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Academic year: 2021

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CAPITOLO II

L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL RECLAMO OBBLIGATORIO

1. La tipologia degli atti reclamabili; 2. Il limite quantitativo; 3. Le conseguenze della mancata presentazione del reclamo.

1. La tipologia degli atti reclamabili

Il comma 1 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone l’applicazione dell’istituto mediatorio alle controversie aventi ad oggetto gli “atti emessi dall’Agenzia delle entrate” 1

.

Il successivo comma 6 stabilisce che “Per il procedimento si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12, 18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili”.

Dal combinato disposto delle norme sopra citate emerge che il contribuente deve attivare la fase amministrativa di reclamo-mediazione ogni qual volta intenda impugnare uno degli atti individuati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, emesso dall’Agenzia delle Entrate, ed il valore della controversia non sia superiorea ventimila euro.

Pertanto, quanto alla tipologia degli atti suscettibili di reclamo e di mediazione, rientrano sicuramente nell’ambito di operatività dell’istituto le controversie relative a:

avvisi di accertamento;

avvisi di liquidazione;

provvedimenti di irrogazione di sole sanzioni;

ruoli;

1 Ai sensi del comma 11 dell’art. 39 del d.l. n. 98/2011, il procedimento di reclamo si applica agli atti reclamabili notificati a decorrere dal 1° aprile 2012. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 19 marzo 2012, n. 9/E (in banca dati fisconline), ha stabilito che “per atti notificati dal 1° aprile 2012 si intendono gli atti

ricevuti dal contribuente a decorrere da tale data. Più precisamente rileva la data in cui la notifica si perfeziona per il notificatario”. Pertanto, nel caso di atto notificato a mezzo posta anteriormente al 1° aprile

2012, ma ricevuto dal contribuente successivamente a tale data, l’istituto risulta applicabile, con la conseguenza che l’eventuale giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale non poteva essere proposto direttamente, dovendosi avviare in via preventiva il procedimento di cui all’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992. In merito alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto tacito alla restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie, interessi o altri accessori non dovuti la procedura di mediazione trova applicazione con riferimento alle fattispecie di rifiuto tacito per le quali, alla data del 1° aprile 2012, non erano decorsi novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso. Per converso, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 non si applica alle controversie riguardanti i rifiuti taciti per i quali, alla data del 31 marzo 2012, era già decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza.

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rifiuti espressi o taciti della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti;

provvedimenti di diniego o revoca di agevolazioni o di rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;

ogni altro atto emanato dall’Agenzia delle Entrate, per il quale la legge preveda l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie (l’elenco è fornito dalla stessa Agenzia nella più volte citata circolare n. 9 del 19 marzo 2012).

Alcune perplessità iniziali hanno riguardato l’inclusione tra gli atti reclamabili dei dinieghi taciti di rimborso.

In un primo momento, una parte della dottrina ha ritenuto che il tenore letterale dell’art. 17-bis, comma 1, laddove fa riferimento agli “atti emessi dall’Agenzia delle Entrate”, escludesse l’esperibilità del reclamo in relazione al silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia alle istanze di rimborso di tributi o di altre somme di sua competenza 2.

Ciò in quanto, in quel caso, non siamo di fronte ad un vero e proprio provvedimento, bensì ad una fictio iuris che assegna valore di diniego del rimborso al silenzio dell’ente impositore protrattosi per almeno novanta giorni a seguito della proposizione della relativa istanza del contribuente 3.

I chiarimenti ufficiali non hanno tardato ad arrivare: con la circolare n. 9/E del 2012, l’Agenzia delle Entrate ha ricondotto nell’alveo del reclamo anche “il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti”, sulla base di considerazioni sostanzialmente condivise della dottrina.

In primo luogo, viene valorizzato il dato testuale del comma 6 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, in forza del quale al “procedimento (di reclamo e di mediazione, n.d.a.) si applicano le disposizioni di cui agli articoli 12, 18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili”.

Tra gli atti impugnabili, l’art. 19, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 546 del 1992 include espressamente il rifiuto tacito alla restituzione di tributi, sanzioni, interessi o altri accessori.

2 F. Pistolesi, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib. n. 1/2012, pag. 71. 3 Come rilevato da F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 114, il silenzio, pur avendo significato di rifiuto, non ha la stessa natura del provvedimento di diniego, né ha gli stessi effetti, in quanto nessuna norma statuisce tale equivalenza, né l’inerzia ha lo stesso valore di un atto esplicito.

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Pertanto, in applicazione del combinato disposto dei commi 1 e 6 dell’art. 17-bis, la fase della mediazione va esperita anche in relazione al rifiuto tacito di rimborso.

Una diversa interpretazione non risulta, in ogni caso, giustificabile, tenuto conto che tra le ipotesi di diniego espresso e tacito si determinerebbe una disparità di trattamento, tanto più evidente quanto si consideri che le modalità di esercizio dell’azione giudiziaria da parte del contribuente verrebbero ad essere “decise”, di fatto, dall’Agenzia delle Entrate, a seconda che quest’ultima si determini, o meno, a denegare il rimborso con un provvedimento espresso.

Va, inoltre, considerato che la previsione della possibilità di impugnazione anche in presenza di diniego tacito alla restituzione è ricollegabile alla volontà del legislatore di garantire al contribuente la tutela giurisdizionale dei suoi diritti anche in caso di inerzia da parte dell’Amministrazione.

Appare quindi conforme a tale ratio estendere anche alle predette ipotesi la possibilità (rectius, l’onere) per il contribuente che intenda agire in giudizio, di promuovere il riesame, in sede amministrativa, delle ragioni del mancato riconoscimento del suo diritto al rimborso, ovvero di concludere un accordo di mediazione con l’Amministrazione debitrice, magari rinunciando ad una parte della propria pretesa restitutoria, pur di evitare l’instaurazione di un giudizio, potenzialmente lungo e dall’esito incerto 4.

Una precisazione si rende opportuna anche per gli atti con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere unicamente le proprie pretese sanzionatorie.

In tali casi, l’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 va coordinato con il procedimento di contestazione delle violazioni di norme tributarie, disciplinato dall’art. 16 del d.lgs. n. 472/1997, che si applica all’irrogazione di sanzioni amministrative non collegate all’accertamento di tributi.

4 Conformi a tale conclusione, M. Scuffi, Gli istituti deflattivi del contenzioso tributario secondo la

Manovra “correttiva” del 2011, in Il fisco n. 47/2011, fascicolo n. 1, pag. 7645 e M. Basilavecchia, Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 2011, pag. 2493, secondo cui

“non vi è un’incompatibilità assoluta tra reclamo e processi su dinieghi di rimborsi, e, più in generale, su liti pretensive: come spesso accade, la norma è stata evidentemente pensata avendo riguardo agli atti impositivi e soprattutto agli atti di accertamento, ma il generico riferimento all’art. 19 rende arbitrario escludere a priori le controversie di rimborso, se di valore non superiore a 20.000 euro”. Si vedano anche A. Renda, Il reclamo

per dinieghi di rimborso, atti sanzionatori e atto impoesattivi, in Corr. trib. n. 10 del 2012, pag. 715 e F.

Pistolesi, Ambito applicativo della mediazione tributaria e sospensione della riscossione, in Corr. trib. n. 19 del 2012, pag. 1429.

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Come è noto, il soggetto a cui viene notificato un atto di contestazione, nel termine di sessanta giorni, può, alternativamente:

1) impugnare l’atto;

2) definire la controversia mediante il pagamento di un terzo della sanzione indicata;

3) presentare deduzioni difensive.

Qualora il contribuente opti per l’impugnazione immediata dell’atto di contestazione (che in tal caso si considera “provvedimento di irrogazione” delle sanzioni) e ricorrano le altre condizioni previste dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, egli è tenuto preliminarmente a proporre reclamo alla struttura competente.

Allo stesso modo, quando siano state proposte deduzioni difensive e l’Ufficio abbia emesso, nel termine di un anno, il relativo atto di irrogazione delle sanzioni – eventualmente rideterminate alla luce delle deduzioni del contribuente – risulta esperibile il procedimento di reclamo-mediazione 5.

Le riserve sulla definibilità degli atti di irrogazione delle sole sanzioni sono state sciolte una volta per tutte dall’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 33 del 2012 6, ove si afferma che, sia nell’ipotesi in cui venga conclusa una mediazione che comporti la rideterminazione della pretesa sanzionatoria, sia che il contribuente accetti la pretesa originaria, in entrambi i casi la sanzione si rende applicabile nella misura del 40% 7.

5 Per A. Renda, cit., il nuovo istituto, sovrapponendosi alla possibilità di presentazione di deduzioni difensive comporta, di fatto, un’implicita abrogazione di detta facoltà. L’autore evidenzia anche che l’obbligatorietà del reclamo per gli atti di irrogazione delle sanzioni rende nella sostanza vana la possibilità, recentemente riconosciuta dal legislatore (cfr., art. 16 del d.lgs. n. 472/1997, comma 7-bis, introdotto dal d.l. n. 98/2011, convertito nella l. n. 111/2011) di accedere alla definizione agevolata delle sanzioni nell’ipotesi di accoglimento parziale delle deduzioni difensive.

6 In banca dati BIG Suite, IPSOA.

7 Questa precisazione appare piuttosto importante atteso che, come osserva G. Sepio, Mediazione

tributaria e sanzioni nel coordinamento con gli altri istituti deflativi del contenzioso, in Corr. trib. n. 36 del

2012, pag. 2790, quanto sopra esposto non è immediatamente rinvenibile dal tenore letterale dell’art. 48, comma 6, del d.lgs. n. 546/1992, in tema di conciliazione giudiziale, cui fa espresso rinvio la disposizione che regola gli istituti del reclamo e della mediazione all’interno del processo tributario. Il tenore letterale dell’art. 48 sembrerebbe, infatti, come ammette la stessa Agenzia delle Entrate nella citata circolare n. 33/E del 2012, riferire la riduzione delle sanzioni al 40% solo a quelle collegate al tributo oggetto di conciliazione. Un’interpretazione estensiva in questo caso si presenta maggiormente coerente con la ratio dell’istituto della mediazione e soprattutto con i meccanismi di definizione previsti dal legislatore tributario per gli atti impositivi.

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Sempre secondo la circolare, qualora il contribuente intenda impugnare insieme ad un atto anche quello ad esso antecedente e presupposto di cui adduca la mancata precedente notificazione, è tenuto ad osservare preliminarmente la disciplina introdotta dall’art. 17-bis e, quindi, a presentare l’istanza di reclamo-mediazione.

Dunque, trova applicazione nel procedimento de quo anche la regola enunciata nell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, in base al quale “La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

Occorrerà, allora, che la contestuale reazione del privato dinanzi ai due provvedimenti (ad esempio, avviso di accertamento non notificato e ruolo, oppure ruolo e iscrizione di ipoteca) avvenga tramite reclamo 8.

Per l’esattezza, si potrà rendere necessario, a seconda dei casi, proporre reclamo avverso due atti dell’Agenzia delle Entrate (atto di accertamento e ruolo) oppure presentare reclamo per il provvedimento presupposto non notificato (ruolo) e ricorso contro quello successivo (iscrizione ipotecaria), al quale non si applica l’art. 17-bis, che ha permesso al privato di venire a conoscenza di quello non immesso anteriormente nella sua sfera cognitiva. In quest’ultima circostanza e quando la procedura di reclamo e mediazione non dia alcun esito, dovrà poi disporsi la riunione del primo ricorso con il reclamo convertito in ricorso.

Va da sé che quanto precede vale solo ove il contribuente intenda impugnare, unitamente all’atto successivo, quello precedente non notificato.

Difatti, si potrebbe limitare a censurare, per esempio, il ruolo o l’iscrizione ipotecaria perché difetta la previa notificazione dell’atto (avviso di accertamento, nel primo caso, ruolo, nel secondo) espressivo della pretesa fatta valere con quello successivo.

A proposito del ruolo: nei casi in cui tale provvedimento costituisca il primo atto autonomamente impugnabile di una sequenza, non a causa della mancata preventiva notificazione dell’atto impositivo, ma perché, ad esempio, si verte in ipotesi di omesso versamento di tributi dichiarati o, comunque, di contestazioni avanzate ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 (o anche in base all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972), la giurisprudenza 9 e la prassi 10 sono concordi nel ritenere che la

8 Così F. Pistolesi, cit.

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legittimazione passiva appartenga all’Agenzia delle Entrate qualora siano eccepiti vizi dell’iscrizione a ruolo, che è un’attività effettuata dall’ente impositore, mentre se vengono lamentati vizi propri della cartella di pagamento con la quale l’iscrizione a ruolo è stata notificata al contribuente, la legittimazione passiva è dell’agente della riscossione che ha provveduto alla formazione e alla notifica della cartella medesima 11.

Accogliendo tale tesi, nell’ipotesi in cui la legittimazione passiva appartenga all’Agenzia delle Entrate, vi è l’obbligo di proporre reclamo quando gli importi iscritti a ruolo a seguito di controllo automatizzato o di controllo formale delle dichiarazioni (a titolo di imposte non versate o, nel caso di tardivo versamento o di violazioni formali, a titolo di sanzioni irrogate) rientrino nel limite quantitativo previsto dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992. Secondo alcuni tale tipologia di controversia non si presta affatto a mediazioni, in quanto l’iscrizione a ruolo non è basata su valutazioni che possono essere riviste o mediate, ma deve avvenire per somme assolutamente dovute 12.

Sta di fatto che in base all’opinione prevalente, di fronte agli esiti del controllo automatizzato della dichiarazione ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 (o 54-bis del d.P.R. n. 633/1972), il contribuente può beneficiare di un abbattimento delle sanzioni anche successivamente all’iscrizione a ruolo delle somme dovute qualora non abbia ottemperato alla richiesta di pagamento nei trenta giorni successivi al ricevimento del c.d. “avviso bonario”.

A seguito della citata iscrizione a ruolo, infatti, il contribuente può attivare il procedimento di mediazione recuperando in un secondo momento, quasi integralmente, la riduzione concessa dal legislatore in caso di adempimento nei primi trenta giorni successivi alla notifica della comunicazione di irregolarità. In altre parole, il contribuente che omette il

10 Circolare del 17 luglio 2008, n. 51/E, in banca dati fisconline.

11 A diverse conclusioni si deve giungere aderendo alla tesi, che tuttavia non ha molto seguito in giurisprudenza, della migliore dottrina processuale tributaria, secondo cui nelle impugnazioni delle iscrizioni a ruolo legittimato passivo è in ogni caso l’agente della riscossione, che assume la veste di sostituto processuale dell’ente impositore ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112. Così C. Glendi,

Sospensione della riscossione e legittimazione passiva del concessionario, in GT – Riv. giur. trib. n.

10/2005, pag. 940, commento a Comm. trib. prov. di Bologna, 13 luglio 2005; Id., Aspetti sostanziali e

processuali della c.d. chiamata in causa dell’ente impositore da parte dell’esattore, in Dir. prat. trib., 1974,

I, pag. 9.

12 M. Busico, L’ambito di operatività del reclamo e della mediazione: i limiti oggettivi, soggettivi e

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versamento delle imposte dovute in base alla dichiarazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462/1997 – cioè con il pagamento di una sanzione pari al 10% – può comunque accedere alla procedura di mediazione, versando in quella sede la sanzione in misura ridotta del 12% (pari al 40% del 30% previsto per le ipotesi di omesso o tardivo versamento). Quindi con un aggravio minimo del 2%.

Sul punto anche la posizione dell’Agenzia delle Entrate non sembra lasciare adito a dubbi. Nella Circolare n. 9 del 19 marzo 2012 si legge infatti che “l’Ufficio, ancorché non obbligato – è legittimato a concludere un accordo di mediazione che confermi integralmente il tributo contestato con l’atto impugnato, con conseguente beneficio della riduzione delle sanzioni irrogate”.

Occorre comunque sottolineare come i medesimi margini non sussistano per le rettifiche operate a seguito di controllo formale della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973. In questo caso, infatti, la norma non concede spazio ad un accordo confermativo della pretesa tributaria al solo fine di permettere al contribuente la riduzione delle sanzioni 13. In base ad un principio immanente nell’ordinamento tributario, il meccanismo premiale che caratterizza la mediazione ex art. 17-bis d.lgs. n 546/1992 (come anche altri istituti deflattivi del contenzioso) non può spiegare effetti qualora la riduzione delle sanzioni risulti più elevata di quanto consentito per effetto di acquiescenza in una fase amministrativa antecedente a quella de qua.

È la stessa Agenzia delle Entrate, con la citata circolare n. 9 del 2012, a rilevare come “la situazione in base alla quale va escluso un accordo di mediazione confermativo della pretesa, con riduzione della sanzione al 40%, ricorre nell’ipotesi di iscrizione a ruolo a seguito di controllo ex art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973”.

Per comprendere le ragioni alla base di una simile limitazione è sufficiente confrontare le disposizioni sanzionatorie collegate al controllo formale della dichiarazione: nei casi in cui sia liquidata una maggior imposta si applica la sanzione pari al 30% (art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471/1997), che può essere ridotta ai due terzi se il pagamento viene effettuato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione prevista dal comma 4 dell’art. 36-ter (come dispone espressamente l’art. 3 del d.lgs. n. 462/1997).

13 G. Sepio, cit.

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Pertanto, il pagamento entro trenta giorni dalla comunicazione di irregolarità comporterebbe una sanzione pari al 20%, mentre la riduzione conseguente alla mediazione sull’iscrizione a ruolo comporterebbe una sanzione pari al 12%, con la conseguenza che la possibilità di applicare un minor carico sanzionatorio a seguito di mediazione impedisce, per quanto sopra indicato, un mero accordo confermativo della pretesa.

Nell’elenco dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 rientrano poi atti che, pur essendo impugnabili di fronte alle Commissioni tributarie, non sono emessi dall’Agenzia delle entrate e, di norma, non sono riconducibili all’attività della stessa.

Si tratta, più precisamente, dei seguenti provvedimenti:

cartella di pagamento 14;

avviso di mora di cui alla lett. e) dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992; peraltro, tale atto è stato soppresso e sostituito dall’avviso di intimazione ad adempiere di cui all’art. 50, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;

iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973, prevista dalla lett. e-bis) del medesimo art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992;

fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, elencato sub lett. e-ter) dell’art. 19, comma 1;

L’esclusione dalla procedura stragiudiziale per i suddetti atti impugnabili emessi dall’agente della riscossione si può comprendere agevolmente, trattandosi di atti aventi finalità cautelari o, seguendo un diverso e preferibile indirizzo 15, di atti volti ad indurre il contribuente a soddisfare spontaneamente pretese già enunciate dall’Agenzia delle Entrate con provvedimenti suscettibili di reclamo e mediazione.

Talvolta, però, l’impugnazione degli atti esattivi, in particolare della cartella di pagamento, è meramente strumentale alla contestazione di vizi legati al ruolo, per i quali, come già ricordato, sussiste la legittimazione passiva dell’ente impositore nell’eventuale successivo processo.

14 Per cartella di pagamento si intende solo l’atto riferibile all’attività dell’Agente della riscossione, con esclusione quindi del ruolo a cui si riferisce.

15 Cfr. P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, pag. 238 e seguenti.

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In tali casi, qualora l’ente impositore sia l’Agenzia delle Entrate e la controversia sia di valore non superiore a ventimila euro, il contribuente che intende adire il giudice tributario deve preventivamente esperire la fase del reclamo ai sensi dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992.

Quindi, nelle controversie che hanno per oggetto atti della riscossione occorre distinguere i vizi eventualmente riferiti al ruolo, che in quanto titolo esecutivo formato dall’Agenzia delle Entrate devono essere fatti valere in sede di reclamo ex art. 17-bis, dai vizi propri della cartella di pagamento (o di qualsiasi altro provvedimento emesso dall’agente della riscossione sulla base del ruolo), per i quali, invece, opera la regola dell’immediata censurabilità di fronte al giudice tributario.

Si rinvia al capitolo apposito per la trattazione degli aspetti procedurali connessi all’impugnazione contestuale del ruolo e degli atti della riscossione successivi.

Tra gli atti che rimangono estranei al procedimento di reclamo e di mediazione vi sono inoltre quelli, sempre relativi a tributi, emanati da enti diversi dall’Agenzia delle Entrate, come l’Agenzia delle Dogane, le Regioni e gli enti locali. Evidentemente il legislatore ha ritenuto che, in relazione a tali provvedimenti, l’applicazione dell’istituto avrebbe comportato oneri sproporzionati (si pensi alla necessità di attivare strutture ad hoc per l’istruttoria delle relative pratiche) rispetto ai benefici ottenibili in termini di decongestionamento delle Commissioni tributarie 16.

Tale scelta, come peraltro riconosciuto dal giudice delle leggi con la sentenza n. 98 del 16 aprile 2014 17, risulta coerente con l’intento di deflazionare il contenzioso tributario, poiché le controversie in cui è coinvolta l’Agenzia delle Entrate rappresentano, notoriamente, la grande maggioranza di quelle incardinate davanti alle commissioni tributarie provinciali. Un discorso a parte deve essere fatto per gli atti emanati dall’Agenzia del Territorio, posto che tale ente, con decorrenza dal 1° dicembre 2012, è stato incorporato nell’Agenzia delle Entrate 18.

In merito all’applicabilità della mediazione con riferimento a questa tipologia di controversie, la circolare n. 49/T del 28 dicembre 2012 19 opera una distinzione: per quanto

16 Considerata la modesta incidenza del contenzioso ad essi relativo, cfr. F. Pistolesi, cit. 17 In banca dati fisconline.

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concerne gli atti emessi dagli Uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio fino al 30 novembre 2012, ancorché notificati dopo il 1° dicembre 2012, è stato precisato che gli stessi non sono soggetti a mediazione. Tali atti, infatti, non erano “suscettibili di reclamo” alla predetta data del 30 novembre 2012.

Per gli atti emessi dagli Uffici Provinciali – Territorio dal 1° dicembre 2012, data a decorrere dalla quale l’Agenzia del Territorio è stata incorporata nell’Agenzia delle Entrate, le disposizioni di cui all’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 risultano invece applicabili, in presenza degli altri requisiti previsti dalla norma.

Per quanto concerne, infine, il rifiuto tacito alla restituzione di tributi, la mediazione trova applicazione con riferimento alle fattispecie per le quali alla data del 1° dicembre 2012 non erano decorsi novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso, in quanto con il decorso di tale termine si forma il silenzio rifiuto che consente al contribuente di proporre il ricorso giurisdizionale, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992. Per converso, l’istituto della mediazione non è applicabile alle controversie riguardanti i rifiuti taciti per i quali alla data del 30 novembre 2012 era già decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza.

In base al comma 4 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, la disciplina in materia di reclamo e mediazione “non si applica alle controversie di cui all’articolo 47-bis”.

Il legislatore ha quindi escluso espressamente dalla mediazione tutte le controversie aventi ad oggetto il recupero degli aiuti di Stato dichiarati incompatibili con l’ordinamento comunitario, in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea, ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999.

Ciò, indipendentemente dalla tipologia di atto inerente al caso di specie (ad esempio, atto di recupero, avviso di accertamento, cartella di pagamento), e dalla natura delle somme in contestazione (tributi, interessi o sanzioni).

Pertanto, anche se negli eventuali giudizi concernenti atti volti al recupero di aiuti di Stato illegittimi, dovessero essere dedotti vizi attinenti, ad esempio, all’iscrizione a ruolo e, come tali, riconducibili all’attività dell’Agenzia delle Entrate, il procedimento di reclamo di cui all’art. 17-bis non trova applicazione 20

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19 In banca dati fisconline.

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In proposito, infatti, è già stato precisato che “il termine “atto volto al recupero” si intende riferito a tutti gli atti o provvedimenti emessi al fine del recupero di un aiuto di Stato dichiarato illegittimo, comprendendovi, quindi, anche gli atti tipici della fase di riscossione rientranti nella giurisdizione delle Commissioni tributarie” 21.

2. Il limite quantitativo

L’ambito di applicazione dell’istituto disciplinato dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 è ulteriormente circoscritto alle controversie di valore non superiore a ventimila euro, per la cui determinazione, ai sensi del comma 3 dell’articolo in commento, occorre fare riferimento a quanto previsto dall’art. 12, comma 5, del decreto sul processo tributario, secondo il quale “per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente all’irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. Tale disposizione, prima dell’introduzione della mediazione fiscale, rilevava solamente al fine di stabilire la sussistenza dell’obbligo della parte privata di stare in giudizio mediante l’assistenza di un difensore tecnico abilitato, ove per le controversie di valore inferiore ad euro 2.582,28 detto obbligo non sussiste, per cui il ricorrente può stare in giudizio personalmente.

Con l’avvento dell’art. 17-bis, il valore della lite ha assunto una rilevanza maggiore, in quanto, se non supera ventimila euro, determina l’obbligo del preventivo reclamo, la cui inosservanza comporta l’improcedibilità del ricorso 22

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La scelta legislativa di introdurre un limite di valore per le controversie soggette alla procedura di reclamo-mediazione risponde all’esigenza di passare al setaccio il maggior numero di potenziali liti fiscali. Del resto, si può immaginare che essa sottenda il convincimento che l’istituto si presti ad essere proficuamente impiegato solo per le controversie di valore relativamente modesto.

21 Cfr. punto 2 della circolare n. 42/E del 29 aprile 2008.

22 Come è noto, l’art. 1, comma 611, lettera a), della l. 27 dicembre 2013, n. 147 ha parzialmente modificato la disciplina contenuta nell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, stabilendo, tra l’altro, che la presentazione del reclamo all’Agenzia delle Entrate costituisce non più condizione di ammissibilità del successivo ricorso giurisdizionale – come invece recitava il comma 2 dell’art. 17-bis nella sua formulazione originaria – bensì di procedibilità del ricorso medesimo.

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Difatti, come confermano i dati (relativi all’anno 2010) riportati nella Relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011 (A.S. n. 2814), le controversie di valore non superiore a ventimila euro rappresentavano la maggioranza sul piano numerico, mentre corrispondevano, sul piano economico, ad una percentuale assai ridotta del valore complessivo delle controversie instaurate nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Alla stregua di tali elementi, deve ritenersi che il legislatore abbia perseguito l’interesse generale a deflazionare il contenzioso tributario in modo ragionevole, prevendendo il rinvio dell’accesso alla tutela giurisdizionale solo per le cause che rappresentano il numero più consistente delle controversie tributarie e che, nel contempo, comportano le minori conseguenze finanziarie sia per la parte privata sia per quella pubblica

23. D’altronde, la fissazione del suddetto limite è frutto di valutazioni discrezionali del

legislatore, che in quanto ritenute congrue rispetto alla ratio dell’intervento normativo, non possono essere censurate in sede di giudizio di legittimità costituzionale, né sul piano del diritto alla tutela giurisdizionale 24 né sul piano del rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza.

Viene quindi da pensare che reclamo e mediazione rappresentino un tentativo di comprimere il ricorso alla giurisdizione tributaria facendo anche leva sull’apprezzamento dei relativi costi rapportati all’onere occorrente per definire stragiudizialmente le pendenze con l’Agenzia delle Entrate 25

.

Diversi sono gli aspetti controversi in tema di determinazione del valore della lite:

1) una prima questione è se per tale determinazione occorra riferirsi all’importo dei singoli tributi oggetto dell’atto impugnato, oppure alla somma degli stessi, qualora, come in molti casi avviene, un unico atto riguardi più tributi (si pensi agli atti impositivi con cui si accertano sia le imposte sui redditi che l’Iva, o agli avvisi di liquidazione concernenti più imposte d’atto). La dottrina più accreditata ha accolto la seconda soluzione, per cui il valore della lite è dato dall’importo complessivo dei

23 Corte Cost., sentenza 16 aprile 2014, n. 98, in banca dati BIG Suite, IPSOA.

24 Il filtro della mediazione, qualora infruttuoso, sortisce solo l’effetto di differire la giurisdizione ma non di impedirne l’accesso; in questi termini, C. Attardi, Reclamo e mediazione: costituzionalità e ricadute

sulla teoria generale del processo tributario, in Corr. trib. n. 18 del 2013, pag. 1446.

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tributi oggetto della controversia “ai sensi dell’art. 10 c.p.c., integralmente applicabile al processo tributario ex art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992” 26.

Il richiamo all’art. 10 c.p.c., secondo cui il valore della causa “si determina dalla domanda”, è utile al fine di stabilire che, a prescindere dal valore dei tributi di cui all’atto impugnato, il valore della controversia è determinato con riguardo al quantum oggetto della domanda giudiziale.

Ciò, del resto, è in armonia con la configurazione del processo tributario che, sebbene rivolto al c.d. accertamento sostanziale del rapporto controverso, è comunque strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio 27.

Ne discende che, anche a fronte di una pretesa di milioni di euro, qualora il contribuente intenda contestare solo una parte dell’atto e questa sia di valore non superiore a ventimila euro, egli è tenuto a proporre il reclamo.

Lo stesso dicasi per quei casi in cui, a seguito dell’esercizio del potere di autotutela, la pretesa tributaria, inizialmente superiore alla suddetta soglia, venga ridotta al di sotto di essa prima della notifica del ricorso (momento quest’ultimo che segna l’avvio della fase processuale). Laddove, invece, la rideterminazione della pretesa, con conseguente riduzione del quantum debeatur al di sotto del limite di ventimila euro, avvenisse in un momento successivo rispetto alla presentazione del ricorso, non si avrebbe, al contrario, alcun effetto sul reclamo in quanto il valore della lite, pur successivamente ridotto in misura inferiore a 20.000,00 euro, si sarà cristallizzato al momento della notifica del ricorso 28.

Relativamente alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore della controversia va invece determinato tenendo conto dell’importo del tributo richiesto a rimborso, al netto degli accessori. Nel caso

26 C. Glendi, Sui limiti dell’assistenza tecnica obbligatoria nel processo tributario, in GT – Riv. giur. trib. n. 10/2000, pag. 925, commento adesivo a Comm. Trib. Prov. Genova, sez. XI, 7 febbraio 2000, n. 722, ivi, pag. 921. Contra L. Castaldi, in T. Baglione – S. Menchini – M. Miccinesi, Il nuovo processo tributario.

Commentario, Milano, 2004, pag. 160, secondo la quale il valore della lite deve essere determinato con

riguardo all’importo dei singoli tributi che formano oggetto dell’atto impositivo impugnato “e non già al cumulo degli stessi”.

27 Cfr. ex plurimis, Cass., SS. UU., 18 gennaio 2007, n. 1054; più recentemente, Cass., 13 marzo 2009, n. 6129.

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in cui l’istanza di rimborso riguardi più periodi d’imposta, occorre fare riferimento al singolo rapporto tributario sottostante a ciascun periodo d’imposta. Pertanto, in tali ipotesi, il valore della lite è dato dall’importo del tributo richiesto a rimborso per ogni singolo periodo di imposta.

Ad esempio, se con una determinata istanza si richiede il rimborso di tributi afferenti a più periodi d’imposta e per uno solo di essi l’importo richiesto a rimborso non supera i ventimila euro, per quest’ultimo il contribuente deve presentare istanza di mediazione prima dell’eventuale instaurazione del giudizio.

2) Un’altra questione dibattuta concerne la possibilità di presentare un reclamo cumulativo, cioè riguardante più provvedimenti emessi dall’Agenzia delle Entrate o più fattispecie di silenzio-rifiuto di rimborso 29.

La tesi più restrittiva 30 porta a ritenere che non sia consentito proporre un reclamo cumulativo contro più provvedimenti di valore unitario inferiore a 20.000,00 euro, ma di valore complessivo superiore a detto limite (discorso analogo vale nel caso di silenzio-rifiuto formato su una domanda di rimborso relativa a più periodi d’imposta, i quali, singolarmente considerati, rispettano la soglia dei 20.000,00 euro, ma che nel complesso eccedono tale importo): ad esempio, il contribuente che riceva due avvisi di accertamento comportanti maggiori imposte per 15.000,00 euro ciascuno, deve presentare due distinti reclami, non potendo cumulare le domande in un unico atto e in un unico procedimento. Viceversa, può presentare un reclamo cumulativo il contribuente che intenda contestare due avvisi di accertamento di valore pari, rispettivamente, a 5.000,00 e a 10.000,00 euro.

Seguendo un’impostazione diversa, e a nostro avviso preferibile, il rispetto della soglia di valore dei 20.000,00 euro dovrebbe essere verificato avendo riguardo alla somma dei tributi oggetto di contestazione con riferimento a ciascun atto reclamabile (o all’importo del tributo richiesto a rimborso per ogni periodo d’imposta).

29 Sull’ammissibilità del ricorso cumulativo, cfr., tra le altre, Cass. 29 marzo 2011, n. 7157 e n. 7159, secondo cui la “cumulabilità è prevista dall’art. 104 c.p.c., cfr. Cass. nn. 7359/02 e 19666/04,

giurisprudenza che va confermata anche alla luce dei principi di cui all’art. 111 Cost., giovando alla speditezza della giurisdizione la riunione delle cause”.

30 Sostenuta da A. Turchi, Reclamo e mediazione nel processo tributario, in Rass. trib. n. 4 del 2012, pag. 898.

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Dunque, di fronte ad una pluralità di atti relativi a differenti periodi d’imposta, la valutazione circa la necessità di presentare il reclamo deve essere rapportata al tributo o ai tributi richiesti con il singolo atto 31; per cui, tornando all’esempio, deve ritenersi consentita la presentazione di un reclamo cumulato avverso più atti ciascuno dei quali non supera i 20.000,00 euro di valore.

Per contro, è sconsigliato il ricorso all’impugnazione cumulativa di più atti che, seppur connessi, siano soggetti a procedure diverse. In questi casi, infatti, la lite dovrebbe essere comunque scissa in due parti: quella riferita agli atti con valore sino a 20.000,00 euro seguirebbe l’iter delineato dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, mentre l’altra seguirebbe il corso ordinario.

3) Problematica è anche la determinazione del valore della controversia con riguardo agli avvisi di accertamento mediante i quali l’Agenzia delle Entrate rettifica l’ammontare delle perdite dichiarate dal contribuente, per i quali si possono richiamare le indicazioni fornite nella circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011 32 e riprese dalla circolare n. 9/E del 19 marzo 2012. In base a tali documenti di prassi è necessario distinguere due ipotesi: se l’atto si limita a ridurre o ad azzerare la perdita dichiarata dal contribuente, senza comportare accertamento di imposte, il valore della lite è determinato con riferimento alla sola “imposta virtuale”, ottenuta applicando le aliquote vigenti per il periodo d’imposta oggetto di accertamento all’importo risultante dalla differenza tra la perdita dichiarata e quella accertata 33.

Se invece a seguito della rettifica della perdita, l’avviso di accertamento evidenzia anche un imponibile o, comunque, un’imposta dovuta, il valore della lite si determina sommando alle maggiori imposte accertate l’imposta virtuale, come sopra calcolata. Rispetto a quest’ultima ipotesi va peraltro registrata un’inversione di tendenza nella prassi. Per anni la posizione ufficiale dell’Amministrazione finanziaria, contenuta

31 Così A. Cissello, Reclamo e mediazione: decorrenza e limite dei 20.000,00 euro, in Il fisco n. 12 del 2012, pag. 1-1763.

32 Illustrativa della disciplina della sanatoria delle liti fiscali pendenti alla data del 1° maggio 2011, in banca dati fisconline.

33 Cfr. circolare ministeriale 18 dicembre 1996, n. 291/E, a commento dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992. In banca dati BIG Suite, IPSOA.

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nella circolare n. 291/E del 1996 34, voleva la determinazione del valore della lite “con riferimento all’imposta virtuale ovvero, nel caso in cui fosse accertato un reddito imponibile in luogo della perdita dichiarata, alla maggiore imposta effettiva”.

Tale soluzione è stata aspramente avversata dalla dottrina, che intravedeva nella stessa una palese disparità di trattamento tra contribuenti 35.

Si veda l’esempio seguente: la società di capitali Alfa riceve un avviso di accertamento con cui vengono accertati maggiori ricavi per 200.000,00 euro. In dichiarazione è stata indicata una perdita fiscale di 250.000,00 euro, per cui la rettifica si conclude con una minor perdita di 50.000,00 euro, senza liquidazione di alcuna imposta.

La società di capitali Beta riceve un avviso di accertamento con cui vengono accertati maggiori ricavi per 300.000,00 euro; in dichiarazione è sempre indicata una perdita fiscale di 250.000,00, per cui la rettifica si risolve con un utile di 50.000,00 euro. Ora, applicando il criterio fatto proprio nella circolare 18 dicembre 1996, n. 291, ne deriverebbe che: per la società Alfa, il valore della lite sarebbe pari a 55.000,00 euro (200.000,00 × 27,5%), quindi l’atto non sarebbe reclamabile; per la società Beta, il valore della lite sarebbe pari a 13.750,00 (50.000,00 × 27,5%), quindi l’atto sarebbe reclamabile.

È palese l’irrazionalità della conclusione cui si perviene, in quanto, adottando tale criterio, sarebbe più elevato il valore della lite ove vengano accertati maggiori ricavi per 200.000,00 euro, anziché quello in cui i maggiori ricavi accertati sono pari a 300.000,00 euro.

Perciò, si pensa che, proprio per evitare simili effetti, i documenti di prassi più recenti 36 hanno affermato la necessità di calcolare sempre l’imposta virtuale sugli accertamenti di minor perdita e, ove dalla rettifica scaturisca un utile, l’esigenza di sommare all’imposta accertata quella virtuale.

34 Scaricabile da def.finanze.it

35 In riferimento alla necessità di avvalersi della difesa tecnica, V. Dulcamare, Valore della lite e

obbligo di assistenza tecnica, in Corr. trib. n. 38/1997, n. 2803.

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Così, riprendendo l’esempio precedente, entrambe le società sarebbero escluse dalla procedura di reclamo, in quanto: il valore della lite per la società Alfa sarebbe sempre pari a 55.000,00 euro (200.000,00 × 27,5%), mentre il valore della lite per la società Beta sarebbe pari a 82.500,00 euro (300.000,00 × 27,5%).

Le stesse conclusioni valgono anche per l’Irpef, in relazione alla quale occorre, mediante una finzione giuridica, applicare le aliquote progressive per scaglioni, considerando unitamente l’ammontare della perdita disconosciuta e dell’utile accertato 37.

Ma la dottrina si è spinta oltre le questioni di coerenza interna del criterio basato sull’imposta virtuale; tale soluzione, secondo un’autorevole opinione, “espone parti e giudici a calcoli funambolici incertissimi, se non addirittura aprioristicamente impossibili, con tutte le relative incertezze che mal si conciliano con l’esigenza di una predeterminazione di relativa certezza, tenuto anche conto delle gravi conseguenze di un errato calcolo, sul piano dell’inammissibilità del ricorso” 38, tant’è

che, in tali casi, è stato ritenuto più agevole sostenere che la controversia abbia un valore pari a zero 39 o, in alternativa, che sia di valore indeterminato 40.

Come è stato evidenziato, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito la necessità di quantificare l’imposta virtuale in ogni caso in cui, attraverso un atto di accertamento, si proceda alla rettifica di perdite dichiarate dal contribuente, con sommatoria dell’eventuale imposta effettivamente accertata.

Poiché l’operazione può richiedere calcoli complessi, che non è opportuno demandare ai contribuenti, è apprezzabile che l’Agenzia delle Entrate indichi, nelle avvertenze enunciate negli atti impugnabili ex art. 7 della l. n. 212/2000, il valore

37 A. Cissello, cit.

38 C. Glendi, op. ult. cit.

39 M. Nussi, in C. Consolo – C. Glendi, Commentario breve alle leggi sul processo tributario, Padova, 2008, pag. 137.

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della lite potenziale, così da mettere al corrente il destinatario della pretesa della necessità di esperire il preventivo reclamo, qualora intenda contestare l’atto 41

.

Trattasi, secondo alcuni, di una precisazione doverosa, la cui indebita assenza ingenera nel privato un affidamento degno di tutela, di modo che il giudice non potrà dichiarare inammissibile il ricorso eventualmente proposto, dovendo invece rimettere in termini il contribuente, ex art. 153, secondo comma, c.p.c., per lo svolgimento della procedura di reclamo e mediazione 42. Questione che deve comunque ritenersi superata allorché la proposizione del reclamo non costituisce più condizione di ammissibilità del ricorso, bensì di procedibilità del medesimo.

Poiché l’articolo 17-bis richiede che la controversia sia contraddistinta da un valore espressamente individuato, restano escluse dalla fase di mediazione le liti di valore indeterminato o indeterminabile 43, quali, ad esempio, quelle relative a provvedimenti aventi ad oggetto: operazioni catastali 44; irrogazione di sanzioni accessorie non pecuniarie; attribuzione di domicilio fiscale; diniego di iscrizione e cancellazione dall’Anagrafe unica delle Onlus; diniego o revoca di agevolazioni, senza contestazione di imposte o sanzioni 45; cancellazione di partite Iva inattive; pareri negativi resi all’esito di procedure di interpello. Lo stesso dovrebbe valere, inoltre, per i provvedimenti di diniego di autotutela, per i quali la cognizione del giudice tributario è limitata alla sola legittimità dell’operato dell’Amministrazione, ovvero ai ridotti margini di sindacato sull’esercizio del potere

41 Di tale adeguamento delle avvertenze ha dato notizia S. Morina, Nuovi accertamenti, gli interessi

sono sempre da specificare, in Il Sole 24 Ore dell’11 aprile 2012, pag. 21.

42 Così F. Pistolesi, cit.

43 In questo senso, R. Lunelli, Reclamo: rapporti con gli altri istituti deflativi del contenzioso, in Guida ai controlli fiscali n. 11/2011, pag. 60; M. Basilavecchia, cit.

44 Di contro, il contribuente deve esperire la fase della mediazione qualora oggetto di contestazione sia non solo la rendita attribuita, ma anche il tributo liquidato e/o i relativi accessori ovvero le sanzioni irrogate con il medesimo atto.

45 Di contro, il contribuente deve esperire la fase della mediazione qualora oggetto di contestazione sia non solo il diniego o la revoca dell’agevolazione ma anche il tributo o il maggior tributo accertato contestualmente con il provvedimento impugnato e/o le relative sanzioni irrogate con il medesimo atto. In tal caso, infatti, il valore della controversia è individuabile nel tributo o maggior tributo accertato, al netto dei relativi interessi e sanzioni.

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47

discrezionale, non potendo entrare nel merito della pretesa impositiva 46. Pertanto, anche tali controversie devono ritenersi di valore indeterminabile 47, non vertendo la lite su una pretesa quantificabile, bensì sulla condotta dell’Ufficio finanziario in ordine all’esercizio del potere discrezionale 48.

3. Le conseguenze della mancata presentazione del reclamo.

In base alla formulazione originaria del secondo comma dell’art. 17-bis 49, la presentazione del reclamo era condizione di ammissibilità del ricorso. Dunque, qualora il contribuente, in costanza dei presupposti di legge, ometteva di presentare il reclamo, il ricorso era inammissibile e, di conseguenza, l’atto impugnato diveniva definitivo e non più contestabile in momenti successivi.

L’inammissibilità, come di consueto, era rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo 50. In particolare, stando al previgente dato normativo, se il contribuente tralasciava il reclamo e proponeva immediatamente ricorso, questo veniva dichiarato inammissibile dal presidente con decreto o dal collegio giudicante con sentenza. Il contribuente, a seconda dei casi, ove ritenesse l’atto non reclamabile e quindi il ricorso ammissibile, doveva presentare reclamo ex art. 28 del d.lgs. n. 546/1992 o appellare la sentenza.

46 Cass., Sez. trib., 29 dicembre 2010, n. 26313, in Corr. trib. n. 9/2011, pag. 719, con commento di F. Graziano, L’impugnazione del diniego di autotutela non assicura benefici per il contribuente.

47 F. Graziano, Il debutto del contributo unificato nel processo tributario pone i primi dubbi

applicativi, in Corr. trib. n. 31/2011, pag. 2512.

48 Sull’argomento si veda l’approfondita analisi di F. Cerioni, Il sindacato sull’esercizio del potere di

autotutela non può avere effetti sull’atto impositivo divenuto definitivo, in GT – Riv. giur. trib. n. 6/2009,

pag. 503, commento a Cass., Sez. trib., 6 febbraio 2009, n. 2870.

49 Ci si riferisce al testo antecedente le modifiche apportate dall’art. 1, comma 611, della l. n. 147 del 2013.

50 Quindi, se in primo grado il contribuente ometteva il reclamo e il giudice riteneva tale condotta corretta, il giudice di appello o anche la Corte di Cassazione, se di diverso avviso, potevano dichiarare inammissibile il ricorso introduttivo per difetto di reclamo. Poiché l’art. 17-bis era cristallino nell’individuare le conseguenze del mancato reclamo, era difficile sostenere che la diretta notifica del ricorso anziché del reclamo potesse essere sanata dalla Commissione tributaria regionale rimettendo la causa in primo grado affinché le parti tentassero la mediazione, ostando a siffatta soluzione anche il carattere tassativo delle fattispecie previste dall’art. 59 del d.lgs. n. 546/1992.

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48

Ciò posto, era quindi fondamentale per i difensori individuare con certezza le potenziali liti reclamabili, atteso che la mancata proposizione del reclamo, nei casi in cui era invece obbligatoria, pareva avere effetti irreversibili 51.

L’Agenzia delle Entrate, a dire il vero, ha adottato una linea “morbida”, in sintonia con la finalità deflattiva del contezioso propria dell’istituto.

Gli Uffici addetti alla gestione delle liti tributarie evitavano infatti di eccepire l’inammissibilità dei ricorsi che non erano stati predisposti nelle forme del reclamo, ritenendo comunque instaurata la fase di mediazione dalla data di notifica dell’atto introduttivo 52.

Quindi, ieri come oggi, se una controversia rientrava nel perimetro di applicazione dell’art. 17-bis, l’Amministrazione poteva annullare in tutto o in parte l’atto impugnato (o riconoscere il rimborso richiesto) ovvero definire un accordo di mediazione con il contribuente, anche se quest’ultimo, nel predisporre il ricorso, non vi aveva inserito un’espressa istanza in tal senso 53

.

Ma anche se il reclamo viene considerato implicito al ricorso ogni volta che questo riguardi una controversia “mediabile”, occorre fare attenzione al termine entro il quale deve avvenire la costituzione in giudizio, il cui mancato rispetto produce tutt’oggi l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992.

Secondo la procedura ordinaria, il ricorrente deve provvedere alla costituzione in giudizio entra trenta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di inammissibilità. L’art. 17-bis, nel testo originario, stabiliva che i termini per la costituzione in giudizio, nel caso del reclamo, decorrevano dallo spirare del novantesimo giorno dalla notifica del reclamo (in caso di mancata risposta), ovvero, se precedente, dalla notifica del diniego o dell’accoglimento parziale.

Per effetto della modifica del secondo comma dell’art. 17-bis ad opera dell’art. 1, comma 611, della l. n. 147 del 2013 – applicabile agli atti dell’Agenzia delle Entrate notificati a

51 A. Cissello, cit.

52 Sin dalle prime direttive sull’argomento l’Agenzia delle Entrate ha raccomandato agli uffici periferici di considerare validamente presentate le istanze di reclamo anche per quei ricorsi che, sebbene soggetti alla procedura de qua, ne risultavano sprovvisti.

53 Ad onor del vero, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di annullare i propri atti, anche se definitivi, costituisce espressione del più generale potere di autotutela.

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decorrere dal 2 marzo 2014 54 – la presentazione del reclamo è divenuta condizione di procedibilità e non più di ammissibilità del ricorso.

Ciò comporta che la mancata proposizione del ricorso nelle forme del reclamo, nei casi in cui è prevista dalla legge, lungi dal compromettere in modo irreversibile le possibilità di difesa del privato, ha soltanto l’effetto di inibire l’attività processuale per il periodo di novanta giorni dalla notifica del ricorso. Viene così valorizzato il tentativo di definizione bonaria della lite e, al contempo, viene rimossa la comminatoria di inammissibilità del ricorso non preceduto dal reclamo, considerata dai più sproporzionata rispetto alle finalità dell’istituto. Per un esame più puntuale della normativa anteriore alla novella e dei connessi profili di incostituzionalità si rimanda all’apposito capitolo.

54 La nuova disciplina è altresì applicabile alle istanze riguardanti il rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori qualora, alla data del 2 marzo 2014, non sia già decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza di rimborso.

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BIBLIOGRAFIA

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51

nel coordinamento con gli altri istituti deflativi del contenzioso, in Corr. trib. n. 36 del 2012, pag. 2790; F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 114; A. TURCHI, Reclamo e mediazione nel processo tributario, in Rass. trib. n. 4 del 2012, pag. 898.

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