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Godard e le altre arti: pittura, musica e letteratura tra Passion e Hélas pour moi.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex

D.M. 270/2004)

in Economia e Gestione delle Arti e delle

attività culturali

Tesi di Laurea

Godard e le altre arti: pittura,

musica e letteratura tra Passion

e Hélas pour moi

Relatore

Ch.ma Prof.ssa Valentina Carla Re

Correlatore

Ch.ma Prof.ssa Stefania Portinari

Laureando

Diana Florian

Matricola 845086

Anno Accademico

2013 / 2014

(2)
(3)

“L'arte ci attrae solo per ciò che rivela del nostro io più intimo”.

Jean-Luc Godard

(4)

INDICE

INTRODUZIONE p.4

1.JEAN-LUC GODARD TRA VITA E CINEMA p.8

1.1 I periodi di Jean-Luc Godard p.13

2. CINEMA E PITTURA:PASSION p.25

2.1 Una classificazione della pittura nel cinema p.27

2.2 Cinema e pittura tra teorie e pratiche p.29

2.3 La pittura nella storia del cinema p.35

2.3.1 Cinema muto p.35 2.3.2 Cinema d'avanguardia p.38 2.3.3 Futurismo p.39 2.3.4 Dadaismo p.41 2.3.5 Surrealismo p.43 2.3.6 Espressionismo tedesco p.45 2.3.7 Cubismo p.47 2.3.8 Avanguardie sovietiche p.48

2.3.9 Cinema sperimentale e cinema d'artista p.52 2.3.10 Modelli pittorici nel cinema d'autore p.59

2.4 Godard pittore p.68 2.4.1 La citazione pittorica nella filmografia di Godard p.71

2.5 Passion p.79

2.5.1 Sinossi p.79

2.5.2 Analisi p.80

2.5.3 “Passion”, le travail et l'amour. Introduction à un

scènario. Troisième état du scénario du film “Passion” p.87 2.5.4 Scénario du film Passion p.89

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3.CINEMA E MUSICA: PRÉNOM CARMEN p.102

3.1 Le tipologie della musica da film p.102

3.2 Teorie e critica della musica per il cinema p.105

3.3 Cinema e musica: una visione storica p.115

3.3.1 Cinema muto p.115 3.3.2 Avanguardie storiche p.122 3.3.3 Futurismo p.123 3.3.4 Dadaismo p.124 3.3.5 Espressionismo tedesco p.127 3.3.6 Cubismo p.128 3.3.7 Avanguardie sovietiche p.130

3.3.8 Oltre il cinema d'avanguardia p.133

3.3.9 L'avvento del sonoro p.136

3.3.10 Gli stati Uniti: Hollywood p.138

3.3.11 Europa p.146

3.4 Godard e la musica: compositore di cinema p.160

3.5 Prénom Carmen p.169

3.5.1 Sinossi p.170

3.5.2 Analisi: l'origine è Passion p.172 3.5.3 Analisi di Prénom Carmen p.178

Apparato iconografico P.184 4. CINEMA E LETTERATURA: HÉLAS POUR MOI p.188

4.1 Analogie e differenze tra cinema e letteratura p.188

4.2 Le teorie p.192

4.3 Letteratura e cinema: una visione storica p.199

4.3.1 Cinema muto p.201 4.3.2 Avanguardie storiche p.206 4.3.3 Futurismo p.207 4.3.4 Espressionismo tedesco p.208 4.3.5 Dadaismo p.209 4.3.6 Surrealismo p.212

(6)

4.3.7 Cinema puro p.213 4.3.8 Il cinema d'autore in Italia e in Francia p.214

4.4 La citazione letteraria p.223

4.5 Godard poeta p.227 4.5.1 Le citazioni letterarie nella filmografia di Godard p.236

4.6 Hélas pour moi p.246

4.6.1 Sinossi p.247

4.6.2 Analisi p.248

4.6.3 Passion, Prénom Carmen, Hélas pour moi: la loro storia

p.257

Apparato iconografico p.260

BIBLIOGRAFIA p.263

RISORSE ONLINE p.270

FILMOGRAFIA DI JEAN-LUC GODARD p.271

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INTRODUZIONE

Quando guardai per la prima volta il film d'esordio di Jean-Luc Godard, À bout de

souffle (Fino all'ultimo respiro, 1959), la sensazione provocatami fu di immenso

stupore: mentre le immagini scorrevano mi accorgevo di riconoscere tra i dialoghi una frase di William Faulkner, una riproduzione di Pierre-Auguste Renoir (ritratto di Irene

Cahen d'Anvers), una melodia di Mozart e l'attore Humprey Borgart, immortalato in una

locandina di un suo film.

Dopo la visione di À bout de souffle, il mio interesse per Jean-Luc Godard si diresse verso il suo ampio lavoro cinematografico, attività strettamente legata alla sua vita privata e alle sue passioni. La personalità di cineasta, di critico e di uomo versatile e dotto, conoscitore di diverse arti, si esprime attraverso l'uso della citazione, poiché secondo Godard: «tutto in un film è citazione, non solo le frasi»1.

Il lavoro che segue nasce perciò dall'interesse verso le innumerevoli citazioni presenti nei film di Godard. Personalmente, trovo affascinante l'uso che il regista fa della citazione, poiché egli inserisce elementi che sono allo stesso tempo personali, in quanto rispecchiano le sue passioni letterarie, musicali e pittoriche, e collettivi, in quanto lo spettatore mediante le proprie conoscenze e il proprio bagaglio culturale è in grado di cogliere tali citazioni. Queste citazioni non influenzano l'apparato narrativo, ma appaiono come una bella cornice ad un'opera altrettanto bella, la quale se non avesse tale cornice, forse, non apparirebbe allo stesso modo agli occhi di chi la osserva.

Nelle pagine che seguono si tratterà del rapporto tra il cinema godardiano e le tre arti principali, dalle quali il regista attinge per le proprie citazioni: la pittura, la musica e la letteratura. In base a queste tre arti sono stati scelti tre film che, a mio parere, esprimono la concezione, e talvolta il punto d'arrivo, del rapporto tra Godard e le arti, questi film sono rispettivamente: Passion, Prénom Carmen e Hélas pour moi. Le tre pellicole scelte si collocano cronologicamente nel terzo periodo dell'autore (1975-), precisamente nel decennio tra i primi anni Ottanta e i primi anni Novanta. Questi anni, dal mio punto di vista, coincidono con un uso della citazione che diviene una sorta di

1 Intervista a “Le Figaro”, 30 agosto 1993; qui citato in Passion Godard. Il cinema (non) è il cinema, Turigliatto Roberto (a cura di), Il Castoro, Milano 2011, p.24.

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pura essenza, ovvero la sostanza primaria dell'opera cinematografica, in quanto la citazione è ricercata e minuziosamente assemblata all'interno dei film.

In seguito alla presentazione di una breve biografia dell'autore, indispensabile per una corretta comprensione della sua poetica, il presente elaborato verterà sull'analisi dei film Passion, Prénom Carmen e Hélas pour moi e sull'uso della citazione che Godard vi compie. I tre capitoli dedicati alle pellicole e alle rispettive arti sono introdotti da una breve trattazione, che analizza il rapporto tra il cinema e la pittura, la musica e la letteratura. La trattazione appare indispensabile in direzione di un’approfondita comprensione del rapporto che lega le varie arti e di come queste abbiano sempre influenzato il cinema e gli autori di cinema. Il suddetto campo di indagine è assai ampio e per tale motivo si seguirà un percorso generale del legame tra il cinema e l'arte corrispondente, sia dal punto di vista teorico, sia da quello storico-cronologico. Si approderà poi alla filmografia di Jean-Luc Godard, al suo rapporto con le arti ed infine si analizzerà l'opera cinematografica.

Con Passion, Jean-Luc Godard si fa pittore: se nei film degli anni Sessanta il cineasta si limitava ad inserire immagini pittoriche nei propri film, con Passion (1982) decide di ricostruire opere d'arte attraverso splendidi tableaux vivants. La differenza nell'uso della citazione pittorica tra il primo periodo dell'autore (1960-1967) e il terzo periodo viene esemplificata con una breve analisi di Pierrot le fou (1965), film in cui il colore viene sapientemente utilizzato per esprimere le vicende dei personaggi e i loro stati d'animo, mentre la pittura viene citata attraverso libri, riproduzioni di opere e associazioni con i personaggi. Al contrario, con Passion Godard cita esplicitamente le opere d'arte, non filma le riproduzioni ma la loro riproduzione e trasforma la citazione pittorica in protagonista indiscussa del film. La storia, o meglio le storie, del film accompagnano i tableaux vivants e le tematiche su cui verte la pellicola: la luce, unico mezzo in grado di riprodurre le opere viventi; la vita di cinema e in fabbrica; infine l'arte sublime classica dei dipinti più celebri di Delacroix, Watteau, Ingres, Goya, El Greco, Rembrandt.

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Prénom Carmen (1983) Godard dedica l'intera opera alla musica, precisamente ai Quartetti di Beethoven. Nelle opere degli anni Sessanta Godard si concentra sul suono,

più che con la musica in sé, secondo quel lavoro di rinnovamento dell’immagine che stava realizzando attraverso il montaggio. La maggior parte dei film di questi anni sono accompagnati da musiche appositamente create, ma che il cineasta taglia, sposta e assembla con brani di musica classica e non solo. La purezza della citazione musicale avviene, a mio parere, con Prénom Carmen, la cui colonna sonora è composta unicamente dai Quartetti di Beethoven, che accompagnano l'intera vicenda, anch'essa incentrata, come in Passion, tra vita e arte, tra il lavoro e la purezza.

Infine, nei film godardiani vi è la citazione letteraria tramite titoli di libri, frasi di romanzi, che possono essere iscritte nell'immagine filmica o pronunciate direttamente dai personaggi. Le citazioni letterarie sono per Godard un omaggio a poeti e scrittori da lui amati e l'elogio che compie con Hélas pour moi (1993) è grandioso: i dialoghi sono pura letteratura, ogni battuta è composta da frasi di libri e poesie che Godard mescola, taglia e riscrive al punto che, talvolta, non si riconoscono neppure le fonti. Questo è inoltre un film la cui vicenda è tratta liberamente dalla Storia del genere umano del poeta Giacomo Leopardi e da Amphiytrion 38 di Jean Giroudoux. Godard perciò non scrive i dialoghi e neppure la trama, ma piuttosto modella le fonti letterarie su di essi.

In Passion, Prénom Carmen e Hélas pour moi, le citazioni si presentano, a mio parere, come il più meraviglioso omaggio che il cineasta potesse fare alle arti, poiché egli sembra costruire le sue opere cinematografiche su di esse, sulle loro specificità.

Il fil rouge che accomuna i tre film in questione, oltre all'utilizzo supremo della citazione, è il ruolo della storia, che a mio parere deve essere osservata non in senso narrativo, come elemento proprio del film, ma in senso personale, come elemento proprio dell'autore. Analizzando le tre pellicole ho potuto notare come esse siano caratterizzate dalla ricerca comune di una storia da parte dei rispettivi protagonisti, storia che probabilmente ricerca anche lo stesso Godard mentre realizza i suoi film. Per questo ogni film ha al suo interno un alter-ego del regista, Jerzy in Passion, lo zio Jean (interpretato dallo stesso Jean-Luc Godard) in Prénom Carmen, l'editore Klimt in Hélas

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pour moi; personaggi che hanno un obiettivo in comune: cercare di realizzare una storia,

vera o fasulla che sia. Dunque, nelle analisi dei film, la trattazione verterà anche sul ruolo della storia e su come essa viene messa in relazione con i temi fondanti del film e, talvolta, con le stesse citazioni.

Gli omaggi sublimi e la ricerca di una storia diventano in Godard una sorta di ossessione, magnifica direi, che dà vita alle tre opere, in cui i protagonisti del film sono la pittura, la musica, la letteratura e, naturalmente, il cinema.

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CAPITOLO I

JEAN-LUC GODARD TRA VITA E CINEMA

Rimpiango l'epoca della Nouvelle Vague, quando non avevamo nessuna paura […]. Mi rendo conto di osare meno, ciò mi preoccupa, e mi dico che si deve osare... Ma bisogna essere in tanti: durante la Nouvelle Vague avevamo una forza terribile, eravamo tre o quattro, ma comunicavamo in continuazione […]. Quando finivo di scrivere un articolo per i “Cahiers”, lo mostravo a Rohmer e se mi diceva che andava bene ero più contento che se oggi mi dicessero di aver fatto trecentomila spettatori. Avevamo una forza straordinaria, che ho perso, come una stella che si raffredda.2

Così Jean-Luc Godard, in una conferenza del 1989, descrive il suo operato durante gli anni della Nouvelle Vague3, affermando di aver oggi perduto quell'intensità

di quegli anni, in cui l'interazione con gli amici e colleghi dei “Cahiers” consentiva di dire e fare senza timore, di sperimentare nuovi linguaggi, «un'originalità come quella che avevamo noi non si è più vista in seguito»4 disse Godard. La condivisione era

l'aspetto che caratterizzava gli anni della Nouvelle Vague, difatti la critica e la pratica filmica erano oggetti di condivisione tra i teorici e tra i cineasti che non temevano di osare e di sperimentare.

In questi anni, quando Godard tratta il tema della Nouvelle Vague fa soprattutto riferimento al periodo in cui i jeunes turcs, i “giovani turchi”, non sono ancora divenuti registi, si riferisce all'attività critica e a quella di cinéphiles della Cinémathèque Française di Henri Langlois5, in cui si ritrovano i giovanissimi François Truffaut,

Jean-2 Godard Jean-Luc, Le montagne, la solitude, la liberté in Jean-Luc Godard par Jean-Luc Godard (a cura di) Bergala Alan, Cahiers du cinéma, Editions de l'Etoile, Paris 1998, vol. II; trad. it. Due o tre

cose che so di me, Mininimum Fax, Roma 2007, p.239 (estratto dalla conferenza tenuta alla FEMIS il

26 aprile 1989).

3 L'espressione “Nouvelle Vague”, che rimanda ad un momento particolare della storia del cinema francese, compare sulla stampa a partire dal febbraio-marzo 1959 accompagnando l'uscita commerciale dei film Le beau e Les Cousins di Claude Chabrol, Les Quatre cents coups di François Truffaut e Hiroshima mon amour di Alain Resnais.

4 L'arte a partire dalla vita, intervista di Alain Bergala, 12 marzo 1985, qui citato in Godard Jean-Luc, Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande,

Minimum Fax, Roma 2007, p.20.

5 Fondata nel 1934 da Henri Langlois e Georges Franju, nella Cinémathèque venivano proiettati non solo i film classici ma anche quelli censurati dall'industria, definiti da Jean Cocteau “film maledetti”, in quanto erano film che si ponevano contro i dogmi e le regole del cinema tradizionale (ad esempio le pellicole di Jean Renoir, Roberto Rossellini, Jacques Becker, Alfred Hitchcock, Howard Hawks, Fritz Lang, Anthony Mann, Jean Renoir, e Max Ophüls).

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Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e Eric Rohmer. Essi difatti prima di essere registi sono innanzitutto dei cinefili, conoscono la storia del cinema e in quanto tale discutono e giudicano le scelte estetiche e tecniche del cinema tradizionale6. Ma dal

fare della critica tra amici al fare della critica con carta e penna non passa poi molto tempo e a partire dal 1951 i cinque amici diventano collaboratori della rivista cinematografica “Cahiers du cinéma”7.

La critica dei “Cahiers” degli anni Cinquanta si basava sul concetto di mostrare e dimostrare fino al punto che si riesca poi a comprendere e a valutare8; per Godard

questo è l'obiettivo primo del cinema al punto che il cineasta afferma, in un'intervista del 1962, che fare critica sulla rivista di Bazin o Doniol-Valcroze era la medesima cosa che girare un film: «Tutti, ai “Cahiers”, ci consideravamo futuri registi. Frequentare i cineclub e la Cinemathèque era già pensare cinema e pensare al cinema. Scrivere era già fare cinema, perché tra scrivere e girare c'è una differenza quantitativa, non qualitativa»9.

Dunque la Nouvelle Vague è per Godard essenzialmente un tempo della critica, in cui pure è già iscritto un tempo del cinema10, in quanto esiste una continuità tra la

pratica cinematografica e quella letteraria. Questa continuità esplode tra il 1958 e il 1959, anni in cui quel gruppo circoscritto di critici composto da François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Jacques Rivette ed Eric Rohmer si trasforma in un gruppo di cineasti, il cui lavoro contribuì a definire la corrente cinematografica della Nouvelle Vague. Secondo Michel Marie tale gruppo di cineasti può essere raggruppato sotto una vera e propria scuola artistica11, mentre Jean-Luc Godard ritiene che sia il gruppo stesso

l'essenza della corrente, «il gruppo dei “Cahiers” è tutto»12. In qualunque modo si veda

la corrente è André Bazin che segna profondamente questo cinema attraverso le sue

6 Definito ironicamente dai giovani cinefili il “cinema di papà”.

7 La rivista “Cahiers du Cinéma” è stata fondata nel 1951 da André Bazin e Jacques Doniol-Valcroze. 8 Secondo Venzi Luca (a cura di), Nouvelle Vague: forme, motivi, questioni, Ente dello spettacolo,

Roma 2011, p.11.

9 Intervista rilasciata nella rivista “Cahiers du Cinéma”, 138, 1962. Qui citato in Michel Marie, La

Nouvelle Vague, Lindau, Torino 1998, pp.35-36.

10 Venzi Luca (a cura di), Nouvelle Vague: forme, motivi, questioni, Ente dello spettacolo, Roma, 2011, p.11.

11 Michel Marie, La Nouvelle Vague, Lindau, Torino 1998, p.35-57.

12 Trois entretiens. Jean-Luc Godard, in “Cahiers du cinéma”, 138, 1962, qui citato in Venzi Luca (a cura di), Nouvelle Vague: forme, motivi, questioni, Ente dello spettacolo, Roma 2011, p.16.

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teorie13. Fondamentale è la riflessione sul rapporto tra realtà e immagine filmica:

quest'ultima è sia documentaria che finzionale allo stesso tempo. «Essa è un atto di trascrizione automatica di un dato sensibile colto nel suo durare e, allo stesso tempo, l'espressione visibile della sua elaborazione formativa»14, e la ripresa è il luogo dove la

duplicità dell'immagine filmica si esprime. Il cinema perciò si trova tra la realtà (un dato sensibile) e l'immaginario (l'espressione visibile della sua elaborazione formativa) e tra registi che perseguono il concetto di realtà e quelli che invece sostengono l'immagine e l'immaginario. Bazin riconosce questo suo concetto del rapporto tra realtà e immagine nell'estetica del neorealismo italiano, in quanto la “corrente” ha costituito un'evoluzione del linguaggio cinematografico, rompendo con gli aspetti stilistici del cinema classico e con il procedimento tradizionale narrativo, per porre in evidenza la realtà che diventa forma nell'immagine cinematografica. Bazin afferma questo suo pensiero con il film neorealista Ladri di biciclette (regia di Vittorio De Sica, 1947) ritenendolo «uno dei primi esempi di cinema puro, niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè, finalmente, nell'illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema»15.

A partire dal concetto baziniano di realtà e immagine, Jean-Luc Godard esplica la sua opinione di immagine finzionale e documentaria sostenendo: «In linea generale, il reportage è interessante solo se si inserisce nella finzione, ma la finzione è interessante solo se si verifica nel documentario. La Nouvelle Vague, appunto, è caratterizzata in parte proprio da questo nuovo rapporto tra la finzione e la realtà»16.

Così i cineasti della “nuova ondata” attingono alla realtà nelle istanze tecnico-formali esibite (dal rumore della macchina fino alla ripresa di veri passanti sulle strade di Parigi che divengono comparse all'interno del film) e in quelle compositive-figurative derivate (ad esempio l'uso della citazione e il richiamo extratestuale), che assumono un proprio spessore in quanto ricondotte alla personalità di ogni singolo autore. Di matrice baziniana è anche la politica degli autori, in cui l'opera cinematografica viene

13 I suoi scritti sono stati raccolti in quattro volumi (postumi alla morte avvenuta nel 1958) dal titolo

Qu'est-ce que le cinéma?, Éditions du Cerf, Parigi, pubblicati tra il 1958 e il 1962. In Italia è stata

pubblicata una traduzione parziale: Aprà Adriano (a cura di), Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1973.

14 Venzi Luca (a cura di), Nouvelle Vague: forme, motivi, questioni, Ente dello spettacolo, Roma 2011, p.19.

15 Bazin André, Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1986, p.318.

16 Trois entretiens. Jean-Luc Godard, in “Cahiers du cinéma”, 138, 1962, qui citato in Venzi Luca (a cura di), Nouvelle Vague: forme, motivi, questioni, Ente dello spettacolo, Roma 2011, p.24.

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considerata come espressione della personalità del regista, il quale trasmette la propria visione del mondo in piena libertà espressiva; la sceneggiatura, perciò, appare secondaria rispetto alla regia, la mise en scène, da cui si colgono le peculiarità del suo autore. Di conseguenza, i critici dei “Cahiers” si oppongono al linguaggio cinematografico codificato, sopratutto quello hollywoodiano17, e ai vincoli imposti dal

cinema industriale e commerciale per esaltare uno stile personale del regista, che si impegna a perseguire l'estetica del reale.

Prima della teoria di André Bazin, fu Alexandre Astruc, nel 1948, in un saggio-manifesto Naissance d'une nouvelle avant-garde: la caméra-stylo18 a sostenere l'idea

che il cinema potesse diventare mezzo di espressione personale del regista, tanto quanto lo è una penna (stylo) per uno scrittore: «il cinema sta divenendo un mezzo d'espressione, ciò che sono state tutte le arti prima di esso, in particolare la pittura e il romanzo. Diventa a poco a poco un linguaggio, cioè una forma attraverso la quale un artista può esprimere il suo pensiero, quanto astratto possa essere, o tradurre le sue ossessioni esattamente come avviene nel campo del saggio o del romanzo»19.

Forse è la ricerca di uno stile personale che non ha permesso di far diventare la Nouvelle Vague un movimento compatto, difatti le diverse direzioni prese negli anni Sessanta dai suoi esponenti inducono semmai a vederla come una breve alleanza di temperamenti differenti20. La “nuova ondata” giunse all'apice del suo successo tra il

1958 e il 1962, anni nei quali i cineasti aderenti alla corrente vengono accomunati dalla medesima concezione di un cinema che, come disse Godard, doveva saper catturare la bellezza dello «splendore del vero»21. I cineasti della Nouvelle Vague sono agevolati

nella ricerca del loro fine anche dalla nuova strumentazione cinematografica, introdotta fra il 1958 e il 1960, che concilia le scelte estetiche della Nouvelle Vague: difatti la macchina da presa diventa più leggera e compatta, permettendo ai cineasti di poter filmare per strada o all'interno degli appartamenti parigini, offrendo la possibilità di

17 I critici dei “Cahiers” sostengono che anche nel cinema hollywoodiano ci siano dei cineasti che possono essere consideri degli autori, ad esempio Godard dedica alcuni suoi scritti ai registi Nicholas Ray, Frank Tashlin, Joseph Mankiewicz e Stanley Donen.

18 Pubblicato nella rivista “L'Ecran Français”.

19 Citato in Renzo Gilodi, Nouvelle vague: il cinema, la vita, Effatà Editrice, Torino 2007, p.65. 20 Secondo Bordwell David, Thompson Kristin, Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra a oggi.

Editrice Il Castoro, Milano 2003, p.196.

(15)

registrare dialoghi in presa diretta ed inserire i rumori dell'ambiente nella colonna sonora22. Le pellicole utilizzate sono ultrasensibili in quanto i cineasti prediligono una

luce naturale e, quando sono necessarie luci artificiali, scelgono di impiegare le photo

floods, lampade a luce diffusa che possono essere trasportate anche in interni reali e

regolate durante le riprese. I cineasti poi privilegiano attori non professionisti o esordienti, i cui dialoghi non vengono prestabiliti per abbandonare la recitazione all'improvvisazione, che conduce ad una maggiore libertà d'espressione sia per il regista che per gli attori; l'autore-regista compone la sua troupe di poche persone e realizza i film con un piccolo budget o autoprodotti in modo da conservare la creatività autoriale.

L'atto decisivo della Nouvelle Vague è la riscoperta degli ambienti e dei luoghi reali inevitabilmente legati agli autori, accentuando così la forte dimensione autobiografica delle opere. I film della Nouvelle Vague sono incentrati sulla vita professionale urbana, mostrano le mode del momento, le auto sportive, i party notturni e i caffè con l'immediatezza del cinema diretto. «Difatti i cineasti mirano a eliminare le frontiere tra cinema professionale e amatoriale, così come quelle tra film di finzione e film documentario»23.

Analizziamo ora l'estetica e la tecnica della Nouvelle Vague attraverso una breve analisi di À bout de souffle (Fino all'ultimo respiro, 1959), primo lungometraggio di Jean-Luc Godard e film-manifesto della corrente24. Godard porta la cinepresa in strada

per mostrare la Parigi degli Champs-Élysées, i cinema e i suoi caffè, gli alberghi per turisti (Hôtel de Suède) in un'immagine che sembra celebrare la capitale francese. Godard porta in scena la realtà e la quotidianità anche nei dialoghi, ad esempio a Michel (Jean-Paul Belmondo) è permesso di dire tutto: lo sentiamo canticchiare un motivo alla radio, lo ascoltiamo insultare le autostoppiste o chiedere a Patricia (Jean Seberg) perché non porta il reggiseno, infine a Michel è permesso anche di parlare allo spettatore e con sguardo in macchina annuncia la finzione del cinema.

22 I primi film erano però postsincronizzati a causa degli elevati costi che gli autori della Nouvelle Vague non potevano permettersi. Nei primi anni sessanta la sincronizzazione tra suono e immagine si realizza grazie al nuovo magnetofono Nagra. È Godard in Une femme est une femme (1961) a realizzare il primo film con suono in presa diretta della corrente. Il perfezionamento tecnico giungerà alla fine degli anni Sessanta con la cinepresa Arriflex, con il suono in presa diretta.

23 Michel Marie, La Nouvelle Vague, Lindau, Torino 1998, p.82.

24 Gli altri film manifesto secondo Bordwell David, Thompson Kristin, Storia del cinema e dei film.

Dal dopoguerra a oggi. Editrice Il Castoro, Milano 2003, p.195, sono: Le beau e Les Cousins di

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Nel film il cineasta distrugge ogni regola del montaggio classico: «privilegia un montaggio sincopato tanto nelle sequenze di azione (la fuga in auto all'inizio del film) quanto nei momenti di dialogo (quando Michel parla alla nuca di Patricia durante il loro percorso in auto), […] opta in certi momenti per il piano-sequenza rettilineo (l'incontro sugli Champs-Élysées) o circolare (la discussione finale nell'appartamento di rue Campagne Première)»25, utilizza i jump cut ovvero tagli di alcuni fotogrammi all'interno

di una sequenza che provocano uno stile irregolare e fastidioso allo spettatore, infine dilata le sequenze fino a tre o quattro volte la sua durata tradizionale (il lungo dialogo iniziale tra Patricia e Michel nella camera d'albergo26). Il linguaggio è volutamente

frammentario e discontinuo: Godard analizza il cinema e si scaglia contro il linguaggio e gli artifici del cinema classico per cercare una nuova forma di narrazione; ciò che Godard tenta di fare è spezzare l'incantesimo dello spettacolo cinematografico americano per porre lo spettatore in una posizione distaccata e critica davanti alla rappresentazione. Nei film della “nuova ondata”, la narrazione è organizzata su eventi casuali con frequenti digressioni e il finale è quasi sempre aperto, come quello di À bout

de souffle, in cui emerge l'ambiguità dei sentimenti di Patricia nei confronti dell'amato

Michel, che tradisce denunciandolo alla polizia.

1.1 I periodi di Jean-Luc Godard

«Esiste il cinema prima di Godard e il cinema dopo Godard»27. Ad affermarlo è

l'amico François Truffaut, ma vi è chiaramente un cinema prima di À bout de souffle e dopo À bout de souffle. Il film, oltre ad essere l'esordio ufficiale di Godard come regista e suo primo lungometraggio, può essere considerato l'origine, ovvero l'inizio, di un progetto personale e cinematografico dell'autore. Con i suoi raccordi di montaggio sconnessi, la novità linguistica e lo stile narrativo ellittico, À bout de souffle sembra aver creato una frattura che non è possibile collegare con il passato, una frattura che è un nuovo inizio per il cinema in generale e per quello godardiano in particolare.

25 Michel Marie, La Nouvelle Vague, Lindau, Torino, 1998, p.103. 26 La scena del dialogo dura 20 minuti.

27 Citato in Bordwell David, Thompson Kristin, Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra a oggi. Editrice Il Castoro, Milano 2003, p.198.

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Il Godard cinefilo, assiduo frequentatore del cinema di Langlois, si avvicinò al cinema e a coloro che divennero con lui i rappresentanti della Nouvelle Vague circa alla fine degli anni Quaranta28. Il gruppo di amici si scambiano esperienze, si ritrovano tutti i

giorni nei cinema e, alcuni di loro, iniziano a sperimentare con la cinepresa. Godard è giovanissimo, ha meno di vent'anni29, eppure ha una forte passione per il mondo del

cinema.

Prima di approdare ai “Cahiers”, Godard scrive a “La gazette du cinéma”30 una

quindicina di articoli sotto lo pseudonimo di Hans Lucas, ovvero Jean-Luc in lingua tedesca, recensendo film americani, sovietici e francesi. Nella rivista “Cahiers du cinéma” Godard scrive il suo primo articolo nel gennaio del 1952, recensendo un film di Rudolph Maté. La critica di questi anni non si limita a dare giudizi cinefili su film minori e sottovalutati, nei suoi scritti critici emergono anche le sue idee sul cinema, il quale «è uno sguardo a ogni istante talmente nuovo sulle cose da trafiggerle»31. Godard

crea frasi critiche che trasforma in creazioni di se stesse, in quanto il cineasta si riconosce in quella politica degli autori per cui anche le sue parole devono rientrare in una costanza di uno stile ed essere così riconoscibili. Fino al 1956 Godard non scriverà più, tra le varie vicende biografiche32 si inserisce una trasformazione culturale profonda

nel cineasta. Egli ritornerà ai “Cahiers” nel 1957 per poi passare al settimanale “Arts”, ma la sua critica appare diversa e meno passionale. Godard difatti si sta concentrando su un altro tipo di lavoro, quello di fare film. Nel 1957 lavora come addetto stampa alla 20th Century Fox prendendo il posto lasciatogli da Claude Chabrol; in omaggio a Jean Cocteau nel 1958 produce Charlotte et son Jules e nello stesso anno Une historie d'eau, quest'ultimo nato dalla collaborazione con François Truffaut, il quale l'anno seguente gli

28 Truffaut afferma di aver conosciuto Godard nel 1948 alla Cinémathèque di Avenue de Messine e al cineclub del Quartiere Latino. Citato in Farassino Alberto, op.cit., p.17.

29 Jean-Luc Godard è nato a Parigi il 3 dicembre 1930 da una famiglia alto borghese originaria di Ginevra. Il padre, Paul Godard, è un medico mentre la madre, Odile Monod, appartiene ad una ricca famiglia di banchieri e di intellettuali. Godard frequenta le medie in Svizzera, il liceo a Parigi per poi iscriversi a etnologia alla Sorbona, percorso di studi che non verrà mai terminato.

30 Rivista fondata nel 1950 da Godard, Rivette e Rohmer; è stata pubblicata per cinque numeri tra il maggio e il novembre del 1950.

31 Citato in Farassino Alberto, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano 2007, p.21.

32 Godard tra il 1952 e il 1954 torna in Svizzera per riottenere la cittadinanza e sottrarsi così al servizio militare in Francia, che avrebbe significato combattere nella guerra d'Algeria (1954-1962). Nel 1954 lavora come manovale nella costruzione della diga della Grande Dixence e allo stesso tempo gira un documentario, Opération béton, che verrà acquistata dall'azienda stessa.

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offrirà la sua sceneggiatura per realizzare il primo lungometraggio di Godard, À bout de

souffle, conosciuto in Italia con il titolo Fino all'ultimo respiro.

Si apre così il primo periodo cinematografico dell'autore, il periodo più fecondo in cui realizza ventidue film in un arco di tempo che va dall'anno 1960 al 1967. Il lavoro godardiano in questo periodo risulta innovativo sia dal punto di vista tecnico, con l'uso di un montaggio sconnesso, rapido, sincopato con raccordi sbagliati, sbalzi di illuminazione tra un'inquadratura e l'altra causati da un'illuminazione quasi sempre naturale, attori che si rivolgono direttamente al pubblico con sguardi in macchina che stravolgono il senso narrativo tradizionale, sia dal punto di vista citazionale, con evidenti richiami alla cultura popolare, ai film e ai divi hollywoodiani degli anni Cinquanta.

Fin dal suo primo cortometraggio, À bout de souffle (1959), Godard compie una serie di citazioni extratestuali: inserisce il poster del film di Humphrey Bogart, Il

colosso di argilla, la cui espressione viene imitata dal protagonista Michel33, mostra sale

cinematografiche dove vengono proiettati Hiroshima mon amour di Resnais, Dieci

secondi con il diavolo di Aldrich, L'oro della California di Boetticher e altri ancora; a

queste vanno aggiunte le citazioni pittoriche (Picasso, Renoir), musicali (Bach, Mozart) e letterarie (Faulkner, Rilke, Cocteau, Aragon, Sachs). Questi campi citazionali caratterizzano tutto il primo periodo godardiano e ritorneranno nel terzo periodo (1975-) facendosi più frequenti e più marcati in ogni suo film.

Nel film successivo, Le petit soldat (1960), Godard inizia a riflettere su un tema che diverrà costante negli anni successivi, la guerra, ma ne parla attraverso un evento attuale, la guerra d'Algeria; senza prendere posizioni politiche il cineasta adotta una prospettiva di distanza critica e storica, mostrando gli orrori delle torture34. La tematica

ritorna anche in Les Carabiniers (1963), in cui inserisce alcune scene di guerra tratte da immagini di repertorio di documentari per rimarcare il realismo ricercato anche in Le

petit soldat35, Godard stesso afferma: «ho filmato la guerra in maniera oggettiva a tutti i

livelli, compreso quello della coscienza. […] Fare un film utilizzando immagini di

33 Il gesto di accarezzarsi le labbra con il pollice come la figura di Bogart nel poster avviene più volte nel corso del film.

34 Per questo il film subirà la censura politica e verrà proiettato solo nel 1963.

35 «Volevo ottenere il realismo che mancava ad À bout de souffle, la concretezza» in Godard Jean-Luc,

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repertorio non significa carpire la vita che dorme nei fortini delle cineteche, ma spogliare la realtà della sua apparenza ridandole l'aspetto grezzo in cui basta a se stessa»36.

La spersonalizzazione dell'individuo nella società moderna viene analizzato da Godard attraverso la figura femminile. Il cineasta esamina la coscienza di essere donna in una società neo-capitalistica e consumistica soprattutto in Vivre sa vie (Questa è la

mia vita, 1962) e in Deux ou trois chose que je sais d'elle (Due o tre cose che so di lei,

1967), in cui esplora la tematica della prostituzione e analizza le due figure alienate delle rispettive protagoniste. Il primo film appare come una sorta di documentario inchiesta sul problema della prostituzione37; nel secondo Godard esamina la

prostituzione nella società dei consumi, difatti la donna decide di prostituirsi per permettersi il benessere del consumismo, dominante nella società degli anni Sessanta, ma allo stesso tempo analizza i cambiamenti che stanno avvenendo a Parigi, ovvero la lei (elle) del titolo del film, la quale si sta trasformando a seguito della risistemazione urbanistica che sta avvenendo in quegli anni. Allo stesso tempo, la prospettiva godardiana indaga ed analizza la società borghese e neo-capitalistica in Le Mépris (Il

disprezzo, 1963) e in Une femme mariée (Una donna sposata, 1964), in cui mostra un

sistema condizionato da falsi miti e valori, relazioni basate sulla dominazione e sulla forza, sullo sfruttamento ed il denaro. Godard analizza la società e i suoi cambiamenti, l'avanzare del potere dei media, della pubblicità e delle comunicazioni, che divengono mezzi di trasmissione di messaggi, di cultura e di conoscenze. Ad esempio, Une femme

mariée narra la vita di una donna emancipata, sposata e con un amante, che lavora in

una rivista femminile ma che si ritrova inconsciamente ad accettare i feticci di una società che annulla la sua persona e la sua personalità, investita dai continui richiami pubblicitari su riviste femminili, da prodotti di bellezza e dal sesso che diventa oggetto di consumo. In Le Mépris, film dal grande successo commerciale sia per la trasposizione dal libro omonimo di Moravia, sia per la presenza della diva Brigitte Bardot, sia per la citazione incarnata di Friz Lang che interpreta un regista (se stesso)

36 Fuoco su “Les Carabiniers”, “Cahiers du cinéma”, n.146, agosto 1963, qui citato in Godard Jean-Luc, Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande, Minimum Fax, Roma 2007, pp.56-57.

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nelle riprese dell'Odissea. Godard analizza le «persone che si osservano e si giudicano, poi sono a loro volta osservate e giudicate dal cinema»38, ovvero il cineasta indaga i

problemi di coppia dei protagonisti Paul e Camille sia dal loro punto di vista, che dal punto di vista del cinema, in questo caso incarnato dal personaggio di Friz Lang.

Nei due lungometraggi del 1965, Alphaville, une étrange aventure de Lemmy

Caution e Pierrot le fou (Il bandito delle ore undici), Godard studia l'universo dei suoni

del linguaggio parlato. In Alphaville, film fantascientifico e noir, vi è il computer Alpha 60 che scandisce parole e cita poeti con una voce inumana e metallica e, in una Parigi futura, i personaggi non comprendono alcuni termini a noi comuni, ad esempio Natacha non conosce il significato di “amore” e “coscienza”, parole tratte da una poesia di Paul Éluard che le viene letta. In Pierrot le fou, Godard analizza il colore, la musica, la parola in una continua composizione e scomposizione delle forme del vocabolo (da un neon ad un'insegna); estrapola parole dal fumetto, dalla pubblicità ma il soggetto rimane anche in quest'ultimo film il cinema «e il suo modo di trattare le cose»39. Pierrot le fou

può considerarsi il film-sintesi del primo periodo godardiano, caratterizzato da un linguaggio e da forme narrative libere, con espliciti riferimenti al contemporaneo, all'attualità, alla pubblicità, e al mondo del cinema, dell'arte e della letteratura, che si incrociano alla lettura della condizione moderna dei personaggi.

Con il cortometraggio L'amour en l'an 2000, realizzato per il film ad episodi dal titolo L'amore attraverso i secoli, in cui Godard indaga (nuovamente) la tematica della prostituzione in una Parigi futurista, termina il primo periodo cinematografico godardiano, chiamato anche “Gli anni di Karina”40 in riferimento alla prima moglie del

regista, Anna Karina. L'attrice danese appare la prima volta come protagonista in un film di Godard nel 1960, Le petit soldat, nel quale probabilmente i due s'innamorano. L'anno successivo, appena concluse le riprese di Une femme est une femme (La donna è

38 Il disprezzo, “Cahiers du cinéma”, n.146, agosto 1963; qui citato in Godard Jean-Luc, Due o tre cose

che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande, Minimum Fax, Roma

2007, p.62.

39 L'arte a partire dalla vita, intervista di Alain Bergala, 12 marzo 1985, qui citato in Godard Jean-Luc,

Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande,

Minimum Fax, Roma 2007, p.22.

40 Definizione accettata dallo stesso Godard nella seconda edizione francese (1985) dell'antologia di scritti critici e interviste Jean-Luc Godard par Jean-Luc Godard, ed. Cahiers du cinéma; qui menzionato da Farassino Alberto, op.cit., p.98.

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donna, 1961)41, in cui è ancora lei la protagonista, Godard sposa Anna42, la coppia

rimarrà sposata fino al 1968, anni nel corso dei i quali Anna Karina interpreta la protagonista femminile di quasi ogni film del marito, film che sono anche i più celebri di questi anni, da Vivre sa vie (1962), Bande à Part (1964), Pierrot le fou (1965) fino al cortometraggio L'amour en l'an 2000 (L'amore attraverso i secoli, 1967) ultimo film che interpreta prima del divorzio43.

Il periodo successivo sarà denominato gli “Anni Mao” (1967-1972) che vedranno sostituirsi ad Anna Karina una nuova protagonista femminile dai capelli rossi, l'attrice Anne Wiazemsky, che Godard sposa nel giugno del 1967, subito dopo la conclusione delle riprese del primo film degli “anni Mao”, La Chinoise (La cinese), il quale non presenta un adesione totale al maoismo, come avverrà nei film successivi, ma ne osserva distaccatamente le caratteristiche, anticipando, allo stesso tempo, di qualche mese le tematiche e gli slogans che campeggeranno nel maggio francese il movimento sessantottesco. In questi anni Godard riflette sui rapporti tra linguaggio e politica, tra arte (cinema) e attivismo politico, aderisce al marxismo-leninismo e utilizza il mezzo cinematografico per trasmettere un'ideologia, per criticare la moderna civiltà dei consumi. In Week-end (Week-end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica, 1967) Godard riflette, in termini politici e teorici, sul senso del cinema nella società moderna e ne annuncia la fine con un cartello posto nel finale del film. Godard assocerà la fine del cinema alla sua fine di cineasta autonomo: «Abbandonare la nozione di autore, così com'è, perché è lì che si vede il tradimento, il revisionismo integrale. La nozione di autore è completamente reazionaria»44.

Durante gli “anni Mao”, difatti, Godard annulla il percorso svolto, nel periodo precedente, di una politica dell'Autore per creare nel 1969, con Jean-Pierre Gorin45,

41 Primo film a colori e con suono diretto. 42 Il matrimonio avviene il 3 marzo 1961.

43 Anna Karina interpreta ancheAlphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution (Angente Lemmy Caution, missione Alphaville, 1965) e Made in USA (Una storia americana, 1966) nel quale si

avvertono già le tensioni tra i coniugi, quest'ultimo sarà l'ultimo lungometraggio interpretato da Anna prima di separarsi.

44 Jean-Luc Godard in “Tribune Socialiste”, 23 gennaio 1969; citato in Wikipedia.org: http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_Dziga_Vertov (ultima visualizzazione: 17 gennaio 2015). 45 Gorin è l'esponente principale del gruppo dopo Godard. I due si conoscono nel 1967 mentre Godard è

impegnato a documentarsi per il film La chinoise: «è stato l'incontro di due persone, l'una proveniente dal cinema normale, l'altra un militante che aveva deciso che fare cinema fosse uno dei suoi compiti politici per dare una base teorica al maggio parigino e allo stesso tempo per metterlo in

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Jean-Henri Roger e Armand Marco, il gruppo Dziga Vertov in cui il cinema godardiano diventa collettivo. Con il gruppo, Godard rivaluta il modo di fare cinema, si avvicina ad un cinema politico e rivoluzionario, e dichiara: «Abbiamo allora preso il nome Dziga Vertov, non per mettere in pratica il suo programma, ma per prenderlo a portabandiera in confronto a Ejzenstein che, all'analisi, era già un regista revisionista, mentre Vertov, agli inizi del cinema bolscevico, aveva tutta un'altra teoria consistente nell'aprire gli occhi e mostrare com'è il mondo in nome della dittatura del proletariato»46. Il richiamo

al cineasta sovietico è puramente simbolico, Godard e Gorin se ne appropriano per dimostrare che l'obiettivo della loro produzione è quello di riuscire a mostrare la verità attraverso un cinema nuovo e rivoluzionario, in cui il cineasta diventa filosofo il cui compito «sarà produrre la teoria del “cinema materialista” per lottare nel proprio campo specifico contro l'ideologia borghese […], fare un cinema d'avanguardia e di rottura contro le mistificazioni del cinema ufficiale e contro gli equivoci del cinema progressista e militante»47. Il primo film firmato dal gruppo Dziga Vertov è British

Sounds (1969), un'indagine sui gruppi della sinistra rivoluzionaria inglese, seguito dai

film militanti Pravda (1969), un reportage sulla Cecoslovacchia dopo l'invasione dell'Urss nel 1968, e Lotte in Italia (1970)48.

Nel 1970 il matrimonio con Anne Wiazemsky entra in crisi49, la donna lascia

l'appartamento dove viveva con Godard attribuendo la colpa a Gorin di averlo allontanato da lei e dal suo cinema50; allo stesso tempo anche il gruppo Dziga Vertov

inizia a disgregarsi. L'ultimo film che vede impegnato il sodalizio Godard-Gorin è Tout

va bien (Crepa padrone, tutto va bene, 1972), in cui vi è la firma dei due autori e non

del gruppo Dziga Vertov, ormai definitivamente sciolto51. Il film ha un forte impatto

commerciale, sia per la partecipazione delle star internazionali Jane Fonda e Yves Montand, sia per chi sostiene un ritorno del cineasta. Inoltre, Godard e Gorin accettano i

pratica». Cit. in Godard Jean-Luc, Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande, Minimum Fax, Roma 2007, p.141.

46 Citato in Farassino Alberto, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano 2007, pp.120-121. 47 Farassino Alberto, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano 2007, p.122.

48 Vi sono poi i film: Vento dell'est (1969), Vladimir et Rosa (1970), quest'ultimo è l'ultimo film ufficiale attribuibile al gruppo.

49 Godard e la Wiazemsky divorzieranno nel 1979.

50 Baecque Antoine de, Godard, biographie, Grasset, Paris 2010, p.478, (traduzione nostra).

51 Durante le riprese del film, nel 1971 Godard è vittima di un grave incidente automobilistico che lo costrinse a sospendere le riprese per qualche mese.

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codici produttivi e commerciali del sistema industriale, ma riconfermano l'esigenza mao-vertoviana di situare il cinema nella loro collocazione storica e politica. Il film inizia infatti con un cartello che ne dichiara la collocazione temporale, la volontà di sintesi e forse anche di bilancio conclusivo di una stagione: “Maggio 1968 - Francia 19722”. Con questo film finiscono gli “anni Mao” del cineasta e giunge al termine anche il rapporto con la moglie Anne Wiazemsky, che in questo film avrà il suo ultimo ruolo.

Godard torna così a lavorare su se stesso, si riavvicina all'idea di un cinema d'autore, di un cinema personale e accompagna questa sua ricerca di sé con un periodo di silenzio, in cui per due anni52 Godard non girerà nessun film53. In un'intervista del

1985 Godard ammette la sua infelicità durante gli anni del gruppo Dziga Vertov: «durante quegli anni […] ho smesso di fare molte cose senza rendermene conto: leggere, vedere film. […] Lo ricordo come un periodo di assenza, ma che è durato così a lungo che mi chiedo come sono riuscito a trascorrere dieci anni così»54.

Jean-Luc Godard fa ritorno nel 1975 con una nuova serie di pellicole, firmati con Anne-Marie Miéville55, che diventa la sua compagna di vita e co-autrice dei suoi film.

La coppia rileva la casa di produzione Sonimage56, che ha sede a Grénoble, dove i due si

trasferiscono, lasciandosi la caotica Parigi alle spalle.

Si apre così il terzo periodo dell'autore (1975-), caratterizzato dalla scoperta dell'immagine elettronica e del video, di cui Godard rimane affascinato: «le nuove tecniche mi hanno sempre interessato, e la videocamera era davvero qualcosa che permetteva di affrontare il cinema in un altro modo»57. Nella seconda metà degli anni

52 Gli anni sono il 1973 e il 1974.

53 Questi anni coincidono anche con una serie di vicende personali piene di tensione: la fine del matrimonio con Anne Wiazemsky, problemi di salute ricondotte all'incidente automobilistico del 1971 e la rottura con l'amico Truffaut (a causa dell'uscita del film La Nuit américaine [Effetto notte], contestato duramente da Godard), seguite da lettere ricche di risentimento. Le lettere sono state pubblicate in Autoritratto. Lettere 1945-1984 (Correspondance. Lettres recueillies par Gilles Jacob et Claude de Givray, 1988), Toffetti Sergio (a cura di), Einaudi Torino, 1989.

54 L'arte a partire dalla vita, intervista di Alain Bergala, 12 marzo 1985, qui citato in Godard Jean-Luc,

Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande,

Minimum Fax, Roma 2007, p.45.

55 Appare la prima volta nei titoli di coda in veste di fotografa di scena in Tout va bien.

56 Dal nome evocativo e, aggiungo, tipicamente godardiano, “Son-image”, che significa “suono-immagine”.

57 L'arte a partire dalla vita, intervista di Alain Bergala, 12 marzo 1985, qui citato in Godard Jean-Luc,

Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande,

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Settanta, Godard abbandona i temi politici per riscopre i rapporti interpersonali, le tematiche dei suoi film si incentrano su una sfera più intima del privato e della vita famigliare, intrecciando la sua riflessione con quella sulla natura del mezzo cinematografico e sull'immagine. Il ritorno del cineasta avviene con Numéro deux (Numero due, 1975), che si presenta come il “film successivo” di À bout de souffle; difatti è quest'ultimo che ha fatto approdare Godard nel mondo del cinema e allo stesso modo anche Numéro deux appare come un film di un “debuttante”, l'esordiente Godard dopo due anni di silenzio. Inoltre il paragone può essere sostenuto anche dall'uso delle tecnologie, che nel 1959 per À bout de souffle apparvero assolutamente innovative per il cinema dell'epoca, così come nel 1975 le nuove tecnologie video hanno permesso a Godard di realizzare un film a colori con i medesimi costi di un film in bianco e nero degli anni Sessanta. Il film sancisce il ritorno di Godard sul grande schermo anche per l'uso dei temi della vita privata che entrano, a partire da questo film, tra le tematiche godardiane predilette del terzo periodo. Il tema del quotidiano in Godard è un'attenta osservazione degli elementi della società: «le donne, gli uomini, i bambini, il lavoro, la cucina, i vecchi, la solitudine, e tutto questo a ritmi quotidiani. […] Con Numéro deux partiamo da qui: è lui, il pubblico, a inventare quei ritmi quotidiani durante la sua giornata»58.

Nel 1979 la coppia Godard-Miéville si trasferisce a Rolle, un piccolo paese sulle sponde del lago di Ginevra, in Svizzera, Paese natale di entrambi. Qui, nel 1982, Godard avvia la sua casa di produzione, la JLG Films e gli ambienti della cittadina sul lago diventano set dei suoi film59. Durante gli anni svizzeri, Godard dà vita a opere di

indubbia magnificenza, in cui la ricerca della purezza è accompagnata a quella di un'essenzialità dell'immagine: Sauve qui peut (la vie), (Si salvi chi può, la vita, 1980), è il film che dà l'inizio ai meravigliosi anni Ottanta godardiani, in cui citazioni, riferimenti e omaggi ai maestri della musica, dell'arte, della letteratura e della poesia si intrecciano a temi della quotidianità, della commedia e della rappresentazione narrativa. Di questi

58 Fare i film che sono possibili dove ci si trova, intervista a cura di Yvonne Baby, “Le Monde”, 25 settembre 1975; qui citato in Godard Jean-Luc, Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni

sul cinema, a cura di Orazio Leogrande, Minimum Fax, Roma 2007, p.152.

59 Nel 1980 Godard pubblica il libro Introduzione alla vera storia del cinema, in cui raccoglie le lezioni tenute a Montréal alla fine degli anni Settanta, lezioni in cui commentava un proprio film per poi metterlo in relazione con due o tre film classici del passato attraverso un rapporto di tipo estetico.

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anni sono i lungometraggi Passion (1982), in cui ricostruisce con tableaux vivants quadri celebri della pittura europea che contrappone al tema della quotidianità del lavoro in fabbrica e a quello di cinema; Prénom Carmen (1983) in omaggio alla sua passione di sempre, cioè il quartetto d'archi di Beethoven; e Je vous salue, Marie (1984) in cui indaga il tema più profondo della religione e della divinità narrando la storia della nascita di Cristo. Tra un film e l'altro Godard crea delle video-sceneggiature, ovvero delle sceneggiature in video nelle quali appaiono, sotto forma di “appunti”, i materiali di ricerca legati alla realizzazione di un film, rappresentati con materiali visivi, sonori e schizzi audiovisivi60.

Verso la metà degli anni Ottanta, dopo la trilogia del “sublime”61, Godard

attraversa un periodo di incertezza nel suo lavoro, in quanto la sua ricerca relativa ad alcune tematiche pare non andare oltre. Perciò, ripiega la sua ricerca verso il passato, o più precisamente verso la nostalgia di un presente del passato, in cui il cinema sembra avviarsi in direzione di una morte certa. Godard inizia a lavorare per una resurrezione e una redenzione dell'immagine, riporta alla memoria gli anni della Nouvelle Vague e nei film di questo periodo ritornano le forme del suo cinema precedente, applicate con una diversa coscienza della storia e del tempo. Il passato del primo periodo del cineasta sembra riaffiorare in molti film a partire da Détective (1985), in cui ritorna l'attore feticcio della Nouvelle Vague, Jean-Pierre Léaude; Grendeur et décadence d'un petit

commerce de cinéma (1986) e King Lear (Re Lear, 1987), una sorta di saggio su

William Shakespeare in cui Godard compare come attore nella parte del fool, un pazzo che però crede ancora nel cinema.

Gli anni Novanta sono caratterizzati da immagini di una forte bellezza estetica, in cui il senso della memoria si fa più persistente ma senza diventare, come in precedenza, una rievocazione nostalgica del passato: nel 1990 Godard annuncia il suo film dal titolo, evocativo, Nouvelle Vague, il quale, nonostante il titolo ingannevole, non è un film omaggio alla corrente o un autobiografia del regista, ma un elogio alle immagini e al cinema stesso, come il successivo Hélas pour moi (Peggio per me, 1993), in quanto i

60 Tra questi vi è la video-sceneggiatura senza titolo per il film Sauve qui peut (la vie), quella del film

Passion (“Passion”, le travail et l'amour. Introduction à un scènario. Troisième état du scénario du film “Passion” e Scénario du film “Passion”) e per Je vous salue, Marie (Peite note à propos du film “Je vous salue, Marie” ).

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personaggi non hanno battute, ma dialogano con frasi tratte da libri, romanzi, poesie. Come nei film della Nouvelle Vague anche in quelli dell'ultimo decennio del Novecento Godard inserisce qualsiasi citazione, ma se in precedenza regnava la confusione, ora le citazioni convivono in armonia insieme a giudizi sulla realtà e a contemplazioni sulle storie, che i personaggi cercano di ricostruire, storie che possono essere personali, di una coppia oppure storie di cinema o di un film in corso di elaborazione.

In questi anni Godard si dedica anche alla scrittura letteraria, perseguendo quel desiderio che aveva fin da bambino di pubblicare un romanzo da Gallimard62, senza

però abbandonare le sue radici cinematografiche. Realizza “libri fatti di cinema”, in cui trascrive le frasi dei propri film non in forma di sceneggiatura, ma in forma di poesia: le frasi si susseguono l'una all'altra prive di punteggiatura, senza didascalie e senza indicazione sul personaggio che le pronuncia63. L'insieme di frasi-citazioni non vengono

poste su carta con l'intenzione di creare un'associazione tra le immagini del film e le parole, ma Godard decide di “citare su carta le citazioni letterarie” di cui il film è composto; a riguardo crea anche un indice con i poeti e i letterati da cui ha attinto, ma tale indice non segue l'ordine delle citazioni e addirittura alcuni autori non compaiono neanche. Godard confonde, ancora una volta, il lettore-spettatore e lo invita a non porsi come primo problema quello dell'origine di tali citazioni, in quanto quelle frasi sono i materiali di un nuovo discorso il cui autore è ormai un altro: Godard stesso64.

In ambito cinematografico, gli eventi politici che avvengono in questo decennio portano Godard ad interrogarsi, nuovamente, sulla storia e sugli avvenimenti del presente, ad esempio in Allemagne année 90 neuf zéro (1992), titolo che è un esplicito riferimento al film di Roberto Rossellini Germania anno zero; Godard riflette sullo stato tedesco dopo la demolizione del muro di Berlino, mostrando le immagini più belle della Germania e dei film tedeschi. In Les enfants jouent à la Russie (I bambini giocano alla

Russia, 1993) rappresenta i rapporti tra l'occidente e la cultura russa, riflette sul cinema

e sulla letteratura sovietica; For Ever Mozart (1996) appare invece come il film che

62 Citato in Godard Jean-Luc, Due o tre cose che so di me. Scritti e conversazioni sul cinema, a cura di Orazio Leogrande, Minimum Fax, Roma 2007, p.267

63 I libri usciti postumi ai propri film (editi P.O.L, Paris), sono: JLG/JLG. Phrases (1996); Forever

Mozart. Phrases (1996); Les enfants jouent à la Russie. Phrases (sortie d'un film), (1998); Allemagne neuf zéro. Phrases (sortie d'un film), (1998); Éloge de l'amour (2001).

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riassume tutte le ultime direzioni sulla storia, sulle guerre, sul ruolo dell'arte e sugli stati post-comunisti; è incentrato sulla guerra di Sarajevo, evento che ebbe un forte impatto politico, sociale ed emotivo nell'Europa degli anni Novanta. In For Ever Mozart Godard decide di non mostrare la guerra come in Les carabiniers, ma va oltre e decide di rappresentarla con i suoni, i rumori e con immagini confuse: «Non volevo mostrare la guerra. Mostravo delle persone fatte prigioniere e volevo che si sentisse che c'era qualcosa di più vasto di loro. Questo senso della guerra come qualcosa di più vasto dei personaggi, qualcosa che sta fuori campo, si avverte grazie a un rumore di mitraglia che spezza la colonna sonora, o con qualche carro armato che raffigura la pesantezza dell'acciaio»65.

La tematica della storia del cinema intrecciata a quella dell'umanità, ma anche quella delle storie di cinema che si raccontano nella finzione cinematografica e che devono anche documentare i fatti reali, si ritrovano illustrate e teorizzate nei video

Historie(s) du cinéma, un progetto che Godard ha in mente fin dagli anni Settanta e che

inizia con Vento dell'est, in cui collega tra loro episodi, anche sconosciuti o minori, determinanti per la storia del cinema. Così, allo stesso modo, nel 1988 inizia il suo progetto lungo dieci anni, Historie(s) du cinéma66, in cui confluiscono citazioni

pittoriche, musicali, letterarie, cinematografiche e sequenze di film di altri autori, con l'obiettivo di realizzare quella visione personale di Godard sulla storia del cinema, storia che è nella sua memoria.

L'opera video viene trasposta nel 1998 in quattro volumi dal medesimo titolo e pubblicati dalla casa editrice Gallimard, realizzando quel desiderio giovanile di Godard di pubblicare un libro nella nota casa editrice francese, ma soprattutto di creare un'opera senza precedenti, in cui la letteratura e l'immagine si fondono insieme67, dove le parole

non sono le didascalie delle immagini e le immagini non sono un'illustrazione delle parole. La continuità tra la pratica cinematografica e quella letteraria che Godard sosteneva negli anni ai “Cahiers” può dirsi realizzata e, a mio parere, conclusa con l'opera monumentale in volumi e in video Historie(s) du cinéma.

65 Farassino Alberto, Jean-Luc Godard, Il Castoro, Milano 2007, p.233.

66 Quattro puntate televisive distribuite da CanalPlus (1988-1998) con due episodi ciascuno.

67 Il libro è composto da fotogrammi tratti dall'opera originale che appaiono spesso indecifrabili ma che si uniscono a caratteri verbali.

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CAPITOLO II

CINEMA E PITTURA: PASSION

Fin dalla sua nascita, il cinema deve alcuni tra i suoi maggiori prodotti anche all'iconografia pittorica di tutta la storia dell'arte. Su questo argomento esiste una letteratura molto ampia ma allo stesso tempo non del tutto specializzata, soprattutto in relazione alla ricerca delle fonti e al tentativo di condurre un'analisi comparata delle inquadrature corrispondenti. Il campo di indagine è quindi estremamente vasto e pertanto in questo capitolo si intende seguire un percorso generale del legame tra cinema e pittura, analizzandolo sia dal punto di vista tecnico, sia da quello storico e cronologico per approdare, infine, alla filmografia di Jean-Luc Godard. Si seguirà un percorso che naturalmente convoglia al regista, sia per ragioni di tipo cronologico sia per interessi che ovviamente sono di tipo personale.

Nel rapporto tra cinema e pittura interessa soprattutto la convivenza tra le due all'interno di un sistema di rappresentazione complessivo, dove lo spettatore sia in grado di riconoscere il pittorico nel filmico, ma allo stesso tempo si trovi immerso in un sistema dove le determinazioni stilistiche di ciascun modello influenzano il significato e l'effetto finale ottenuto. Nella classificazione che segue, il nostro interesse verte nell'analizzare la pittura all'interno del sistema di rappresentazione filmica, in quanto oggetto o modello.

Antonio Costa nel testo Cinema e Pittura analizza le diverse tipologie di interazione del modello pittorico con quello filmico: il caso più elementare di questo rapporto è quando vi è la presenza di una rappresentazione statica (nonché la pittura come dipinto o la riproduzione di esso su un libro) all'interno del flusso di rappresentazione dinamica (la scena filmica). In questo caso si parlerà di «pittura diegetica»68, che non ha bisogno di essere identificata perfettamente per creare un

effetto, ma basta semplicemente che lo spettatore la distingua come pittura. Ad esempio, in Life Lessons (Lezioni dal vero, 1989) di Martin Scorsese, il film è incentrato sul rapporto sentimentale tra un pittore e la sua modella; in questo caso il lavoro del pittore viene mostrato senza essere ricondotto a ragioni semplicemente illustrative.

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La pittura diegetica non è l'unica soluzione. È importante considerare quando viene impiegato il mezzo pittorico per ottenere un risultato di tipo cromatico, illusionistico o luministico, ovvero quando vengono costruiti effetti speciali scenografici tramite l'utilizzo del mezzo pittorico. Per questo motivo il caso verrà indicato con il termine «effetto dipinto»69. Allo spettatore contemporaneo dinanzi ad un film primitivo,

come il caso della cinematografia Méliès, risulta difficile immergersi nella diegesi; in questo caso l'effetto dipinto significa contestualizzare i procedimenti tecnico-linguistici, cioè lo spettatore moderno riesce a cogliere l'epoca o il luogo in cui l'opera cinematografica è stata prodotta. L'effetto dipinto nel cinema contemporaneo può essere creato attraverso la produzione di un oggetto (effetto pop art), oppure attraverso la sua riproduzione pittorica nel tentativo di creare un effetto di rottura del principio di proporzionalità e di verosimiglianza. Vi sono casi in cui l'effetto dipinto è volutamente marcato, gli effetti scenografici sono ben visibili e presenti, atti a divenire veri e propri simboli del cinema d'autore (nel cinema di Fellini o di Hitchcock). Altro caso, più specifico, è il richiamo alla pittura attraverso particolari stilistici propri di tale modello, come gli elementi cromatici utilizzati per raggiungere meglio quella materialità dell'effetto dipinto. In Deserto rosso (1964) si è intervenuti materialmente dipingendo pareti di rosso, boschi di bianco e spiagge di rosa per realizzare la volontà del regista di descrivere «i colori dei sentimenti»70. Michelangelo Antonioni difatti cerca di dare una

chiave psicologica dei personaggi attraverso l'alterazione dei colori nelle composizioni delle inquadrature, con l'obiettivo di comunicare gli stati d'animo dei personaggi e non evocare semplici impressioni cromatiche.

Si ha l'«effetto quadro»71 quando un film cita una pittura in modo esplicito o

riprendendone gli elementi caratterizzanti, come gli effetti luministici, cromatici, spaziali o temporali. L'«effetto quadro» produce un effetto di tempo sospeso, di spazio definito e di selezione cromatica, mentre il piano cinematografico crea una variabilità cromatica accompagnata da una percorribilità dello spazio e del tempo. Esempio è la filmografia di Pier Paolo Pasolini, come in Accattone (1961) dove la frontalità

69 Costa Antonio, Cinema e Pittura, Loescher, Torino 1991, p.152. Nel testo Antonio Costa usa anche il termine “effetto pitturato” come sinonimo di “effetto dipinto”.

70 Di Carlo Carlo, Il colore dei sentimenti, in Antonioni Michelangelo, Il deserto rosso, Cappelli, Bologna 1964, p.22.

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dell'inquadratura introduce una domanda sull'effetto realistico, o in Mamma Roma (1962) con la citazione del Cristo morto del Mantegna. Senza omettere La Ricotta (1963), che verrà preso in analisi nelle pagine seguenti, testimonianza esemplare di come l'«effetto quadro» compaia nei due rifacimenti della pittura manierista tramite

tableaux vivants delle Deposizione di Gesù di Rosso Fiorentino e Pontormo; inoltre il

film realizzato in bianco e nero si anima con i colori dei due quadri nell'esatto momento dell'avvio della ricostruzione, in questo modo lo spettatore si trova immerso totalmente nei dipinti.

2.1 Una classificazione della pittura nel cinema

Nel corso degli anni sono state proposte diverse classificazioni per definire la dinamica degli scambi e delle interazioni tra cinema e pittura. Verranno ora elencati i generi dove tali relazioni prendono vita, secondo una suddivisione proposta da Antonio Costa72 e riadattata secondo le esigenze di questo capitolo.

Tra i film sulla pittura vengono catalogati i documentari d'arte che possono essere specializzati su un ciclo di affreschi, su un pittore, su una scuola o uno stile73. Si

possono inserire tra i documentari d'arte il film Carpaccio (1948) di Umberto Barbaro e Roberto Longhi, dedicato al pittore veneziano e composto da una serie di riproduzioni fotografiche in bianco e nero animate da un uso di movimenti di macchina atto a porre una particolare attenzione verso determinati punti focali e una dinamicità dei nodi narrativi. Longhi e Barbaro fecero un altro documentario, nello stesso anno,

Caravaggio, ad oggi perduto. I due film possono essere considerati come i primi

esperimenti divulgativi sulla storia dell'arte e con le loro proposte andranno ad innovare e valorizzare il genere del documentario d'arte. Luciano Emmer fu il primo a girarne uno con l'uso di fotografie, con l'obiettivo di creare un film dall'effetto drammatico e psicologico. In La leggenda di S.Orsola (1948) scompone i dipinti in elementi tematici, come la bocca o le mani, tramite particolari tecniche di montaggio, per poi ricomporle infine in una storia. In Il dramma di Cristo/Giotto (1948), Emmer utilizza il montaggio per dare maggiore enfasi alla funzione narrativa della pittura. Alain Resnais con Van

72 Costa Antonio, Cinema e Pittura, Loescher, Torino 1991. 73 Costa Antonio, Cinema e Pittura, Loescher, Torino 1991, p.11.

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Gogh (1948) privilegia invece l'aspetto psicologico e biografico, come nei suoi

film-documentari successivi. Pur con diversi metodi e finalità, questi film-documentari sono accomunati dall'intento di far rivivere, attraverso i mezzi specifici del cinema, lo spazio-tempo della pittura.

Vi sono poi L'Hypothèse du tableau volé (1978) di Raúl Ruiz o F for Fake (F

come Falso, 1975) di Orson Welles, che pur non essendo veri e propri documentari

rientrano nella categoria di film sulla pittura, poiché usano una forma espressiva tra il racconto e il saggio e analizzano i problemi della rappresentazione avvicinandosi ad una funzione critica e teorica. Tra questi vi è anche Passion di Jean-Luc Godard, film che narra le vicende di una troupe cinematografica impegnata nella realizzazione di

tableaux vivants e confronta il lavoro della pittura con quello del cinema. Passion verrà

preso in analisi con maggior dettaglio nelle pagine dedicate al cineasta.

Altro genere, identificato da Costa, è un ibrido tra i documentari sulla pittura e i film di finzione sui pittori, dove vi è il tentativo di fissare l'evento della pittura in fase di costruzione ma allo stesso tempo riflettere sul modo di essere dell'artista. Tra i film più celebri da annoverare troviamo Le mystère Picasso (Il mistero di Picasso, 1955) di Henti-Georges Clouzot e A Bigger Splash (1975) di Jack Hazan, che tratta della vita quotidiana e del lavoro dell'artista pop David Hockney.

Vi sono poi i film sulle biografie di pittori, sottogenere del film biografico. In questo caso sono le stesse opere pittoriche degli artisti a divenire “protagonisti” indiscussi della scena attraverso un insieme di tableaux vivants e quadri. Questo genere implica un riferimento cronologico tra gli eventi biografici dell'artista e la figurazione pittorica, che appare talvolta forzata. È possibile ricordare due film su Van Gogh impostati secondo questo genere: Lust for Life (Brama di vivere, 1956) di Minnelli e

Vincent & Théo (1990) di Altman. Infine, altro esempio è Andrej Rublëv (1966) di

Andrej Tarkovskij, un film biografico sui rapporti tra l'artista e la società del proprio tempo e tra l'artista e il potere, oltre ad essere un film che si avvicina a temi teorici sulla pittura.

Tra il genere dei film storici vi sono tutti quei film che rievocano età passate e dove l'impiego di fonti pittoriche è il metodo più utilizzato per richiamare il clima dell'epoca, l'opera pittorica diventa quindi attestazione di storicità. Tra i primi esempi

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