• Non ci sono risultati.

Capitolo 3. Il metodo proposto: il laser

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 3. Il metodo proposto: il laser"

Copied!
25
0
0

Testo completo

(1)

49

Capitolo 3. Il metodo proposto:

il laser

3.1 Presentazione, obiettivi ed ambiti di applicazione

Nei capitoli precedenti sono stati analizzati i processi tradizionali ed alcuni dei metodi ritenuti innovativi attualmente presenti in letteratura per la produzione di protesi dentali.

Questa tesi vuole proporre un ulteriore metodo innovativo, ovvero l’asportazione per sottrazione di materiale tramite fascio laser. Il settore sembra promettente: anche l’azienda americana Dental Wings, propulsore dell’innovazione del dentale, sta affinando e producendo una nuova fresatrice laser. Questo dettaglio non fa che avvalorare la nostra tesi e rendere la lavorazione laser ancora più promettente e degna dei necessari approfondimenti.

Tipicamente il laser è sempre stato utilizzato nella fase di sinterizzazione tramite apporto additivo di materiale. In questa sede si sta invece presentando una sua applicazione per un processo sottrattivo, come illustrato in Fig. 3.1.

(2)

50

Fondamentalmente il fascio laser va a coprire il ruolo della fresa nel processo di fresatura tradizionale, dando luogo ad una tecnica per sottrazione di materiale. Un confronto tra i metodi è rappresentato in Fig. 3.2.

Fig. 3.2 In alto: una fresa rimuove una porzione di profondità d di materiale. In basso: la stessa porzione viene rimossa mediante fascio laser

Creando un’elevata concentrazione di densità di energia, il calore si addensa su una porzione superficiale estremamente ridotta. Le molecole, grazie ad un moto vibrazionale, si surriscaldano fino alla temperatura corrispondente alla natura del taglio. Il taglio laser può infatti avvenire per fusione, per vaporizzazione o per ablazione laser. Nel primo caso viene raggiunta la temperatura di fusione, nel secondo di vaporizzazione, mentre per l’ablazione si arriva alla temperatura di rottura dei legami intermolecolari. Il taglio laser può inoltre avvenire anche grazie alle fratture createsi a seguito dell’elevata concentrazione di energia.

In Fig. 3.3 è stato utilizzato il software CAD “WorkNC” per simulare il processo di fresatura con supporto informatico. Vista la natura del processo, si è pensato di sostituire la fresa con un sistema composto da sorgente laser e specchi galvanometrici,

(3)

51

che consentano la scansione dell’intera superficie di lavoro. Così facendo si dovrebbe arrivare ad una tecnica simile a quella raffigurata in Fig. 3.4.

Fig. 3.3 Tramite software CAD viene simulata un’operazione di fresatura

Fig. 3.4 Esempio di lavorazione laser nella creazione di protesi dentali

Questa tesi rappresenta uno studio preliminare di questa tecnica. Si cercherà di mettere in atto i primi esperimenti che possano fungere da “apripista” per maggiori studi futuri, e creare così le basi per poter sempre migliorare in efficienza ed efficacia l’applicazione laser.

(4)

52

L’analisi nasce da uno studio dell’ambito odontoiatrico, con lo scopo di riuscire a ricreare i manufatti ottenibili con le tecniche tradizionali come cappette, inlay\onlay, faccette, corone, ponti, abutment, protesi fisse e provvisorie, bite, mascherine ortodontiche e quant’altro. Ma analizzando la tecnica in sé si nota subito come questa non sia prettamente vincolata ad uno specifico settore, ma affine ad ambiti eterogenei e diversi fra loro. Piuttosto l’elemento maggiormente differenziante sembra essere principalmente il tipo di materiale lavorato e i relativi utilizzi. Ad esempio le lavorazioni laser su PMMA potranno essere utilizzate nei campi che prevedono l’uso di questo polimero, come l’arredamento, l’illuminotecnica, l’oggettistica, l’edilizia, l’industria automobilistica o nautica e altri ancora.

3.2 Vantaggi della tecnica laser

I vantaggi legati alla tecnica laser sono molteplici:

 Il primo beneficio è proprio contenuto nella motivazione appena data: le macchine di taglio laser sono flessibili e si adattano a diverse esigenze applicative.

 Si tratta di un processo intelligente, che ben si avvale di sistemi di supporto informatici e visivi.

 È un processo sicuro: il materiale non ha bisogno di essere allineato, né fissato tramite staffaggi rigidi e complessi alla zona di lavoro, e gli operatori non vengono mai in contatto con parti della macchina aperte.

 Il laser è efficace ed efficiente, produce bordi netti e puliti con un tempo di lavorazione ridotto, incrementando la produttività del processo.

 Il processo è facilmente automatizzabile, specialmente per fasci prodotti da sorgenti Nd:YAG che possono essere trasmessi in fibra.

 È possibile attuare tagli omni-dimensionali, ovvero in qualunque direzione.  Il taglio è silenzioso, con rumorosità estremamente contenuta.

A questi, si aggiungono ulteriori osservazioni tecniche che hanno contribuito a considerare questa alternativa nella creazione di manufatti protesici:

Assenza di usura dell’utensile, non essendoci nessun contatto tra elementi della

macchina e pezzo da lavorare;

Assenza di sollecitazioni meccaniche e di tensioni indotte dalla pressione

(5)

53

Minor ingombro del corpo utensile, con conseguente incremento della flessibilità e

controllabilità dello stesso;

Assenza di imprevisti dannosi, quali rottura e danneggiamento dell’utensile e quindi

del pezzo lavorato;

Incremento della produttività del processo, grazie alla possibilità di aumentare la velocità di avanzamento (in funzione della potenza del fascio impiegato);

Solco di taglio stretto, che consente di contenere gli sfridi di lavorazione.

3.3 Svantaggi della tecnica laser come presupposti

dell’indagine

Tuttavia tale tecnica presenta anche i seguenti svantaggi:

Costo del sistema: i sistemi laser sono piuttosto costosi, sia in termini di costo

d’acquisto che, in misura minore, in termini di costo di manutenzione;

Limite negli spessori tagliabili: il laser non può tagliare spessori elevati (circa 20

mm per i metalli anche se, in applicazioni particolari si è giunti alla lavorazione di spessori di valore doppio, con qualità decisamente peggiore);

Processo termico: il taglio laser è un processo termico, alcuni materiali possono

subire un danneggiamento durante la lavorazione;

 Difetti ed imperfezioni che tendono a minare la qualità del taglio ottenuto, come: o Scorie e cricche: le scorie possono aderire al bordo inferiore della faccia di

taglio, mentre le cricche sono delle discontinuità dovute ad una rottura locale del materiale;

o Bruciatura della superficie: surriscaldamento della superficie esterna del

materiale;

o Formazione di bava, che si può sviluppare esclusivamente nel taglio per fusione. La bava si forma sullo spigolo inferiore del bordo tagliato a seguito della repentina solidificazione del materiale fuso che viene espulso dal solco stesso ad opera del getto di gas. Proprio per questa motivo uno dei parametri su cui agire per evitare la formazione di bava è la pressione del gas; aumentando quest’ultima aumenta la spinta sul fuso e quindi la sua evacuazione;

o Zona termicamente alterata (ZTA), con la cui espressione si intende quella

(6)

54

taglio, un’alterazione a causa del ciclo termico. Quindi il materiale presenta una struttura cristallina differente dal materiale base, con caratteristiche meccaniche diverse da quelle del materiale base. L’ampiezza e la struttura presente nella ZTA sono legate al campo termico generato e quindi ai parametri di processo adottati. In generale, maggiore è la velocità del taglio e minore è l’estensione della ZTA dato che diminuisce il tempo di interazione tra fascio laser e materiale;

o Delaminazione: Nel caso di lavorazioni su materiali fibrosi si avrà che, quando

il fascio laser arriva alla fibra, viene a crearsi un flusso termico lungo tutta la fibra. Il calore avrà quindi una corsia preferenziale rappresentata dalla fibra all’interno del composito. Questo flusso termico, innalzando la temperatura locale intorno alla fibra, tenderà a degradare la matrice. All’interfaccia tra due lamine dello stesso laminato questo degrado favorirà il loro distaccamento, essendo queste tenute insieme solo dalla matrice. Così si avrà un indebolimento tra le lamine e quindi una diminuzione della resistenza del composito agli sforzi interlaminari. [30]

Con una visione più ampia, questi svantaggi possono essere ricondotti a due aspetti fondamentali, uno riguardante la finitura superficiale ottenibile, l’altro inerente alla convenienza economica del processo.

In questa sede si andranno ad indagare questi due aspetti, aprendo la strada verso nuovi e più approfonditi studi.

Verrà fatto un confronto tra la tecnica innovativa presentata e la fresatura tradizionale, considerando i due differenzi punti di vista.

Relativamente al confronto della finitura superficiale, sarà necessario esaminare l’effetto del processo laser sul materiale. Si studieranno differenti materiali (zirconia, PMMA, cera e resina) in differenti condizioni (solco singolo e passate multiple), attraverso prove empiriche e sperimentali in laboratorio.

3.4 I dispositivi necessari

In Fig. 3.5 si riporta il particolare relativo al sistema testa laser, specchi galvanometrici e zona di lavorazione. Il fascio (1) fuoriesce dalla sorgente laser, qui parzialmente raffigurata con il numero 5. Gli specchi (2) deviano e riflettono il fascio in direzione della

(7)

55

lente di focalizzazione (3) e quindi della zona di lavoro. Le lenti di focalizzazione sono l'ultimo elemento ottico lungo il percorso del fascio laser prima del suo contatto con il pezzo da lavorare (4). Può essere presente del gas di assistenza (6).

Fig. 3.5 Particolare relativo al sistema testa laser, specchi galvanometrici e zona di lavorazione: 1) Fascio laser 2) Specchio 3) Lente di focalizzazione 4) Pezzo da lavorare 5) Sorgente laser 6) Gas di assistenza

7) Piattaforma mobile

1.1.1 La sorgente laser

La sorgente laser è il dispositivo che genera una radiazione luminosa con le caratteristiche di:

 Monocromaticità: le radiazioni elettromagnetiche hanno tutte la stessa lunghezza d’onda;

 Coerenza: le radiazioni elettromagnetiche hanno tutte la stessa fase, cioè iniziano e terminano al medesimo istante;

 Direzionalità: le radiazioni elettromagnetiche sono tutte dirette lungo la medesima direzione.

Una sorgente laser risulta caratterizzata dai seguenti elementi [23]:

 Metodologia di pompaggio, cioè il sistema impiegato per eccitare gli atomi costituenti il materiale attivo;

(8)

56

 Regime di emissione della potenza, che può essere continuo in caso di potenza continua e costante nel tempo, o impulsato se l’emissione della potenza avviene per impulsi di una data durata e frequenza;

 Distribuzione energetica all’interno del fascio, cioè l’andamento della densità di energia su un piano perpendicolare all’asse del fascio;

 Qualità del fascio, con la quale si intende la capacità di questo di essere focalizzato in spot piccoli;

 Tipo di materiale attivo impiegato, infatti le sorgenti laser possono essere classificate in funzione di questo, distinguendosi in: laser a gas, laser a vapori metallici, laser a stato solido, laser a semiconduttori e laser a fibra.

In questo elaborato tratteremo solo dei laser a gas per motivi di brevità, nello specifico dei laser a CO2, appartenendo a questa classe il laser utilizzato nelle prove

sperimentali.

I laser a gas utilizzano solitamente una miscela di più gas, dei quali uno solo rappresenta il materiale attivo.

Fig. 3.6 Laser a gas

Si tratta di un sistema che tipicamente prevede un pompaggio elettrico del materiale attivo, tramite scariche elettriche o onde luminose.

Il laser ad anidride carbonica risulta uno fra i laser maggiormente utilizzati nell’industria moderna. Sono i più potenti laser ad onda continua disponibili attualmente, e sono anche fra i più efficienti. Si tratta di un laser che emette nell’infrarosso, con una lunghezza d’onda di 10,6 μm. Il sistema di pompaggio è costituito da una scarica elettrica trasversale (ad alta potenza) o longitudinale (a bassa potenza). Questo laser è costituito da una miscela di gas: anidride carbonica CO2 per circa 10-20%, Azoto N2 per circa 10-20%, Idrogeno H2 per 1-2% ed Elio

(9)

57

Il laser a CO2 è un laser a quattro livelli energetici, il cui funzionamento segue lo

schema presentato in Fig. 3.7.

Fig. 3.7 Livelli energetici e funzionamento del laser a CO2

Le molecole di CO2 possono eccitarsi in due differenti modi. A seguito della scarica

elettrica, le molecole di anidride carbonica arrivano al quarto livello energetico. In contemporanea, si eccitano anche le molecole di azoto, che traferiscono per urto la loro energia alle molecole di CO2, aumentando l’efficienza del processo.

L’emissione laser avviene a seguito del lento decadimento delle molecole di CO2 dal

quarto al terzo livello energetico. Successivamente, a seguito delle collisioni tra le molecole del terzo livello energetico e dello stato fondamentale (primo livello), le molecole di anidride carbonica si diseccitano fino al secondo livello energetico. È grazie all’elio che avviene il rilassamento totale delle molecole fino allo stato fondamentale (primo livello). Il ruolo dell'elio è dunque quello di diseccitare il livello laser inferiore, controllare la temperatura nella scarica, stabilizzare il plasma e raffreddare le molecole di CO2 conducendo il calore alle pareti del tubo di

scarico.

1.1.2 Il sistema di focalizzazione

Lo scopo principale di queste lenti è quello di focalizzare il fascio laser in base a una lunghezza focale specifica, che varia a seconda dell'applicazione. La lunghezza focale f, che è influenzata dal raggio o dalla curvatura delle lenti, è la caratteristica principale di questo tipo di lenti.

(10)

58

In Fig. 3.5 abbiamo visto come la deviazione e la focalizzazione del fascio sia descritta dal sistema specchi-lente. Questa però non è l’unica soluzione plausibile. Difatti, se il fascio laser viene trasportato mediante una catena ottica (si escludono dunque i laser a fibra), la focalizzazione del fascio laser può avvenire con due modalità differenti: per trasmissione, tramite una lente, o per riflessione, tramite uno specchio concavo (Fig. 3.8).

Fig. 3.8 Focalizzazione del fascio attraverso lenti o specchi concavi

Le lenti sono generalmente piano convesse o a menisco, mentre gli specchi sono

parabolici o sferici.

Lo spot (o macchia) è la superficie data dall’intersezione del fascio con la superficie in lavorazione. Per un fascio circolare e incidente in direzione normale alla superficie in lavorazione, lo spot è una circonferenza (Fig. 3.9) il cui diametro ds dipende dalla distanza hf

del fuoco rispetto alla superficie del pezzo in lavorazione, comunemente denominata altezza del fuoco.

Fig. 3.9 Diametro ds dello spot laser sulla superficie del pezzo in lavorazione: hf = altezza del fuoco; d0 = spot focale; f = lunghezza focale

(11)

59

Nel caso in cui la superficie sia posta nel fuoco del fascio si parla di spot focale (o macchia focale) e sarà ds = d0, in tutti gli altri casi è ds > d0. [31] in questa condizione si

raggiunge il valore minimo dello spot. Il raggio dello spot focale prende il nome di “raggio di Weist” (RMIN); ovviamente anche il raggio assume il suo valore minimo in

questa condizione. In particolare vale:

2R

MIN

= Φf

Dove Φ è l’angolo di divergenza del fascio. Per ottenere densità di potenza elevate si deve cercare di avere delle aree di incidenza del fascio ridotte, e dunque bassi angoli di divergenza e/o lenti con piccoli focali. Tuttavia non è possibile ridurre eccessivamente la lunghezza focale, pena il potenziale danneggiamento della lente a causa dei fumi e delle scorie provenienti dalla zona di lavorazione. È per questo che si deve cercare di intervenire sul valore di Φ, utilizzando lenti di ottima qualità.

1.1.3 I gas di assistenza

I gas di assistenza hanno il compito di mantenere libero da infiltrazioni di polvere e contaminanti il percorso ottico. L’aria atmosferica non sempre infatti è il miglior compromesso in questa applicazione; i residui d’idrocarburi e l’umidità possono depositarsi sugli specchi del percorso ottico, creando assorbimenti d’energia con conseguenti danneggiamenti, talvolta irreparabili, e variazioni delle condizioni di lavoro. Il gas di assistenza ha inoltre la funzione di espulsione del materiale fuso e vaporizzato dal cratere di lavorazione. Questi due compiti sono tipici anche dei gas più semplici come l’aria in pressione. Ma possono essere utilizzati anche altri gas, come:

 Ossigeno, in grado di ossidare il materiale durante la lavorazione. L’ossigeno, incontrando il materiale a temperature elevate, fa in modo che questo si ossidi, generando ulteriore calore che si va a sommare al calore prodotto dall’interazione laser-materiale. Si parla in questo caso di “ossi-taglio”, per il quale avviene proprio la combinazione delle due fonti di calore. Viene tipicamente utilizzato per gli acciai, poiché questi sono caratterizzati da un ossido la cui temperatura di fusione risulta inferiore rispetto alla temperatura di fusione del metallo di partenza. Tuttavia per materiali come l’alluminio avviene il fenomeno esattamente opposto: l’ossido Al2O3 presenta infatti una temperatura di fusione e vaporizzazione (2050 °C) molto

(12)

60

più alta rispetto al metallo base (660,32 °C), tale da non riuscire più a tagliare il materiale ossidato.

 Argon, utilizzato per i materiali per i quali non è possibile lavorare con un processo di ossi-taglio, come l’alluminio e il magnesio. L’Argon risulta particolarmente utile per le lavorazioni che necessitano di un sistema di raffreddamento ma per le quali è elevato il rischio di combustioni. Creando una nuvola di gas inerte, si fa in modo che la zona di lavoro esposta a possibili reazioni con l’ossigeno non si trovi a contatto con lo stesso, evitando fenomeni combustibili.

3.5 L’interfaccia laser-materiali

Quando il fascio laser raggiunge una superficie avvengono diversi fenomeni: 1. Riflessione del fascio;

2. Propagazione del fascio all’interno del materiale;

3. Assorbimento dell’energia e trasformazione in energia termica capace di innalzare la temperatura del materiale.

Ad ogni voce corrisponde una differente percentuale di energia impiegata per quello specifico fenomeno, come illustrato in Fig. 3.10.

Fig. 3.10 Schema di Energia incidente (Ei), Energia riflessa (Er), Energia assorbita (Ea) ed Energia trasmessa (Et)

In particolare vale:

(13)

61

Dove:

 Ea = Percentuale di energia assorbita dagli atomi del materiale. Subisce un

processo di trasformazione che la fa evolvere da energia elettromagnetica ad energia termica;

 Er = Percentuale di energia riflessa sotto forma di energia elettromagnetica;

 Et = Percentuale di energia che non si è trasformata in energia termica e che

continua a persistere nello stato elettromagnetico, passando attraverso il materiale. Nel caso di materiali opachi, l’energia trasmessa è nulla.

3.5.1

Riflessione ed assorbimento del fascio

La riflessione comporta una perdita di energia. Se Ei è l’energia incidente, r verrà riflessa

dalla superficie e solo la quantità A=1-r viene assorbita dal materiale. Si parlerà dunque di coefficiente di assorbimento superficiale per identificare A e di coefficiente di riflessione superficiale per il valore di r, dove:

r = E

r

/E

i

A + r = 1

nel caso di materiali opachi. Ogni materiale è caratterizzato da un proprio indice di riflettività, che dipende sia da caratteristiche del materiale, come il grado di colorazione e finitura superficiale, che causano un incremento dell’energia riflessa, che dalle caratteristiche del laser. Ad esempio, al crescere della lunghezza d’onda tipicamente si registra un incremento dell’indice di riflessione.

In Fig. 3.11 si riporta il coefficiente di assorbimento in funzione di tre diverse tipologie di laser: laser ad eccimeri (KrF), laser Nd:YAG e laser a CO2. In particolare si

può notare come il comportamento sia notevolmente influenzato dal tipo di materiale sul quale si sta lavorando: per i metalli è preferibile il primo tipo di laser, che presenta la massima percentuale di assorbimento, mentre per i non metalli risulta più adatto il laser a CO2 in termini di efficienza di processo.

(14)

62

Fig. 3.11 Percentuale di energia assorbita in funzione della lunghezza d’onda della sorgente laser, nel caso di materiali metallici e non metallici [Corso di Tecnologie speciali II, “Laser Impianti”, Università degli Studi di

Napoli “Federico II”]

In Fig. 3.12 è invece riportato il tipico andamento del coefficiente di assorbimento in funzione dei diversi stati della materia. L’energia riflessa diminuisce con il progredire dei cambiamenti di stato della materia.

Fig. 3.12 Percentuale di energia assorbita in funzione degli stati della materia [Corso di Tecnologie speciali II, “Laser Impianti”, Università degli Studi di Napoli “Federico II”]

3.5.2 Una conseguenza dell’assorbimento: la trasformazione

dell’energia

La luce non è altro che una radiazione elettromagnetica, caratterizzata da una natura ondulatoria.

(15)

63

Le onde elettromagnetiche, diversamente da quelle sonore, sono in grado di propagarsi nel vuoto senza alcun supporto materiale. Un mezzo, anzi, costituisce una sorta di ostacolo alla loro propagazione, in quanto esso assorbe parte dell’energia delle onde dissipandola sotto forma di calore per effetto Joule. Nel momento in cui il fascio laser incide la superficie di un materiale, il materiale funge da mezzo, assorbendo parte dell’energia e causando un incremento interno della temperatura. Con l’ausilio di Matlab, è possibile calcolare l’andamento della temperatura interna T del corpo, dipendente dalla distanza z della testa laser dalla superficie del pezzo e dal tempo di incidenza t, secondo la legge [32]:

𝑇(𝑧, 𝑘) =

𝐹

0

𝐷

𝑘

∗ 𝑖𝑒𝑟𝑓𝑐(

𝑧

𝐷

)

Dove:

 F0 è il flusso termico assorbito dal materiale [W/cm2]. Esso è pari a:

𝐹0 = 𝑊(1−𝑟)𝑆

Con W la potenza del laser in W, S l’area della sezione del fascio laser in cm2 ed r

indice di riflettività del materiale.

 k è la conducibilità termica del materiale [W/(cm°C)];  D è la distanza di diffusione termica [cm], che vale:

𝐷 = 2√𝛼𝑡

Con α indice di diffusività termica del materiale [cm2/s], esprimibile come:

𝛼 =𝐶𝑘

𝑝𝛾

dove Cp è il calore specifico del materiale [J/(g°C)] e γ il peso specifico del

materiale [g/cm3];

(16)

64

3.5.3 L’interazione con i materiali

In questo paragrafo verrà analizzata l’interazione del fascio laser con diversi materiali. Nello specifico, approfondiremo maggiormente le famiglie di materiali che verranno lavorati in fase sperimentale. In laboratorio verranno fatte delle prove sperimentali sulla Zirconia Shell, Zirconia Pearl, Resina composita, Cera Yeti, Cera Sagemax, PMMA bianco e PMMA trasparente. In questa sede ci si focalizzerà dunque sulle macro-famiglie di questi materiali: il PMMA, la cera e la zirconia.

3.5.3.1 Interazione con il PMMA

Come affermato da L. Romoli [24], un fascio laser generalmente è in grado di vaporizzare una maggior quantità di materiale da campioni polimerici piuttosto che da campioni metallici. Questo è principalmente dovuto alla minore conducibilità termica dei polimeri rispetto ai metalli, e ciò fa in modo di mantenere localizzato il calore generato dall’energia incidente. Nello specifico, la sorgente laser che meglio si adatta ad un materiale polimerico è costituita dal laser a CO2, in grado di rendere i due bordi

ottenuti con il processo uniformi e regolari.

Un problema molto comune dovuto all’interazione del fascio laser sulla superficie di un polimero è l’infiammabilità dei prodotti dell’asportazione. I polimeri sono infatti, data la loro natura di composti organici, dei combustibili solidi il cui punto di accensione dipende, oltre che dalle caratteristiche chimico-fisiche, anche dalla superficie di scambio termico; è quindi probabile che i fumi costituiti da monomeri di metilmetacrilato (MMA), il monomero di cui è costituito il PMMA, di dimensioni microscopiche o submicroscopiche in sospensione nell’aria calda, liberandosi dalla zona di lavoro, vengano incendiati dall’energia altamente concentrata del laser causando la propagazione delle fiamme fin sulla superficie del materiale. I danni causati da questo fenomeno non si hanno solamente sul materiale in termini di alterazione geometrica e chimica delle parti tagliate, ma ben più gravi effetti possono manifestarsi sul gruppo ottico del laser che può risultare seriamente compromesso sia dalle fiamme che dai depositi di vapori polimerici opachi e contaminanti. I modi per aumentare la velocità di evacuazione del gas di MMA nel processo di vaporizzazione sono essenzialmente tre: si può agire aumentando la velocità di taglio, riducendo la potenza incidente e conseguentemente la densità di energia sulla superficie oppure aumentando la pressione del getto d’aria che assiste il processo di taglio. In questo ultimo caso, però,

(17)

65

non possono essere raggiunti valori troppo elevati; infatti, affinché il bordo ottenuto con il taglio sia di qualità elevata, occorre che lo strato di materiale fuso residuo si risolidifichi senza essere disgregato dal flusso di aria incidente. Se il flusso d’aria che attraversa la zona di taglio supera un determinato valore (funzione dello spessore del foglio di polimero) lo strato liquido assume un aspetto smerigliato, derivante dal moto turbolento dell’aria. [24]

I polimeri possono subire dei processi di taglio secondo differenti principi, in funzione dello specifico materiale che si sta trattando (taglio per fusione, taglio per vaporizzazione, taglio per degradazione chimica o ablazione laser). Nel caso del PMMA il taglio avviene per vaporizzazione. Questo materiale reagisce all’energia incidente arrivando istantaneamente al punto di evaporazione e liberando vapori di MMA. Il processo può dunque essere approssimato come un cambiamento istantaneo di fase, da solido a vapore, il che conferisce una qualità estremamente elevata ai bordi ottenuti. Si tratta dunque di un taglio di natura termica: il calore incidente causa una vibrazione delle molecole che porta ad un aumento localizzato della temperatura, causando la transizione di fase e dunque il taglio per vaporizzazione.

Sono state compiute prove sperimentali [24], che hanno dimostrato come il profilo del solco impresso sul PMMA da un fascio laser incidente sia assimilabile ad una gaussiana di profondità D (Depth) e larghezza W (Width).

Fig. 3.13 Profilo di una traccia singola (f=200mm, Pin=20W e v=25mm/s) [25]

La massa (m) del materiale asportato risulta proporzionale alla quantità di calore (Q) disponibile per il processo di vaporizzazione. Quest’ultima è data dalla differenza tra il calore proveniente dal laser (Qin) e un certo valore soglia (Qsoglia), al di sotto del quale

(18)

66

m = kQ = k(Q

in

-Q

soglia

)

con k [kg/J] costante di proporzionalità correlata all’energia del legame chimico che tiene insieme la catena di monomeri MMA.

L’energia assorbita è data dal prodotto tra la potenza incidente ed il tempo di irradiazione (∆t):

Q

in

= (1-r) P

in

∆t

Dove Pin è la potenza del laser e (1-r) è la percentuale di radiazione assorbita, pari a 0,92

per il PMMA.

La profondità di taglio D è correlata con la sezione triangolare di area W*D\2, per un tratto L, dalla seguente formula della densità:

𝜌 =

𝑚

𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒

=

𝑚

𝐷∗𝑊 2 ∗𝐿

Sostituendo le prime due formule nella terza, essendo v la velocità con cui si muove il fascio laser, si ottiene che la profondità di penetrazione D è pari a [25]:

𝐷 = 𝑐

1

(

𝑃𝑖𝑛 𝑣

) − 𝑐

2 Con

𝑐

1

=

2𝑘(1−𝑟) 𝜌𝑊2

e

𝑐

2

=

4𝑘𝑄𝑠𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎 𝜌𝑊2

Dove il rapporto tra la potenza incidente e la velocità di avanzamento prende il nome di “densità di energia” ε [J/m] che agisce nell’area considerata.

La larghezza W tende invece ad assumere un valore limite pari a Φspot. Essa è pari a:

𝑊 = 𝛷

𝑠𝑝𝑜𝑡

[1 − 𝑒

−𝜀−𝜀𝑠𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎𝑐3

]

Dove con εsoglia si identifica un valore soglia di densità di energia, mentre c3 rappresenta

(19)

67

Larghezza e profondità dipendono dalla densità di energia ε secondo i due seguenti diagrammi:

Fig. 3.14 Andamento della profondità di penetrazione in funzione della densità di energia [24]

Fig. 3.15 Andamento della larghezza del solco in funzione della densità di energia [24] 3.5.3.2 Interazione con la cera

A contatto con una sorgente di calore come il fascio laser, la cera fonde, a partire da temperature diverse (dai 40°C a 90°C) in funzione della composizione del materiale. In generale, si tratta di un materiale con elevato coefficiente di dilatazione termica rispetto a tutti gli altri materiali di uso dentale, dunque risulta facilmente deformabile. Lo scorrimento viscoso dipende dalla temperatura: tanto più ci si avvicina alla temperatura di fusione, tanto più aumenta il grado di deformazione.

Il calore si propaga all’interno della cera attraverso due vie: via conduttiva e via convettiva. Nel momento in cui il fascio incide la superficie, il calore si diffonde per conduzione a partire dal punto di contatto tra laser e cera, mentre nelle zone limitrofe il trasferimento di calore avviene grazie all’aria riscaldata dal fascio, dunque per convezione. Il quantitativo di calore scaldato sarà rispettivamente pari a:

(20)

68

Q

conduttivo

= -λ* gradT

Q

convettivo

= α*Δt

Dove Δt rappresenta la differenza di temperatura tra il corpo che riceve calore e l’aria surriscaldata; λ rappresenta il coefficiente di conduzione termica, funzione della composizione della cera in esame; α invece identifica il coefficiente di convettività termica, che non è un valore tabulato ma si ricava di volta in volta tramite numeri adimensionali, interagenti fra di loro e basati su dati specifici dei due elementi coinvolti nello scambio termico.

3.5.3.3 Interazione con la zirconia

Come primo approccio, verranno studiate le misure caratteristiche di questo materiale. Il coefficiente di espansione termica della zirconia è pari a 11x10-6/°C. Tale parametro è

una misura della capacità di dilatazione termica di un corpo. La zirconia presenta un’espansione simile a quella che caratterizza metalli come l’oro (14,32 x 10−6), ma

visibilmente inferiore ad altri materiali come l’alluminio (24 x 10−6). Anche il calore

specifico si assesta nella media, con un valore di 500 J/Kg°K. Come termini di confronto, si riportano calluminio=880 J/Kg°K, cacqua(liq)=4186 J/Kg°K (necessitano di più calore per

innalzare di 1K un’unità di massa) e coro=129 J/Kg°K.

La zirconia presenta una conduttività termica molto bassa (circa 2 W/m°K). Questa caratteristica è dovuta al fatto che il legame chimico che la caratterizza è prevalentemente ionico. Nel solido, in cui ogni ione è circondato da ioni di carica opposta, l’attrazione elettrostatica tra cariche diverse determina una disposizione

compatta degli ioni stessi: l’energia globale del solido è così ridotta al minimo. Ciò

comporta:

a. elevata stabilità chimica;

b. alto punto di fusione e quindi refrattarietà; c. elevate durezza e resistenza ad usura.

L’assenza di elettroni liberi che consentano il trasporto di cariche elettriche rende la zirconia cattivo conduttore di calore ed elettricità allo stato solido, per cui trova importanti applicazioni come isolanti termici ed elettrici. [26] Avere una bassa conduttività termica equivale a dire che il calore assorbito resta localizzato nel punto in cui il fascio laser incide sulla superficie, facendo in modo che il calore assorbito venga

(21)

69

tutto impiegato nel processo di taglio. Questa proprietà rende il taglio della zirconia particolarmente efficiente, soprattutto se si confronta il valore della conduttività termica con quello ad esempio dell’alluminio, per il quale vale kalluminio =290 W/m°K >> 2

W/m°K.

Dunque il calore, non propagandosi, causa delle dilatazioni termiche localizzate e quindi delle tensioni interne al materiale che provocano la formazione di fratture. È per questo motivo che nella zirconia il taglio laser avviene per frattura. [27] La propagazione delle fratture segue lo schema riportato in Fig. 3.16.

Fig. 3.16 Propagazione ed arresto delle fratture all’interno della zirconia

Una volta formatasi, la frattura tende a infiltrarsi fra i grani del materiale ceramico. L’arresto della stessa avviene grazie alla trasformazione della struttura di materiale, da tetragonale a monoclina, che pone la frattura in compressione.

Occorre inoltre definire quali sono i fenomeni che intervengono nel causare una frattura.

(22)

70

Come riportato in Fig. 3.17, dato un fascio laser a velocità costante che incide sulla superficie ceramica, si ha che una percentuale consistente dell’energia incidente viene assorbita dal materiale ed un flusso intenso di calore del fascio laser porta alla formazione di una pozza di materiale liquefatto. Questa si solidifica producendo un preciso solco. Nel caso in cui si debba lavorare superfici di ampie dimensioni, queste possono essere ottenute da più passate successive con un certo grado di sovrapposizione, per esempio il 50%, in direzione perpendicolare alla direzione di movimentazione del pezzo. Durante la fase di fusione, lo stress termico varia in funzione del campo termico. Lo stress termico (o shock termico) è uno stato di sollecitazione interna di un materiale causato da variazioni termiche che, se brusche, possono causare in elementi fragili (ad esempio lastre di vetro) la loro rottura.

Andamento della temperatura

Fig. 3.18 Isoterme e relative temperature nella zirconia, sottoposta a fascio laser [27]

J. F. Li, L. Li e F.H. Stott hanno utilizzato un modello termico comprendente calore latente

di fusione e flusso fluido del materiale liquefatto. A causa del moto relativo tra pezzo e

fascio laser, che causa una distorsione del fascio stesso, gli studiosi hanno notato che il picco di temperatura si ha lungo i bordi del fascio piuttosto che al centro dello spot. A causa dei termini convettivi nel calore latente di fusione, una considerevole percentuale del flusso di calore viene trasferita dal centro del fascio verso i bordi, causando una distribuzione relativamente più omogenea di temperatura lungo la superficie del pezzo. Si è notato come il flusso di materiale fluido sia il responsabile della diffusione ed in contemporanea dell’assorbimento di calore: per primo, il flusso fluido causa un aumento

(23)

71

di temperatura lungo la direzione di profondità, incrementando di volta in volta il materiale liquefatto. Per secondo, il flusso fluido assorbe una certa percentuale dell’energia del laser, portando ad una minore quantità di materiale liquefatto.

Nell’area vicino al materiale fuso, si ha una temperatura media del materiale non liquefatto decrescente man mano che ci si allontana.

Con velocità di movimentazione del pezzo più basse, si ha una maggiore focalizzazione ed una minor dissipazione di calore verso le regini limitrofe al fascio a causa anche dall’avvezione minore del flusso di calore. Dunque si avrà una maggior percentuale di calore che verrà diffuso in direzione perpendicolare al movimento del pezzo. In parole povere si può dire che il calore “arriva più in profondità”.

Distribuzione dello stress termico: andamento della pressione

Fig. 3.19 Distribuzione delle pressioni in caso di lavorazione laser con potenza 1000W e velocità di 5 mm/s (a, b) e 10 mm/s (c, d) [27]

(24)

72

In Fig. 3.19 sono presenti due distribuzione di pressione per due differenti casi. In entrambe, l’intero tratto sottoposto a fascio laser è in tensione, a causa del fatto che, nella successiva fase di raffreddamento, lo strato superficiale si contrae più di quanto avviene nel substrato circostante. Mentre lo stress a trazione aumenta con il procedere del raffreddamento, il picco massimo dello pressioni si ha in prossimità dell’interfaccia tra la superficie lavorata e il substrato “sottovento” rispetto alla direzione di provenienza del fascio laser, che rappresenta l’ultimo punto abbandonato dal fascio in fase di lavorazione (cerchietto in rosso della Fig. 3.19).

In fase sperimentale, J. F. Li, L. Li, F.H. Stott [27] hanno studiato due casi: C1 (W = 1000W

e v= 5 mm/s) e C2 (W = 1000W e v= 10 mm/s). In base alle fratture rilevate nei due casi,

si è notato che una minore velocità di movimentazione del pezzo causa minori pressioni a trazione nella zona lavorata, insieme ad una maggiore temperatura del substrato circostante al materiale fluido: il materiale si riscalda maggiormente e in maniera più uniforme, riducendo l’insorgere di fratture legate alla differenza di tensione tra substrato e strato superiore. Se ne deduce che una minore velocità di movimentazione aiuta a diminuire l’insorgere di fratture impreviste.

In Fig. 3.20 si riportano alcuni esempi di fratture.

Fig. 3.20 Fratture nei casi C1 (a, b) e C2 (c,d). Per velocità minori (C1), le fratture tendono a presentarsi in direzione obliqua rispetto all’avanzamento del fascio; per velocità maggiori (C2), si aggiungono fratture in

(25)

73

In Fig. 3.21 è riportato un ulteriore esempio di reazione della zirconia: il laser produce una leggera delaminazione dello strato solidificato dal substrato, dovuta proprio alle differenti tensioni causate dalla fase di raffreddamento tra substrato e strato superiore.

Riferimenti

Documenti correlati

E’ adesso opportuno specificare invece quali siano le limitazioni del metodo TRAIT e soprattutto della metodologia che esso impiega (algoritmo di Padè) nella procedura di

Questo secondo tipo di errore può essere dovuto tanto ai dispositivi di misura quanto al sistema di acqisizione, ma la correzione si effettua contemporaneamente per mezzo

` E stata ipotizzata invarianza traslazionale rispetto alla direzione perpendicolare al piano, questo `e corretto se si vuole stimare il campo in prossimit`a del centro della

Per comprendere il motivo di ci`o, si deve notare, innanzi tutto, che le differenze di energia tra tutti i livelli in esame corrispondono a frequenze nel campo ottico; dalla

ampiezza del tipo di quella della figura (6.12); se l’ otturatore viene azionato con un periodo T = 2L/c, possibilmente a partire dall’ istante in cui esso viene raggiunto dall’

Una maniera molto semplice di ottenere l’ inversione di popolazione consiste nell’ utilizzare il semiconduttore in esame sotto forma di diodo a giunzione p − n, in cui i due

“vede” una delle due onde a frequenza spostata in alto e l’ altra con frequenza spostata in basso e non pu`o essere simultaneamente in risonanza con entram- bi i fasci. Il

Nella fase finale del processo di customer satisfaction, una delle limitazioni più comuni e gravi che si possono avere è che il management non utilizzi i risultati