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CAPITOLO 1 La semplificazione amministrativa: una vecchia questione ancora attuale

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CAPITOLO 1

La semplificazione amministrativa:

una vecchia questione ancora attuale

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1. La sfiducia dei cittadini nella pubblica amministrazione

La difficoltà del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino rappresenta una delle tematiche più datate e affrontate, con scarso successo, dai tanti governi che si sono avvicendati alla guida del Paese e che ha un comune denominatore costituito dalla lentezza decisionale della pubblica amministrazione. Fino alla fine degli anni ottanta, all’evolversi del sistema sociale, non si era affiancata un’evoluzione, nello stesso senso, della pubblica amministrazione che continuava a tenere posizioni di supremazia nei confronti del cittadino concedendo, anziché offrendo servizi. La pubblica amministrazione operava in posizione monopolistica e, quindi, senza alcun termine di confronto.2 Gli apparati burocratici dell’amministrazione si sono spesso chiusi a riccio ed hanno opposto, alle novità legislative, una resistenza passiva, mentre gli stessi cittadini, per ignoranza dei loro diritti o per un realistico disincanto, si sono dimostrati spesso disattenti e poco propensi ad utilizzare gli strumenti che l’ordinamento offriva loro.3

Il distacco tra poteri pubblici e cittadini veniva ben sintetizzato nel 1979 dal Ministro per la Funzione Pubblica, Massimo Severo Giannini, nello studio sui problemi dell’amministrazione pubblica, noto come “rapporto Giannini”, quando paragonava lo Stato ad una creatura ambigua, irragionevole e lontana dai cittadini e dai loro bisogni. L’immagine di estraneità dipendeva, in larga parte, dalle leggi che non garantivano un sufficiente grado di informazione e di trasparenza relativamente ai procedimenti amministrativi. L’assenza di rapporti di comunicazione veniva individuata come una delle ragioni della sfiducia dei cittadini e delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Secondo il Ministro Giannini i cittadini avrebbero potuto riacquistare le fiducia nella pubblica amministrazione a condizione di una radicale riforma della stessa. Cancellare l’immagine negativa dei poteri pubblici rappresentava la condizione

2 Cfr. Sabino Cassese, Lo Stato Introvabile. Modernità e arretratezza delle istituzioni italiane,

Ed. Donzelli, Roma, 1998

3 Piero Aimo, La giustizia nell’amministrazione dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma, 2000, p.

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necessaria per instaurare un rapporto nuovo tra i cittadini e lo Stato. Nel rapporto il Ministro Giannini evidenziava la necessità di modificare il nesso tra autorità e libertà attraverso riforme che intervenissero in maniera radicale sui modelli organizzativi, sulle strutture e gli apparati burocratici e sui procedimenti amministrativi. La diagnosi dei ritardi e delle inefficienze delle amministrazioni pubbliche postulava norme e strumenti in grado di colmare il distacco tra apparati pubblici e collettività. La necessità di una nuova organizzazione dello Stato rappresentava una delle indicazioni più significative del rapporto Giannini che si soffermava, in modo particolare, sulla necessità di introdurre, nell’organizzazione pubblica, logiche aziendalistiche, metodi di analisi disaggregata della spesa, procedure contrattuali più snelle ed efficienti ed un ampio processo di semplificazione dei procedimenti amministrativi.

Nelle conclusioni del rapporto il Ministro Giannini chiedeva una sollecita attivazione delle funzioni di indirizzo e programmazione del Parlamento, indicando quali strumenti privilegiati per gli interventi di riforma gli atti normativi governativi e gli atti organizzativi interni dell’Amministrazione e prefigurando radicali innovazioni legislative sull’azione amministrativa delle pubbliche amministrazioni. I primi risultati concreti, sul fronte delle riforme tese a dare sostanza alle proposte del Ministro Giannini, si sono visti solamente a partire dagli anni novanta.

Tuttavia si deve segnalare che già dal 1968, con l’approvazione della Legge 15, il Parlamento aveva posto in essere una serie di misure per cercare di ridurre concretamente il distacco esistente tra cittadini e pubblica amministrazione

2. La Legge 4 gennaio 1968, n. 15: la fiducia nei confronti del cittadino In un tempo in cui l’informatica era utopia e le prime macchine fotocopiatrici iniziavano a diffondersi, (prima le copie si estraevano riproducendole con le macchine per scrivere, procedendo poi alla “collazione”, vale a dire al confronto

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tra originale e copia4), fu emanata la Legge 4 gennaio 1968 n. 15 “norme sulla

documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme”. Tale normativa introduceva, nell’operare della pubblica amministrazione,

importanti principi di semplificazione che si basavano nell’accordare piena fiducia alle dichiarazioni dei cittadini. La Legge 15/68, raccogliendo e coordinando le precedenti disposizioni in materia di documentazione amministrativa, andava a costituire un “pacchetto” di norme tendente a semplificare le procedure amministrative per agevolare il cittadino nei rapporti con la pubblica amministrazione.

La produzione agli organi della pubblica amministrazione di atti e documenti amministrativi, la formazione ed il rilascio di atti pubblici, la conservazione di atti pubblici e privati, la disciplina di particolari procedimenti amministrativi costituivano gli elementi essenziali, le fondamenta su cui si innestavano i diversi istituti previsti dalla legge. Gli articoli 2, 3 e 4 prevedevano diverse forme di dichiarazioni che i cittadini potevano rendere alla pubblica amministrazione in sostituzione delle ordinarie certificazioni o documenti. L’articolo 2 consentiva di sostituire definitivamente i più comuni certificati come, ad esempio, la residenza anagrafica, lo stato di famiglia, la data e il luogo di nascita, la cittadinanza, lo stato civile, il godimento dei diritti politici, l’iscrizione in albi professionali. La corretta applicazione di questa norma si proponeva di

evitare la produzione di numerosi certificati da parte dei cittadini verso la pubblica amministrazione. L’articolo 3 prevedeva la possibilità di effettuare dichiarazioni temporaneamente sostitutive, relativamente a fatti, stati e qualità personali, ponendo al cittadino l’onere di presentare la documentazione oggetto della dichiarazione solamente nel caso di emanazione del provvedimento a favore dello stesso dichiarante. Queste dichiarazioni potevano risultare particolarmente utili nelle procedure concorsuali dove solo i vincitori avrebbero avuto l’onere di confermare le dichiarazioni rese con la documentazione necessaria. L’articolo 4 permetteva di sostituire l’atto notorio, concernente fatti, stati e qualità personali, che fossero a diretta conoscenza dell’interessato, con una dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo dinanzi

4G. Bartoli e M.T. Pivato, Semplificazione amministrativa ed autocertificazione, SEL ,

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al funzionario della pubblica amministrazione: ciò evitava di dover ricorrere ad un notaio ed all’assistenza di 4 testimoni. Anche per le autentiche di firma, disciplinate dall’articolo 20, il legislatore introduceva delle semplificazioni. Infatti le istanze da produrre agli organi della pubblica amministrazione, che necessitavano della firma autenticata, potevano essere sottoscritte direttamente di fronte al dipendente pubblico competente a ricevere la documentazione oppure rivolgendosi ad un funzionario incaricato dal Sindaco. La norma che meglio rappresentava lo spirito innovatore della Legge 15/68 era rappresentata dall’articolo 10. Questo prevedeva espressamente che gli uffici pubblici non avrebbero potuto richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati e qualità personali che risultassero attestati in documenti già in loro possesso o che, comunque, fossero tenuti a certificare; inoltre la buona condotta, l’assenza di precedenti penali e di carichi pendenti dovevano sempre essere accertati d’ufficio.

2.1 Una legge sconosciuta

L’intervento di riforma fu subito disatteso e le norme furono disapplicate in quanto, assegnando precise funzioni ai dipendenti pubblici, operava una responsabilizzazione diretta di questi nell’azione amministrativa che avrebbe avviato un processo di demolizione di quella piramide gerarchica che ha costituito, fino alle soglie del terzo millennio, nonostante l’intervento del D.Lgs. 29 del 3 febbraio 19935, la pietra angolare di tutta la Pubblica amministrazione.

Le rilevanti novità introdotte dalla Legge 15/68 per lunghissimo tempo sono state disattese o non sono state applicate.6 Nel periodo che va dalla sua emanazione e fino al 1988 questa legge restò in pratica sconosciuta a tutte le pubbliche amministrazioni e, conseguentemente, anche ai cittadini e alle imprese. La ragione principale della mancata applicazione della normativa di semplificazione deve essere individuata nella “cultura amministrativa”, presente

5 D.Lgs 3 febbraio 1993, n.29: “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni

pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art.12 della legge 23 ottobre 1992, n.421”.

6 Cfr. Mauro Parducci, La semplificazione nei Servizi Demografici, Maggioli, Santarcangelo di

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in tutto il settore pubblico, distante anni luce dalla disciplina delle autocertificazioni, che avrebbe richiesto un’amministrazione pronta ad aprirsi ed a dare fiducia ai cittadini in un rapporto fondato sulla collaborazione anziché sul sospetto.

L’idea che stava alla base della Legge 15/68 era, probabilmente, troppo innovativa per quei tempi e finì per essere volutamente accantonata cosicché il cambiamento ritenuto necessario per una amministrazione pubblica più snella e dialogante con il cittadino non si verificò nei termini prospettati ed anzi subì condizionamenti e rallentamenti anche a seguito dei tristi avvenimenti che hanno segnato la vita del Paese negli anni settanta.

Tuttavia questi principi di semplificazione costituiranno, nella seconda metà degli anni novanta, la base fondamentale di tutte le norme di riforma e di semplificazione dell’azione amministrativa introdotte dalle cosiddette “ Leggi Bassanini”.

Fino alla metà degli anni novanta le richieste ai cittadini di presentare documenti e certificati, da parte dell’amministrazione pubblica, sono aumentate costantemente. Quasi come se il cittadino, ogni qualvolta entrava in rapporto con il sistema amministrativo dovesse dimostrare, con certificati, ben timbrati e bollati, la propria “esistenza”.

2.2 I cittadini “fattorini” della Pubblica amministrazione

Infatti ogni volta che un cittadino si presentava ad un pubblico ufficio per chiedere un’autorizzazione, un permesso, un documento, si vedeva consegnare, dal funzionario di turno, la “lista della spesa”, o meglio, la lista dei certificati e documenti che avrebbe dovuto presentare a quello stesso ufficio per poter dare avvio all’istruttoria della pratica. Così il cittadino iniziava il suo lungo percorso per gli uffici della città. Era come se dovesse salire sul “tram” e, ad ogni fermata, scendere, recarsi presso un altro ufficio pubblico, attendere il tempo della coda, richiedere il certificato (sperando che gli venisse consegnato in tempi rapidi), riportarsi alla fermata del tram e salire nuovamente per la prossima fermata. Solo quando aveva compiuto tutto il suo itinerario e raccolto

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tutti i certificati ed i documenti richiesti, nella speranza di non aver dimenticato niente e con l’auspicio che non mancasse alcun timbro, firma o bollo, poteva tornare all’ufficio presso il quale si era recato inizialmente e, finalmente, dare avvio alla sua pratica. In questa ironica descrizione, comunque corrispondente ad una realtà da tutti sperimentata, il cittadino assumeva il ruolo di “fattorino della pubblica amministrazione”. Tutto ciò ha avuto costi notevoli per la collettività.

Un’indagine compiuta dall’A.N.C.I.7 nel 1995 rilevò che ogni cittadino si presentava agli sportelli della pubblica amministrazione dalle 30 alle 45 volte l’anno con una perdita di 15-20 giornate lavorative. I circa 25.000 ufficiali d’anagrafe, impiegati in 8103 Comuni italiani, erano costretti ad impegnare più della metà del proprio tempo lavorativo per la produzione e la consegna di circa 100 milioni di certificati (una media di due certificati per ogni abitante.) per uso interno della Pubblica amministrazione: il costo stimabile di tale attività superava i 6.000 miliardi considerando anche i costi di tempi e di spostamenti dei cittadini.

Dalla stessa indagine si ricava che gli uffici anagrafici dei Comuni hanno rilasciato ai cittadini i certificati richiesti per conto dei seguenti Enti:

Pubblica amministrazione centrale 22,10%

Enti pensionistici e previdenziali 18,00%

Scuole e Università 14,30%

Gestori servizi pubblici (ENEL, Ferrovie, Telecom, Poste) 10,70%

Enti locali 9,80%

Altri enti pubblici 10,30%

Banche e assicurazioni 8,80%

Aziende private 6,00%

Dall’analisi dei dati sopra riportati si possono evidenziare due considerazioni: 1) Applicando correttamente la Legge 15/68 probabilmente si sarebbe evitato

il rilascio di circa il 85% di certificati, risparmiando 85 milioni di certificati, da 14 a 17 giornate lavorative per i cittadini, 425 tonnellate di carta e, infine, qualcosa come 5.100 miliardi.

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2) Il sistema privato (aziende, banche, assicurazioni) non ha necessità di una massa enorme di certificazioni (14,80%).

La Legge 15/68 si ispirava al principio in base al quale la certezza del dato, normalmente rilevabile dal certificato, poteva in ogni caso essere raggiunta direttamente attraverso la dichiarazione del cittadino: si partiva dall’assunto che l’interessato conoscesse i dati principali ed essenziali relativi al suo status ed alle proprie qualità. L’autentica della firma, per le dichiarazioni sostitutive di certificazioni, rappresentava la logica conseguenza di questo principio.

2.3 1988: vent’anni dopo un nuovo tentativo

Nei primi venti anni dalla sua emanazione la Legge 15/68, di fatto, non è stata applicata da alcun ufficio pubblico. Il primo vero impulso, anche di carattere pubblicitario, all’applicazione della legge è stato dato, nel 1988, da una circolare del Ministro per la Funzione Pubblica.8 In questa direttiva il Ministro richiamava solennemente le pubbliche amministrazioni ad un’attenta ed esatta applicazione della legge onde consentire ai cittadini l’esercizio di specifici diritti soggettivi soprattutto in materia di autocertificazione e semplificazione amministrativa. La circolare dava anche indicazioni precise circa la necessità di superare veti ed ostacoli nell’applicazione della legge attraverso iniziative di carattere organizzativo e funzionale tese alla formazione e ad una migliore qualificazione del personale. Si ribadiva l’obbligo per tutti gli uffici della pubblica amministrazione a dover accettare le autocertificazioni9 e l’onere di accertare d’ufficio, fatti, stati e qualità personali che risultassero già in suo possesso richiedendo d’ufficio certificati di assenza di precedenti penali e di carichi pendenti.10 Si evidenziava anche l’importanza di promuovere campagne pubblicitarie d’informazione sulle agevolazione previste dalla legge.11 Infine veniva chiarito che per l'applicazione della Legge 15/68 non dovevano essere istituiti appositi Uffici poiché le autentiche di firma sulle dichiarazioni sostitutive

8 Circolare Ministero della Funzione Pubblica in data 20 dicembre 1988 n.26779, “Istruzioni per l’applicazione della legge 4 gennaio 1968, n.15”.

9 cfr. art. 2 della Legge 15 gennaio 1968, n.15 10 cfr. art. 10 della Legge 15 gennaio 1968, n.15

11 Il Ministero della Funzione Pubblica, a tal proposito, promosse una campagna pubblicitaria

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e sulle istanze dovevano essere effettuate direttamente dal funzionario competente a ricevere i documenti autocertificati.

Nonostante questa chiara direttiva in un’indagine effettuata nell’anno 1990 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento per la funzione pubblica, fu rilevato che su un campione di 40 uffici pubblici, operanti in ambito provinciale, la Legge 15/68 veniva applicata solo nel 60% dei casi. Una successiva indagine, commissionata dall'A.N.C.I., verificò, su un campione di 2594 Comuni, comprendenti 33 milioni e mezzo di cittadini residenti, un tasso di attuazione assai esteso presso i Comuni (90%), mentre evidenziò una maggiore "resistenza" all'applicazione delle norme di semplificazione presso gli uffici della pubblica amministrazione centrale, degli altri Enti pubblici, delle Regioni, delle Province operanti nell'area dei Comuni interessati (60%) con oscillazioni del 64,1% al Nord, del 61,7% al Centro, del 56,8% al Sud e del 62,1% nelle Isole. Va anche rilevato che il dato apparentemente confortante, relativo ai Comuni, non teneva conto del fatto che, contrariamente a quanto stabilito dalla Circolare del dicembre 1988, essi, nella stragrande maggioranza dei casi, avevano istituito "appositi uffici" - di solito collocati nelle sedi degli Uffici Anagrafici - escludendo in tal modo la figura del funzionario competente a ricevere la documentazione dalle responsabilità di applicazione degli istituti previsti dalla normativa sulla semplificazione amministrativa. Probabilmente ciò era dovuto, oltre al perdurare di stati patologici di inerzia, alla maggiore dimestichezza che i funzionari degli uffici demografici avevano con la legislazione inerente le certificazioni e la documentazione amministrativa.

Dobbiamo anche rilevare che le resistenze a dare piena applicazione alla Legge 15 si trasformarono, verso la fine degli anni ottanta, in una distorta interpretazione ed applicazione della stessa legge. In pratica molti uffici pubblici, soprattutto delle amministrazioni centrali dello Stato (Motorizzazione Civile, Prefetture, Questure, INPS, ecc.), pur dichiarando formalmente di accettare le dichiarazioni sostitutive di certificazione, invitavano i cittadini a presentare le classiche certificazioni promettendo loro un iter più celere del procedimento amministrativo. Inoltre, i funzionari degli stessi uffici pubblici, costringevano i cittadini, che volevano comunque presentare le dichiarazioni

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sostitutive di certificazioni o che dovevano presentare dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, a recarsi nel Comune di residenza per autenticare la firma sulle medesime dichiarazioni. In pratica i funzionari degli uffici della pubblica amministrazione avevano, di fatto, dato una “particolare” interpretazione ed applicazione agli istituti della Legge 15/68 che determinarono conseguenze precise:

l’autocertificazione era ammessa ma l’autentica della firma deve esser fatta in Comune;

il funzionario incaricato a ricevere la documentazione non si riteneva competente ad autenticare le firme;

tutte le istanze dirette agli uffici della pubblica amministrazione dovevano essere autenticate negli appositi uffici del Comune;

le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, rese in base all’art. 4 della Legge 15/68, potevano contenere, oltre gli stati, i fatti e le qualità personali, previsti dalla norma, anche dichiarazioni relative ad atti privati a contenuto negoziale come le accettazione di incarichi o indennità, le rinunce, le procure generali o speciali, gli impegni a fare o non fare, ecc.

Il Ministero dell’Interno, a fronte di questa grave situazione ed a seguito di numerose proteste e segnalazioni provenienti dai cittadini e dagli uffici anagrafe dei Comuni, dovette intervenire ripetutamente, nel corso di quegli anni, per richiamare gli uffici pubblici alla corretta applicazione della legge. Tra i più significativi interventi ricordiamo:

• La Circolare Ministero dell’Interno n. 4 del 1990 con la quale veniva sottolineata “l’erroneità del comportamento tenuto da quegli operatori che

ritengono di poter applicare con carattere di generalità la disposizione dell’articolo 4 della Legge 15, attinenti le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà” in quanto le medesime dichiarazioni non dovevano contenere atti

privati di contenuto negoziale e manifestazioni di volontà dirette a conseguire un determinato oggetto giuridico; così il Ministero confermava che nelle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà dovevano rimanere escluse le assunzioni di impegno o intenzioni future, le accettazioni o rinunce di incarichi, le deleghe a terze persone diverse dall’interessato. Dalle suesposte considerazioni il Ministero dell’Interno traeva la

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conseguenza che,escludendo le suddette ipotesi dall’ambito di applicazione della Legge 15, veniva meno la stessa competenza di chi è incaricato di procedere alle operazioni di autentica con relativa nullità degli atti compiuti. Infine il Ministero ricordava che le norme della Legge 15, come già esplicitato dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, n. 778 del 21.10.1968, non dovevano essere applicate ai rapporti tra privati ma riguardavano solamente le istanze dirette ad una pubblica amministrazione al fine di ottenere da quest’ultima un provvedimento.

• La Circolare Ministero dell’Interno n. 26 del 1991 riprendeva in esame la problematica relativa alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà riconfermando e specificando meglio quanto già sostenuto nella precedente Circolare n. 4 del 1990 e cercando di fornire precise direttive al fine di assicurare una uniformità di comportamento da parte degli operatori degli enti locali a beneficio del cittadino che spesso rimaneva disorientato dalle differenti soluzioni adottate da più amministrazioni in presenza di una stessa fattispecie. Il chiarimento riguardava, ancora una volta, le dichiarazioni di impegno inserite nel corpo di una istanza diretta ad una pubblica amministrazione al fine di ottenere l'emissione di un provvedimento o richieste a corredo della stessa. Il Ministero dell’Interno ribadiva che la dichiarazione di impegno non poteva essere inserita nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, prevista dall'articolo 4 della Legge 15/68, cui si voleva assimilare la dichiarazione medesima. Infatti la dichiarazione sostitutiva prevista dall'art. 4 della Legge 15/68 non poteva andare al di là dell'attestazione della conoscenza di stati o fatti anche non personali e del possesso di determinate qualità personali. Il Ministero, censurando esplicitamente il comportamento di quelle amministrazioni che richiedevano la dichiarazione di un atto di impegno nel corpo di un’istanza o di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, concludeva la direttiva chiedendo espressamente alle amministrazioni pubbliche di attenersi scrupolosamente ai criteri interpretativi dettati invitando ad adeguare l'azione amministrativa e ad aggiornare la modulistica, i regolamenti vari e i bandi di concorso in quanto un diverso modo di agire sarebbe stato in evidente contrasto con lo spirito di semplificazione della Legge n. 15/68.

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• Con la Circolare n. 10 del 1993 il Ministero dell’Interno, ancora una volta, si trovava costretto ad intervenire sul tema delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà in rapporto alle dichiarazioni di impegno. Il Ministero, nel ricordare che la problematica era stata oggetto di approfondimento e chiarimenti con la precedente Circolare n. 26 del 1991, riconfermava, l’impossibilità di autenticare la firma su dichiarazioni contenenti manifestazioni di volontà di carattere « negoziale » intercorrenti fra privati ovvero inerenti rapporti privatistici quali ad esempio le accettazioni, rinunce di incarichi o le procure.

Come si può ben vedere, anche dalle disposizioni ministeriali sopra richiamate, il problema che si poneva era chiaramente legato ad una distorta applicazione della normativa. Si dovranno attendere ancora alcuni anni affinché la cultura della semplificazione dei procedimenti possa prender corpo consentendo ai cittadini un rapporto più snello con gli uffici pubblici.

3. L’amministrazione bloccata12

Nel primo paragrafo abbiamo evidenziato come il rapporto Giannini avesse avuto un grande merito storico, culturale e politico: quello di aver posto con chiarezza l’esigenza di affrontare una profonda riforma della pubblica amministrazione, non soltanto per i problemi di carattere normativo ed istituzionale, ma anche per quelli di carattere operativo ed organizzativo ponendo l'accento sul peso che un’attenta valutazione dell’efficienza e dell’organizzazione del lavoro può avere nel concorrere a risolvere i mali di una pubblica amministrazione che voglia essere funzionale allo sviluppo.

Giannini, nella sua riflessione di chiusura del Rapporto, assegna allo Stato la fisionomia di un apparato di servizio per i cittadini e non di una realtà a sé stante. La situazione che il rapporto definisce essere “gravissima ma non irreversibile” rappresentò una sorta di profezia per le possibili manifestazioni d'insofferenza che si sarebbero attivate nel caso in cui non si fosse iniziato il

12 Cfr. Francesco Paolo Cerase, Un' amministrazione bloccata. Pubblica amministrazione e

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necessario processo di riforma e di adeguamento di un apparato pubblico che fosse idoneo strumento per avvicinare il cittadino al governo pubblico dell’economia.

Nel 1984, in occasione del Seminario tenutosi il 2 febbraio a Roma nella Sala della Protomoteca del Campidoglio13, lo studioso Mario Nigro14, nella sua relazione introduttiva si chiedeva: “a che punto è il processo di trasformazione

– consapevole – e di razionalizzazione dell’amministrazione?”15 Partendo da questa domanda Nigro continuava esternando serie preoccupazioni circa lo stato della pubblica amministrazione ed affermando: “Guardando l’insieme,

come qui posso soltanto fare, lo spettacolo è indubbiamente desolante. La città amministrativa futura (futura, ma non futuribile), raffigurata da Giannini, appare come un grande cimitero di speranze. Tutto o quasi tutto del Rapporto è rimasto lettera morta.”16 In sostanza il giurista sosteneva che non si era fatto niente sul piano della introduzione delle tecniche di amministrazione (riscontro della produttività) e della tecnologia delle amministrazioni (ambienti di lavoro, informatica etc.), sul piano dell’adozione di misure aziendalistiche nella pubblica amministrazione (riforme delle ragionerie pubbliche, delle aziende autonome) che costituivano il cuore del disegno della riforma. Poco o niente anche sul piano della riorganizzazione amministrativa (ristrutturazione dei ministeri, riforma della Corte dei Conti, etc.) ed infine nulla per il raccordo decentrato fra Stato e regioni.17 Gli sporadici interventi e le timide misure organizzative adottate, come la creazione di qualche ufficio di organizzazione, qualche circolare e direttiva in temi di misurazione della produttività e di semplificazione dei procedimenti amministrativi, rimasti lettera morta per tanto tempo, non potevano rappresentare le misure necessarie a dare un concreto

13 organizzato dall’Istituto di Studi sull’Amministrazione (I.S.Am) e intitolato “Le riforme

amministrative a quattro anni dal Rapporto Giannini”

14 Mario Nigro, esperto giurista, ha insegnato Diritto Amministrativo nella Facoltà di

Giurisprudenza dell’Università di Messina, di Firenze e di Roma. Autore di libri e saggi su temi di giustizia amministrativa, sulla funzione organizzativa della pubblica amministrazione e sul governo locale. Ha fatto parte di numerose commissioni di elaborazione di leggi di riforma amministrativa.

15 MARIO NIGRO, “La totale inattuazione del Rapporto Giannini e le sue cause” in “Le riforme

amministrative a quattro anni dal Rapporto Giannini” - Milano - Edizioni Franco Angeli . 1984, p.23

16 Ibidem., p.23 17 Ibidem, p.24

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segno di cambiamento della pubblica amministrazione come aveva invocato il Ministro Giannini. Nigro riteneva che l’unico punto, delle proposte del rapporto Giannini, che aveva trovato attuazione, permettendo qualche significativo passo in avanti, era rappresentato dall’approvazione della Legge-quadro18 del 1983 di disciplina del rapporto di pubblico impiego. “Il rapporto non ha generato

degli effetti politici ma ha avuto grossi effetti culturali”19 ….si è trattato (a me pare) della sola iniziativa, in una storia ormai quasi quarantennale di discorsi sulla riforma, che tentasse di saldare opinione pubblica, cultura e politica intorno a quella aspirazione.”20 ribadiva Nigro. Le ragioni e le responsabilità del fallimento del tentativo di riforma di quegli anni dovevano essere egualmente divise tra la classe politica, i burocrati e gli esperti di amministrazione.21 Alla classe politica italiana, affermava Nigro, sembra totalmente estranea la cultura dell’amministrazione, come atteggiamento ideologico e tecnico secondo il quale l’agire politico è soprattutto amministrazione, perché questo è il momento in cui la decisione politica trova la sua utile coagulazione ed il suo sbocco operativo in quanto la decisione politica spesso è assunta senza che ad essa si accompagni la rappresentazione delle conseguenze amministrative. Esiste “…l’indifferenza del nostro legislatore per l’attuabilità amministrativa delle leggi,

problema che riguarda non solo il profilo dell’efficacia stessa delle leggi….ma il profilo, qui più importante, degli effetti di una legge inattuabile sul modo di

essere dell’amministrazione.”22 Il nostro legislatore, secondo Nigro, si

dedicava a disegnare strutture geometricamente perfette, obbedienti soltanto a preoccupazioni sistematiche, oppure, per l’esigenza di mediare tra i vari interessi, creando dei mosaici di norme le cui tessere cambiavano continuamente con il risultato di rendere l‘ordinamento un indecifrabile garbuglio di principi e disposizioni. In questo quadro nessuna amministrazione poteva operare con coerenza e con efficacia. Alla non cultura amministrativa si era aggiunta l’indifferenza della burocrazia. Il contributo negativo dato dalla burocrazia al processo di riforma si era manifestato mediante il più completo disinteresse per ogni seria iniziativa di riforma.

18 Legge 29 marzo 1983 n. 93 19 Ibidem, p.25 20 Ibidem, p.29 21 Ibidem, p.29 22 Ibidem, p.30

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Un altro fattore negativo che aveva bloccato l’innovazione nella pubblica amministrazione era dato, secondo Nigro, dalla scarsa conoscenza che si aveva della pubblica amministrazione dovuta a studi ed indagini condotte con strumenti e metodi obsoleti che non avevano tenuto in debita considerazione la profonda trasformazione avvenuta fin dalla fine della seconda guerra mondiale con la nascita dello Stato repubblicano. Si poneva pertanto il problema di uno studio approfondito, con tecniche moderne, per proporre un cambiamento dei sistemi amministrativi che comportasse un cambiamento degli atteggiamenti, delle motivazioni e del comportamento delle persone che debbono agire per l’amministrazione.

L’organizzazione pubblica deve soddisfare certe esigenze di certezza e di stabilità, le quali costituiscono il limite di un efficace processo aperto di riforma che presuppone la individuazione e la legittimazione di strumenti normativi idonei.23 Mario Nigro prende in considerazione il principio di separazione tra politica e amministrazione, proveniente dalla cultura ottocentesca italiana, come una delle più gravi ragioni dell’inefficienza della nostra amministrazione e ne fa derivare come conseguenza l’affermazione delle dominanza della politica sull’amministrazione. Egli afferma: “Separazione fra politici ed amministratori e

franca dominanza dei primi sui secondi.”24 La separazione tra politica ed

amministrazione si pone in netto contrasto con la realtà di vita degli Stati moderni che mostra una tendenziale fusione dei due momenti. I pubblici poteri nei tempi più moderni assumono la figura insieme di autorità programmatoria e di azienda erogatrice di servizi svolgendo unitamente sia un’azione politica che un’azione amministrativa. Pertanto, sostiene ancora Nigro, “la separazione di

politica ed amministrazione è illusoria e nominale… maschera una situazione diversa:….per la riconosciuta generale dominanza della politica sulla amministrazione, i politici si appropriano della amministrazione e relegano in una posizione nettamente inferiore ed esterna gli amministratori. Ciò comporta un completo stravolgimento della vita amministrativa.”25 Per l’esperto di diritto

23 Ibidem, p.43 24 Ibidem, p.44 25 Ibidem, p.46

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occorreva migliorare l’impianto dell’amministrazione dello Stato. La sua riflessione tocca gli organi più alti dello Stato sostenendo che il miglioramento dell’amministrazione non poteva prescindere da una seria revisione costituzionale. Nella relazione rilevava la mancanza nella disciplina dettata dalla Legge-quadro 93/83 del pezzo importante che riguardava l’assetto della dirigenza. Tutta la disciplina rimarrà priva di anima fino all’entrata in vigore nel 1993 del Decreto Legislativo n. 29 e senza il quale era difficile concepire la riorganizzazione dell’apparato centrale dello Stato. Il rapporto fra politica e amministrazione, ribadiva Nigro, passa per l’attribuzione ai dirigenti di posizione e compiti adeguati.26 Anche il rapporto Giannini rilevava come i dirigenti fossero stati mortificati ingiustamente con appiattimenti retributivi che avevano spinto verso l’esterno della Pubblica amministrazione i soggetti migliori. Per molto tempo ancora, continuerà l’esclusione dei dirigenti dal processo di decisione politico e questo ha rappresentato uno degli aspetti più gravi della scissione fra politica e amministrazione.

Al procedimento amministrativo Nigro dedicava le riflessioni finali della sua relazione. Egli sosteneva che negli ultimi anni i procedimenti amministrativi si erano “allungati e complicati” a scapito della rapidità e semplicità dell’azione amministrativa. Per questo era necessario riequilibrare la situazione mediante un’adeguata considerazione delle diverse esigenze espresse perseguendo, comunque, quegli di efficacia ed efficienza. Nigro concludeva il suo intervento ponendo l’attenzione su altri due aspetti decisivi per il procedimento amministrativo:

1. la necessità di disciplinare le varie fasi dei procedimenti con l’introduzione di tempi certi;

2. l’esigenza di individuare, per ogni procedimento, un responsabile unico. Questi principi troveranno piena legittimazione, pochi anni dopo, con l’entrata in vigore della Legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo.

26 Ibidem, p.48

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4. Considerazioni finali

Il difficile rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino e le proposte di riforma della pubblica amministrazione, oggetto di studio e di analisi da parte del Ministro della Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini, hanno aperto un dibattito, sul finire degli anni settanta, che lentamente, ma consapevolmente, ha fatto emergere come il cambiamento e l’innovazione dell’amministrazione pubblica rappresentassero una priorità per l’Italia.

Il Senato discusse il rapporto Giannini approvando, il 10 luglio 1980, una direttiva in cui si chiedeva una riconsiderazione della “complessa, macchinosa, e talvolta incoerente disciplina del procedimento amministrativo”, secondo queste linee di fondo:

1) delegificazione, affidando alla legge il compito di fissare principi e criteri, lasciando alle fonti sub-primarie la disciplina completa;

2) semplificazione, eliminando nella misura massima possibile l’obbligatorio concorso di pluralità di centri di pubblico potere.

La mancata applicazione della Legge 4 gennaio 1968, n. 15, considerata uno dei primi strumenti di semplificazione, ha sicuramente rallentato, se non impedito per molto tempo, l’instaurarsi di un nuovo rapporto di fiducia tra pubblica amministrazione e cittadini. I vari tentativi di convincere i funzionari pubblici a dare applicazione alla Legge 15/68 si sono rivelati del tutto inutili. Tuttavia il dibattito che si è sviluppato, negli anni ottanta, sulla necessità di riformare la pubblica amministrazione ha evidenziato una lenta ma concreta maturazione della necessità di dare una svolta al rapporto tra amministrazione e cittadini che troverà i suoi primi importanti risultati negli anni novanta.

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