamente svantaggiati quando si confrontano con

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forze compressive che agiscono sul sito di frattura, specialmente se confrontati con i chiodi centromidollari che offrono un maggiore rinforzo e protezione all'osso in via di riparazione.

I fissatori esterni, ancora, non possono essere applicati a tutte le ossa a causa della loro configurazione che richiede un notevole spazio e quindi può ostacolare i movimenti del soggetto. Soprattutto tibia, radio ed ulna sono adatte ad essere trattate con questa metodica perché, data la loro posizione anatomica, l’applicazione dei FE non interferisce con il movimento. Anche femore ed omero si prestano ai sistemi di fissazione esterna, ma il chirurgo deve dedicare molta attenzione alla ricerca del punto preciso di inserzione dei chiodi, per non danneggiare i tessuti molli né a livello neurovascolare, né a livello muscolotendineo. Per queste due ossa è raccomandato un fissatore di tipo “Tie-in”. I FE sono inoltre sconsigliati nei pazienti di taglia piccola, nei quali, data la loro mole, possono essere talmente grandi da risultare inappropriati. In questi pazienti si possono perlopiù utilizzare fissatori realizzati mediante materiale acrilico e fili di Kirschner, oppure optare per chiodi centromidollari.

Esistono linee guida generali da seguire che ci indirizzano su quando usare o meno i fissatori esterni: sono molto adatti nelle fratture diafisarie, specialmente per quanto riguarda la riduzione a cielo chiuso (ove possibile) delle fratture comminute, in cui si ha un eccellente processo di guarigione. Anche le fratture comminute dei segmenti distali o prossimali delle ossa lunghe possono essere facilmente ridotte attraverso

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l'uso dei fissatori, se c'è la possibilità di applicare un sufficiente numero di chiodi.

Generalmente sono raccomandati almeno tre chiodi, sebbene, nei pazienti docili e cooperativi, anche due chiodi possano essere sufficienti per avere una guarigione in tempi brevi. In caso di frattura prossimale del radio con frammenti piccoli, può essere usata l’ulna prossimale come bersaglio per i chiodi.

Un altro metodo che può essere usato in varie posizioni nei pazienti adulti è dato dall'estensione del fissatore all’articolazione al fine di ottenere maggiori punti di fissazione. Quando impieghiamo questa strategia possiamo conferire all'articolazione l’angolo funzionale che riteniamo più opportuno, anche se la porzione transarticolare dovrebbe essere rimossa quanto prima. Le fratture articolari richiedono comunque una riduzione anatomica e un fissatore interno, sebbene occasionalmente un fissatore esterno possa essere usato con successo per racchiudere e proteggere la riparazione di un danno minimo.

Quando l'infortunio ortopedico impone l'immobilizzazione di un'articolazione è bene usare una tecnica semplice che ci permetta di raggiungere il risultato desiderato. Ad esempio, se dobbiamo ricostruire il legamento collaterale di un garretto, devono essere protetti anche i tessuti molli che lo circondano, e l'immobilizzazione con un bendaggio stretto è più semplice che mettere un FE. Comunque, se il danno al legamento collaterale è parte di una ferita da taglio estesa che deve essere giornalmente controllata, il fissatore esterno ci

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consente un facile accesso ed una rigida stabilizzazione della regione lesa.

I fissatori esterni possono essere usati da soli o in combinazione con fissatori interni per le artrodesi, anche se, quando i tessuti molli che circondano l'articolazione non sono lesionati, sono preferibili stabilizzazioni con placche e viti da ossa; rivestono invece di fondamentale importanza per l'apporto di stabilità in caso di artrodesi tarsocrurale, o quando un'articolazione deve essere ricostruita in seguito ad un grave danno che coinvolge anche i tessuti molli.

Nei casi di fratture che riguardano un segmento osseo molto piccolo, ma che include una cartilagine di accrescimento ancora aperta, devono essere prese in considerazione altre tecniche di fissazione, perché un FE non contiene in modo corretto una cartilagine d’accrescimento fisiologicamente aperta. Anche quando un fissatore può essere posto senza circondare la cartilagine di accrescimento, è importante che i chiodi posti nelle sue vicinanze non ne danneggino la funzionalità. Nelle fratture distali di radio e ulna ridotte con fissatori di tipo Ib è importante utilizzare chiodi per impianti monolaterali per entrare nel radio, ma non nell'ulna.

Si raccomanda comunque di utilizzare i FE in pazienti docili, calmi e con proprietari collaborativi, capaci di partecipare attivamente alle cure postoperatorie, fondamentali per la totale ripresa di funzionalità dell'arto interessato.

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Figura

Figura 1.1: morsetto di tipo Securos
Figura 1.2: chiodo  intramidollare  di  tipo Ia,  con configurazione Tie-In.   Figura 1.3:  fissatore di tipo I, monolaterale monoplanare (A) e tipo II bilaterale

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