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CAPITOLO TERZO

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CAPITOLO TERZO

SOLUZIONI CONCORDATE DELLA CRISI

D’IMPRESA: PROFILI PENALISTICI

SEZIONE I

LE NUOVE PROCEDURE CONCORSUALI: I

PROBLEMATICI RIFLESSI IN AMBITO PENALE

1. La riforma delle procedure concorsuali: l.n.80/2005 e le sue

implicazioni penalistiche.

Nel tempo, la disciplina della gestione della crisi d’ impresa è stata profondamente innovata dal legislatore1. Con la legge n.80/2005 sono stati introdotti nuovi strumenti di soluzione della crisi aziendale, con funzione preventiva o sostitutiva del fallimento. Tali istituti sono accomunati dall’attribuzione di un consistente potere negoziale al debitore nei rapporti con i creditori, a fronte di una ridotta attività di controllo da parte del giudice. Si tratta degli accordi di ristrutturazione dei debiti, previsti dall’art. 182 bis l.f., e dei piani attestati, di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) l.f..

Altrettanto significative sono state le modifiche apportate fra il 2005 e il 2010 allo strumento del concordato preventivo, il quale ha perduto l’originaria natura premiale e giurisdizionale, assumendo una forma

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ibrida, a metà fra l’accordo privatistico e la procedura concorsuale

strictu sensu2.

Scopo comune di tali strumenti è quello di rendere rapida ed efficace la gestione dell’insolvenza, tramite una marcata privatizzazione del concordato e attribuendo maggior rilievo ai mezzi contrattuali di composizione della crisi.

Tuttavia, i profondi mutamenti delle procedure concorsuali, introdotti con D.L 35/2005, non hanno coinciso con un contestuale adeguamento dei reati fallimentari, causando non pochi problemi di coordinamento sistematico.

La scomparsa radicale di ogni proposito di riforma della strumentazione penale trae la sua ragione in un «incidente di percorso che ha seguito la faticosa elaborazione delle modifiche»3.

L’originario progetto di riforma, licenziato dalla Commissione Trevisanato, stilato in due versioni, caratterizzate da differenze marginali, prevedeva una profonda rivisitazione dell’intera legge fallimentare, tanto nella parte civilistica, quanto in quella penalistica4. Le motivazioni sottese al mancato intervento in campo penale sono da ravvisare nelle forti critiche che investirono il progetto di riforma, visto il forte abbattimento dei limiti edittali, previsto per i reati di bancarotta.

Il tema che ha fatto discutere la giurisprudenza e la dottrina era incentrato sulla circostanza che la bancarotta individuale -commessa dall’imprenditore fallito- fosse punita con una pena fino a sei anni,

2 V. SPINOSA, in Il c.d. decreto sviluppo nel sistema della legge fallimentare:

i rapporti tra nuove procedure concorsuali e profili di responsabilità penale, in Diritto penale contemporaneo, 2/2013 cit., pag.100.

3

A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni

concordate delle crisi d’impresa. Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2006, pag. 111.

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mentre quella societaria -commessa dall’amministratore della società- fosse punita più lievemente, con una pena fino a quattro anni.

Si evidenziò, in dottrina5, come tale dislivello sanzionatorio avrebbe consentito una rapida estinzione dell’ipotesi di bancarotta più grave e che una tale previsione appariva in contrasto con una secolare tradizione di studi, che da sempre rilevava la maggiore gravità delle condotte di bancarotta societaria.

A fronte delle forti critiche, il legislatore, anziché apportare modifiche al testo di legge, decise di procedere con la cancellazione definitiva di tutte le questioni penalistiche dall’agenda della riforma delle procedure concorsuali.

Quindi la riforma del 2005 apportò innovazioni incisive al comparto civilistico della L.F., lasciando immutata la disciplina penalistica. Tale atteggiamento del legislatore portò ad esiti di «imprevedibile contraddittorietà ed inefficienza»6.

Il diritto penale dell’impresa assume oggetti di tutela che non si rinvengono in rerum natura ma sono forgiati, creati, determinati dalla disciplina civilistica.

Da ciò consegue che ogni modifica di quest’ultima si riverbera sulla parte penalistica, perché ne «muta silenziosamente gli elementi costitutivi»7 .

In altri termini, nel diritto penale d’impresa, qualsiasi variazione attinente all’ambito civilistico, se non collegata con le previsioni sanzionatorie, comporta problemi interpretativi ed applicativi della nuova disciplina introdotta.

5 A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni

concordate delle crisi d’impresa, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2006, pag.111;

V. SPINOSA, in Il c.d. decreto sviluppo nel sistema della legge fallimentare: i

rapporti tra nuove procedure concorsuali e profili di responsabilità penale, in Diritto penale contemporaneo, 2/ 2013 cit., pag. 100;

6 A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., pag. 112. 7 A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., pag. 112.

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2. Il nuovo concordato preventivo e le sue implicazioni penalistiche.

Nel sistema fallimentare, precedente alla riforma del 2005, il concordato preventivo rappresentava una procedura “minore”, alternativa al fallimento e caratterizzata da notevole rigidità sia per le percentuali da garantire ai creditori sia per la pervasività e severità del controllo giudiziario8. L’accesso al concordato preventivo era consentito sulla base

della sussistenza dei requisiti soggettivi del debitore e dell’insolvenza: condizione quest’ultima, sostanzialmente analoga, fatta salva la natura anticipatoria del concordato, a quella richiesta per il fallimento. L’orientamento prevalente9 equiparava il decreto di ammissione al

concordato preventivo alla declaratoria fallimentare, giustificando, in tal modo, la previsione dell’art 236, comma 2 n.n. 1 e 2 L.F10.

Il decreto n. 80/2005 ha profondamente trasformato l’istituto del concordato preventivo, rendendo tale procedura maggiormente funzionale all’obbiettivo di risanamento dell’impresa. Con riguardo alla disciplina

8 Per approfondimenti si rinvia al par. 7 del capitolo primo.

9 A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, pag. 897.

10 L’art. 236 L.F. recita: E' punito con la reclusione da uno a cinque anni

l'imprenditore, che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di ottenere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o il consenso degli intermediari finanziari alla sottoscrizione della convenzione di moratoria di amministrazione controllata, si sia i attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti. (2)

Nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si applicano:

1) le disposizioni degli artt. 223 e 224 agli amministratori, direttori generali,

sindaci e liquidatori di società;

2) la disposizione dell'art. 227 agli institori dell'imprenditore;

3) le disposizioni degli artt. 228 e 229 al commissario del concordato preventivo o dell'amministrazione controllata;

4) le disposizioni degli artt. 232 e 233 ai creditori.

Nel caso di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari o di convenzione di moratoria, si applicano le disposizioni previste dal secondo comma, numeri 1), 2) e 4)”

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penalistica rileva una duplice novità. La prima: l’eliminazione di ogni riferimento sia ai requisiti personali del debitore in sede di ammissione, sia al giudizio di meritevolezza in sede di omologazione. La seconda: lo stato di crisi -in luogo del precedente stato di insolvenza- quale presupposto economico-finanziario legittimante l’ammissione al concordato.

Da questa innovazione sarebbe potuto derivare un primo ordine di problemi di carattere penalistico.

Nella versione originaria del D.L. n. 80/ 2005, l’art. 160 l.f., non chiariva cosa dovesse intendersi per “stato di crisi”. Era nato un dibattito fra coloro che vi vedevano ricompresa anche l’insolvenza e coloro che invece sostenevano che si trattasse di un fenomeno radicalmente diverso dal primo, così, in caso di insolvenza, il debitore non avrebbe potuto accedere alla procedura di concordato 11.

Tale dibattito è stato risolto dallo stesso legislatore che con l’art. 36, co.1, D.lg. 30 dicembre 2003, n.273 ha inserito un secondo comma nell’art 160 l.f., così sancendo che per “stato di crisi” si intende anche “stato di insolvenza”. La scelta operata in merito al presupposto oggettivo legittimante l’ammissione a concordato preventivo, se valutata in riferimento alle disposizioni penalistiche presentava qualche margine di perplessità. Ciò in quanto il legislatore non aveva proceduto a coordinare i nuovi art 160, 161, 163 con il vecchio testo dell’art 162 l.f. .

Nel nuovo sistema del concordato preventivo, al giudice è precluso qualsiasi sindacato nel merito della proposta, dovendosi limitare ad accertare la completezza e la regolarità della documentazione depositata a supporto del piano. A fronte di tale verifica formale, l’art. 162 vigente al tempo della riforma, consentiva al tribunale con decreto non reclamabile, di dichiarare inammissibile la proposta, ed al secondo comma di dichiarare d’ufficio il fallimento del debitore. Nel testo originario l’art. 162 l.f. recitava: «Il tribunale, sentito il pubblico ministero e

11 A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

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occorrendo il debitore, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta se non ricorrono le condizioni previste dal primo comma dell'art. 160 o se ritiene che la proposta di concordato non risponde alle condizioni indicate nel secondo comma dello stesso articolo. In tali casi il tribunale dichiara d'ufficio il fallimento del debitore.»

Orbene, posto che il debitore, nella rinnovata procedura concordataria, può presentare proposta di concordato anche in condizioni di non insolvenza e cioè in stato di crisi, stante il rigido automatismo che -ex art 162, co. 2 l.f.- collegava l’inammissibilità della proposta alla declaratoria fallimentare, ne conseguiva che in tal caso il fallimento sarebbe potuto essere dichiarato per un quid minus rispetto all’insolvenza. Da qui sarebbe emersa una grave disparità sul piano penale poiché si sarebbe arrivati ad estendere l’ipotesi di cui all’art 236, co.2 l.f., ad un presupposto “meno grave”: lo stato di crisi12 .

Il legislatore ha risolto tale problema di coordinamento con il d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con il quale ha sostituito il testo originario dell’art 162 l.f. con il seguente: «Il Tribunale, se all'esito del

procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il Tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore.»

In base alla disciplina attuale, in caso di inammissibilità della proposta concordataria, il tribunale può dichiarare il fallimento del debitore solo dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti richiesti agli artt. 1 (Superamento dei limiti dimensionali) e 5 (Insolvenza) della l.f..

12 A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, pag. 897; A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., pag. 112.

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La riforma della procedura di concordato preventivo poneva al penalista un ulteriore tema di riflessione: la tutela della correttezza delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore. Si è già sottolineato come il nuovo art. 163 l.f. sottragga al tribunale qualsiasi potere di sindacato nel merito della proposta di concordato. Questo riportava alla luce il problema del controllo sull’attendibilità della documentazione su cui riposa la proposta di concordato, nonché sulla serietà ed affidabilità della certificazione resa dal professionista attestatore. Il mancato intervento della riforma in campo penale, apriva lacune di tutela in merito a tale questione.

La dottrina13 rilevava come il rimedio apprestato all’art 236 1°co. fosse insoddisfacente. Il 1° co. di tale art. recita: «È punito con la reclusione da uno a cinque anni l'imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si sia attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti.»

Si evidenziava14 come tale fattispecie configurasse un reato proprio dell’imprenditore individuale, e non essendo consentito il ricorso alla analogia -in tal caso in malam partem- non sarebbe stato possibile estendere la norma incriminatrice ai soggetti di gestione e controllo delle società commerciali. Inoltre, l’art. 236, 1°co., l.f. si limita a punire l’esposizione di attività inesistenti, condotta che può essere realizzata dall’imprenditore, sia in sede di ammissione al concordato,

13

A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, p. 897; A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., 112; A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., 112;

14 A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, p. 897; A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., 112;

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sia in un momento successivo, ove cioè fornisca documentazione integrativa. Sono escluse dall’ambito applicativo della norma condotte di sopravvalutazione di attività esistenti, sottovalutazioni di passività esistenti e occultamento di passività inesistenti.

In mancanza di una specifica ipotesi di reato che sanzionasse eventuali condotte illecite tenute dal professionista attestatore, una parte della dottrina rinveniva la tutela penale della correttezza del flusso di informazioni economiche e finanziarie, che concorrono ad attribuire serietà alla proposta di concordato preventivo, nel delitto di truffa ex art. 640 c.p.15, delitto procedibile d’ufficio. Dunque, le condotte di occultamento o la sottovalutazione di passività o l’esagerazione di attività esistenti, realizzate dall’imprenditore, in sede di ammissione al concordato, nonché dal professionista, nella relazione di certificazione, sarebbero state sanzionate, nel silenzio del legislatore, come truffa ex art 640 c.p..

Altra parte della dottrina16 escludeva la configurabilità di condotte

penalmente rilevanti nelle eventuali falsità contenute nella relazione del professionista sottolineando come: «l’ipotesi di patologiche attestazioni informative, in difetto di previsioni incriminanti specifiche, mal si attaglia alle figure di reato preesistenti alla riforma. In prima battuta l’area di rilevanza penale deve essere sgombrata da tutto ciò che attiene all’opinamento prognostico: attività riferite alle

15

A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, p. 897; A. ALESSANDRI segnala

un ulteriore orientamento secondo il quale si sarebbe potuto ricorrere all’applicazione dell’art 483 c.p., ossia falsità ideologica, commessa da privato in atto pubblico. Alessandri critica tale visione, in quanto, la fattispecie non sarebbe adeguata ad includere una relazione come quella richiesta dall’art 161 l.f., colma di valutazioni e stime, alle quali mal si concilia il concetto di verità. (A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., 112;)

16 Orientamento riportato da: G.

BERSANI, La responsabilità del

professionista attestatore ai sensi dell’art.236-bis fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in crisi d’impresa e fallimento , 2015,

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nozione di “ragionevolezza”, di “idoneità” , o “ fattibilità” escludono in radice a priori la ricorrenza non solo dell’elemento soggettivo doloso delle fattispecie penali richiamabili, ma anche taluni elementi oggettivi tipici specializzanti l’ipotesi di reato, quali ad esempio “artefici e raggiri” nella truffa, non potendosi definire fraudolento in senso penalistico ciò che attiene alla esplicitazione -per quanto corredata dalla affidabilità professionale- di convincimenti prognostici soggettivi, ontologicamente esposti all’alea ed all’opinabilità»17. L’aspetto dell’individuazione di una particolare responsabilità in capo al professionista che redige falsamente la relazione ex art. 161 L.F. era stato esaminato in giurisprudenza dal Tribunale di Bologna, secondo cui: « … pur emergendo il tentativo di “qualificare il piano per il concordato preventivo e le sue allegazioni, il legislatore non ha sanzionato sotto alcun profilo -viceversa tipico delle attività “ fidefacienti”- la responsabilità del professionista di cui all’art. 28, incaricato dal debitore perché attesti la veridicità dei dati aziendali ivi riportati e la fattibilità del piano concordatario: ne deriva che gli elementi forniti dai suddetti documenti (individuati sub art. 161 co. II ) costituiscono la base primaria per le fasi successive della procedura, ma che -salvo costituire un prezioso contributo critico sull’attendibilità dei valori contabili, un approfondimento ed un chiarimento sull’entità delle risorse a disposizione, ecc.- anche la relazione di cui all’art.161 co. III assume rilievo a medesimo livello degli altri atti, cui si riferiscono le valutazioni affidate al Tribunale18».

17 G.BERSANI, La responsabilità del professionista attestatore ai sensi

dell’art.236-bis fra analisi dottrinali e prime applicazioni giurisprudenziali, in crisi d’impresa e fallimento, 2015, pag. 7.

18

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In tal senso si era espresso anche il Tribunale di Torino19, il quale aveva affermato che «Il professionista che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ai sensi dell’art. 161, 3°co. L.F non può essere considerato pubblico ufficiale ai fini dell’art. 357 c.p. e, di conseguenza, in caso di false attestazioni non risponde del reato di cui all’art. 479 c.p.20 »

3. Accordi di ristrutturazione dei debiti e loro implicazioni penalistiche

Tra le diverse modifiche, apportate dalla legge del marzo 2005, rileva l’introduzione di un nuovo istituto: l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art 182 bis l.f..

La dottrina21 si interrogò sul grado di coinvolgimento penalistico di

tale nuovo istituto, . chiedendosi se la nuova procedura di risoluzione della crisi potesse essere accostata o meno al concordato preventivo: era in gioco l’eventuale applicazione dell’art 236 l.f.. La risposta a tale interrogativo fu negativa. Confrontando la procedura ex art. 182 con quella tracciata dall’art 161 l.f. si rilevava chiaramente la differenza tra i due istituti22. Così, si concluse per l’estraneità degli accordi dalla sfera di possibile applicazione dell’art 236 l.f. . Comunque, ciò che preoccupava maggiormente la dottrina era stabilire se nell’ipotesi di insuccesso degli accordi, seguiti dal fallimento, sarebbero potute essere

19Tribunale di Torino, IV sez. pen., in Il Fallimento, 2010, pag. 1439

20 Al fine di risolvere tali problemi interpretativi, il legislatore ha introdotto con l. n 83/2012 l’art- 236- bis per sanzionare eventuali omissioni o falsità dichiarate dal professionista attestatore nell’ esercizio delle proprie funzione. Per un’analisi approfondita della nuova ipotesi di reato introdotta si rinvia al par. 3 della Sezione terza del presente capitolo

21

A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, p. 897

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integrate la fattispecie di bancarotta preferenziale o bancarotta semplice.

Si sarebbe potuta integrare la bancarotta semplice, in specie per aggravamento del dissesto (art.217, co.1°n.4 l.f), qualora si fosse potuto argomentare che l’accordo non fosse risultato altro che un imprudente espediente per ritardare il fallimento, ovvero che tale ritardo avrebbe avuto come risultato l’aggravamento del dissesto. Inoltre, si poteva porre un problema di bancarotta preferenziale, qualora fossero stati pagati solo alcuni creditori, a causa della mancata esecuzione integrale degli accordi.

La dottrina escludeva, in via di principio, l’applicazione della figura di reato. Infatti, il debitore aveva adempiuto ad un accordo omologato. Nel caso, sarebbe stato necessario comprendere la ragione per la quale gli accordi non avessero avuto esecuzione integrale, e solo nel caso in cui si fosse accertato che i medesimi mascheravano artificiosamente un preordinato programma di preferenze, si sarebbe integrata l’ipotesi di bancarotta preferenziale23.

Infine, anche con riferimento a tale strumento, si poteva profilare il problema della falsità della relazione redatta da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso. Il problema, che era già stato rilevato con riferimento al concordato preventivo, veniva risolto con le medesime soluzioni offerte nel precedente paragrafo.

4. Il raccordo fra la nuova revocatoria fallimentare e la fattispecie preferenziale.

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Fra le modifiche apportate dalla L. 80/ 2005, la più incisiva riguardò l’istituto della revocatoria fallimentare. Oltre alla riduzione del periodo sospetto, fu previsto l’allargamento delle operazioni sottratte all’azione revocatoria: in particolare, quelle previste all’art 67, comma 3°, lett. B) e d) l.f.

Ogni mutamento della disciplina in materia di revocatorie, interessa immediatamente la figura della bancarotta preferenziale (art. 216, co.3°l.f.).

Da sempre, nella prassi, la fattispecie incriminatrice ritaglia un’area sostanzialmente omogenea a quella disciplinata dall’art 67 l.f. . La configurabilità del reato postula un epilogo preciso: la dichiarazione di fallimento. Sul piano sostanziale la fattispecie criminosa presuppone che, al momento del negozio solutorio, l’impresa versi in stato di insolvenza o che questo si rappresenti “già alle porte”24 ,poiché solo in

condizione di chiara criticità è possibile che un atto lecito- il pagamento- con il quale il debitore tenti di superare la difficoltà economica, possa ledere la par condicio creditorum. Sia la revocatoria fallimentare che la fattispecie preferenziale puntano a colpire «eventuali "colpi di coda" dell'imprenditore ormai prossimo al dissesto, che miri a realizzare una gestione artatamente "selettiva" delle ultime risorse sociali»25. Tuttavia non si potrebbe ravvisare26 una completa specularità fra revocatoria e bancarotta preferenziale - essendo pacifico, da un lato, che un negozio revocabile possa anche non rappresentare un pagamento preferenziale, ed essendo ugualmente possibile, dall'altro, che un atto in concreto non revocabile possa

24 A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, pag. 897.

25 F. D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217-bis l.Fall, in Le Società, 02/2011, cit pag. 201.

26

A. MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure

concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, p. 897; F. D’ALESSANDRO, Il

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tuttavia rilevare penalmente a titolo di bancarotta preferenziale. Nonostante tale considerazione, la dottrina penalistica ha sempre guardato con molto interesse alla struttura della revocatoria fallimentare27 , per scorgere condotte potenzialmente preferenziali. In altri termini, i due istituti rappresentavano, rispettivamente, l’istituto civilistico e l’istituto penalistico a tutela della par condicio creditorum. Prima del 2005, invero, gli atti revocabili ex art. 67, 3°co. l.f. tracciavano il confine dei comportamenti penalmente illeciti, all’interno di tale ambito venivano selezionati i fatti integranti la bancarotta preferenziale, in forza dell’elemento specializzante del dolo specifico, di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi28. Infatti, la bancarotta preferenziale ha tradizionalmente attinto all'ambito di applicazione della revocatoria fallimentare, al fine di colmare le proprie lacune di determinatezza, dovute principalmente al ruolo determinante attribuito, nella fattispecie di cui all'art. 216, comma 3,

l.f., al peculiare atteggiamento psicologico dell'imprenditore.

Il D.lg. 35/ 2005, con la netta riduzione degli atti oggetto di revocatoria fallimentare e soprattutto con l’introduzione di un cospicuo numero di esenzioni legali, aveva comportato una profonda “frattura” nel rapporto di complementarietà, che da sempre collegava l’istituto civilistico ex art.67 l.f. alla fattispecie preferenziale di cui all’art. 216, co. 3°l.f., nel frattempo rimasta immutata.

Alla dottrina si poneva il problema di delimitare il perimetro dell’area di rilevanza penale delle condotte preferenziali. Si rendeva necessario comprendere se gli atti, le garanzie ed i pagamenti posti in essere in esecuzione di uno degli strumenti di risoluzione concordata ed esentati da revocatoria, fossero o meno idonei ad integrare la bancarotta preferenziale. La risposta positiva a tale interrogativo -in primis-

27 INSOLERA, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato preventivo, cit., pag. 462.

28 INSOLERA, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato

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avrebbe comportato la lesione del principio di sussidiarietà del diritto penale. Infatti, si sarebbe determinato un eccessivo avanzamento della tutela penale, la quale -lungi dal rappresentare l'extrema ratio a disposizione dell'ordinamento- avrebbe assunto il ruolo di primo “avamposto sanzionatorio”29, colpendo condotte che il diritto civile non riteneva più opportuno sanzionare30; era insostenibile affermare che un fatto civilisticamente lecito sarebbe potuto risultare penalmente rilevante 31.

Inoltre, il legislatore, in caso di criminalizzazione delle condotte esentate da revocatoria, sarebbe risultato contraddittorio; da una parte era intervenuto con la riforma del 2005 per incentivare l’utilizzo delle soluzioni concordate della crisi d’impresa e gli strumenti privatistici; dall’altra, lasciava correre il rischio all’imprenditore che avesse utilizzato tali strumenti, con esiti negativi, sopraggiunto il fallimento, di integrare l’art. 216, 3° co. l.f., con conseguente incriminazione penale per delitto di bancarotta preferenziale.

Sulla base di tali considerazioni, la dottrina 32 era concorde nell’affermare la mancanza di antigiuridicità del fatto materiale corrispondente all’esenzioni introdotte all’art 67 l.f.

La stessa si divideva in merito alla determinazione del fondamento giuridico dell’esclusione della responsabilità. Alcuni autori 33 ritenevano che l’art 67, 3°co. l.f. avesse inciso sulla tipicità del fatto:

29 Giunta, F. Revocatoria e concordato preventivo: tutela penale. Dir. prat. Fall, 2006, pag. 35.

30Giunta, F. Revocatoria e concordato preventivo: tutela penale. Dir. prat. Fall,

2006, pag. 35.

31

32 Ex multis, ALESSANDRI

, Profili penalistici delle innovazioni, op., 124; 33

COCCO, Esenzioni dai reati di bancarotta nel “nuovo” art. 217bis della legge fallimentare, in Legislazione penale, 2011, pag. 8.; ALESSANDRI, Profili

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le condotte esentate non sarebbero state qualificabili come tipiche ex art. 67, 3° co. l.f. in quanto avrebbero ridefinito i confini della bancarotta preferenziale, escludendone la rilevanza penale. La dottrina maggioritaria34 sosteneva che tali condotte fossero tipiche ma non antigiuridiche. All’interno di tale indirizzo, vi erano coloro che richiamavano l’operatività della scriminante del consenso dell’avente diritto di cui all’art 50 c.p. e coloro che ritenevano, altrimenti, che si dovesse far riferimento alla scriminante di cui all’art 51 c.p., ovvero l’ esercizio di un diritto. Coloro che richiamavano l’operatività dell’art 50 c.p. argomentavano come segue: i creditori avevano votato e acconsentito alla proposta di accordo di ristrutturazione o concordato preventivo, in tale sede gli stessi avrebbero prestato il loro consenso alla violazione della par condicio creditorum. Naturalmente, ai fini dell’applicabilità della scriminante era necessario che i creditori fossero informati in modo veritiero e completo, in caso contrario il consenso sarebbe stato viziato.

La scriminante dell’art 50 c.p. non poteva essere applicata ai piani di risanamento, essendo questi predisposti unilateralmente dall’imprenditore, e non essendo sottoposti a un necessario consenso dei creditori. Tuttavia, anche per tali strumenti sarebbe stata esclusa la configurabilità della fattispecie preferenziale per mancanza dell’elemento soggettivo tipico della bancarotta preferenziale35.

Al contrario, altri autori, per poter includere nell’operatività della scriminate anche i piani di risanamento, sostenevano l’applicazione della scriminante dell’esercizio di un diritto ex art 51 c.p., in quanto gli adempimenti eseguiti ex art 63, 3 ° co. l.f: sarebbero rientrati in tale categoria.

34

In questo senso G. INSOLERA, Riflessi penalistici, cit., pag. 465; A.

MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, pag. 897.

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Comunque, su un aspetto conveniva tutta la dottrina anteriore all’ introduzione dell’art 217-bis l.f.: sarebbe stata opportuna una disposizione che escludesse espressamente la bancarotta preferenziale e semplice per gli atti esenti da revocatoria fallimentare36.

4.1 La giurisprudenza antecedente all’ introduzione dell’art 217 – bis l.f.

La giurisprudenza 37 dimostrava che la bancarotta preferenziale rappresentava la vera insidia di tutte le soluzioni privatistiche e concordate della crisi d’impresa, suscettibile di inaspettate “contorsioni” interpretative. Il più delle volte, i “piani” di salvataggio erano considerati non credibili o non ragionevoli unicamente sulla base del loro fallimento, ovvero con lo scontato senno di poi, come se il piano fosse l’unico elemento in gioco nella soluzione della crisi38.

L’innovazione del comparto civilistico non accompagnata da una modifica dei reati fallimentari, disciplinati in modo obsoleto, aveva comportato seri problemi applicativi. La tutela penale non rappresentava più l’extrema ratio, e poteva arrivare a punire comportamenti che il diritto civile non sanzionava più 39. Prima della riforma del 2005, la giurisprudenza assumeva un atteggiamento rigoristico nell’applicazione del reato di bancarotta preferenziale. Nella sentenza del 22 marzo 2004 n.13893 la sez. V. della Cassazione afferma che nella bancarotta preferenziale il dolo specifico deve coprire il solo animus favendi, essendo sufficiente rispetto all’animus

36

Ex multis, ricordiamo BRICCHETTI-MUCCIARELLI-SANDRELLI,

Commento agli artt. 216-241 r. d. 16 marzo 1942 n. 267, op. cit., 2731. 37 Cass. Pen. Sez. V 23 febbraio 2000, n. 2126.

38

ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., pag.124. 39

Giunta, F. Revocatoria e concordato preventivo: tutela penale. Dir. prat. Fall, 2006, pag. 35.

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nocendi il dolo eventuale, e che comunque lo scopo di danneggiare i

creditori non deve essere necessariamente esclusivo ma può coesistere con altri scopi, tra cui quello di garantire la continuità aziendale40. Tale orientamento è stato riaffermato anche in alcune sentenze41 successive alla riforma del 2005.

Tale atteggiamento rigoristico della Cassazione è mutato in seguito a un’importante sentenza la n. 31168 del 20 marzo 2009. In tale pronuncia la sez. V della Cassazione ha affermato un orientamento opposto a quello sopra riportato. In tale sentenza la Corte afferma42: «

La bancarotta preferenziale (art. 216, comma terzo, L. fall.), sul piano oggettivo richiede la violazione della par conditio creditorum nella procedura fallimentare e, sul piano soggettivo, la ricorrenza della forma peculiare del dolo, costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualità di un danno per altri, finalità che deve risultare primario interesse perseguito dal debitore, con la conseguenza che la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevolmente presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, è incompatibile con il delitto, soprattutto alla luce della riforma, introdotta dal D.L.vo 269 del 2007, dell’azione revocatoria e specialmente dell’art. 67, comma terzo, L. fall.».43

40 Cass. Sez. V. 22.3.2004., n. 13893.

41 Vedi trib. Brescia, 7.12.2006, in Riv. Dott. Comm., 2008, 107, con nota di Troyer.

42 cfr. anche Cass. Sez. V. n. 48802 5 dicembre 2013. 43 Cass. Sez. V. 31168, 20 marzo 2009

(18)

SEZIONE II

L’INTRODUZIONE DELL’ART 217-BIS L.F. (ESENZIONE DAI REATI DI BANCAROTTA)

1. L’introduzione dell’art 217-bis L.F. La ratio dell’intervento legislativo.

In sede di conversione del D.L 31 maggio 2010, n. 78, «misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» (c.d. Manovra correttiva), il legislatore ha ritenuto dover aggiungere il comma 2-bis all’art. 48 del D.L medesimo, introducendo l’art 217-bis l.f., rubricato «esenzione dai reati di bancarotta».

L’articolo -nel testo originario- recitava: Le disposizioni di cui all'articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis ovvero del piano di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d).

Tale testo costituisce recepimento di un emendamento presentato dal Sen. Latronico del PDL, nella seduta del 2 luglio della Commissione Bilancio. Il medesimo è stato preferito ad altri tre emendamenti, anch’essi presentati da senatori del PDL. Quest’ultimi, come quello approvato, prevedevano l’esclusione della punibilità per i reati di bancarotta preferenziale e semplice in caso di operazioni o pagamenti effettuati in esecuzione di una soluzione concordata. Tuttavia, i medesimi precisavano, espressamente, che per far operare la clausola

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di esonero, detti pagamenti non avrebbero dovuto essere frutto di condotte fraudolente44, non si sarebbe dovuto accertare uno dei fatti previsti dall’art 173 l.f. 45 , ovvero condotte ingannatorie nell’elaborazione del piano o degli accordi46.

La ratio di fondo che ha spinto il legislatore a introdurre la disposizione in esame è quella di incentivare l’utilizzo delle soluzioni concordate della crisi d’impresa, potenziate e innovate con la l. n. 80/ 2005. Come abbiamo già visto, tale riforma aveva comportato seri problemi di raccordo con la disciplina penalistica. I problemi di coordinamento sistematico si evidenziavano, soprattutto, nel momento in cui le procedure alternative al fallimento non avessero avuto l’esito sperato -il risanamento dell’impresa- e sopraggiunta la dichiarazione di fallimento, l’imprenditore e i creditori avrebbero corso il rischio di essere incriminati per bancarotta preferenziale o semplice. A tale problematica, la giurisprudenza e la dottrina avevano cercato di dare soluzioni interpretative di vario genere47 ; tuttavia, tale rischio

permaneva e comportava un forte disincentivo all’utilizzo delle procedure di risanamento. Dunque, l’art. 217-bis l.f., escludendo espressamente la punibilità per le operazioni compiute in esecuzione di uno dei progetti di risanamento da tale norma richiamati, mira, in

44 Emendamenti 48.12 e 48.13 presentati dal Sen. Costa. Emendamenti respinti.

45

Si riporta il testo dell’art.: il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell'articolo 171, secondo comma.

46 Emendamento 48.0.2 presentato da Sen. Tancredi. Emendamento respinto. 47 Per un approfondimento sulle soluzioni interpretative offerte da Giurisprudenza e dottrina si rinvia alla sezione precedente di tale capitolo.

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primis, ad assicurare dal rischio penale l’imprenditore che tenti il

salvataggio della propria impresa e, in secundis, rendere maggiormente sicuro l’intervento di soggetti estranei, sollevandoli dal timore di essere incriminati per concorso in bancarotta , qualora gli esiti degli strumenti di composizione della crisi, fondati su accordi fra creditori e debitore, non abbiano successo e, nonostante il tentativo di salvataggio, l’ impresa fallisca.

Quest’ultima problematica si evidenziava soprattutto con riferimento agli esponenti del mondo bancario, il cui intervento molto spesso era imprescindibile per tentare di realizzare il salvataggio del complesso aziendale. Il rapporto tra banca e impresa in crisi è stato uno dei temi più dibattuti del diritto penale fallimentare e le soluzioni elaborate in proposito dalla dottrina 48 non sempre hanno trovato sicura applicazione giurisprudenziale49. La giurisprudenza assumeva un

atteggiamento rigoristico nei confronti del mondo bancario. Spesso, gli intermediari finanziari, intervenuti a sostegno dei progetti di risanamento, attraverso l’erogazione di c.d. nuova finanza, venivano incriminati come concorrenti nel reato di bancarotta preferenziale50.

Sul punto vedi: 48 COCCO, Esenzioni dai reati di bancarotta nel “nuovo”

art. 217bis della legge fallimentare, in Legislazione penale, 2011, pag. 8. 49Cass. Pen. Sez. V 23 febbraio 2000, n. 2126; Cass. Pen. Sez. V, 1 dicembre 1999, in Giur. It., 2002, 1259 nota di VINCIGUERRA; Trib. Ferrara, 9 gennaio 2002, in Fallimento, 2002, 12, 1347, nota di TASSINARI.

50 Sul punto è interessante notare il commento della circolare ABI Serie legale n. 19-23.8.2010, cit., alla previsione: «all’incertezza interpretativa pone ora rimedio l’art 48 della Manovra che, in risposta alle istanze formulate dalla Banca d’Italia, completa il sistema delle tutele poste a presidio delle operazioni di risanamento e di ristrutturazione realizzate nell’ambito dei menzionati istituti di risanamento, affiancando alle esenzioni da azioni revocatorie l’esenzione dai reati di bancarotta fraudolenta preferenziale (cfr. 216 comma 3°) e bancarotta semplice (cfr. art. 217). Quest’ultime sono infatti le fattispecie di reato che hanno visto negli anni coinvolti l’impresa e, a titolo di concorso, i creditori con riferimento a interventi di risanamento e di ristrutturazione della crisi che non avessero avuto esiti positivi.

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Per tale ragione, la disposizione in esame era stata invocata non solo dalla dottrina51, ma anche e soprattutto dagli istituti bancari. A tal riguardo, è interessante riportare il testo dell’intervento dell’avv. Corrado Faissola, all’epoca presidente dell’ABI, il quale in sede di audizione dinanzi alla commissione Bilancio, in data 10 giugno 2010, caldeggiava vivamente l’introduzione di una norma che riformasse la disciplina del diritto penale fallimentare e che rendesse maggiormente appetibile il ricorso a soluzioni concordate della crisi d’impresa. L’Avv. Faissola affermava: «Preoccupa che nell’ambito di interventi

che mirano a rendere più funzionali gli strumenti di risanamento previsti dalla legge fallimentare, non vengano previste disposizioni in materia di reati che operino il necessario raccordo tra la disciplina della crisi d’impresa e quella delle responsabilità penali che si possono configurare in tali contesti. Infatti a fronte della tutela dai rischi civilistici che il legislatore della riforma ha previsto per le operazioni attuative del concordato preventivo, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani attestati, tali strumenti rimangono esposti a profili di responsabilità ai sensi della disciplina dei reati fallimentari. Sia l’imprenditore sia i creditori che partecipano a tali operazioni potrebbero incorrere in rischi penali impropri laddove si promuova un piano di risanamento cui malauguratamente segua, nonostante le finalità perseguite, il dissesto dell’impresa. Ciò costituisce un forte deterrente all’utilizzo di tali strumenti, che stentano ancora a decollare. In attesa di una riforma organica della disciplina dei reati fallimentari, è dunque necessario un intervento mirato del legislatore che, nell’ambito del disegno di legge in esame, preveda per le operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti e di

51 A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., 124; MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, pag. 897.

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un piano attestato, la non applicazione delle disposizioni in tema di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice»52.

Dunque, l’intento della nuova disciplina è quello di garantire un coordinamento tra il nuovo impianto normativo civilistico, consolidatosi in seguito alla revisione del titolo VI della legge fallimentare, basato sul potenziamento dell’autonomia privata a scapito dell’intervento pubblico, e l’apparato penalistico rimasto ancorato ad esigenze di opposta tendenza: la pubblicizzazione dell’insolvenza, la tutela del patrimonio dell’impresa, considerata in senso atomistico, il criterio della par condicio creditorum. Specificamente, il nuovo art 217-bis l.f. intende risolvere la disomogeneità fra sistema penale, rivolto alla tutela del pari trattamento all’interno del ceto creditorio e la riforma degli strumenti di composizione della crisi che, al contrario, vorrebbe superare proprio tale principio. La modifica apportata alla legge fallimentare prende corpo in relazione a quelle situazioni in cui l’adozione di un piano attestato ex art. 67 l.f. 3° co. lett. d), o di un accordo di ristrutturazione ex art 182 bis l.f., non sia sufficiente a scongiurare il fallimento dell’impresa. Infatti, la punibilità dei fatti descritti dalla norma è subordinata alla pronuncia di declaratoria fallimentare. Diverse considerazioni valgono per il concordato preventivo, nel quale, in relazione all’art 236, 2° co. n.2 l.f53, il provvedimento di ammissione alla procedura assume la medesima

52 Cit. tratta da F. VITALE., Nuovi profili penali della crisi d’impresa:

l’esenzione dai reati di bancarotta e la responsabilità del professionista attestatore, in Arch. pen., 2014, n. 1.

53Si riporta il co.2°dell’art 236 l.f.

: «Nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si applicano:

1) le disposizioni degli artt. 223 e 224 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;

2) la disposizione dell'art. 227 agli institori dell'imprenditore;

3) le disposizioni degli artt. 228 e 229 al commissario del concordato preventivo o dell'amministrazione controllata;

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rilevanza della dichiarazione di fallimento. In tale caso, la punibilità a titolo di bancarotta e, ove ne sussistono i requisiti, l’operatività dell’esenzione di cui all’art. 217- bis l.f. potranno trovare applicazione anche in seguito al provvedimento di cui all’art. 163 l.f. ( provvedimento di omologazione) senza che si debba ricadere nella dichiarazione di fallimento ex art. 162, 2° co. l.f.

Nel riconoscere al legislatore penale il merito di un intervento a lungo sollecitato dal mondo bancario e imprenditoriale, dalla giurisprudenza e dalla dottrina 54 , molti commentatori hanno parlato di una disposizione attesa che probabilmente «ha tradito le aspettative»55 e che rischia di complicare il quadro del diritto penale fallimentare. Il nuovo art. 217 bis l.fall. interessa il penalista sotto molteplici profili: innanzitutto, esso costringe a interrogarsi circa la natura - e dunque la portata - di una simile “esenzione”; inoltre, sollecita la riflessione dell’interprete in merito ai confini di operatività` di tale clausola, imponendo di accertare se essa operi limitatamente ai casi di bancarotta propria, oppure anche in relazione ad ipotesi di bancarotta societaria; infine, impone di formulare una valutazione su quale sia la sorte riservata alle operazioni non espressamente menzionate all’interno della nuova previsione56

.

54 A.ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., 124; MANGIONE, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 2006, pag. 897; F.GIUNTA, Revocatoria e concordato preventivo: tutela penale. Dir. prat. Fall, 2006, pag. 35.

55 LOTTINI

, Il nuovo art. 217 bis: una riforma che tradisce le aspettative, in Il fallimento, n. 12/2010, pag. 1366.

56 F.D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.f. , in Le Società, n. 2/2011,

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2. La natura giuridica dell’esenzione

La prima problematica sollevata dalla norma in esame attiene alla sua natura giuridica. Il legislatore ha utilizzato una dizione a-tecnica, mai utilizzata prima in ambito penalistico: l’espressione “esenzione dai

reati di bancarotta”.

Il termine “esenzione”, contenuto nella rubrica della norma, non trova chiarificazione nel testo dell’articolo, che si limita a prevedere che «le disposizioni di cui agli articoli 216, 3° comma e 217 non si applicano (…)». Spetta all’interprete comprendere quale sia la natura di tale esenzione, visto che la terminologia utilizzata non è immediatamente evocativa di un chiaro istituto giuridico57. Al termine esenzione potrebbero essere ricondotte una molteplicità di categorie dogmatiche del diritto penale: cause di esclusione del tipo, causa di esclusione di punibilità in senso stretto, causa di giustificazione.

Non si tratterebbe di una causa di non punibilità, poiché tale esenzione non è una condizione legata a valutazioni di opportunità di applicazione della pena, quanto piuttosto di meritevolezza della stessa, vista la liceità sul piano civilistico (ex art. 67 l.f.) delle condotte contemplate all’art. 217- bis l.f.58.

Non sarebbe riconducibile neppure alla categoria delle cause di giustificazione, perché diverso lo schema su cui si fonda il meccanismo giustificativo. Per considerare l’esenzione una causa di giustificazione, si dovrebbe affermare che, nella valutazione degli interessi in gioco, l’ordinamento abbia valutato preminente l’interesse al salvataggio dell’impresa piuttosto che quello inerente alla tutela della par condicio creditorum. Tale ricostruzione è scorretta: il

57 F. MUCCIARELLI, L’esenzione dai reati di bancarotta, in Diritto penale e processo, 2012, pag. 1475.

58 LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis: Una riforma che tradisce le aspettative, in Il

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risanamento del complesso aziendale non è finalizzato a realizzare la lesione del principio di parità di trattamento dei creditori, ma è teso, esclusivamente, ad evitare la liquidazione dell’impresa in crisi59. In conclusione, la dottrina60 ha affermato la riconducibilità dell’istituto alla categoria generale delle cause di esclusione del tipo. Dunque, si tratterebbe di una previsione volta a delimitare l’ambito di operatività delle fattispecie ex artt. 216, 3°co. e 217 l.f, sottraendovi determinate condotte non ritenute idonee ad integrare il disvalore proprio delle norme in questione, il cui ambito di operatività sarebbe, di conseguenza, ridotto 61 . Infatti, la disposizione prevede che comportamenti consistenti nell’effettuazione di «operazioni» o «pagamenti», tipici ai sensi degli artt. 216, 3° co. e 217 l.f. non integrano le disposizioni penali quando sono realizzati in esecuzione di uno degli strumenti di risoluzione della crisi d’impresa. In questo modo, «il perimetro e il contenuto dei delitti di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice vengono modificati in senso limitativo sul versante della tipicità»62 . Tale ricostruzione sembra da preferire. Infatti, la peculiarità delle ipotesi descritte dall’art 217-bis

59 F.DONELLI, I continui esperimenti sul diritto penale del fallimento: l’art.

217 bis l.f. prima e dopo il “decreto sviluppo”, in Riv. Trim. Dir. Pen. dell’Economia, n. 3/2012, pag.787.

60 F.MUCCIARELLI, L’esenzione dai reati di bancarotta, in Dir. Pen. e

Processo, 2010, pag. 1474

;

F.D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.f. , in

Le Società, n. 2/2011, pag. 203.

61 F.D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.f. , in Le Società, n. 2/2011, pag. 203.

62 F.D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.f. , in Le Società, n. 2/2011, pag. 203.

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l.f. sta nel fatto che, l’imprenditore, nel tentativo di salvare l’attività d’impresa, assume dei rischi, ma non nell’ottica della sottrazione dolosa o colposa della garanzia patrimoniale dei creditori, quanto piuttosto del risanamento del proprio complesso aziendale. L’ordinamento considera tale rischio un «rischio lecito», in quanto non offensivo del bene giuridico protetto dalla fattispecie penale. Questo è il senso di definizione della norma come causa di esclusione della tipicità. Tuttavia, è necessario sottolineare come una parte minoritaria della dottrina63 escluda l’inquadramento dell’esenzione in esame all’interno delle categorie dogmatiche del diritto penale. Secondo Cocco, l’art 217-bis l.f. non parrebbe prevedere un limite alla rilevanza penale di condotte altrimenti illecite ma assumerebbe, semplicemente, il ruolo di esplicitare la liceità di condotte, comunque conseguente alle innovazioni legislative. L’ esenzione ex art 217-bis l.f. non andrebbe ad incidere sulla fattispecie penale ma sarebbe qualificabile come norma di interpretazione autentica volta a chiarire ciò che era desumibile già attraverso un’interpretazione sistematica delle norme vigenti, ossia la liceità delle condotte realizzate in esecuzione degli strumenti esentati da revocatoria fallimentare.

Infine, Amarelli 64 attribuisce al termine esenzione una lettura innovativa. L’autore ipotizza il possibile utilizzo dell’art 217 bis l.f. già in sede di processo civile, al fine di effettuare una selezione delle condotte penalmente rilevanti: il tribunale civile che dichiara il fallimento potrebbe fare riferimento alla norma in esame nello spiegare le ragioni per le quali non invia gli atti alla procura e dunque non chiede l’esercizio dell’azione penale. L’iscrizione della declaratoria di

63

Cocco, Esenzioni dai reati di bancarotta nel nuovo art. 217 bis della legge

fallimentare, in Leg. Pen., n. 1/2011, pag. 5.

64 AMARELLI, I delitti di bancarotta alla luce del nuovo art. 217 bis l.f. :

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fallimento nel registro delle notizia di reato avviene, di norma, dopo la trasmissione al P.M. della relazione che il curatore presenta al giudice delegato ai sensi dell’art. 33 l.f., relativa alle circostanze del fallimento e al grado di diligenza e eventuale responsabilità dell’imprenditore fallito. Dunque, le relazioni del curatore sono gli atti nei quali per la prima volta assumono rilevanza i requisiti richiesti dall’art. 217-bis l.f.. Sulla base di tali relazioni, il giudice delegato potrebbe adottare un decreto nel quale accerti l’insussistenza dei presupposti per poter richiedere l’esercizio dell’azione penale. Nel caso in cui ciò non dovesse accadere, il P.M potrebbe utilizzare la norma in esame per poter motivare una richiesta di archiviazione, ovvero l’esenzione potrebbe essere utilizzata dal giudice penale per pronunciare sentenza di proscioglimento per insussistenza del fatto di reato.

Tuttavia alcuni Autori65 sottolineano come tale ricostruzione possa

confliggere con il ruolo del P.M, designato dalla legge fallimentare come “sentinella” posta a guardia degli interessi pubblici e collettivi coinvolti nella vicenda fallimentare, e chiamato a cogliere i segni premonitori del reato di bancarotta spesso preceduto da altri reati economici che ne costituiscono una sorta di spia. Ad esempio, una serie di denunce per appropriazione indebita, di querele per truffa provenienti da fornitori o clienti che ricevono merci o prestazioni, di violazioni tributarie di diversa ampiezza. Si tratta di quelli che sono chiamati reati spia della futura bancarotta, che devono essere prontamente rilevati dal P.M per consentirgli l’azione tempestiva voluta dalla norma fallimentare. Dal versante della disciplina del fallimento giungono però segnali diversi e non convergenti con l’esigenza di tempestività desumibile dal diritto penale fallimentare. Nel sistema attuale, il P.M si trova di fronte a un bivio: lo stesso deve muoversi velocemente per impedire ulteriori dispersioni di ricchezza ai

65 N.ROSSI, L’esperienza giurisprudenziale del diritto penale economico nel

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danni dei creditori o della collettività, come gli impone la legge penale fallimentare, oppure deve assecondare prudentemente un itinerario di recupero , secondo la direttrice indicata dal nuovo sistema fallimentare civile? Anche a questo interrogativo non si danno risposte certe, l’unica soluzione prospettabile è quella di teorizzare una valutazione caso per caso.

3. L’ambito applicativo.

E’ necessario indagare quale sia l’ambito applicativo dell’art. 217- bis

l.f., e soprattutto se attraverso un’interpretazione sistematica della

norma in esame sia possibile estendere la sua portata applicativa anche ad ipotesi non espressamente richiamate da tale disposizione.

Seguendo l’esplicita indicazione normativa offerta dall’articolo in esame, i pagamenti e le operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato oppure di un piano attestato di risanamento, non possono essere ricondotte alla fattispecie di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice. E’ opportuno indagare in modo approfondito il richiamo, operato dalla norma, degli artt. 216 , 3° co. e 217 l.f..

La dottrina66 ha rilevato che, sebbene formalmente illimitato, il rinvio alla fattispecie preferenziale debba essere limitato alla sola ipotesi di esecuzione di pagamenti preferenziali. Si ritiene che la simulazione di

66F. MUCCIARELLI, L’esenzione, pag. 1477, «La natura (...) artificiosa dell’atto

costitutivo del titolo di prelazione (simulato) ne impedisce strutturalmente l’inquadramento fra le operazioni indirizzate alla soluzione della crisi. Comportamenti caratterizzati in tal senso ben difficilmente possono esser fatti rientrare in un piano o in un accordo, che necessitano, proprio per la loro stessa natura, di essere una rappresentazione fedele non soltanto della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa, ma anche dei vari passaggi attraverso i quali si sviluppa il piano per il superamento razionale della crisi»; A. FIORELLA-M.MASUCCI, in Gestione dell’impresa e reati fallimentari, 2014, cit., pag. 116; N.GIANESINI, Il rischio penale nella gestione della crisi di impresa, 2016, cit., pag. 74.

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titoli di prelazione non possa essere esecutiva di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di un piano attestato. La componente ingannatoria di tale condotta sarebbe incompatibile con la realizzazione di progetti di risanamento dell’impresa, che devono necessariamente trovare fondamento su una rappresentazione reale -e non fittizia- della situazione economica dell’azienda.

Tuttavia, la Cassazione67 ha distinto fra due tipologie di condotte simulatorie. La fittizia creazione di garanzie, riconosciuta incompatibile con l’art 217-bis l.f., andrebbe differenziata dall’effettiva costituzione di titoli di prelazione: questa potrebbe essere accomunata a un pagamento effettuato in tempi sospetti e dunque essere inquadrata tra le operazioni di risanamento per le quali opera l’esenzione ex art. 217- bis l.f..

La mancanza di coerenza sistematica68 della disposizione in esame,

appare maggiormente evidente con riferimento all’indifferenziato rinvio all’art 217 l.f.

La dottrina69 ritiene non sia logicamente possibile ricomprendere nell’esenzione ex art 217-bis l.f.: le condotte integranti bancarotta semplice documentale (art.217, co.2° l.f.),l’ effettuazione di spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla condizione economica (art.217, co.1° n.1), l’inadempimento delle obbligazioni assunte in un precedente concordato (art. 217,c o.1° n.5). Appare inspiegabile come tali condotte possano risultare rilevanti in esecuzione di un progetto di risanamento.

67 Cass. Pen., Sez. V, 2 Marzo 2004, 16688.

68 F.VITALE, Nuovi profili penali della crisi di impresa: l’ esenzione dai reati di

bancarotta e la responsabilità del professionista attestatore, cit., pag. 13.

69 FIORELLA-M.MASUCCI, in Gestione dell’impresa e reati fallimentari ,2014, cit., p. 117° .

(30)

Si ritiene incomprensibile anche il rinvio alla condotta contemplata al n.2 del 1° co., dell’art 217 l.f. relativa alla consumazione di una “notevole parte del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestatamente imprudenti”. Si rileva come difficilmente i piani in questione risultino compatibili con tale previsione.

Infatti, tali strumenti si connotano in termini di «idoneità a consentire

il risanamento dell’esposizione debitoria e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria» in caso di piano attestato (art 67, 3°co.

lett d); di fattibilità nel concordato preventivo (art 161, 3°co.); di

attuabilità dell’accordo negli accordi di ristrutturazione del debito

(182-bis, 1°co.). Di conseguenza, tali progetti non sarebbero idonei ad integrare la condotta suddetta70.

In conclusione, il rinvio all'art. 217 l.f. dovrà ritenersi limitato alle "operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento" (art.217, co. 1°, n. 3) e alle condotte di "aggravamento del dissesto ritardando la richiesta di fallimento o con altra grave colpa" (art.217, co.1°, n. 4)71.

L’art 217 bis l.f. fa riferimento soltanto ai reati di bancarotta propria (reati commessi dal fallito), lasciando aperta la questione dell’applicabilità dell’esenzione ai reati di bancarotta impropria, cioè ai casi contemplati dall’art 223 e 224 l.f. (reati commessi da soggetti diversi dal fallito). Una tale mancanza fu accolta con preoccupazione, già in sede di redazione della norma. Nel dossier di documentazione elaborato nella fase di approvazione della conversione del decreto legge, si spiegava: «In merito al nuovo art 217-bis deve segnalarsi che, sotto il profilo della formulazione testuale, dal punto di vista semantico, l’intervento modificativo proposto riguarda esclusivamente il cap I del titolo VI della legge fallimentare e, in particolare, l’art 216

70 FIORELLA-M.MASUCCI, in Gestione dell’impresa e reati fallimentari ,2014, cit., p. 117°.

71

M. ZINCANI, Il nuovo art, 217 bis l.f.: la ridefinizione dei reati di

(31)

e 217». Dunque si suggeriva: «al riguardo parrebbe opportuno un ulteriore approfondimento, al fine di considerare se non sia necessario un intervento di coordinamento sul capo II del titolo predetto, con specifico riferimento alle fattispecie di cui agli articoli 223 (fatti di bancarotta fraudolenta) e 224 (fatti di bancarotta semplice)»72.Tale preoccupazione non sembra essere fondata73. La dottrina ha risolto il problema, affermando la possibilità di estendere l’esenzione prevista dall’art 217-bis anche agli artt. 223 e 224 l.f., sulla base della considerazione che gli artt. 22374 e 22475, al fine di definire le condotte tipiche, rinviano agli art 216 e 217 l.f.. Il richiamo comprenderebbe anche l’art 217-bis. Tuttavia, le condotte esentate in virtù di tale estensione, potrebbero venire ad integrare, in via residuale, la causa del fallimento, qualora vengano realizzate attraverso le operazioni dolose

72 Il dossier è reperibile presso il sito del senato: www.Senato.it ed è richiamato da: LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis, una riforma che tradisce le aspettative, in Il fallimento, n. 12/2010, pag. 1366.

73 LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis, una riforma che tradisce le aspettative, in Il fallimento, n. 12/2010, pag. 1366.

74Si riporta il testo dell’art.:

Si applicano le pene stabilite nell'art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.

Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell'art. 216, se:

1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile; (1)

2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.

Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 216.

75Si riporta il testo dell’art.: Si applicano le pene stabilite nell'art. 217 agli

amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali:

1) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo;

2) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.”

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contemplate dall’art. 223, co.2° n.2 .l.f. Naturalmente, l’elemento soggettivo richiesto da tale norma, inteso come direzione della condotta, finalizzata a realizzare la condizione di dissesto e di insolvenza, consente di escludere dal novero di applicabilità della previsione le condotte descritte dall’art 217-bis l.f.. In conclusione, l’esenzione si applica, oltre che all’imprenditore individuale, agli amministratori -ai quali sono parificati gli amministratori di fatto- ai direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite che abbiano tenuto le condotte descritte dagli art. 216, 3° co. e 217 l.f. Se non si aderisse a tale conclusione si darebbe vita ad un vizio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., a causa di un “eclatante disparità di trattamento”76 tra imprenditore individuale e impresa societaria di fronte a condotte identiche: esecuzione di atti e pagamenti in esecuzione di una soluzione concordata della crisi di impresa.

4. Le operazioni e i pagamenti suscettibili di rientrare nell’ambito applicativo dell’art 217–bis L.F.

Per stabilire quale sia la portata applicativa della disposizione in esame, è molto importante individuare gli atti, ovvero operazioni e pagamenti, che in concreto possono essere esentati dall’integrazione di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice, ai sensi dell’art 217- bis l.f. A questo proposito, occorre stabilire il significato che assumono nella fattispecie i termini “operazioni” e “pagamenti”. Successivamente, sarà necessario indagare quale sia la portata applicativa della clausola «in esecuzione», poiché solo le operazioni e i pagamenti, che rispetteranno tale condizione potranno giovare dell’esenzione prevista dall’art 217-bis.

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La dottrina77 è concorde nel ritenere che con il termine “pagamenti” si faccia riferimento a qualsiasi forma di adempimento con funzione solutoria di un debito pregresso. Invece, le “operazioni” descriverebbero in modo più ampio tutti quegli atti o negozi giuridici eseguiti in funzione della realizzazione di uno degli strumenti richiamati dall’art. 217-bis L.F. A tale proposito, vengono prese in considerazione le cessioni di beni, costituzioni di garanzie.

Una volta chiarito il significato di questi due termini, la dottrina78 si interroga sul significato dell’espressione «in esecuzione», nota di congiunzione fra tali progetti di risanamento e le operazioni e pagamenti, contemplati dalla norma in esame.

Tale formula potrebbe essere letta in senso cronologico o in senso teologico-strumentale. Una lettura in senso cronologico dell’espressione «in esecuzione» rileva un mero legame temporale fra l’operazione o il pagamento e lo strumento di risoluzione della crisi. In base a tale ricostruzione, rientrerebbero nell’esenzione solo i pagamenti e le operazioni cronologicamente successive alla validazione del progetto di risanamento da parte del giudice. Gli autori 79 che sostengono tale tesi prediligono un’interpretazione letterale della clausola «in esecuzione». Infatti, un atto può essere considerato esecutivo solo se cronologicamente successivo allo strumento eseguito.

Altra parte della dottrina80 attribuisce all’espressione in esame un

77 LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis, Una riforma che tradisce le aspettative, in Il fallimento, n. 12/2010, pag. 1366; F. MUCCIARELLI, L’esenzione, pag. 1477;

FIORELLA-M.MASUCCI, in Gestione dell’impresa e reati fallimentari, 2014, cit., pag. 117.

78 Ex multis: F. D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.f. , in Le Società, n.

2/2011, pag. 203.

79N. GIANESINI, Il rischio penale nella gestione della crisi di impresa, 2016, cit.,

pag.74.

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