tizzarli con una operazione detta digitalizzazione che segue ad un’altra operazione molto importante, detta campionamento del segnale. Questa discretizzazione pu`o anche essere vista come una necessit`a dovuta al fatto che i nostri dati osservativi non sempre saranno funzioni analitiche note. In realt`a, dopo aver familiarizza- to con le funzioni campionate, vedremo come per queste funzioni molti concetti matematici si applicano pi` u facilmente che per le funzioni continue. Qui intro- duciamo la trasformata Z e mostreremo come questa sia l’equivalente discreto della trasformata di Fourier, uno strumento largamente usato nell’analisi dei dati sperimentali.
Funzioni discrete e trasformata Z
Consideriamo subito il grafico di una funzione generica in Figura 4.1. Per rap- presentare la funzione con un calcolatore abbiamo bisogno di una serie di numeri che prendiamo campionando il valore della funzione ad intervalli regolari. Nel- l’esempio mostrato in Figura 4.1 abbiamo a che fare con una funzione del tempo s(t) dalla quale preleviamo una serie di valori ad intervalli regolari per formare il vettore:
s(t) = (... 0, 0, 1, 2, 0, −1, −1, 0, 0, ....) che riteniamo rappresentativo del segnale.
119
(a) segnale s(t)
(b) s(t) ritardato
Figura 4.1: Campionamento s t di un segnale continuo s(t).
E evidente che se avessimo preso i punti ad intervalli di tempo pi` ` u brevi avremmo ottenuto una versione pi` u fedele del segnale originale.
Ora introduciamo un altro modo di rappresentare il segnale e lo faremo usando un polinomio in una nuova variabile Z i cui coefficienti siano proprio i valori del segnale campionato s(t). Nel nostro esempio avremo:
S(Z) = 1 Z 0 + 2 Z 1 + 0 Z 2 + (−1) Z 3 + (−1) Z 4
Si noti come `e stata scelta un’associazione tra la potenza di Z e la variabile t.
Questa modo di rappresentare il segnale `e detto trasforamata Z della funzione s(t). Per chiarire ora il significato da attribuire alla nuova variabile Z proviamo a moltiplicare la nostra trasformata per lo stesso Z ottenendo:
Z S(Z) = 1 Z 1 + 2 Z 2 + 0 Z 3 + (−1) Z 4 + (−1) Z 5
Se ora consideriamo che le potenze di Z sono legate ai valori del tempo t
ed i coefficienti sono associati al valore del segnale s(t), scopriamo che questa
Si noti che, siccome i coefficienti della trasformata corrispondono proprio al va- lore del segnale, se il segnale diminuisce o aumenta i coefficienti diminuiranno o aumenteranno in corrispondenza: p.es. se il secondo segnale fosse di intensit`a dimezzata avremmo avuto:
Y (Z) = S(Z) + 0.5 Z 5 S(Z)
Naturalmente ora possiamo complicare il segnale in vario modo e questo ci porta a poter trattare la sovrapposizione di molti segnali con diversi valori sia del ritardo temporale che della ampiezza (si ricordi che questa ampiezza corri- sponde ai coefficienti del polinomio). Tutto questo possiamo scriverlo nello spazio trasformato ad esempio cos`ı
Y (Z) = S(Z) + 0.3 Z 2 S(Z) + 2.2 Z 4 S(Z) + 0.5 Z 5 S(Z) + ...
e se raggruppiamo i termini possiamo riscrivere in modo pi` u compatto:
Y (Z) = (1 + 0.3 Z 2 + 2.2 Z 4 + 0.5 Z 5 + ...) S(Z) = X
i
c i Z a(i) S(Z) (4.1)
Da questo esempio `e possibile intravedere l’essenza della teoria dei sistemi lineari:
il risultato delle nostre misure nello spazio trasformato pu`o essere rappresentato come il prodotto del segnale, che identifichiamo con P
i c i Z a(i) , con la nostra funzione originale S(Z) da cui abbiamo ottenuto tutti gli altri segnali.
Questa funzione originale la possiamo identificare con la “risposta impulsiva”
del nostro apparato di misura: si tratta quindi di una informazione importante per poter interpretare il segnale ottenuto durante la misura.
E ora necessario chiarire che abbiamo implicitamente fatto una ipotesi di `
linearit` a: il segnale risultante dalla sovrapposizione di pi` u segnali `e dato dalla
semplice somma dei singoli segnali. Se questa ipotesi `e vera (cosa che spesso accade) allora la matematica nessaria ad interpretare i segnali `e pi` u semplice ed in particolare vale la precedente eq. 4.1.
Da quella relazione si vede anche che nello spazio delle Z (lo spazio trasfor- mato) il segnale `e rappresentato dal prodotto dei due polinomi a cui abbiamo attribuito rispettivamente il senso di segnale e di risposta impulsiva del siste- ma. Ora, siccome nella moltiplicazione di polinomi il risultato `e ottenuto dalla convoluzione 1 dei coefficienti dei due polinomi di partenza, tenendo conto che i coefficienti di questi polinomi rappresentano proprio le intensit`a del segnale e della risposta impulsiva, potremo concludere che il segnale osservato `e dato dalla convoluzione del segnale intrinseco con la risposta impulsiva dello strumento di osservazione.
Nella precedente discussione abbiamo indifferentemente usato il termine fun- zione e segnale. Se per segnale “S out ” intendiamo ci`o che viene registrato all’uscita (output) di uno strumento quando in entrata (input) viene immesso uno stimolo
“S inp ”, allora possiamo dire che l’output `e il risultato della convoluzione tra a) il segnale S inp prodotto dal fenomeno fisico che si sta studiando e b) la risposta impulsiva R imp dello strumento utilizzato
che possiamo quindi scrivere:
S out = S inp ⊗ R imp (4.2)
Quest’ultima pu`o essere assimilata al segnale prodotto dal nostro strumento di osservazione quando in ingresso venisse immesso un impulso del tipo della δ di Dirac e per questo viene anche detta funzione strumentale. Si vede infatti che se S inp = δ allora la risposta dello strumento `e S out = R imp . Nel caso dell’imaging astronomico la risposta impulsiva di un telescopio corrisponde alla immagine prodotta da una stella che per definizione `e un oggetto puntiforme e quindi assimilabile ad una δ di Dirac spaziale. In pratica l’immagine di una stella al piano focale di un telescopio `e il risultato di molti fattori che intervengono a determinare la specifica funzione strumentale: p.es., il diametro del telescopio che determina il limite di diffrazione, le aberrazioni dell’ottica, la qualit`a del cielo (seeing) legata alle disomogeneit`a dell’atmosfera lungo la linea di vista.
1
La convoluzione di due funzioni f(t) e g(t) e’ definita da:
f (t) ⊗ g(t) = Z
∞−∞
f (τ )g(t − τ)dτ
S(Z) = X
t
s t Z t .
dove abbiamo usato la notazione s t per indicare i coefficienti che corrispondono al campionamento discreto (nei punti ... s 0 , s 1 , s 2 , ...) della s(t). Se ora facciamo la sostituzione Z → e iω otteniamo la cosiddetta somma di Fourier
S(e iω ) = X
t
s t e iωt (4.3)
che, dando ad ω il senso di una frequenza, `e una approssimazione all’integrale di Fourier al quale l’espressione 4.3 tende al diminuire dell’intervallo temporale ∆t con cui abbiamo campionato la funzione s(t) nell’esempio di Figura 4.1. Possiamo vedere le cose in un’altra prospettiva se diciamo che l’integrale di Fourier definito da
S(ω) = Z ∞
−∞
s(t) e iωt
si riduce alla somma precedente quando la s(t) non `e una funzione continua del tempo, ma discreta e quindi determinata solo in alcuni punti. In questo caso pu`o essere scritta come
s(t) = X
k
s k δ(t − k)
dove con δ abbiamo indicato l’impulso (o funzione) di Dirac.
Nel paragrafo precedente abbiamo gi`a visto che il prodotto di polinomi nello
spazio Z-trasformato corrisponde ad una convoluzione nello spazio del tempo. In
analogia possiamo qui dire che il prodotto nello spazio di Fourier (detto anche
spazio della frequenza) corrisponde alla convoluzione nello spazio del tempo.
Procedendo nell’analogia vediamo che mentre l’integrale di Fourier pu`o esse- re difficile o anche impossibile da risolvere, la trasformata Z `e sempre facile a farsi: semplicemente associamo potenze della variabile Z a successivi valori della funzione (che rappresentano i coefficienti del polinomio). Una volta ottenuta la trasformata S(Z) potremo poi estrarre l’informazione temporale o di frequenza a seconda che noi grafichiamo i coefficienti del polinomio o se valutiamo e gra- fichiamo S(Z = e iωt ) per diversi valori della frequenza ω. Osserviamo per`o che quando ω varia tra 0 e 2π, la variabile Z = e iωt = cos ω + i sin ω si muove nel piano complesso sul cerchio unitario in senso antiorario.
Per trasformare una funzione dal dominio t a quello Z semplicemente moltipli- chiamo punti successivi della funzione per potenze di Z. Quindi la trasformazione inversa consiste semplicemente nell’associare i coefficienti delle varie potenze di Z ai valori che la funzione assume in ben definiti punti nel tempo. L’analogia nel caso di Fourier pu`o essere vista considerando la trasformata inversa:
s(t) = 1 2π
Z ∞
−∞
S(ω) e −iωt dω (4.4)
Considerando il nostro caso di funzioni discrete sotituiamo la precedente eq. 4.3 per ottenere :
s t = 1 2π
Z π
−π
(... + b −1 e iω∗(−1) + b 0 + b 1 e iω∗1 + b 2 e iω∗2 + ...)e −iωt dω (4.5) Se scomponiamo l’integrale precedente nella somma di tanti integrali questi sa- ranno del tipo
Z π
−π
b n e iωn e −iωt dω = Z π
−π
b n e iω(n−t) dω
e quindi, trattandosi di funzioni oscillanti ( e iα = cos α + i sin α ) tutti i termini saranno nulli a meno del termine con n = t che corrisponde proprio a 2π b n che sostituito nella precedente eq. 4.5 ci assicura che l’impostazione che abbiamo dato, definendo la trasformata e la sua inversa, `e coerente. Nel nostro linguaggio possiamo dire che solo il coefficiente che corrisponde ad un esponente nullo, cio`e il coefficiente di Z 0 ( Z alla potenza zero), contribuisce al segnale s t al tempo t.
Ad un altro tempo t next il termine che produce un contributo diverso da zero (che corrisponder`a al coefficiente del nuovo Z 0 ) sar`a un altro, cio`e sar`a quello per cui n=t next . Diciamo allora che, analogamente a quanto abbiamo visto per trasfor- mata Z, l’inversa di Fourier consiste nell’identificare i coefficienti delle potenze della nuova Z → e iω usata all’inizio del paragrafo per definire la trasformata di Fourier usando l’esperienza fatta con la trasformata Z (Z-transform). 2
2
Nota: nell’esempio usato all’inizio per introdurre il campionamento di una funzione del
Cosa succede se campioniamo ad intervalli pi` u ampi lo si capisce facilmente dalla Figura 4.2 che mostra come si viene ad avere un segnale apparente con lunghezza d’onda pi` u grande (e quindi a minore frequenza) di quella effettivamente presente nel segnale di partenza. Questo effetto viene detto aliasing perch`e nella ricostru- zione del segnale invece di ottenere il segnale originale otterremmo un alias, cio`e un’altra cosa.
Figura 4.2: Visualizzazione dell’effetto di aliasing. Qui una funzione sinusoidale di periodo P viene campionata ad intervalli maggiori di ∆t = P/2, il che corri- sponde ad una frequenza del campionamento minore di quella minima suggerita dal criterio di Nyquist.
Si capisce da questo esempio come sia importante che, prima del campiona-
tempo abbiamo implicitamente assunto che i campioni fossero presi con un ∆t pari all’unit`a di tempo. Per adattare il tutto ad un generico intervallo di campionamento ∆t baster`a adottare la sostituzione:
ω → ω (∆t)
new(∆t)
old3
con ν ed ω vengono indicate rispettivamente la frequenza e la frequenza angolare.
mento di un segnale, si abbia una qualche informazione sulla massima frequenza ω max presente nel segnale.
Notazioni e simmetrie
Nella letteratura la Trasformata di Fourier (TdF) viene indicata in vario modo e, per raccordare le varie notazioni qui daremo qualche indicazione. La formulazione pi` u usata per evidenziare la reversibilit`a della trasformazione `e:
F (s) = Z ∞
−∞
f (x)e −2πixs dx (4.6)
f (x) = Z ∞
−∞
F (s)e 2πixs ds (4.7)
Un’altro modo equivalente di scriverle `e di fare il cambiamento di variabile ω → 2πs ottenendo
F (ω) = Z ∞
−∞
f (x)e −ixω dx (4.8)
f (x) = 1 2π
Z ∞
−∞
F (ω)e ixs dω (4.9)
Nelle precedenti con la maiuscola F viene indicata la trasformata e con la minu- scola f la funzione originale. La prima relazione corrisponde quindi alla trasfor- mata e la seconda alla sua inversa (antitrasformata). Le due relazioni non sono esattamente le stesse visto che l’esponente cambia segno. La combinazione delle due precedenti d`a l’usuale espressione del teorema dell’integrale di Fourier:
f (x) = Z ∞
−∞
Z ∞
−∞
f (x)e −2πixs dx
e 2πixs ds (4.10)
Naturalmente perch`e sia soddisfatta la precedente bisogna che la funzione f sod- disfi alcune condizioni di integrabilit`a che qui non discuteremo, ma che comunque le funzioni “fisiche” in genere soddisfano.
Un’altra possibile alternativa per indicare la TdF `e quella di usare la funzio- ne originale con una barra come in ¯ f oppure una tilde come in ˜ f che vengono spesso usate al posto della F . Per finire con le diverse notazioni citiamo un’altra espressione in termini di un operatore funzionale F, definito in modo tale che applicato ad una funzione ne determina la sua trasformata:
F(f) = F = Z ∞
−∞
f (x)e −2πixs dx
S(Z) = −1 e + 1 e = − cos ω + i sin ω + cos ω + i sin ω = 2 i sin ω che `e una funzione immaginaria e dispari. Analogamente possiamo provare che la funzione immaginaria e pari (i, 0, i) si trasforma nella funzione immaginaria pari 2 i cos ω e la immaginaria dispari (-i, 0, i) in una reale dispari.
Se ora consideriamo che sia la parte reale (R) che la immaginaria (I) di una funzione complessa possono essere scomposte in pari (e) e dispari (o) potremo scrivere in generale:
s(t) = (Re + Ro) + (Ie + i Io)
Figura 4.3: Cambiamenti delle propriet`a di simmetria indotti dalla trasformata
di Fourier.
Usando questa scomposizione di una funzione `e quindi possibile prevedere quali saranno le propriet`a di simmetria della sua trasformata. In Figura 4.3 sono riportati i cambiamenti delle propriet`a di simmetria delle funzioni sottoposte alla trasformata di Fourier, avendo usato la convenzione di associare lettere minuscole allo spazio della funzione di partenza e maiuscole allo spazio di Fourier.
Propriet` a della trasformata di Fourier
Adesso che abbiamo familiarizzato con alcune propriet`a della TdF conviene sof- fermarsi per un breve riflessione sul senso che pu`o avere la trasformazione che abbiamo finora discusso di un segnale dal dominio del tempo al dominio delle fre- quenze. Trattandosi di due modi diversi di descrivere lo stesso segnale, possimo vedere le due rappresentazioni come due visioni della stessa grandezza misurata.
Nel dominio del tempo vediamo il comportamento nel tempo del segnale fisico, mentre nel dominio delle frequenze vediamo l’intensit`a del segnale in termini delle sue diverse componenti in frequenza. Se il segnale temporale `e una oscillazione sinusoidale di periodo ben definito, allora `e intuitivo che nello spazio delle fre- quenze baster`a una sola componente di frequenza per rappresentare il segnale.
Allargando il discorso a segnali compositi, in cui siano presenti un gran numero di componenti, possiamo allora dire che se li trasformiamo nello spazio di Fourier saremo in grado di “vederne” la composizione spettrale cio`e una sorta di distribu- zione delle varie frequenze che li compongono e della loro importanza relativa. Un esempio di come potrebbe apparire un segnale composto da solo quattro sinusoidi di frequenza diversa `e mostrato in Figura 4.4.
Per adattare il nostro modo di pensare all’uso della TdF `e molto utile prendere nota di alcune sue propriet`a che aiutano molto nell’interpretazione dei segnali con cui avremo a che fare. Nel seguito ricordiamo le propriet`a principali, per le quali per`o non daremo la dimostrazione che sar`a comunque possibile trovare nella letteratura che introduce alla TdF.
a) La TdF `e lineare, cio`e possiede propriet`a di omogeneit`a ed additivit`a - omogeneit`a significa che se in un dominio l’ampiezza del segnale cam-
bia, allora nell’altro dominio cambier`a nella stessa proporzione. Un esempio `e mostrato in Figura 4.5
- additivit`a vuol dire che una addizione di segnali in un dominio corri-
sponde all’addizione delle loro rappresentazioni nell’altro dominio
b) La TdF della convoluzione di due funzioni f ⊗ g `e pari al prodotto delle
Figura 4.4: Il segnale mostrato in basso `e realizzato dalla somma dei 4 segnali sinusoidali di ampiezza e periodo diversi mostrati in alto.
TdF delle funzioni prese singolarmente:
F(f ⊗ g) = F ∗ G
questa propriet`a suggerisce che a volte pu`o essere conveniente non fare la convoluzione ma trasformare le due funzioni, moltiplicarle nello spazio di Fourier e poi antitrasformare il risultato per ottenerne la convoluzione.
c) L’integrale del modulo al quadrato di una funzione `e uguale all’integrale del modulo quadro della sua trasformata:
Z ∞
−∞
|f(x)| 2 dx = Z ∞
−∞
|F (s)| 2 ds
questa propriet`a (usata da Rayleigh nel 1889 nello studio della radiazione di corpo nero) pu`o essere vista come una sorta di conservazione dell’ener- gia contenuta nel segnale, una volta che questo sia stato trasformato nel dominio di Fourier.
4.2 Caratteristiche delle linee spettrali
Una tecnica osservativa importantissima per ricavare informazioni sugli oggetti
astronomici che emettono radiazione `e certamente la spettroscopia. Si tratta di
Figura 4.5: Omogeneit`a della TdF: se l’ampiezza del segnale `e cambiata in un dominio, nell’altro dominio cambia in maniera proporzionale.
una tecnica di indagine che mira alla determinazione dello spettro emesso da una sorgente e, attraverso la misura di questo spettro, ad inferire le propriet`a della sorgente stessa. Tra le informazioni che si possono ricavare per mezzo della spet- troscopia di una sorgente astronomica possiamo citare non solo la composizione chimica, la temperatura, la densit`a, la velocit`a, ma anche altre meno ovvie come la profondita’ ottica del mezzo emittente oppure lo stadio evolutivo di una stella.
In particolare qui discuteremo delle linee spettrali, anche se ricordiamo che uno spettro `e caratterizzato in generale da una componente continua e da una a linee.
Queste ultime possono poi apparire sia in emissione che in assorbimento rispetto allo spettro continuo a seconda delle condizioni fisiche e della geometria della sorgente.
• Profilo di linea I(ν): viene spesso descritto con con parametri “semplifi-
cati” come la FWHM (Full Width at Half Maximum) e la larghezza equiva-
lente EW (Equivalent Width). Quest’ultima, in particolare, `e la larghezza
di una banda spettrale tale che, se presa sullo spettro continuo adiacente
alla linea, contiene una quantit`a di flusso pari al flusso integrato nella linea
spettrale (vedi Figura 4.6).
Figura 4.6: La larghezza equivalente di una linea di assorbimento. Questa si ot- tiene costruendo un rettangolo che abbia altezza pari all’intensit`a del continuo ed area uguale all’area tra il profilo della linea ed il continuo. La base del rettangolo definisce la larghezza equivalente della linea.
Per linee di assorbimento su uno spettro continuo I cont si ha che EW × I cont =
Z
linea
I(ν)dν (4.11)
Per linee in emissione `e usuale la definizione:
EW × I ν
0= Z
linea
I(ν)dν (4.12)
dove con I ν
0si `e indicata l’intensit`a al picco della linea di emissione.
Il profilo di linea `e il risultato di tutti i processi che coinvolgono la for-
mazione della linea dalla sorgente fino all’osservatore. Se pensiamo ad un
gas che emette una linea, vi saranno dei fenomeni “locali” che ne influen-
zano il profilo che `e usualmente descritto come una funzione normalizzata
della frequenza φ(ν). La forma di questo profilo sar`a condizionata dalle
condizioni fisiche locali in cui viene emessa la radiazione. Infatti, quando
atomi o molecole emettono o assorbono radiazione lo fanno in uno stato
di moto e quindi in condizioni tali da implicare l’effetto Doppler, cio`e uno
spostamento della frequenza della radiazione emessa che `e proporzionale
alla velocit`a radiale rispetto all’osservatore. L’effetto collettivo dei diversi
spostamenti di frequenza prodotti dalla diverse velocit`a radiali degli atomi
produce quindi un cambiamento della forma (profilo) della linea spettrale
risultante.
- Allargamento Doppler termico. Questo fenomeno produce un pro- filo di linea specifico dovuto all’azione combinata di un gran numero di atomi che sono distribuiti in velocit`a secondo una boltzmanniana (caso di un gas all’equilibrio termodinamico). La proiezione su una linea di vista di un moto termico `e descritta da una gaussiana per cui il profilo di riga all’osservatore appare di questa forma:
φ(ν) ≡ G(ν) = 1 σ √
2π exp
− (ν − ν 0 ) 2 2σ 2
Nella precedente σ rappresenta la dispersione in frequenza data da:
σ = ν 0
√ 2c
2kT m + V 2
1/2
In quest’ultima relazione m `e la massa di una particella, T la tem- peratura cinetica e V tiene conto di moti turbolenti eventualmente presenti nel gas emittente e che quindi contribuiscono ad allargare ulteriormente il profilo delle linee spettrali.
La FWHM di un profilo doppler termico `e legata alla σ da:
∆ν Doppler = 2ν 0 c
ln 2 2kT m
+ V 2
1/2
= 2.3556 σ
- Allargamento collisionale. Quando la densit`a delle particelle `e alta all’allargamento Doppler termico si pu`o sommare un allargamento del- le linee dovuto alle collisioni che, all’aumentare della densit`a del gas, diventano sempre pi` u frequenti. Il profilo della linea in questo caso viene detto Lorentziano ed `e espresso da
φ(ν) ≡ L(ν) = 1 2π
∆ν L
(ν − ν 0 ) 2 + (∆ν L ) 2
dove ∆ν L = 1/(π∆t) con ∆t tempo medio di collisione che dipende dalle condizioni fisiche del gas.
- Allargamento combinato. In generale i due processi (Doppler ter- mico e collisionale) che portano all’allargamento delle linee spettrali sono contemporaneamente presenti e quindi ha senso considerare un profilo risultante dalla combinazione (in effetti si tratta di fare una con- voluzione) dei due profili specifici. Si ottiene cos`ı il cosiddetto profilo di Voigt definito da:
V (x; σ, ∆ν L )) = Z ∞
−∞
G(x ′ ; σ)L(x − x ′ ; ∆ν L )dx ′
Figura 4.7: Profilo di Voigt normalizzato, per diversi valori dei parametri σ e γ = ∆ν L che caratterizzano rispettivamente la gaussiana e la lorenziana. La curva con il picco pi` u alto corrisponde alla dominanza del caso gaussiano, quella con il picco minore si ottiene quando conta solo la parte lorenziana.
• Intensit`a integrata della linea: con questo termine si indica la potenza totale contenuta nella linea escludendo ogni contributo da parte del con- tinuo. L’intensit`a relativa misura il contrasto (rapporto) tra la linea ed il continuo adiacente. Si definisce intensit`a integrata:
Z
linea |I ν − I cont |dν
Questa quantit`a `e una funzione del numero di atomi sulla linea di vista in grado di assorbire o emettere la linea in questione. Una caratteristica questa che viene sfruttata per valutare le densit`a di colonna (column densities / curve of growth). La densit`a di colonna `e in definitiva il numero di atomi che si trovano entro una colonna di superficie unitaria che si proietta sulla linea di vista dell’osservatore, ed `e usualmente data in unit`a di cm −2 .
• La posizione della linea: `e il valore in frequenza ν, o anche della lunghez- za d’onda λ, che corrisponde al valore di massimo o minimo rispettivamente per linee di emissione o di assorbimento.
Questo parametro `e di grande importanza per:
a) l’individuazione delle specie atomiche e molecolari responsabili delle linee osservate. La frequenza di emissione di una linea `e legata alla struttura dei livelli degli stati stazionari del sistema quanto-meccanico (atomi, molecole, solidi) che la produce. Per questo `e possibile accer- tare la presenza di un particolare elemento confrontando la posizione delle linee osservate in uno spettro di un oggetto astronomico con quel- le osservate in un laboratorio, o anche solo previste dalla meccanica quantistica.
Attenzione: siccome prima di arrivare all’osservatore la radiazione pu`o subire interazioni con il mezzo interposto che possono variare si- gnificativamente la posizione delle linee spettrali, per identificare una specie atomica o molecolare si fa riferimento all’osservazione di pi` u linee contemporaneamente, verificando se tutte hanno subito la stessa variazione di posizione nello spettro
b) la misura dello spostamento Doppler (Doppler shift) che consente di risalire alle velocit`a del gas responsabile delle linee. Tra i possibili ef- fetti che spostano la posizione delle linee spettrali lo shift Doppler ha un particolare rilievo perch`e largamente sfruttato per ricavare infor- mazioni sui campi di velocit`a presenti nel mezzo che emette o assorbe le stesse linee spettrali.
∆ν ν 0 = v ||
c nonrelativistico
∆ν
ν 0 = 1 − 1 − (v || /c) 2
(1 − v || /c) relativistico
dove con v || si `e indicata la componente della velocit`a proiettata nella direzione della linea di vista.
Attenzione: lo spostamento della linea spettrale `e determinato dal valore totale della velocit`a v || che `e la risultante di componenti diverse, alcune originate nell’oggetto che si vuole studiare, altre di origine pi` u legata al moto dell’osservatore (origine “locale”). Tra queste ultime citiamo la rotazione della Terra ed il suo moto orbitale (rivoluzione), la velocit`a del sistema solare nella Galassia e, nel caso di osservazioni da piattaforma spaziale, anche la velocit`a del satellite utilzzato. Per ovviare al “rumore” nelle osservazioni, introdotto da questi moti locali,
`e usuale definire un sistema di riferimento per le velocit`a che viene
definito dalla “situazione locale” e per questo viene chiamato Local
contengono un filtro polarizzatore.
4.3 Caratteristiche generali degli spettrometri
Per estrarre l’informazione spettrale dalla radiazione si possono usare diverse tecniche, ognuna delle quali di solito `e ottimizzata per un particolare intervallo di energie. Nel caso delle alte energie (raggi X e γ) `e lo stesso rivelatore che ha una intrinseca risoluzioni in energia, mentre ad energie pi` u basse si usano varie tecniche per separare le diverse lunghezze d’onda. Queste tecniche sono in gran parte basate sul fenomeno dell’interferenza e quindi su una visione ondulatoria della radiazione.
Nel seguito introdurremo prima alcuni concetti generali che si applicano a tutti i tipi di spettrometro, per poi discutere con maggiore dettaglio l’interferometro di Fabry-Perot ed il reticolo di diffrazione.
4.3.1 Concetti generali in spettroscopia
Introduciamo alcuni concetti generali che saranno utili nella discussione che se- guir`a sugli spettrometri:
- Profilo strumentale P (ν): questo corrisponde alla risposta in frequenza dello strumento I(ν) quando la radiazione incidente `e monocromatica I 0 (ν) = δ(ν − ν 0 ). Nel trattare la trasformata di Fourier abbiamo introdotto questo concetto col nome di risposta impulsiva (vedi eq. 4.2) di uno strumento.
- Larghezza equivalente ∆ν del profilo strumentale: l’intervallo di frequenza
che, moltiplicato per il valor massimo del profilo corrisponde ad un’energia
pari a quella contenuta nella linea.
∆ν P =
Z P (ν)dν P (ν 0 )
Questo concetto `e stato gi`a introdotto a proposito del profilo delle linee con l’equazione 4.11 e la Figura 4.6.
- Il campionamento dello spettro deve tener conto della larghezza equivalente del profilo strumentale (collegamento col criterio di Nyquist).
- Il Criterio di risoluzione che si adotta di solito discende da questa consi- derazione: due radiazioni monocromatiche δ(ν − ν 1 ) e δ(ν − ν 2 ) saranno distinguibili se
ν 1 − ν 2 > ∆ν P
(Qui non si `e tenuto ancora conto della presenza del rumore che complica le cose)
- Si definisce quindi il potere risolutivo alla frequenza ν 0 il rapporto:
R = ν 0 /∆ν P = λ/∆λ P
- Il fenomeno del’interferenza `e dovuto alla differenza di cammino ottico ∆ℓ tra due onde che si incontrano nella stessa regione di spazio. Il cammino ottico ∆ℓ `e legato al cammino geometrico ∆d e corrisponde al prodotto di questo per l’indice di rifrazione n del mezzo in cui si propaga la radiazione:
∆ℓ = n∆d
4.3.2 Interferometro di Fabry-Perot e Filtri interferenziali
Un filtro interferenziale `e uno strumento in grado di trasmettere radiazione entro una limitata regione spettrale. Per questo tipo di filtri l’ampiezza della regione di trasmissione `e tale da implicare un potere risolutivo maggiore di R & 10 2 .
L’apparato che meglio si presta per illustrare il meccanismo di funzionamento
di questi filtri `e il cosiddetto interferometro di Fabry-Perot (FP) che `e costi-
tuito da due superfici, piane e parallele, semitrasparenti alle lunghezze d’onda
che si vogliono indagare. Il principio di funzionamento `e basato sull’interferen-
za costruttiva tra fasci di radiazione provenienti da riflessioni multilple tra due
superfici affacciate ed esattamente parallele. Uno schema che si presta bene a
descrivere questo interferomentro `e illustrato in Figura 4.8.
Figura 4.8: Schema di funzionamento per l’interferometro di Fabry-Perot.
Il dispositivo `e costituito da due lamine parallele semitrasparenti che separano una regione con indice di rifrazione n dall’ambiente con indice di rifrazione n 0 . Un’onda piana che incide sulla prima superficie viene in parte riflessa ed in parte trasmessa. Per facilitare la descrizione del fenomeno faremo ora riferimento ad un raggio che si propaga perpendicolarmente al piano dell’onda e che viene in parte trasmesso all’interno della cavit`a delimitata dalle due superfici parallele mostrate in Figura 4.8. La parte trasmessa, incidendo sulla seconda superficie, viene a sua volta riflessa (verso la prima faccia del filtro) ed in parte trasmessa all’esterno.
E evidente che nel volume interno alle due superfici rappresentate la radiazione ` potr`a subire riflessioni successive e, ad ogni riflessione, potr`a interferire con la radiazione entrante.
Per quantificare il problema valutiamo nel punto B 2 la differenza di cammino ottico ∆ℓ tra l’onda incidente e l’onda riflessa internamente:
∆ℓ = n(B 1 D 1 + D 1 B 2 ) − n 0 ∆s (4.13) Dalla geometria del problema ricaviamo che
B 1 D 1 = D 1 B 2 = d/ cos θ ed anche:
∆s = B 1 B 2 sin θ 0 = 2B 1 D 1 sin θ sin θ 0 = 2d tan θ sin θ 0
Utilizzando nella precedente relazione la legge di Snell per la rifrazione n 0 sin θ 0 = n sin θ
si ottiene:
∆s = 2d sin 2 θ cos θ
n n 0 Possiamo quindi riscrivere l’Equazione 4.13 come:
∆ℓ = n 2d
cos θ − n 2d sin 2 θ cos θ
∆ℓ = 2 nd 1 − sin 2 θ cos θ
= 2 nd cos θ (4.14)
Dato questo risultato, possiamo ora concludere che la condizione di interfe- renza costruttiva tra le due onde che si incontrano in B 2 (lo stesso discorso vale ovviamente anche in B 3 , B 4 , ... ) `e che la differenza di cammino ottico ∆ℓ sia pari a zero oppure ad un numero intero m di lunghezze d’onda λ della radiazione:
m λ = 2 nd cos θ (4.15)
con m che prende il nome di ordine di interferenza In conclusione, se l’onda riflessa e l’onda incidente si incontrano con la stessa fase, avremo che m sar`a un numero intero e l’interferenza sar`a costruttiva. In questo caso di interferenza costruttiva, una parte della radiazione, dopo alcune riflessioni, avr`a una certa probabilit`a di essere trasmessa dall’interferometro. Nel caso opposto, in cui tra la radiazione riflessa e quella entrante vi sia uno sfasamento e quindi m sia un numero non intero, l’interferenza sar`a distruttiva e per questo non si osserver`a radiazione emergente dal filtro. In Figura 4.9 `e illustrato uno schema di FP in cui il fascio incidente si separa in un fascio riflesso ed uno trasmesso che vengono poi focalizzati da due lenti di camera a formare le rispettive figure di interferenza.
Le due superfici parallele dell’interferometro FP formano quindi una “cavit`a ottica” in cui, una volta che un fascio di radiazione sia immesso all’interno si realizzano riflessioni successive che producono poi frange di interferenza multiple al variare di m. Per ricavare l’ampiezza A dell’onda in una data direzione θ, indichiamo con δ la differenza di fase 4 che si accumula dopo due riflessioni interne successive e con a l’ampiezza dell’onda incidente. Avremo che l’intensit`a dell’onda emergente da un FP sar`a data dalla somma di ci`o che viene trasmesso dopo un primo passaggio nel dispositivo (att ′ ), pi` u ci`o che passa dopo due successive
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