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Capitolo 1: Introduzione

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Capitolo 1: Introduzione

1.1 Il tumore dell’esofago

1.1.1 Epidemiologia

Il carcinoma dell’esofago è l’ottavo tumore più comune al mondo e la sesta causa più comune di morte per cancro1,2,3. L’incidenza è variabile, i tassi più alti si riscontrano in Africa meridionale, Africa orientale e Asia orientale, mentre quelli più bassi in Africa occidentale4.

In generale, la prognosi è infausta, anche se la sopravvivenza globale a 5 anni sta aumentando gradualmente2: in Europa è del 12% e negli USA del 19%1. Lo stadio del tumore alla diagnosi impatta molto sulla percentuale di sopravvivenza a 5 anni, passando dal 38,6% nella malattia localizzata, al 3,5% nella malattia con metastasi a distanza5.

Il cancro esofageo si verifica più comunemente durante la sesta-settima decade di vita (quindi colpisce l’età medio-avanzata). L'età media alla diagnosi è di 68 anni6.

Ci sono due tipi istologici principali di cancro esofageo: l’adenocarcinoma e il carcinoma a cellule squamose.

L’incidenza nel sesso maschile è maggiore rispetto al sesso femminile in entrambi i tipi istologici, infatti l’incidenza dell’adenocarcinoma è 7-10 volte più alta nell’uomo e quella del carcinoma a cellule squamose è 2-3 volte più alta nell’uomo rispetto alla donna5.

L’incidenza del carcinoma a cellule squamose si sta riducendo nei paesi occidentali, dove invece sta marcatamente aumentando (negli ultimi 30-40 anni) quella dell’adenocarcinoma7,8. Anche nei paesi asiatici, si è registrato un leggero aumento dell’adenocarcinoma, ma resta comunque molto più frequente l’istotipo squamoso8.

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Per quanto riguarda l’Italia, l’incidenza dei due istotipi di tumore si equivale. In generale è più elevata nel Nord-Italia, cui segue il Centro e il Sud. Il trend di incidenza appare in diminuzione negli uomini e stabile nelle donne. La sopravvivenza a 5 anni è del 13%, con livelli leggermente inferiori al Sud (14% Centro-Nord; 11% Sud)9.

1.1.2 Istotipi di tumore esofageo

Gli istotipi più frequenti sono l’adenocarcinoma e il carcinoma a cellule squamose.

Il carcinoma squamoso ha origine dalle cellule squamose che ricoprono la mucosa esofagea e può insorgere in qualsiasi sede, ma più frequentemente nel terzo medio e superiore dell’esofago10.

L’adenocarcinoma può avere origine dalla componente ghiandolare della sottomucosa, da isole eterotopiche di epitelio colonnare o dalla degenerazione maligna dell'epitelio colonnare metaplastico (esofago di Barrett)10; insorge prevalentemente nel terzo inferiore o a livello della giunzione esofago-gastrica11.

1.1.3 Eziologia e fattori di rischio

1.1.3.1 Carcinoma a cellule squamose

I principali fattori di rischio per il carcinoma squamocellulare sono il fumo e il consumo di alcool, infatti il rischio di sviluppare questo tumore è 3-7 volte maggiore nei fumatori e 3-5 volte maggiore in chi fa uso di alcool. Inoltre questi due fattori si sommano agendo sinergicamente nell’indurre il carcinoma, quindi fumatori che fanno uso di alcool hanno un rischio ancora maggiore. Tra i fattori di rischio sono inclusi anche fattori dietetici, come la carenza di vitamine e oligoelementi, la presenza di carcinogeni nel cibo affumicato o in salamoia, il consumo di bevande e cibi ad alta temperatura7. Altri fattori di rischio coinvolti nella genesi del carcinoma squamocellulare sono l’ingestione di caustici, la tilosi, la sindrome di Plummer-Vinson (malattia caratterizzata da carenza di ferro che porta ad atrofia della mucosa orofaringea ed esofagea) e l’acalasia10.

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1.1.3.2 Adenocarcinoma

Il reflusso gastro-esofageo è il fattore predisponente più comune per l’adenocarcinoma, che rappresenta l’evento finale della sequenza che inizia dall’irritazione della mucosa esofagea a causa del reflusso ed evolve in esofago di Barrett, displasia di basso e alto grado e infine in adenocarcinoma. Altri fattori di rischio sono l’obesità, il fumo, una dieta povera di frutta e verdura e farmaci che inibiscono lo sfintere esofageo inferiore12.

1.2 Esofagectomia

L’esofagectomia è un punto cruciale per il trattamento multimodale di neoplasie esofagee. Non esiste un accordo su quale sia l’approccio ideale alla resezione esofagea. Il tipo di approccio è generalmente basato sulle preferenze del chirurgo e della scuola chirurgica, presentando ciascuno vantaggi e svantaggi13.

Gli approcci all’esofagectomia posso essere distinti in:

• Trans-iatale: viene effettuata con un’incisione addominale e una cervicale attraverso una dissezione mediastinica smussa

• Trans-toracica: viene effettuata tramite un’incisione addominale e una toracica destra

In una meta-analisi pubblicata nel 201114, veniva comparata la tecnica trans-iatale con quella trans-toracica. L’esofagectomia trans-toracica era associata a più complicanze respiratorie, infezioni della ferita, mortalità post-operatoria precoce e a una maggior durata della degenza; nonostante ciò la visualizzazione del campo operatorio era migliore e il numero dei linfonodi asportati era significativamente maggiore. L’approccio trans-iatale era associato a più fistole e stenosi anastomotiche e a un maggior tasso di paralisi del nervo laringeo ricorrente, ma comportava un minor trauma chirurgico. Dallo studio, però, era emerso che non c’era differenza in termini di sopravvivenza a 5 anni tra le due tecniche, suggerendo che la

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sopravvivenza fosse influenzata non tanto dall’operazione in sé ma dallo stadio della neoplasia all’epoca dell’intervento.

Nel nostro caso l’approccio utilizzato è l’esofagectomia trans-toracica secondo Ivor Lewis e secondo McKeown.

1.2.1 Esofagectomia subtotale secondo Ivor-Lewis

Questa tecnica, impiegata per neoplasie dell’esofago distale e della giunzione gastro-esofagea, prevede una fase addominale e una fase toracica. La fase addominale consiste in una laparotomia mediana per mobilizzare e tubulizzare lo stomaco. Vengono attentamente preservate le arterie gastro-epiploica destra e gastrica destra per la vascolarizzazione del condotto gastrico. Prima di chiudere l’incisione addominale viene confezionata una digiunostomia a scopo nutritivo. La seconda fase prevede il cambio di posizione da supino al decubito laterale sinistro e una toracotomia destra al quinto spazio intercostale; importante per questa fase è la ventilazione a polmone singolo, per permettere di esporre l’anatomia e facilitare la dissezione mediastinica dell’esofago fino allo stretto toracico superiore, di trasporre lo stomaco tubulizzato in torace e di confezionare l’anastomosi. Questo approccio combinato consente di eseguire una linfoadenectomia sia addominale che toracica15.

1.2.2 Esofagectomia totale secondo McKeown

Questa tecnica prevede un triplice accesso: toracico, addominale e cervicale. La fase toracica inizia con una toracotomia destra, con dissezione mediastinica dell’esofago toracico e linfoadenectomia. Nella fase addominale viene effettuata la gastrolisi e la tubulizzazione gastrica con linfoadenectomia addominale e confezionamento di una digiunostomia a scopo nutrizionale. Infine la fase cervicale consiste in una cervicotomia sinistra per sezionare l’esofago cervicale e traslare al collo il tubulo gastrico per via mediastinica posteriore; infine viene eseguita l’anastomosi esofago-gastrica16.

A differenza dell'approccio trans-iatale, l'aggiunta di un'incisione toracica destra consente una visualizzazione più diretta della dissezione esofagea,

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specialmente nelle aree anatomiche vicine alla trachea e soprattutto consente una adeguata linfoadenectomia esofagea toracica17.

1.2.3 Esofagectomia mini-invasiva

Gli approcci tradizionali di esofagectomia open sono stati inizialmente ibridizzati con tecniche mini-invasive in cui alcune parti della procedure venivano eseguite in maniera mini-invasiva e altre tramite le incisioni standard18.

Nel 1999, Watson et al. descrissero per primi un’esofagectomia secondo Ivor-Lewis totalmente mini-invasiva19.

Negli scorsi 20 anni l’esofagectomia mini-invasiva (MIE) è stata progressivamente adottata come metodica per ridurre potenzialmente la morbilità peri-operatoria di questa procedura. La procedura MIE si è dimostrata essere efficace e sicura e con outcome oncologici equivalenti alla procedura tradizionale20,21.

Non esistono attualmente criteri che definiscano quando una procedura debba essere effettuata in maniera mini-invasiva piuttosto che in maniera open13. Inoltre non ci sono controindicazioni standardizzate all’utilizzo di tecniche mini-invasive. Tuttavia lesioni che presentano un’invasione dei tessuti circostanti (localmente avanzati, quindi T4 secondo i criteri TNM) sono generalmente non candidabili ad alcuna forma di resezione chirurgica. L’interessamento linfonodale esteso e la malattia metastatica sono indicazioni di una malattia avanzata che potrebbero richiedere un approccio open o l’utilizzo di stent endoscopici come trattamento palliativo piuttosto che un approccio mini-invasivo. Così come per altre procedure laparoscopiche, i pazienti con adesioni e tessuti cicatriziali estesi in addome o in parete toracica, soprattutto nelle zone in cui andrebbe posizionata la camera, sono un gruppo a rischio più alto per il trattamento mini-invasivo.

1.2.4 Esofagectomia mini-invasiva robot-assistita

Negli scorsi anni sono sempre più stati indagati approcci robotici a numerose procedure chirurgiche. I possibili benefici di procedure

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laparoscopiche e toracoscopiche robot-assistite includono: 7 gradi di libertà di movimento degli strumenti; scale di movimento che permettono di configurare l’accuratezza e la precisione del movimento chirurgico; un filtro di movimento per eliminare i tremori del chirurgo; un campo visivo tridimensionale ad alta risoluzione; visione magnificata fino a 10 volte; una posizione operativa ergonomica. I possibili svantaggi, invece, includono tempi operatori prolungati e costi elevati; il team richiede una formazione specializzata, che rende l'intercambiabilità dello staff un problema; il chirurgo è separato dal paziente e posizionato all'esterno del campo operatorio sterile, pertanto, è obbligatorio che un assistente addestrato si trovi nel campo sterile e sia pronto ad assistere in caso di emergenza; infine la mancanza di un feedback tattile limita l’efficacia in una procedura in cui il tatto è una componente importante22,20,23,24,25.

Horgan et al.26, nel 2003, descrissero la prima esofagectomia trans-iatale robot-assistita. Da allora l’esofagectomia robot-assistita ha guadagnato sempre più accoglienza e consenso.

Nella letteratura pubblicata sono riportate tre tipologie di esofagectomie: • Esofagectomia transiatale robot-assistita

• Esofagectomia secondo McKeown mini-invasiva robot-assistita • Esofagectomia secondo Ivor-Lewis mini-invasiva robot-assistita Le procedure tuttavia sono generalmente eseguite con approcci ibridi e le diverse tecniche sono difficili da comparare. Il tempo addominale è spesso eseguito tramite un approccio laparoscopico, infatti le ampie aree della regione addominale superiore, su cui bisogna effettuare una dissezione, spesso non sono raggiungibili con un singolo docking e ciò comporterebbe l’aumento della durata dell’intervento27.

Nel 2013 Sarkaria et al.28 avevano riportato una prima esperienza di esofagectomia mini-invasiva robot-assistita sia per la fase laparoscopica che per quella toracoscopica su un totale di 21 pazienti. Si concludeva che un approccio robot-assistito poteva offrire vantaggi rispetto alle procedure mini-invasive standard, ma che, per massimizzare la sicurezza del paziente e minimizzare le complicanze, era fondamentale che l’adozione di tale

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procedura avvenisse nel contesto di un programma strutturato, in cui è possibile valutare in maniera critica gli errori e i problemi, con un conseguente adattamento della tecnica.

Uno studio pubblicato nel 2017 da Okusanya et al.29 aveva riportato 25 casi di esofagectomia robot-assistita a partire dal 2014 fino al 2016. I pazienti avevano avuto una mortalità a 30 giorni, un tasso di fistole anastomotiche, un numero di linfonodi asportati, un tasso di conversione e una percentuale di resezioni R0, simile alle procedure mini-invasive convenzionali.

1.3 Il protocollo ERAS

Più di 20 anni fa, Henrik Kehlet30 descrisse la risposta multifattoriale allo stress chirurgico e gli interventi che avrebbero potuto ridurla, migliorando così i risultati post-operatori. Questi sono diventati la base su cui si fonda il protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery), che è una filosofia di gestione del paziente candidato a chirurgia maggiore, che ha l’obiettivo di ottimizzare il percorso peri-operatorio, ridurre al minimo la risposta allo stress chirurgico e garantire un recupero post-operatorio ottimale, con approccio multidisciplinare.

Il protocollo ERAS prevede 3 fasi nella gestione del paziente, pre-operatoria, intra-operatoria e post-pre-operatoria, ognuna delle quali è composta da più elementi, che non sono univoci e possono variare tra i diversi studi. Nell’ambito della chirurgia colon-rettale il protocollo ERAS è già applicato da diversi anni, con ottimi risultati. Le esperienze in chirurgia esofagea sono limitate, come anche gli studi in letteratura.

Il concetto di protocollo ERAS veniva introdotto in chirurgia esofagea da Robert James Cerfolio nel 200431, il quale aveva elaborato un algoritmo per le cure post-operatorie dei pazienti sottoposti a esofagectomia secondo Ivor-Lewis. Prima dell’intervento il paziente veniva informato del programma pianificato. Il giorno prima dell’esofagectomia potevano essere assunti solo liquidi limpidi. Il protocollo post-operatorio utilizzato prevedeva: il ritorno

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in corsia subito dopo l’intervento, evitando la terapia intensiva; la mobilizzazione precoce in prima giornata post-operatoria; la nutrizione enterale mediante digiunostomia in prima giornata; la rimozione del catetere epidurale, del catetere vescicale (CV) e del sondino nasogastrico (SNG) in terza giornata; la rimozione del drenaggio toracico in terza giornata o quando la perdita era inferiore a 450 ml/die; l’esecuzione dell’Rx tubo digerente (RxTD) in quarta-quinta giornata post-operatoria; l’introduzione di una dieta liquida se non erano evidenziate fistole all’RxTD; il passaggio a una dieta morbida il giorno successivo, se ben tollerata la dieta liquida. La dimissione era prevista in settima giornata. Dai risultati riportati, il 77% dei pazienti non era stato ricoverato in terapia intensiva; il 17,7% aveva avuto complicanze maggiori, come la polmonite ab ingestis. In media il ricovero era durato 7 giorni e 4 pazienti erano stati re-ammessi entro 1 mese dalla dimissione. Con questo studio il protocollo ERAS in chirurgia esofagea si era dimostrato sicuro, senza aumentare morbidità e mortalità, e con un alto tasso di soddisfazione tra i pazienti (96%).

In uno studio di Chao Li et al.32 venivano confrontati i risultati ottenuti su 59 pazienti che avevano subito l’esofagectomia dopo l’introduzione del protocollo ERAS, con i risultati ottenuti su 47 pazienti operati prima dell’introduzione del programma. Nel protocollo ERAS applicato in questo studio, era importante il counseling pre-operatorio, durante il quale veniva spiegato al paziente quello che sarebbe stato il percorso peri-operatorio (dieta, mobilizzazione, drenaggi, durata del ricovero e convalescenza) con linguaggio semplice e illustrazioni. Sempre in ambito pre-operatorio il fisioterapista istruiva il paziente a fare la spirometria incentivante e a incrementare l’attività fisica e, se erano presenti comorbidità clinicamente rilevanti, veniva effettuata una visita anestesiologica. Nella fase intra-operatoria i punti importanti erano: l’induzione dell’anestesia mediante il tubo endotracheale a doppio lume e il catetere epidurale; l’inserimento di un drenaggio toracico e di uno cervicale (nel caso di un’anastomosi cervicale); evitare il ricovero in terapia intensiva dei pazienti estubati in sala operatoria o nell’unità di cura post-anestesia, trasferendoli in reparto dopo un’osservazione di 6 ore. Il programma post-operatorio prevedeva di mobilizzare in poltrona il paziente in giornata zero e di iniziare a farlo

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camminare in prima giornata; fino alla quinta giornata post-operatoria il dolore veniva controllato con l’analgesia mediante catetere epidurale, per poi introdurre l’analgesia per os; il catetere vescicale veniva tolto in seconda giornata; fino alla terza giornata post-operatoria il paziente rimaneva digiuno, dopodichè erano ammessi alcuni sorsi d’acqua e in quinta giornata, dopo l’esecuzione dell’RxTD, veniva introdotta una dieta liquida e poi una dieta morbida (in questo studio raramente veniva confezionata una digiunostomia). Il drenaggio toracico e quello cervicale, se presente, venivano rimossi dopo la reintroduzione dell’alimentazione. La dimissione era prevista in settima giornata post-operatoria. In questo studio, nel gruppo “ERAS”, si evidenziava la riduzione di 2 giorni del tempo di ricovero, senza l’aumento di complicanze o re-ammissioni, e l’eliminazione del ricovero nell’Unità di Terapia Intensiva (UTI). Interessante da notare che in media il 32% dei pazienti erano stati dimessi in settima giornata (giorno target); in particolare, nei primi 6 mesi di adozione del protocollo solo il 15%, successivamente la percentuale saliva al 40%.

Uno studio retrospettivo pubblicato nel 2013 da Shouqiang Cao et al.33, in cui veniva nuovamente comparato il programma ERAS con le cure convenzionali, dimostrava che, nel gruppo in cui era stato applicato il protocollo ERAS, c’era stata una riduzione significativa della durata del ricovero (7,7 vs 14,8 giorni) e delle complicanze a 30 giorni (29,1 vs 47,4%). I principi del protocollo che gli autori avevano sviluppato nella fase pre-operatoria erano: informare il paziente riguardo il protocollo e il percorso peri-operatorio; la valutazione dello stato nutrizionale; la somministrazione di un carico di fruttosio e proteine il giorno prima dell’intervento; il digiuno non prolungato con sospensione di liquidi 2 ore prima e di solidi 6 ore prima dell’intervento. La fase intra-operatoria prevedeva: l’anestesia generale mediante tubo endotracheale a doppio lume e catetere epidurale; l’uso non routinario del SNG, del drenaggio addominale e cervicale; il confezionamento di una digiunostomia; il mantenimento della normotermia; la restrizione dei liquidi somministrati. Il programma post-operatorio prevedeva l’estubazione precoce e l’inizio della fisioterapia respiratoria già in prima giornata post-operatoria; anche la mobilizzazione del paziente doveva essere precoce e iniziare in prima

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giornata; grazie al confezionamento della digiunostomia, la nutrizione enterale veniva iniziata in prima giornata, partendo da bassa velocità e aumentando ogni giorno fino ad arrivare a un massimo di 60-80 ml/min; il CV veniva rimosso subito in prima giornata, mentre il catetere epidurale e il drenaggio toracico in terza. In questo protocollo l’esecuzione dell’RxTD era prevista in quarta giornata post-operatoria e, se non evidenziava fistole, il paziente poteva iniziare a bere, il giorno dopo passare a una dieta completamente liquida e poi a una dieta morbida. La dimissione era prevista in settima giornata.

Sempre nel 2013, veniva pubblicato da Tang et al.34 uno studio mirato a valutare l’impatto del protocollo ERAS in pazienti sottoposti a resezione per tumore esofago-gastrico, confrontando 2 gruppi di pazienti, il primo operato prima dell’introduzione del protocollo e il secondo operato dopo. Anche in questo caso era stata dimostrata una riduzione della durata del ricovero (da 15 a 11 giorni), senza l’aumento di morbidità e mortalità. Il protocollo adottato in questo studio prevedeva sempre l’istruzione e informazione pre-operatoria del paziente, l’anestesia epidurale, l’estubazione precoce in sala operatoria a fine intervento. La somministrazione intra-operatoria dei liquidi era stata conservativa. Dopo l’esofagectomia il paziente veniva inviato in terapia intensiva e riportato in corsia in prima o seconda giornata; la mobilizzazione del paziente doveva iniziare in prima giornata post-operatoria; in quinta giornata veniva rimosso il SNG, il drenaggio toracico e addominale; sempre in quinta giornata veniva rimosso il catetere epidurale per passare all’analgesia per os e inoltre veniva iniziata una dieta idrica, per poi passare a una dieta morbida, se non c’era evidenza clinica della presenza di una fistola. In questo studio l’RxTD non veniva eseguito routinariamente a tutti i pazienti, a causa della ridotta sensibilità, ma solo nei casi in cui era sospettata clinicamente la presenza della fistola. La dimissione era prevista in settima giornata post-operatoria.

Blom et al.35, nel loro studio, erano arrivati alle stesse conclusioni, cioè il protocollo ERAS in chirurgia esofagea era fattibile e riduceva, seppur minimamente, la durata del ricovero, senza aumentare le morbidità. A differenza del programma adottato da Tang, nella fase pre-operatoria,

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veniva valutato anche lo stato nutrizionale del paziente, al quale, in caso di malnutrizione, veniva prescritta una dieta ricca in carboidrati o la nutrizione enterale. Un’altra differenza era l’inserimento di un protocollo di restrizione dei liquidi, in modo da mantenere l’euvolemia, poichè l’ipervolemia era stata associata a maggior incidenza di fistole, polmoniti e ileo post-operatorio. In questo protocollo ERAS era stata introdotta anche la prevenzione di nausea e vomito, somministrando farmaci anti-emetici nel pre-operatorio, e la gestione della nausea post-operatoria con ondansetron. Altra differenza era la tempistica di rimozione del SNG, infatti in questo studio doveva essere rimosso in seconda giornata o quando la perdita era inferiore a 200 ml/die. La mobilizzazione del paziente avveniva già il giorno stesso dell’intervento. L’analgesia mediante catetere epidurale veniva continuata fino in seconda giornata e stoppata in terza. Dal punto di vista nutrizionale già in giornata zero veniva iniziata l’enterale, in seconda il paziente poteva assumere alcuni sorsi d’acqua, in quinta si introduceva la dieta idrica, in settima giornata il paziente iniziava una dieta normale e veniva dimesso nello stesso giorno. Nello studio era anche riportata la percentuale di adesione ai vari elementi del protocollo, che variava dal 42% (inizio della dieta idrica) al 93% (somministrazione pre-operatoria del carico di carboidrati).

Nello studio di Guibin Zhao et al.36 veniva valutato l’effetto del protocollo ERAS sull’insulino-resistenza indotta dallo stress chirurgico, essendo correlata con la durata del ricovero e con il rischio di complicanze (in particolare infezioni). Il protocollo adottato era quello sviluppato da Shouqiang Cao et al.33. Questo studio dimostrava come il protocollo ERAS fosse in grado di ridurre la risposta allo stress chirurgico e la resistenza insulinica dopo esofagectomia, infatti gli indicatori di insulino-resistenza (glicemia e insulinemia a digiuno, interleuchina-6, proteina C-reattiva, HOMA-IR score) dosati in prima, terza e settima giornata post-operatoria, erano significativamente inferiori nel gruppo “ERAS” rispetto al gruppo di controllo.

Nel 2014, veniva pubblicata da John M. Findlay et al.37, la prima revisione sistematica dei programmi ERAS applicati all’esofagectomia, da cui era

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emerso che il protocollo ERAS comportava una riduzione della durata del ricovero, della morbidità e mortalità. Questa analisi era stata condotta anche con l’intento di fornire delle linee guida evidence-based. Prendendo in considerazione i componenti della fase pre-operatoria, nello studio venivano raccomandati: il counseling multimodale per ridurre lo stress psicologico e alleviare l’ansia; il carico di carboidrati 2-3 ore prima dell’intervento per attenuare l’insulino-resistenza e l’iperglicemia; il digiuno di 2 ore per i liquidi e 6 ore per i solidi; la fisioterapia respiratoria (anche se migliorava la funzione inspiratoria, ma non gli outcomes); la somministrazione orale di ferro per ottimizzare i livelli di emoglobina se il paziente presentava anemia sideropenica. Non veniva invece raccomandata l’immunonutrizione pre-operatoria, poichè non c’erano evidenze che essa riducesse il rischio di infezioni nell’esofagectomia. I componenti della fase intra-operatoria raccomandati in questo studio erano: l’analgesia epidurale; l’esofagectomia mini-invasiva, in quanto associata a minor perdita di sangue, complicanze e durata del ricovero, con ugual outcomes oncologici rispetto alla chirurgia open; la Goal-directed fluid therapy, guidata dalla variazione del volume di eiezione, o un’infusione bilanciata di liquidi. Non veniva raccomandato l’uso del drenaggio pilorico. Gli elementi della fase post-operatoria inclusi in queste linee guida comprendevano l’uso di un solo drenaggio toracico e la sua rimozione quando la perdita era inferiore a 200 ml/die, l’uso del SNG, la nutrizione enterale precoce, l’analgesia epidurale, la rimozione del CV in prima giornata, la trombo-profilassi e la mobilizzazione precoce. Non veniva raccomandato l’uso routinario dell’imaging prima dell’introduzione della dieta orale, poichè ne avrebbe ritardato l’inizio.

Un’altra revisione sistematica pubblicata nel 2017 da Pisarska et al.38, basata su 1 studio randomizzato e 12 studi comparativi, documentava nuovamente la fattibilità e i benefici che avrebbe potuto apportare l’adozione del protocollo ERAS in chirurgia esofagea. Dalla meta-analisi non risultavano differenze statisticamente significative nelle complicanze chirurgiche, fistole anastomotiche, mortalità e reammissione a 30 giorni tra il gruppo “ERAS” e il gruppo di controllo, mentre c’era una significativa riduzione delle complicanze non chirurgiche, complicanze polmonari e durata del ricovero nel gruppo “ERAS”.

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Uno studio comparativo italiano pubblicato nel 201739, metteva nuovamente in evidenza la fattibilità e sicurezza del protocollo ERAS in chirurgia esofagea, in un centro ad alto volume. Erano state incluse sia le esofagectomie secondo Ivor-Lewis, che quelle secondo McKeown (quest’ultime spesso escluse dagli studi per la maggior morbidità e mortalità). Era stato introdotto anche un nuovo elemento: la ripresa della dieta orale in prima giornata post-operatoria. La percentuale di aderenza al protocollo per i vari componenti era risultata molto varia, andando dal 31,7% della dieta liquida e 31,9% della dieta morbida, al 72,7% dell’analgesia epidurale ed estubazione a fine intervento. Anche se l’aderenza al protocollo ERAS, per quanto riguarda l’inizio della dieta orale, era stata scarsa, questo studio dimostrava la riduzione dei tempi rispetto al protocollo standard: dalla sesta alla terza giornata per la dieta idrica e dalla settima alla quinta giornata per la dieta morbida. Questo studio dimostrava la fattibilità del protocollo ERAS in chirurgia esofagea nei centri ad alto volume, sottolineando la ridotta percentuale di aderenza al protocollo sia in questo stesso studio, sia in letteratura, a causa della complessità del decorso post-operatorio.

Sempre nel 2017 Markar et al.40 pubblicavano una metanalisi, che dimostrava una significativa riduzione della durata del ricovero nei pazienti sottoposti a esofagectomia inclusi nel programma ERAS, mentre non c’erano significative differenze per quanto rigurda mortalità, fistole anastomotiche, complicanze polmonari e re-ammissioni. Inoltre venivano messi in evidenza i componenti che concorrevano alla riduzione della durata del ricovero: estubazione immediata; RxTD entro la quinta giornata post-operatoria; mobilizzazione entro la prima giornata post-post-operatoria; rimozione del catetere vescicale entro la seconda; nutrizione enterale e sorsi d’acqua entro la prima; rimozione del catetere epidurale entro la quarta giornata post-operatoria.

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Capitolo 2: Scopo della tesi

Lo scopo di questa tesi è di elaborare e applicare un protocollo ERAS condiviso e di verificarne la fattibilità nell’ambito di un’esperienza preliminare presso la U.O. di Chirurgia dell’Esofago dell’AOUP.

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Capitolo 3: Materiali e metodi

3.1 Elaborazione del protocollo ERAS

Dopo numerose riunioni condivise tra chirurghi, nutrizionista, fisioterapista, anestesisti e infermieri, abbiamo elaborato un protocollo adattato alle esigenze, alle limitazioni e alla realtà della U.O. di Chirurgia dell’Esofago dell’AOUP.

Il protocollo elaborato prevede i seguenti elementi: • Fase pre-operatoria

o Stato nutrizionale

o Valutazione delle funzioni respiratorie o Digiuno o Carico di carboidrati o Antibiotico-profilassi o Trombo-profilassi • Fase intra-operatoria o Anestesia e analgesia o Ventilazione protettiva o Monitoraggio intra-operatorio o Infusione di liquidi

o Mantenimento della normotermia o Posizionamento di drenaggi e sondini • Fase post-operatoria

o Estubazione o Analgesia

o Ecografia toracica o Drenaggio toracico

o Gestione del sondino naso-gastrico o Gestione del catetere vescicale o Infusione di liquidi

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20 o Antibiotico-profilassi o Trombo-profilassi o Mobilizzazione precoce o Fisioterapia respiratoria o Dimissione

3.1.1 Fase pre-operatoria

3.1.1.1 Stato nutrizionale

I pazienti con tumore esofageo sono a rischio di malnutrizione, infatti approssimativamente nell’80% dei casi si verifica perdita di peso41.

Proprio per questo motivo nel nostro protocollo è stata inserita la

valutazione pre-operatoria dello stato nutrizionale, al momento della visita di pre-ospedalizzazione. Ѐ stato utilizzato il Malnutrition Universal Screening Tool (MUST) per valutare il rischio di malnutrizione, il quale è composto da cinque fasi (Figura 1).

Nella prima fase viene calcolato l’Indice di Massa Corporea (IMC) misurando l’altezza e il peso del soggetto, a cui viene assegnato un punteggio (Tabella 1). Tabella 1 IMC (kg/m2) Punteggio > 20 (> 30 obeso) 0 18,5 - 20 1 < 18,5 2

Nella seconda fase viene stabilita l’entità di un eventuale calo di peso non programmato su un periodo di 3-6 mesi. Per calcolare la percentuale del calo di peso viene sottratto il peso attuale dal peso precedente e, utilizzando specifiche tabelle, viene assegnato un punteggio (Tabella 2).

Tabella 2

% Punteggio

< 5 0

5 - 10 1

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Nella terza fase deve essere presa in considerazione la presenza di eventuali malattie acute che affliggono il paziente, perchè possono influenzare il rischio di maltutrizione. Se non vi è stato o è probabile che non vi sia stato alcun apporto nutrizionale per più di 5 giorni, deve essere assegnato un punteggio pari a 2.

A questo punto, può essere stabilito il rischio globale di malnutrizione (quarta fase), addizionando i punteggi delle fasi 1, 2 e 3 (Tabella 3).

Tabella 3

Punteggio totale Rischio

0 Basso

1 Medio

2 o più Alto

In base al rischio dovrà essere impostato un programma terapeutico appropriato (quinta fase).

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In ogni caso è indicata l’immunonutrizione pre-operatoria, che vada a sostenere la funzionalità immunitaria nei 5-7 giorni prima dell’intervento. Nel nostro studio è previsto l’utilizzo di una formulazione orale (brick) contenente composti azotati (arginina, RNA), lipidi (omega-3), carboidrati e fibre.

Nel paziente non a rischio di malnutrizione (MUST = 0) abbiamo prescritto supplementi con immunonutrienti lontano dai pasti per 5 giorni prima dell’intervento. Il paziente dubbio o a rischio di malnutrizione, invece, viene inviato al medico nutrizionista e/o dietista per la valutazione dello stato nutrizionale e degli intake; nel caso in cui si rilevi che il paziente è malnutrito, si prescrive la terapia con immunonutrienti per 7 giorni prima dell’intervento.

3.1.1.2 Valutazione delle funzioni respiratorie

Le complicanze polmonari post-operatorie possono contribuire ad aumentare i giorni di degenza. Inoltre sono la principale causa di morte post-esofagectomia (più del 50% delle morti intra-ospedaliere43).

Nel nostro protocollo, prima dell’intervento chirurgico, avviene un primo incontro tra fisioterapista e paziente, assieme al familiare. Durante l’incontro si valutano le funzionalità respiratorie, attraverso le prove di funzionalità respiratoria (PFR), la misurazione della massima pressione inspiratoria (MIP) ed espiratoria (MEP) e il picco della tosse (Pcough).

Viene eseguita la spirometria dinamica, con la quale si determina la capacità vitale forzata (FVC) e il volume espiratorio massimo nel primo secondo (FEV1). Per eseguire la spirometria, si invita il paziente a respirare

normalmente attraverso il boccaglio dello spirometro, con applicato uno stringinaso. Al nostro comando, deve eseguire un’inspirazione massimale, fino alla capacità polmonare totale (CPT), seguita da una forte, decisa e completa espirazione, fino a volume residuo (VR).

La misurazione della MIP e della MEP ci permette di determinare la forza dei muscoli respiratori. La MIP è la massima pressione negativa generata,

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durante un’inspirazione forzata, dai muscoli inspiratori. Per effettuare questa misurazione, invitiamo il paziente (con applicato uno stringinaso) a espirare lentamente e completamente fino a VR; dopo aver sigillato le labbra al boccaglio, il paziente dovrà inspirare profondamente e il più velocemente possibile, in modo da generare uno sforzo inspiratorio massimale, che deve essere mantenuto per 1 secondo. La MEP invece è la massima pressione positiva generata, durante un’espirazione forzata. Per questa misurazione, applichiamo al paziente uno stinginaso e si invita a inspirare lentamente e completamente fino alla CPT e poi espirare il più forzatamente possibile all’interno del boccaglio, andando a comprimere, con le mani, i muscoli delle guance del paziente, per evitare che ci sia dispersione della pressione espiratoria. Anche in questo caso, lo sforzo espiratorio massimale deve essere mantenuto per 1 secondo. Ripetiamo la misurazione della MIP e della MEP per 3 volte e si seleziona il valore più elevato.

Durante il test del Pcough, con il quale misuriamo il picco di flusso durante la tosse (PCF), invitiamo il paziente a fare un’inspirazione massimale, al termine della quale deve rimanere in apnea, in modo da posizionargli la maschera facciale sul volto. Dopodichè dovrà eseguire un colpo di tosse, il più forte possibile. Anche in questo caso ripetiamo la manovra per 3 volte (lasciando il tempo al paziente di recuperare tra una prova e l’altra) e si sceglie il valore più elevato.

Sempre durante il primo incrontro tra fisioterapista e paziente, il nostro protocollo prevede la spiegazione degli esercizi respiratori che il paziente dovrà eseguire per tutto il resto della degenza, a partire dal giorno stesso o dal giorno successivo a quello dell’estubazione.

Gli esercizi inseriti nel protocollo sono di 2 tipologie: 1. Esercizi di disostruzione:

Si utilizza il sistema PEP (Positive Espiratory Pressure), in cui il paziente espira contro una lieve resistenza, generando una pressione espiratoria positiva, che viene trasmessa alle vie aeree (Figura 2). Si deve scegliere una resistenza che permette di generare una pressione espiratoria di 10 cmH2O,

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modulandola in base alle funzionalità respiratorie del paziente, poichè non deve causare affaticamento respiratorio.

Figura 2 Sistema TheraPEP

Il sistema PEP migliora la ventilazione collaterale e quindi favorisce una ventilazione polmonare omogenea; prossimalizza il punto di ugual pressione (punto in cui la pressione all’inteno delle vie aeree è uguale alla pressione all’esterno, cioè a livello dello spazio pleurico), fino alle vie aeree incomprimibili, in modo da prevenire il collasso di quelle instabili; prossimalizza le secrezioni dalle vie aeree centrali a quelle periferiche44,45. La seduta riabilitativa non deve superare i 15 minuti oppure possono essere eseguite 10 serie con un massimo di 10 ripetizioni dell’esercizio e con una pausa di 1 minuto tra una ripetizione e l’altra, in cui il paziente può eseguire 1-2 colpi di tosse per espettorare. Nel caso in cui il paziente avesse dolore durante il colpo di tosse, si può chiedere al paziente stesso di contenersi con le mani, le ferite, perchè può aiutare a ridurre il dolore. Il paziente potrà ripetere l’esercizio ogni volta che sente il bisogno di espettorare, pertanto nella fase post-chirurgica le sedute possono essere più frequenti. Comunque si consiglia al paziente di ripetere l’esercizio in questione almeno ogni 2 ore, specialmente nei primi giorni post-chirurgici. Successivamente sarà il fisioterapista, con il paziente, a decidere la frequenza con cui farla.

2. Esercizi di riespansione toracica:

Si utilizza la spirometria incentivante, tecnica finalizzata alla riespansione polmonare.

Il controllo dell’esecuzione dell’esercizio viene fatto direttamente dal paziente con un feedback visivo. Lo scopo della spirometria incentivante, quindi è educare il paziente alla propria funzionalità respiratoria, al controllo della ventilazione, alla visualizzazione del lavoro ventilatorio e

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alla mobilizzazione dei volumi polmonari. Tutto questo serve per il miglioramento e la prevenzione delle atelectasie post-operatorie46. Gli incentivatori sono utilizzati per favorire l’inspirazione e aiutare il paziente a ottimizzare la riespansione polmonare, eseguendo degli atti respiratori lunghi, lenti e profondi, per un minimo di 3 secondi, in modo che anche le aree più distali del polmone si possano espandere.

Nel nostro protocollo, fino alla settima giornata post-chirurgica, si utilizzano incentivatori di flusso, tarandoli per le capacità polmonari che il paziente manifesta durante le giornate post-chirurgiche (Figura 3). Quando il paziente riesce ad avere un flusso maggiore di 600 ml/sec si passa a incentivatori di volume (Figura 4).

Figura 3 Spirometro incentivante di flusso

Figura 4 Spirometro incentivante di volume

La seduta riabilitativa non deve superare i 15 minuti oppure possono essere eseguite 10 serie con un massimo di 10 ripetizioni dell’esercizio e con una pausa di 1 minuto tra una ripetizione e l’altra. Si consiglia sempre di

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eseguire l’esercizio con l’incentivatore spirometrico dopo quello di disostruzione.

3.1.1.3 Digiuno

Il digiuno pre-operatorio è importante per evitare l’aspirazione polmonare, in cui può incorrere il paziente durante l’anestesia.

La pratica tradizionale prevede il digiuno completo dalla mezzanotte del giorno precedente all’intervento chirurgico, al fine di ottenere un completo svuotamento gastrico ed eliminare, quindi, il rischio di rigurgito e inalazione di materiale gastrico nelle vie respiratorie, con conseguente polmonite ab ingestis. Il digiuno, però, insieme alla risposta neuroendocrina allo stress chirurgico, induce alterazioni metaboliche e principalmente induce resistenza insulinica e iperglicemia. L’insulino-resistenza comporta vari processi catabolici: proteolisi a livello muscolare; bilancio azotato negativo (in seguito al catabolismo proteico causato da citochine infiammatorie); sintesi delle proteine di fase acuta (per stimolazione sempre di citochine infiammatorie); gluconeogenesi; lipolisi con aumento degli acidi grassi liberi (FFA)47. In particolare l’insulino-resistenza post-operatoria è un predittore indipendente della durata della degenza48 ed è associata a complicanze maggiori post-operatorie e quindi anche a maggior morbidità e mortalità post-operatoria. L’iperglicemia inoltre induce alterazioni immunitarie, come riduzione della fagocitosi, riduzione della chemiotassi dei neutrofili, riduzione dell'attività battericida e questo, ovviamente, porta a maggior suscettibilità alle infezioni49,50.

Proprio per questi effetti e per il fatto che non ci sono evidenze scientifiche a supporto del digiuno prolungato, il nostro protocollo prevede la sospensione di liquidi limpidi (per esempio acqua, thè, camomilla, caffè, succhi di frutta senza polpa) 4 ore prima dell’intervento chirurgico, mentre la sospensione di alimenti semiliquidi 12 ore prima.

Inoltre, nel nostro studio, i pazienti candidati all'esofagectomia con ricostruzione mediante colonplastica (quando lo stomaco non è utilizzabile), devono fare una dieta priva di scorie nei 5 giorni precedenti l'intervento.

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3.1.1.4 Carico di carboidrati

Per attenuare i processi catabolici, indotti dal digiuno, abbiamo inserito nel protocollo la somministrazione di un carico di carboidrati (800 ml), mediante bevande iso-osmolari al 12,5% di maltodestrine, da assumere la sera precedente all’intervento chirurgico (dalle ore 17.00 alle 23.00).

L’obiettivo è quello di indurre uno stato anabolico. Gli effetti del carico di carboidrati sono molteplici: riduce la resistenza insulinica post-operatoria del 50%51, riduce la perdita di massa e di forza muscolare del 50%52, riduce la perdita di azoto53, riduce gli eventi di nausea e vomito54, migliora lo stato di benessere del paziente e riduce del 20% la durata della degenza55.

3.1.1.5 Antibiotico-profilassi

L’intervento chirurgico induce alterazioni immunologiche, che portano a immunosoppressione e quindi a maggior rischio di complicanze infettive30.

Per questo motivo si effettua l’antibiotico-profilassi, e, in particolare, nel nostro protocollo si somministra un’unica dose di antibiotico per via

endovenosa, da effettuare 30-60 minuti prima dell’intervento chirurgico.

Lo schema terapeutico cambia in base alla tipologia d’intervento. In caso di esogagectomia con ricostruzione gastrica l’antibiotico di prima scelta è la

cefazolina 2 g EV per 3 somministrazioni, mentre se il paziente è allergico

ai beta-lattamici si somministra ciprofloxacina 400 mg EV per 2 somministrazioni (Tabella 4).

In caso di esofagectomia con ricostruzione colica, invece, si utilizza come prima scelta la cefazolina 2 g EV e il metronidazolo 500 mg EV per 3 somministrazioni, e come seconda scelta, ciprofloxacina 400 mg EV per 2 somministrazioni e metronidazolo 500 mg EV per 3 somministrazioni (Tabella 4).

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Tabella 4 Schema dell’antibiotico-profilassi in base alla tipologia d’intervento

Tipologia di intervento Antibiotico di 1° scelta Antibiotico di 2° scelta (pz allergici ai beta-lattamici) Chirurgia esofagea con ricostruzione gastrica Cefazolina 2g EV x 3 Ciprofloxacina 400mg EV x 2 Chirurgia esofagea con ricostruzione colica Cefazolina 2g EV x 3 + Metronidazolo 500mg EV x 3 Ciprofloxacina 400mg EV x 2 + Metronidazolo 500mg EV x 3

3.1.1.6 Trombo-profilassi

Nel nostro studio sono state applicate le Linee Guida per la profilassi del

tromboembolismo venoso della Regione Toscana56, secondo le quali la

trombo-profilassi dipende dal rischio tromboembolico, che in Chirurgia Generale viene definito dall’età del paziente, dalla classificazione dell’intervento rispetto al rischio di trombosi venosa profonda (TVP) e da fattori di rischio aggiuntivi. Considerando che l’esofagectomia è classificata come una chirurgia a rischio elevato di TVP, anche senza altri fattori, il rischio globale risulta elevato o elevatissimo (Figura 5).

Secondo le Linee Guida della Regione Toscana, in caso di rischio elevato di TVP, si somministra eparina a basso peso molecolare (EBPM); in caso di rischio elevatissimo di TVP, può essere somministrata EBPM con la stessa posologia e lo stesso schema dei pazienti con rischio elevato, altrimenti fondaparinux (Figura 6).

Insieme alla profilassi farmacologica viene effettuata la profilassi meccanica e nel nostro protocollo è previsto l’utilizzo dei gambali a compressione intermittente, che devono essere applicati in sala operatoria, prima dell’inizio dell’intervento.

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Figura 5 Algoritmo per la definizione del rischio tromboembolico in Chirurgia generale56

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3.1.2 Fase intra-operatoria

3.1.2.1 Anestesia e analgesia

Il nostro protocollo, nei pazienti che subiscono toracotomia, prevede il posizionamento di un catetere epidurale all’altezza di T4-T7, attraverso il quale si somministra un bolo iniziale lento (10 ml in 5 minuti) di

levobupivacaina 7,5 mg/ml (o ropivacaina 10mg/ml) e sufentanil 0,25

mcg/kg (o fentanil 100 mcg).

A blocco centrale stabilizzato (dopo circa 30 minuti), viene indotta l’anestesia generale con propofol 2 mg/kg come ipnotico, cisatracurio 0,2 mg/kg (o rocuronio 0,6 mg/kg) come miorilassante e fentanil 2 mcg/kg come analgesico.

L’anestesia viene mantenuta con desflurane 4-6% in miscela O2/aria 50:50

e remifentanil 0,05-0,35 mcg/kg/min.

A 120 minuti dall’inizio del blocco centrale, si infonde in maniera continua, dal catetere epidurale, una soluzione di levobupivacaina 0,625 mg/ml (o

ropivacaina 1 mg/ml) e sufentanil 0,5 mcg/ml (o fentanil 1 mcg/ml). La

velocità di infusione è compresa tra 3 e 5 ml/h.

Nei pazienti ai quali non viene posizionato il catetere epidurale, poichè controindicato per problemi emostatici o per problemi anatomici o poichè non indicato per la mini-invasività dell’intervento, si esegue un’anestesia generale tradizionale.

3.1.2.2 Ventilazione protettiva

Nel caso in cui venga eseguita una toracotomia o un intervento robot-assistito, il protocollo da noi elaborato prevede l’esecuzione dell’intubazione orotracheale, con tubo selettivo sinistro a doppio lume (per escludere il polmone destro dalla ventilazione). Se, invece, viene eseguito un intervento in toracoscopia in posizione prona, non è prevista l’intubazione selettiva.

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I parametri del ventilatore vengono impostati nel seguente modo:

• Il volume corrente (Vt) deve raggiungere 6 ml/Kg durante la ventilazione meccanica in bipolmonare e 5 ml/Kg durante la ventilazione meccanica in monopolmonare

• La frequenza respiratoria deve essere aggiustata in modo che la PaCO2 venga mantenuta tra 35 e 45 mmHg durante tutto l’intervento

• La FiO2 è impostata a 1,0 nell’induzione e ridotta a 0,5 durante

l’intervento ed eventualmente aggiustata per mantenere PaO2 > 80

mmHg

• La PEEP viene impostata a 8 cmH2O

3.1.2.3 Monitoraggio intra-operatorio

Il monitoraggio prevede: l’ECG in continuo; la saturimetria; la

capnografia; la misurazione della pressione sanguigna invasiva (Invasive

Blood Pressure - IBP); la FiO2 insp ed esp; la concentrazione inspiratoria

ed espiratoria dei gas alogenati (MAC); il volume e la frequenza respiratoria se ventilazione in modalità volume-controllato o pressioni inspiratorie e frequenza se ventilazione in modalità pressometrica.

3.1.2.4 Infusione di liquidi

È necessario mantenere un adeguato controllo volemico: l’ipervolemia aumenta il rischio di edema intestinale con conseguente possibile danno sulle anastomosi, ileo paralitico, complicanze polmonari (edema), aumentate richieste miocardiche; l’ipovolemia invece può essere responsabile di ipoperfusione degli organi e insufficienza multiorgano57.

Nel nostro studio, il fabbisogno idrico intra-operatorio si ottiene attraverso un bilancio tra le entrate (infusioni di soluzioni cristalloidi e colloidi, farmaci, sangue, plasma) e le perdite (digiuno, perspiratio, esposizione e manipolazione di visceri, diuresi, sangue); naturalmente varia in funzione della tecnica chirurgica utilizzata (laparoscopia vs laparotomia, toracoscopia vs toracotomia).

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3.1.2.5 Mantenimento della normotermia

In interventi chirurgici di durata superiore a 2 ore, è molto comune l'ipotermia peri-operatoria lieve, definita come temperatura corporea inferiore a 34°C, la quale è associata a outcome negativi, come infezione della ferita chirurgica, compromissione della funzionalità piastrinica con conseguente aumento delle perdite ematiche, brividi con aumento del consumo di ossigeno, eventi cardiaci58.

Il protocollo predeve i seguenti accorgimenti per evitare l’ipotermia: • Riscaldare e umidificare i gas respiratori

• Riscaldare i liquidi somministrati attraverso adeguati device • Riscaldare la superficie corporea del paziente attraverso sistemi

convettivi per il riscaldamento ad aria forzata o riscaldatori ad aria

forzata

Per verificare il mantenimento della normotermia, è previsto il

monitoraggio della temperatura corporea del paziente durante

l’intervento.

3.1.2.6 Posizionamento di drenaggi e sondini

Durante l’intervento, il nostro protocollo prevede il posizionamento del

sondino naso-gastrico (SNG), del drenaggio toracico e del catetere vescicale (CV). I drenaggi addominali non verranno posizionati di routine, ma solo in casi selezionati.

3.1.3 Fase post-operatoria

Gli elementi principali della fase post-operatoria sono schematizzati in Tabella 5.

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34 Ta b el la 5 P ro to co llo ER A S : f a se p o st -o p er a to ri a POD 10 F √ √ (anast cerv) PCEA, Patient-Controlled Epidural Analgesia; EV, endovena; RxTD, Rx transito digerente; NE, nutrizione enterale; SL, semiliquida; CV, catetere vescicale; SNG, sondino naso-gastrico; ECO tor, ecografia toracica; Dren tor, drenaggio toracico; anast tor, anastomosi toracica; anast cerv, anastomosi cervicale; Antibiot-prof, antibiotico profilassi; Trombo-prof, trombo-profilassi; F, farmacologica; M, meccanica; Fisiotp resp, fisioterapia respiratoria; Mobilizzaz, mobilizzazione; Rimoz, rimozione.

POD 9 EV 80ml/h F √ Camminata autonoma POD 8 EV 80 ml/h √ (anast cerv) F √ Camminata autonoma √ (anast tor) POD 7 EV √ (anast cerv) Rimoz (anast cerv) 80 ml/h √ (anast cerv) √ (anast cerv) F √ Camminata autonoma POD 6 EV √ (anast cerv) Rimoz (anast cerv) 80 ml/h √ (anast cerv) √ (anast tor) F √ Camminata autonoma POD 5 EV √ (anast tor) Rimoz (anast tor) 80 ml/h √ (anast tor) √ (anast tor) F √ Camminata autonoma POD 4 PCEA/EV Rimoz se < 200 ml/die √ (anast tor) Rimoz (anast tor) 80 ml/h √ (anast tor) F √ Camminata assistita POD 3 PCEA Rimoz se < 200 ml/die Rimoz 60 ml/h F √ Camminata assistita POD 2 Rimoz 40ml/h √ F √ Poltrona POD 1 PCEA √ Rimoz 20 ml/h √ F/M √ Semiseduto a letto POD 0 √ PCEA √ F/M √ Estubazione Analgesia ECO tor Dren tor CV RxTD SNG NE Dieta idrica Dieta SL Antibiot-prof Trombo-prof Fisiotp resp Mobilizzaz Dimissione

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3.1.3.1 Estubazione

L’obiettivo in questo protocollo è estubare il paziente alla fine dell’intervento o comunque il più precocemente possibile.

Per l’estubazione devono essere rispettati i seguenti parametri o la maggior parte di essi:

• T > 35°C con eccesso di basi (BE) < -2 • SO2 > 95% con FiO2 0,5

• PEEP < 5 cmH2O

• Diuresi ≥ 0,5 ml/Kg/h

• 50 < FC < 90 e PA entro il range fisiologico • Volume corrente in respiro spontaneo > 5 ml/Kg • Tosse efficace alla manovra di aspirazione • Adeguata analgesia

3.1.3.2 Analgesia

Il periodo post-operatorio è caratterizzato da intenso dolore, che ha vari effetti nocivi, infatti può comportare una ridotta espansione toracica e una ridotta compliance agli esercizi di fisioterapia respiratoria, con rischio maggiore di complicanze polmonari; inoltre ritarda il recupero della mobilità.

Nel nostro programma, nei pazienti in cui è stato posizionato il catetere epidurale, mediante pompa PCEA (Patient-Controlled Epidural Analgesia), che consente l’infusione continua di una soluzione e contemporaneamente l’autosomministrazione da parte del paziente di boli aggiuntivi, si infonde una soluzione di levobupivacaina 0,625 e sufentanil 50 mcg alla velocità di 3-5 ml/h. L’analgesia PCEA è prevista per 3-4 giornate post-operatorie. La rimozione del catetere epidurale deve avvenire almeno 12 ore dopo l’ultima somministrazione di EBPM per ridurre il rischio di sanguinamenti perimidollari e si deve attendere almeno 4 ore per la somministrazione successiva. Se invece si utilizza fondaparinux, la rimozione del catetere epidurale deve avvenire 36 ore dopo l’ultima somministrazione e 12 ore prima della successiva (questo comporta la sospensione di un giorno della

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terapia con fondaparinux). Al quarto-quinto giorno post-operatorio è prevista l’analgesia EV con paracetamolo od oppioidi minori.

Nei pazienti in cui non è stato possibile il posizionamento del catetere epidurale o in cui non era indicato a causa dell’approccio mini-invasivo, si utilizza l’analgesia endovenosa con morfina mediante pompa PCA, attraverso la quale il paziente autosomministra la terapia antalgica. La pompa è regolata in modo da erogare al paziente boli di 1 mg di morfina, lock-out 8 minuti, con dose massima di 20 mg nelle 24 h. A ciò si associa la somministrazione di paracetamolo 1 gr ogni 6 ore.

Nel post-operatorio il protocollo prevede la valutazione e quantificazione periodica del dolore, mediante la scala NRS (Numerical Rating Scale). Si tratta di una scala numerica unidimensionale quantitativa di valutazione del dolore a 11 punti; l’operatore chiede al paziente di selezionare il numero che meglio descrive l’intensità del suo dolore in quel preciso momento, da 0 (nessun dolore) a 10 (peggior dolore immaginabile).

La durata del trattamento antalgico è in funzione della velocità di recupero del paziente, della risposta alla terapia e della mobilizzazione dello stesso.

3.1.3.3 Ecografia toracica

Un elemento aggiuntivo del nostro protocollo è l’esecuzione di un’ecografia toracica, utile per verificare rapidamente e in maniera non invasiva la presenza di versamento pleurico, pneumotorace (PNX), edema polmonare e consolidamenti. Verrà eseguita durante la degenza del paziente nel reparto di terapia intensiva, in prima-seconda giornata post-operatoria.

L’ecografia toracica determina la presenza di un versamento pleurico con una sensibilità e specificità prossimi al 100% e consente anche di definire la natura del versamento in base all’ecogenicità. Infatti il versamento pleurico si presenta come una raccolta anecogena, se costituito da un trasudato, o come una raccolta complessa non settata (con materiale ecogeno), complessa settata (con tralci fibrinosi), omogeneamente ecogena, se costituito da un essudato. Quando il versamento è abbondante, si può notare

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il polmone compresso che galleggia nel liquido con movimenti molto peculiari (segno della medusa)59 (Figura 7).

Figura 7 Pleural effusion with the lung floating in fluid like “jelly fish”. Arrow points to the diaphragm60

Le caratteristiche ecografiche del PNX sono: l’assenza dello sliding pleurico, la presenza del lung point e l’assenza delle linee B. Con sliding pluerico si indica il movimento della linea pleurica (linea iperecogena che rappresenta l’interfaccia tra aria e tessuto) e la sua assenza ha una sensibilità del 95% e una specificità del 91-100% per la diagnosi di PNX (l’assenza di sliding è tipica di ogni porzione di polmone che non ventila). Il lung point rappresenta il punto di passaggio tra la presenza e l’assenza dello sliding pleurico, ovvero è il punto in cui la pleura viscerale si scolla dalla pleura parietale, al margine del PNX. Questo ha una sensibilità del 66% e una specificità del 100% (considerato patognomonico di PNX). Il lung point può essere un reperto importante anche per capire l’estensione del PNX e per monitorarne l’evoluzione. Le linee B o code di cometa sono artefatti verticali che si proiettano in basso dalla linea pleurica e la loro assenza ha una sensibilità del 100% e una bassa specificità (elevato valore predittivo negativo di PNX)59.

In caso di edema polmonare, all’ecografia si possono visualizzare le linee B, il cui numero è tanto maggiore, quanto maggiore è l’ispessimento dei setti interalveolari. Ci sono altre cause per cui si può ritrovare ispessimento dei

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setti, come la fibrosi polmonare e la flogosi, per cui il medico dovrà contestualizzare tale reperto ecografico in base alla clinica del paziente59. In caso di consolidamento, l’area appare all’ecografia come una struttura tissutale solida, “epatizzata”, simile al tessuto epatico, poichè non presenta aria al suo interno. Il consolidamento può essere la conseguenza di differenti patologie, come, per esempio, la polmonite o la presenza di un tappo di muco. Se nel contesto del consolidamento è possibile apprezzare il broncogramma aereo, si può sospettare una polmonite, altrimenti, se non visualizzabile, si sopetta un tappo di muco che ostruisce la via aerea (su cui andrà ad agire la fisioterapia respiratoria)59.

L’ecografia toracica offre anche l’opportunità di modulare il supporto fisioterapico in accordo al quadro stesso.

3.1.3.4 Drenaggio toracico

Il drenaggio toracico è necessario per favorire la riespansione polmonare, per monitorare eventuali emorragie e può essere utile per diagnosticare e gestire fistole anastomotiche precoci. Nonostante ciò, il drenaggio toracico limita la mobilità del paziente, causa dolore, riduce l’efficacia della tosse e occasionalmente causa ipoventilazione33,37.

Il nostro protocollo prevede un’aspirazione che va da -10 a -15 cmH2O

e la rimozione in terza-quarta giornata post-operatoria, se la perdita è inferiore a 200 ml/die.

3.1.3.5 Gestione del sondino naso-gastrico

L’uso del SNG è molto importante per la decompressione gastrica, che evita la stasi e quindi il vomito e l’aspirazione. Inoltre, evitando la sovradistensione del viscere, può contribuire a ridurre il rischio di fistola anastomotica. Il SNG causa però molto disagio nel paziente, è facilmente dislocabile ed è associato a infezioni del tratto respiratorio33,37 e quindi dovrebbe essere rimosso il più precocemente possibile.

Nel nostro studio si utilizza il SNG a due vie, impostato con aspirazione

intermittente tra -50 e -100 cmH2O e con la seconda via aperta. Si

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minore con 10-20 ml di fisiologica, ogni 4-6 ore, accertandosi che ci sia gorgoglio d’aria dalla via minore. Inoltre il nostro protocollo prevede che, in caso di anastomosi toracica, in quarta-quinta giornata si esegua l’Rx tubo digerente (RxTD) con Gastrografin e, in assenza di deiescenze anastomotiche e di ostacolo al transito pilorico, si rimuova il SNG. In caso di anastomosi cervicale, invece, in sesta-settima giornata si esegue l’RxTD e, se regolare, si rimuove il SNG.

3.1.3.6 Gestione del catetere vescicale

Il catetere vescicale, importante per il monitoraggio del paziente, predispone a infezioni delle vie urinarie61,62, per cui il nostro protocollo prevede che si

rimuova il prima possibile e comunque entro 3 giorni.

3.1.3.7 Infusione di liquidi

Nel post-operatorio, come anche nella fase intra-operatoria, il bilancio idrico, proposto nel nostro programma, si basa sul bilancio perdite/entrate.

3.1.3.8 Nutrizione precoce

Negli interventi di esofagectomia, è previsto il confezionamento di routine di una digiunostomia. La nutrizione enterale viene iniziata già dalla prima

giornata post-operatoria, utilizzando una miscela standard, somministrata

in modo graduale, con un’iniziale velocità di infusione di 20 ml/h (in prima giornata), e aumentata di 20 ml/h/die, se non ci sono effetti avversi, fino ad arrivare a una velocità massima di 80 ml/h.

La quantità di nutrizione enterale e la possibilità di sospenderla sono in funzione della concomitante introduzione dell’alimentazione per via orale, che dipende, a sua volta, dalla sede dell’anastomosi chirurgica.

Nel nostro protocollo, i pazienti iniziano una dieta idrica con liquidi

limpidi nelle stesse giornate in cui viene rimosso il SNG, quindi in

quarta-quinta giornata in caso di anastomosi toracica e in sesta-settima giornata in caso di anastomosi cervicale. Se ben tollerata la dieta idrica, il giorno dopo possono iniziare una dieta semiliquida frazionata (quinta-sesta giornata in caso di anastomosi toracica e settima-ottava giornata in caso di anastomosi

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cervicale), fino alla dimissione. Nei pazienti sottoposti a esofagectomia con anastomosi cervicale si utilizza questo protocollo nutrizionale solo se, oltre all’integrità dell’anastomosi, è certa l’assenza di problemi di inalazione; infatti in questi interventi, è possibile la lesione ai nervi laringei ricorrenti, con conseguente difficoltà di chiusura della glottide durante la deglutizione e quindi rischio di inalazione.

3.1.3.9 Antibiotico-profilassi

Si continua l’antibiotico-profilassi per le prime 24 ore del post-operatorio e fino a 48 ore se l’indice di rischio di infezioni post-operatorie è alto.

3.1.3.10 Trombo-profilassi

Nel post-operatorio, si prosegue la profilassi farmacologica con EBPM o fondaparinux secondo le Linee Guida del Centro Gestione del Rischio

Clinico della Regione Toscana (Figura 6).

La profilassi meccanica mediante gambali a compressione intermittente viene continuata in giornata zero e nei giorni di degenza in terapia

intensiva, a discrezione del medico anestesista.

3.1.3.11 Mobilizzazione precoce

La mobilizzazione del paziente deve essere precoce ed è importante per ridurre i dolori da immobilizzazione, per mantenere il Range Of Motion articolare (ROM) e anche per ridurre i rischi circolatori, quali, stasi venose e trombosi venose63.

La mobilizzazione dovrebbe essere eseguita il più frequentemente possibile, cercando di evitare che il paziente stia troppo in posizione supina. Non ci sono controindicazioni nell’esecuzione degli esercizi, se non quelli per motivi chirurgici.

Nel nostro studio in prima giornata post-operatoria si fa assumere al paziente la posizione semiseduta a letto, sollevando la testata. In seconda giornata invece viene messo seduto in poltrona. Dalla terza

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giornata può camminare, inizialmente con ausili, se necessario per la presenza di drenaggi, e poi in maniera autonoma.

3.1.3.12 Fisioterapia respiratoria

Nel protocollo la fisioterapia respiratoria deve essere iniziata il giorno stesso o il giorno successivo a quello dell’estubazione. Il paziente deve eseguire gli esercizi di disostruzione e di riespansione toracica spiegati durante il primo incontro con il fisioterapista.

3.1.3.13 Dimissione

In questo studio la dimissione è prevista in ottava giornata in caso di esofagectomia con anastomosi toracica e in decima giornata in caso di esofagectomia con anastomosi cervicale.

3.2 Raccolta dei dati

3.2.1 Modalità di raccolta dei dati

I dati di ogni paziente sono stati raccolti prospetticamente utilizzando la “scheda paziente”, appositamente creata in modo da valutare l’aderenza al protocollo, evidenziare e motivare l’inosservanza del programma e poter apportare miglioramenti.

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3.2.2 La “scheda paziente”

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Capitolo 4: Risultati

4.1 Caratteristiche dei pazienti

Nello studio sono stati inclusi 28 pazienti con tumore esofageo, 24 dei quali sono stati sottoposti a esofagectomia subtotale e 4 a esofagectomia totale, nel periodo tra Novembre 2017 e Giugno 2018.

La popolazione dei pazienti è rappresentata in Tabella 6, mentre le caratteristiche dell’intervento, le complicanze intra-ospedaliere e la mortalità sono riportate in Tabella 7.

Tabella 6 Caratteristiche della popolazione

Valore [intervallo o %] Numero pazienti 28 Età media 63,6 [49-83] Sesso Maschi Femmine 20 [71,43] 8 [28,57]

Sede Toracica superiore

Toracica media Toracica inferiore Giunzione esofago-cardiale 1 [3,57] 5 [17,86] 2 [7,14] 20 [71,43] Istologia Adenocarcinoma Carcinoma squamocellulare Misti Carcinoma mucinoso 17 [60,71] 9 [32,14] 1 [3,57] 1[3,57] Stadiazione clinica IA IB IIA IIB IIIA IIIB 2 [7,14] 3 [10,71] 4 [14,29] 8 [28,57] 9 [32,14] 2 [7,14] Terapia neoadiuvante Chemioradioterapia Chemioterapia Nessuna 7 [25] 10 [35,71] 11 [39,29]

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Tabella 7 Caratteristiche dell’intervento, complicanze intra-ospedaliere, mortalità

Intervento Ivor-Lewis McKeown 24 [85,71] 4 [14,29] Intervento Ibrido Completamente mini-invasivo 14 [50] 11 [39,29] Interventi associati Colecistectomia

Spleno-pancreasectomia Emicolectomia sx Enucleazione NET duodenale

4 1 1 1 Complicanze intra-ospedaliere Tasso globale Fistole cervicali Fistole toraciche Complicanze respiratorie

(insuff. respiratoria, polmonite, versamento pleurico, PNX) 14 [50] 2 [7,14] 2 [7,14] 6 [21,43] Mortalità Peri-operatoria A 30 giorni 0 [0] 0 [0]

4.2 Risultati pre-operatori

Considerando gli elementi della fase pre-operatoria del protocollo ERAS tutti i pazienti (100%) sono stati sottoposti alla valutazione delle funzioni

respiratorie e nel contesto della visita di pre-ospedalizzazione è stato

spiegato loro gli esercizi di fisioterapia respiratoria che avrebbero dovuto eseguire nei giorni post-operatori.

La valutazione dello stato nutrizionale, invece è stata eseguita solo in 16 pazienti su 28 (57,1%), per cui anche l’immunonutrizione è stata prescritta a 16 pazienti.

Il carico di carboidrati, da somministrare il giorno precedente l’intervento, è stato effettuato in 8 pazienti su 28, quindi nel 28,6%.

Il digiuno pre-operatorio (12 ore per i cibi semiliquidi e 4 ore per i liquidi) è stato rispettato nel 100% dei pazienti, come anche l’antibiotico-profilassi e la trombo-profilassi farmacologica e meccanica (Figura 8).

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