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PREMESSA: SCIENZA DELL’UOMO E SOCIETÀ

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Academic year: 2021

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PREMESSA: SCIENZA DELL’UOMO E SOCIETÀ

«Il cittadin fu pria della cittade». È questo l’assioma basilare che orienta l’intero decorso della riflessione svolta da Leopardi intorno ai settori tematici della politica e della società, accompagnandola dagli esordi della sua produzione matura fino alle prove più tarde. Raccogliendo la preziosa indicazione contenuta nei Paralipomeni ho ritenuto consigliabile premettere ai due capitoli dedicati

rispettivamente alla storia e alla teoria della società umana una sezione propedeutica, in cui chiarire alcuni aspetti essenziali che definiscono l’orizzonte antropologico di Leopardi, su cui impiantare il discorso critico successivo.

Il principio unificante intorno a cui si organizza la meditazione di Leopardi sull’essenza della società a mio avviso è riconoscibile nella visione antropologica che la ispira, e che costituisce uno dei settori più vitali su cui ha richiamato l’attenzione la critica recente: non a caso esso è stato assunto come argomento dell’ultimo denso convegno internazionale di studi leopardiani, che si è tenuto a Recanati nel settembre 2008

1

. Ovviamente nella mia personale trattazione il riferimento all’antropologia non allude tanto all’attenzione per lo studio dei popoli primitivi o per il carattere delle nazioni (peraltro presenti a pieno titolo nel vasto orizzonte di interessi dell’autore), ma designa piuttosto la ricognizione approfondita della struttura universale dell’essere umano, comprensiva di tutti i suoi aspetti, fisici, morali, intellettuali, psicologici, linguistici

2

.

Del resto la legittimità di un’operazione che non restringa l’antropologia entro i margini ristretti di una disciplina essenzialmente etnologica pare autorizzata dall’unica occorrenza del termine riscontrabile nello Zibaldone:

Dei beni umani il più supremo colmo È sentir meno il duolo. Sentenza che racchiude la somma di tutta la filosofia morale e antropologica.

3

1

Cfr. AA. VV., La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi, Atti del XII Convegno internazionale di studi leopardiani, a cura di C. Gaiardoni, Firenze, Olschki, 2010.

2

Anche se non tutti i fattori hanno un peso specifico paragonabile; l’attenzione per la psicologia ad esempio ha un risalto decisamente maggiore rispetto agli altri.

3

Zib., 2673; 19 febbraio 1823. Blasucci utilizza il passo citato a sostegno del significato più ampio e

inclusivo di quello meramente etnologico che il termine antropologia assume nella coscienza di Leopardi.

(2)

A conferma di tale accezione di antropologia, intesa come branca della filosofia che si concentra sull’osservazione del comportamento umano in genere, è possibile appoggiarsi anche su un successivo passo dell’epistolario:

Paolina mia. Mi rallegro con te, ma di poco buona voglia, perché al mio ritorno o sarai già partita o vicina a partire, e così non ti potrò raccontare tante storielle, tante avventure, tante osservazioni filosofiche, antropologiche ec. fatte in questo mio viaggio verso il polo, e che io metteva in deposito per farti passare almeno quattro inverni, come ne hai passati due colle mie chiacchiere romane.

4

Sul ricorso parco della parola avranno giocato sia il suo sapore di neologismo ancora poco in uso, sia una certa resistenza all’importazione di vocaboli dal greco nei casi in cui ciò non fosse indispensabile:

Convengo che quando in luogo di una parola greca ch’è sempre straniera per noi, si possa far uso di una parola italiana o nuova o nuovamente applicata, che perfettamente esprima la nuova cosa, questa si debba preferire a quella […].

5

Nello Zibaldone in alternativa al termine antropologia Leopardi tende ad adottare di preferenza piuttosto la definizione di «scienza dell’uomo»

6

: nel momento stesso in cui si riconnette ad una formula che aveva conosciuto una discreta fortuna nella temperie illuminista

7

, essa è sottoposta ad una rielaborazione

Cfr. gli interventi della Tavola rotonda raccolti in AA. VV., La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi, cit., p. 606.

4

Lettera a P. Leopardi del 7 settembre 1825, in G. Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di L.

Felici e E. Trevi, Roma, Newton Compton, 2007, p. 1286. Già da queste poche righe si desume la tendenza a trasformare l’esperienza vissuta nell’oggetto di un attento scavo filosofico.

5

Zib., 1844; 5 ottobre 1821.

6

L’espressione ricorre in Zib. 946, 985, 1213, 1962, 2436 per poi essere ripresa a distanza in Pensieri, LI.

7

Cfr. S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1978. Per una rassegna delle

posizioni assunte in merito da alcuni dei principali philosophes può risultare utile la lettura anche

dell’ampia trattazione sviluppata da M. Duchet, Le origini dell’antropologia, 4 voll., Roma-Bari, Laterza,

1976-1977. Fuori dai confini francesi il concetto di «scienza dell’uomo» era stato proposto da Hume, che

teorizza l’opportunità di dar corso al tentativo di analizzare in conformità al metodo sperimentale sia le

operazioni dell’intelletto sia le passioni che muovono l’azione, come base su cui devono poggiare i vari

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del tutto autonoma e personale. Ad una lettura attenta dello Zibaldone affiora in maniera abbastanza evidente l’ambizione di Leopardi di fondare su basi rigorose un’originale considerazione dell’essere umano; ma la mera presenza lessicale del termine «scienza» non è di per sé probante dell’effettiva volontà di pervenire ad un’analisi della natura umana ispirata al metodo sperimentale; va subito chiarito che nello Zibaldone si parla rispettivamente di «scienza della lingua», di «scienza dello stile», di «scienza musicale», di «scienza dell’antichità» e addirittura sul piano pratico di una «scienza della urbanità»; ma con ciò si intende semplicemente la necessità di una padronanza sicura e approfondita delle regole fondamentali della materia, che non sembra implicare alcun richiamo diretto ai procedimenti delle scienze esatte. Se dunque occorre usare tutte le dovute cautele, d’altra parte appare ugualmente lecito chiedersi fino a che punto per quanto concerne l’interesse antropologico un’impostazione di tipo scientifico sia ascrivibile alla sensibilità di Leopardi.

Per rispondere a un simile interrogativo occorre prendere in seria considerazione il primo (e probabilmente il più significativo) passo dello Zibaldone in cui la parola scienza viene riferita all’indagine della vita umana. In

meno di una pagina Leopardi riesce a condensare una serie di suggerimenti preziosissimi per avvicinarci alla sua concezione del funzionamento della natura e della posizione dell’uomo all’interno di essa, da cui discende anche l’indicazione di un metodo unitario di conoscenza:

Spesso ho notato negli scritti de’ moderni psicologi che in molti effetti e fenomeni del cuore ec. umano, nell’analizzarli che fanno e mostrarne le cagioni, si fermano molto più presto del fine a cui potrebbero arrivare, assegnandone certe ragioni particolari solamente, e questo perchè vogliono farli parere maravigliosi, come il Saint-Pierre negli studi della natura lo Chateaubriand ec., e non vanno alla prima o quasi prima cagione che troverebbero semplice e in piena corrispondenza col resto del sistema di nostra natura. Questo ridurre i diversi fenomeni

rami del sapere. Pur con questo precedente importante, è comunque probabile che la fonte più diretta da cui

l’autore recupera la dizione «scienza dell’uomo» vada individuata nei Rapports du physique et du moral de

l’homme di Cabanis, come suggerisce S. Gensini, Sulla componente antropologica del pensiero linguistico

leopardiano, in AA. VV., La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi,

cit., pp. 88-89.

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dell’animo umano a principii semplici scema la maraviglia, e anche la varietà perchè moltissimi si vedrebbero derivati da un solo principio modificato leggermente. Costoro parlano sempre enfaticamente, notano con molta acutezza il fenomeno, ma datane (se la danno, perchè spesso credono e fanno credere ch’il fenomeno sia inesplicabile, vale a dire senza rapporto conosciuto al resto del sistema giacchè da ciò solo nasce la maraviglia in qualunque cosa del mondo) una ragione immediata e secondaria ed egualmente maravigliosa, non rimontano come sarebbe pur facile alla sorgente che ridurrebbe il fenomeno e le sue ragioni secondarie alle classi consuete. Io credo che chi istituisse quest’analisi ultima farebbe cosa nuova (sia per la mala fede, o la minore acutezza degli antecessori) e semplificherebbe d’assai la scienza dell’animo umano, rapportando gl’infiniti fenomeni che sembrano anomalie (perchè infatti la scienza non è ancora stabile nè ordinata e ridotta in corpo) a principii universali o poco lontani da essi. Opera principale e formatrice di tutte le scienze e scopo ordinario di chi ricerca le cagioni delle cose.

8

Alla mentalità di Leopardi risulta estranea l’idea, cara alla sensibilità della Romantik, di abissi insondabili dell’interiorità soggettiva: in virtù della fiducia

nella possibilità di ricondurre i processi psicologici a leggi formulabili, egli avrebbe forse potuto affermare, parafrasando una celebre frase di Terenzio, homo sum: humani nihil obscurum puto. Alla superficiale psicologia romantica affetta

da un’eccessiva fascinazione per il senso di un mistero ineffabile del sentimento, egli oppone la strenua volontà di rendere intellegibili le operazioni dell’animo umano

9

. Ma attestare l’impegno a non abdicare all’esigenza di pervenire ad una

8

Zib., 53 (corsivi miei).

9

Con questo non si vuole negare in assoluto la presenza non trascurabile nell’opera di Leopardi di momenti di sconcerto di fronte ad un mistero inspiegabile riferito non tanto alla psicologia umana quanto all’essere in generale, che affiorerà però soprattutto dopo il Dialogo della Natura e di un Islandese, con la scoperta della contraddizione fra lo scopo dei viventi e quello dell’esistenza. Cfr. Zib., 4099: «Non si può meglio spiegare l’orribile mistero delle cose e della esistenza universale (v. il mio Dialogo della Natura e di un Islandese, massime in fine) che dicendo essere insufficienti ed anche falsi, non solo la estensione, la portata e le forze, ma i principii stessi fondamentali della nostra ragione». Il concetto è poi sviluppato in Zib., 4129: «la natura, la esistenza non ha in niun modo per fine il piacere nè la felicità degli animali;

piuttosto al contrario; ma ciò non toglie che ogni animale abbia di sua natura per necessario, perpetuo e

solo suo fine il suo piacere, e la sua felicità, e così ciascuna specie presa insieme, e così la università dei

viventi. Contraddizione evidente e innegabile nell’ordine delle cose e nel modo della esistenza,

contraddizione spaventevole; ma non perciò men vera: misterio grande, da non potersi mai spiegare, se non

negando (giusta il mio sistema) ogni verità o falsità assoluta, e rinunziando in certo modo anche al

principio di cognizione, non potest idem simul esse et non esse». Ma non si può chiudere la rassegna prima

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lucida definizione della vita psicologica probabilmente non basta ad esaurire tutte le risonanze sottese al ricorso non casuale al termine «scienza» e in particolare al progetto di una scienza dell’anima (altrove chiamata «scienza de’ sentimenti, delle passioni e del cuore umano»

10

), intesa come componente principale della scienza dell’uomo.

Nel passo citato non può passare inosservata l’enfasi posta sui motivi della semplicità delle cause originarie che determinano i fenomeni psichici; sul loro agire nell’uomo in un rapporto di continuità con il resto dell’ordine naturale (che Leopardi non per niente chiama «sistema», ma su questo punto torneremo);

sull’opportunità di riportare gli infiniti casi particolari a pochi principi universali:

tutti aspetti che accomunano la scienza dell’animo umano alle altre scienze. A mio avviso lo statuto di scientificità riconosciuto ad uno studio dell’anima umana ispirato ai criteri enunciati da Leopardi risiede precisamente nel recupero e nell’assimilazione della fondamentale lezione fornita dal modello scientifico elaborato da Newton. Come è noto, all’inizio del terzo libro dei suoi Principi matematici di filosofia naturale egli aveva fissato gli strumenti concettuali

fondamentali che devono guidare l’attività dello scienziato. Non si può non rimanere colpiti dal grado di sintonia che esse stabiliscono con il tracciato riconosciuto in Zib. 53. La prima delle “regole del filosofare” così recitava:

Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni.

Come dicono i filosofi: La natura non fa nulla invano, e inutilmente viene fatto con molte cose ciò che può essere fatto con poche. La natura, infatti, è semplice e non sovrabbonda in cause superflue delle cose.

11

di aver ricordato i versi 20-23 di Sopra il ritratto di una bella donna: «Così riduce il fato \ Qual sembianza fra noi parve più viva \ Immagine del ciel. Misterio eterno \ Dell’esser nostro».

10

Zib., 1317; 13 luglio 1821.

11

I. Newton, Principi Matematici della Filosofia Naturale, a cura di A. Pala, Torino, UTET, 1965, p. 603.

(6)

Su queste basi il criterio di economia nell’uso delle ipotesi prescriveva la necessità di teorie semplici, garantite dal postulato dell’uniformità della natura, che si ricava dalla seconda regola, intimamente collegata alla prima:

Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere.

Come alla respirazione nell’uomo e nell’animale, alla caduta delle pietre in Europa e in America; alla luce nel fuoco domestico e nel Sole; alla riflessione della luce sulla terra e sui pianeti.

12

Insomma il senso delle prime due regole si riassume nella volontà di sottolineare la struttura semplice e coerente del mondo come condizione della sua comprensibilità e nella limitazione del numero delle cause atte a spiegare i fenomeni.

Ora ciò che definisce la peculiare operazione di Leopardi, che egli infatti rivendica come un suo contributo originale («credo che chi istituisse quest’analisi ultima farebbe cosa nuova»), sembra proprio il tentativo di estendere alla natura umana la teorizzazione della possibilità di risolvere l’enorme varietà delle manifestazioni a cui essa dà origine in un numero limitato di principi comuni, pensati come saldi e incontrovertibili. Anche se in Zib. 53 sopra citato non se ne fa ancora menzione esplicita, chiunque abbia una minima familiarità col pensiero di Leopardi avrà probabilmente già intuito che tale principio generale da lui cercato si identifica con l’amor proprio, inteso come la passione primitiva e la sorgente da cui sgorga ogni azione ed ogni affetto umano; e infatti in una successiva annotazione l’autore sviluppa le precedenti considerazioni chiarendo tra l’altro proprio quest’aspetto :

Tutto il sopraddetto intorno alla teoria del piacere è un nuovo argomento del quanto si potrebbe semplificare la teoria dell’uomo e delle cose, (vedi p. 53.) e del come il sistema intero della natura si aggiri sopra pochissimi principii i quali producono gl’infiniti e variatissimi effetti che vediamo, e stabiliti i quali, si direbbe che la natura ha avuto poco da faticare, perchè le

12

Ibidem., p. 604.

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conseguenze ne son derivate necessariamente e come spontaneamente. I fenomeni dell’animo umano notati dai moderni psicologi perderebbero tutta la maraviglia, la quale deriva ordinariamente dall’ignoranza della relazione e dipendenza che hanno gli effetti particolari colle cause generali. […] qualità che paiono disparatissime e particolarissime vengono dirittamente dal principio generale dell’amor proprio, e tanto necessariamente e materialmente, che si può dire che la natura, dato che ebbe all’uomo l’amor proprio, e secondo la nostra maniera di concepire, data che gli ebbe l’esistenza, non ebbe da far altro, e le dette qualità (delle quali ci facciamo tanta maraviglia), senza opera sua, vennero da loro.

13

Si potrebbe quasi affermare che l’amor proprio in Leopardi svolge la funzione della forza di attrazione nella fisica di Newton, ossia di rappresentare un unico principio esplicativo che agisce in tutta la realtà naturale: «la natura è universale»

14

.

La tesi che nei suoi lineamenti essenziali l’ordinamento naturale funzioni come un sistema unitario e una totalità omogenea è esplicitamente sostenuta nello Zibaldone:

La natura è un canone generale e costante, indipendente dall’arbitrio, poco soggetta agli accidenti […], una da per tutto, una sempre rispetto a ciascuna specie, consistente in leggi certe ed eterne, ec.

15

E proprio in omaggio al postulato della conformità della natura a se stessa, Leopardi sembra spingersi a estendere la presenza del motore universale dato dall’amor proprio a tutti gli esseri esistenti, compresi non soltanto gli organismi viventi ma perfino la materia inorganica:

la nostra maniera di concepir le cose appena ci permette d’intendere come una cosa che è, non ami di essere, parendo che il contrario di questo amore, sarebbe come una contraddizione coll’esistenza. Perciò l’amor proprio si può considerare ancor esso (nella natura quale la

13

Zib., 181-182; 12-23 luglio 1820.

14

Zib., 1413; 30 luglio 1821.

15

Zib., 3808-3809; 25-30 ottobre 1823 (corsivi miei). Cfr. anche Zib., 118: «la natura è una sola. Perchè

questa ha leggi immutabili e fisse».

(8)

vediamo) come una conseguenza dell’esistere, e questo in certo modo anche negli esseri inanimati.

16

Nello Zibaldone l’amor proprio ha fin da subito un valore “cosmico”: se in queste prime formulazioni si confonde ancora con l’istinto di sopravvivenza, la sua caratteristica principale, come verrà progressivamente chiarito, consiste nel desiderio di un piacere senza limiti per intensità e durata che esso genera in ciascun essere. Il discorso di Leopardi procede da chiari presupposti ontologici, in quanto mira a riconoscere un principio che possa dar conto della totalità dell’esistenza, abbracciando il regno animale, vegetale e minerale. L’antropologia stessa si pone come la sezione più importante di un’ontologia: quella che l’autore vuole lasciare è una «scienza delle cose e dell’uomo»

17

.

Il profilo ontologico della filosofia di Leopardi non assume però una curvatura metafisica: come si precisa nel passo citato, la natura viene presa in considerazione all’interno dei limiti della realtà «quale la vediamo»: essa è intesa cioè essenzialmente nei termini di uno sfondo fenomenico percepibile dai sensi, laddove rimane impregiudicata la questione della possibile presenza di un sostrato noumenico, nella misura in cui questo risulta inaccessibile all’esperienza sensibile.

E anche la tendenza ad attenersi ad un fenomenismo alieno dalla tentazione di pervenire a essenze o qualità occulte può essere considerata come un aspetto del newtonianismo di Leopardi

18

.

Considerazioni ispirate alle Regulae philosophandi non sono assolutamente estemporanee e isolate nel corpo dello Zibaldone, ma anzi risultano costitutive dell’approccio “epistemologico” del poeta. L’idea di una coerenza del reale faceva da necessario sfondo alla stessa coscienza del valore del procedimento analogico

16

Zib., 182; 12-23 luglio 1820 (corsivo mio).

17

Zib., 2436; 9 maggio 1822. Se tale discorso è valido, allora le considerazioni di ordine antropologico e i suoi riflessi sulla struttura della società non vanno prese come notizie che riguardano esclusivamente un ambito settoriale del pensiero di Leopardi, ma indirettamente possono contribuire a gettare luce sull’intera visione filosofica da lui sviluppata.

18

Anche se dall’Islandese al Canto notturno come poeta egli non rinuncia mai ad interrogarsi sulla ragione

ultima delle cose, senza peraltro giungere ad una risposta soddisfacente sul «misterio eterno dell’esser

nostro».

(9)

come strumento essenziale dell’ampliamento della conoscenza: «l’analogia è uno de’ fondamenti della filosofia moderna e anche della stessa nostra cognizione e discorso»

19

. E difatti Newton aveva sostenuto la legittimità del ricorso al criterio dell’analogia per raggiungere verità attendibili ove non fosse possibile l’esperienza diretta delle cose.

Ma anche l’attributo della semplicità di cui Newton aveva gratificato l’ordine naturale è un presupposto e un’idea forza che permea di sé la mentalità di Leopardi: «la natura è semplicissima»

20

. Questa convinzione si riflette nell’idea secondo cui l’operazione principe che ha permesso l’avanzare della conoscenza scientifica consiste proprio nell’atto di ridurre ciò che è complesso alle sue componenti elementari:

questo è il naturale andamento dello spirito umano, tutto il cui progresso tanto in genere come in ispecie, vale a dire in qualsivoglia scienza o arte, consiste nell’avvicinarsi sempre più agli elementi delle cose e delle idee, e nel conoscere che una cosa o un’idea fin allora dell’ultima semplicità conosciuta, ne contiene un’altra più semplice.

21

Ne è dimostrazione ad esempio lo sviluppo della chimica:

infiniti progressi ha fatto la chimica quando ha scoperto che quei quattro che si credevano primi elementi, erano composti, ed è giunta a trovar sostanze, se non del tutto elementari ed ultime esse stesse, certo molto più semplici delle prima conosciute.

22

Una volta fissata una modalità della conoscenza trasversale ad ogni disciplina, Leopardi si sente autorizzato ad applicarla indifferentemente alle scienze della natura e all’indagine della costituzione dell’uomo. Trasferendo l’impostazione appena descritta nel campo umano, egli infatti a più riprese torna ad insistere sulla

19

Zib., 66. Cfr. anche Zib., 3578: «tutte le cose in natura osservano la legge dell’analogia».

20

Zib., 2637; 13 ottobre 1822. Proprio perché diretta espressione della natura, la semplicità è giudicata anche come uno dei pochissimi canoni estetici veramente universali, come si spiega in Zib., 1411-1412: «la semplicità suol essere, cioè parer bella, […] perché suol esser propria della natura, la quale, (potendo ben fare altrimenti) si è per lo più diportata semplicemente, coi mezzi semplici ec. ec. (il che massimamente apparisce dalla mia teoria della natura) almeno quanto all’apparenza delle cose».

21

Zib., 1287; 7 luglio 1821.

22

Zib., 1275; 2-5 luglio 1821.

(10)

necessità, già enunciata apertamente in Zib. 181, di un programma di semplificazione che deve presiedere alla formulazione di una stabile «teoria dell’uomo» e che da essa non può prescindere:

Le sopraddette considerazioni possono portare ad una gran generalità, e semplicizzare l’idea che abbiamo del sistema delle cose umane, o la teoria dell’uomo, facendo conoscere come sotto tutti i riguardi, ed in tutte le circostanze possibili della vita, agisca quell’unico principio ch’è l’amor proprio, e come tutti gli effetti della vita umana sieno proporzionati alla maggiore o minor forza, maggiore o minor debolezza, e diversa direzione di quel solo movente: per quanto i detti effetti si presentino a prima vista, come derivati da diverse cagioni.

23

E ancora:

Semplicissimo è il sistema e l’ordine della macchina umana in natura, pochissime le molle, e gli ordigni di essa, e i principii che la compongono, ma noi discorrendo dagli effetti che sono infiniti e infinitamente variabili secondo le circostanze, le assuefazioni, e gli accidenti, moltiplichiamo gli elementi, le parti, le forze del nostro sistema, e dividiamo, e distinguiamo, e suddividiamo delle facoltà, dei principii, che sono realmente unici e indivisibili, benchè producano e possano sempre produrre non solo nuovi, non solo diversi, ma dirittamente contrarii effetti.

24

L’antropologia di Leopardi si propone in primo luogo come identificazione e spiegazione delle cause di ordine generale che regolano tanto la vita psicologica quanto il comportamento pratico del soggetto umano: e infatti numerosissimi sono i passi dello Zibaldone che contengono, spesso fin dall’apertura, un riferimento alle «cagioni» delle cose, la cui ricerca del resto già in Zib. 53 era identificata con il fine primario a cui le scienze devono tendere. Pare significativo a tale proposito che nella Storia dell’astronomia il Leopardi adolescente, dopo aver celebrato

23

Zib., 960; 19 aprile 1821. Leopardi per primo si impegnerà nella realizzazione di tale programma: mentre inizialmente nel 1820, anche sulla scorta di Rousseau, aveva distinto nella costituzione dell’uomo due principi autonomi, l’amor proprio e la compassione, nel 1823 arriverà a interpretare quest’ultima invece come una forma raffinata di egoismo, come un fenomeno di natura essenzialmente culturale, comparso per la prima volta con l’Iliade. Le due differenti posizioni sono ricavabili rispettivamente da Zib. 108-109 e Zib. 3107-3109.

24

Zib., 2133; 20 novembre 1821.

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l’«immortale» Newton come «genio il più sublime che sia giammai comparso sulla terra», gli attribuisca il merito di aver contribuito più di ogni altro al progresso della «scienza delle cause», pur consapevole del fatto che il fisico inglese non le intendesse come essenze metafisiche, ma intendesse limitare il dominio delle conoscenze scientifiche esclusivamente alla superficie osservabile dei fenomeni naturali

25

.

Ma per farsi un’idea dell’alta considerazione in cui Leopardi continua a tenere Newton ben oltre la Storia dell’astronomia, basti ricordare come a distanza di tempo egli arrivi a paragonarlo nello Zibaldone ai due massimi poeti della storia dell’umanità, Omero e Dante:

La facoltà inventiva è una delle ordinarie, e principali, e caratteristiche qualità e parti dell’immaginazione. Or questa facoltà appunto è quella che fa i grandi filosofi, e i grandi scopritori delle grandi verità. E si può dire che da una stessa sorgente, da una stessa qualità dell’animo, diversamente applicata, e diversamente modificata e determinata da diverse circostanze e abitudini, vennero i poemi di Omero e di Dante, e i Principii matematici della filosofia naturale di Newton.

26

Considerando la citazione a lui riservata nella Storia dell’astronomia e l’entità dei riconoscimenti tributati nello Zibaldone, non è da scartare la possibilità di una lettura dell’opera di Newton; ad ogni modo è indiscutibile una forma di conoscenza indiretta. A questo proposito non sarà del tutto superfluo ricordare come il metodo conoscitivo suggerito da Newton avesse goduto di un enorme prestigio presso la cultura illuministica francese e non solo

27

, contribuendo probabilmente ad accrescerne il potere attrattivo (è proprio il caso di dirlo!) esercitato su Leopardi. Basti pensare che Voltaire se ne era reso divulgatore in prima persona negli Elementi della filosofia di Newton e ancora nella Metafisica di Newton; o in Italia è sufficiente menzionare il Newtonianismo per le dame di

25

Cfr. G. Leopardi, Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXI, in Tutte le poesie e tutte le prose, cit., p. 826.

26

Zib., 2132-2133; 20 novembre 1821.

27

Cfr. E. Cassirer, La filosofia dell’Illuminismo, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 29: «La filosofia del

secolo XVIII prende sempre per punto di partenza questo esempio particolare, il paradigma metodico della

fisica newtoniana».

(12)

Algarotti, testo che probabilmente Leopardi aveva ben presente, visto che vi accenna in apertura del Dialogo filosofico sopra un moderno libro intitolato

«Analisi delle idee ad uso della gioventù» del 1812

28

. Per il suo valore paradigmatico vorremmo qui riportare anche un importante passaggio del Discorso preliminare all’Enciclopedia di D’Alembert, che appare intriso di concetti di chiara matrice newtoniana:

Ce n’est […] point par des hypothèses vagues et arbitraires que nous pouvons espérer de connoître la Nature; c’est par l’étude réfléchie des phénomènes, par la comparaison que nous ferons des uns avec les autres, par l’art de réduire, autant qu’il sera possible, un grand nombre de phénomènes à un seul qui puisse en être regardé comme le principe. En effet, plus on diminue le nombre des principes d’une science, plus on leur donne d’étendue; puisque l’objet d’une science étant nécessairement déterminé, les principes appliqués à cet objet seront d’autant plus féconds qu’ils seront en plus petit nombre. Cette réduction, qui les rend d’ailleurs plus faciles à saisir, constitue le véritable esprit systématique qu’il faut bien se garder de prendre pour l’esprit de système, avec lequel il ne se rencontre pas toûjours. […]

La seule ressource qui nous reste donc dans une recherche si pénible, quoique si nécessaire, et même si agréable, c’est d’amasser le plus de faits qu’il nous est possible, de les disposer dans l’ordre le plus naturel, de les rappeller à un certain nombre de faits principaux dont les autres ne soient que des conséquences.

29

Possiamo […] sperare di conoscere la natura non in base a ipotesi vaghe e arbitrarie, ma grazie allo studio ben meditato dei fenomeni, ai paragoni che istituiremo tra questi, all’arte di ridurre per quanto è possibile un gran numero di fenomeni ad un solo fenomeno, principio di tutti. Giacché quanto più il numero dei principi di una scienza si restringe, tanto più si generalizzano i principi stessi: e siccome l’oggetto di una scienza è necessariamente limitato, i principi applicati a tale oggetto saranno tanto più fecondi quanto meno numerosi, riduzione questa che, rendendo i principi stessi più facilmente assimilabili, costituisce il verace spirito sistematico, che non va confuso con lo spirito di sistema, con il quale è generalmente in dissidio.

[…]

28

Come ricorda W. Binni, Leopardi e la poesia del secondo Settecento, in La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1995, p. 163.

29

Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, 28 voll., Paris, Briasson-

David-Le Breton-Durand, 1751-1772, vol. I., pp. VI-VII.

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La sola risorsa che ci rimanga in una ricerca così ardua, anche se così necessaria e piacevole, è raccogliere il maggior numero possibile di fatti, disporli nell’ordine più naturale, ricondurli ad un certo numero di fatti principali, rispetto ai quali gli altri appaiano come conseguenze.

30

E lo stesso D’Alembert nella voce «Newtonianismo» aveva così sintetizzato l’indicazione metodica espressa dallo scienziato inglese:

Ce terme de philosophie newtonienne a été différemment appliqué, et de-là sont venues plusieurs notions de ce mot.

Quelques auteurs entendent par là la philosophie corpusculaire […].

D’autres entendent par philosophie newtonienne la méthode que M. Newton observe dans sa philosophie, méthode qui consiste à déduire ses raisonnements et ses conclusions directement des phénomenes, sans aucune hypothèse antécédente, à commencer par des principes simples, à déduire les premieres lois de la nature d’un petit nombre de phénomenes choisis, et à se servir de ces lois pour expliquer les autres effets.

31

Il termine filosofia newtoniana è stato usato in vari modi, donde le sue varie accezioni.

Alcuni autori indicano con esso la filosofia corpuscolare […].

Altri intendono designare con questa parola il metodo che Newton segue nella sua filosofia, e che consiste nel dedurre ragionamenti e conclusioni immediatamente dai fenomeni, senza alcuna precedente ipotesi; nel cominciare da principi semplici; nel dedurre le prime leggi della natura da un ristretto numero di fenomeni prescelti, e nel servirsi di tali leggi per spiegare gli altri effetti.

32

In Leopardi sembra di assistere ad una sorta di attraversamento della filosofia illuminista (in particolare di quel settore che più risente dell’eredità delle teorie di Newton) volto all’acquisizione di una serie di strumenti concettuali – di cui gli scrittori romantici non apparivano adeguatamente provvisti – utili alla comprensione della realtà naturale nel suo complesso, con cui poi dedicarsi all’approfondimento della struttura del soggetto umano. Ma le conclusioni di ordine antropologico a cui Leopardi piega tale metodo sono tali da contestare

30

Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, Bari, Laterza, 1968, pp. 17- 18.

31

Encyclopédie, cit., vol. XI, p. 122.

32

Enciclopedia, cit., p. 793. Più oltre il libro dei Principia viene esaltato come «opera immortale, ed una

delle più belle che l’intelligenza umana abbia mai creato».

(14)

radicalmente gli esiti a cui era giunto l’Illuminismo, se solo si riflette sul fatto che uno dei cardini della cultura settecentesca era stata l’idea che l’aggregazione in società non soltanto corrispondesse alla condizione naturale dell’uomo, ma rappresentasse anche il mezzo attraverso cui l’umanità aveva potuto sviluppare le proprie intrinseche potenzialità fino a imporsi come vertice dell’intera totalità naturale, e a cui era quindi debitrice di gran parte delle sue conquiste e dei suoi progressi. Viceversa Leopardi nell’interpretare l’esistenza associata come un’infrazione del dettato della natura, indica il formarsi della «società stretta»

come la causa di tutta una serie di fenomeni sconosciuti al mondo animale, come guerre, disuguaglianze, odi, invidie, spirito di vendetta eccetera che hanno contribuito in misura rilevante a determinare il destino di infelicità del genere umano.

In questo processo di rilettura in chiave anche (ma non soltanto) antropologica del paradigma conoscitivo newtoniano e illuministico, Leopardi avverte l’esigenza di giustificare la legittimità dell’operazione di drastica semplificazione implicita nel tentativo di sintetizzare in modelli universali le infinite sfaccettature presenti nella realtà appoggiandosi proprio all’autorità delle discipline scientifiche; egli tiene a sottolineare come in fondo l’inesauribile numero di variazioni empiriche riscontrabile nell’ambito umano non faccia eccezione a ciò che è possibile osservare nel mondo naturale, per cui l’uomo da questo punto di vista è suscettibile di essere studiato con criteri analoghi a quelli utilizzati dalle scienze propriamente dette:

Questa moltiplicità incalcolabile di cause e di effetti ec. nel mondo morale non deve nè parere

assurda o difficile ad ammettersi nè far meraviglia a chi consideri com’ella si trova

evidentemente, e del pari infinita e incalcolabile nel mondo fisico. Nè la medicina, nè la

fisiologia, nè la fisica, nè la chimica, nè veruna anche più esatta e più materiale scienza che tratti

delle più sensibili e meno astruse parti ed effetti della natura, non possono mai specificare nè

calcolare nemmeno per approssimazione, se non in modo larghissimo, nè il numero nè il grado e

il più e il meno, nè tutti i rapporti ec. delle infinite diversità di effetti che secondo le infinite

combinazioni e rapporti scambievoli ec. e influenze e passioni scambievoli ec. che possono avere

ed hanno effettivamente luogo, risultano dalle cause anche più semplici più poche e limitate, che

(15)

dette scienze assegnano; nè le infinite modificazioni di cui dette cause, secondo esse combinazioni, sono suscettibili, ed a cui sono effettivamente soggette. E non per tanto, almeno in grandissima parte, esse cause non si possono volgere in dubbio, e nessuno dalla detta impossibilità di specificare e calcolare esattamente e pienamente, risolve ch’esse cause non sieno le vere, e moltissime sono evidenti e sotto gli occhi, e così il loro modo di agire, le loro relazioni cogli effetti ec., i quali tuttavia non sono più calcolabili nè numerabili. Basti solamente osservare le cause e gli effetti che agiscono ed hanno luogo nel corpo umano, e le infinite diversità ed anche contrarietà che per differenze, sovente impercettibili, di combinazioni, hanno luogo negli accidenti e passioni d’esso corpo anche in individui conformissimi, in un tempo medesimo, in circostanze che possono parere conformissime, in un medesimo individuo ec. Nè per tanto si può dubitare di quelle cause, purchè d’altronde ec. nè se ne dubita, nè si condannano quei sistemi e quei metodi ec. de’ quali in quanto a questo particolare niuno uomo potrebbe pensarne o usarne un migliore.

33

Qui non siamo in presenza di una semplice occorrenza lessicale, in sé non troppo rilevante, ma ad un consapevole quanto serrato confronto con le scienze naturali; posto che la miriade di dati particolari non risulta mai interamente dominabile, esse non possono avanzare la pretesa di imporsi come una riproduzione totalmente fedele della realtà empirica, ma sono costrette ad affidarsi ad ipotesi provvisorie basate su operazioni di astrazione, e quindi in ultima istanza non sono in grado di prescindere dall’apporto creativo dell’osservatore, senza che ciò sia motivo per contestare la validità delle loro conclusioni:

niuna parte, niun sistema di esse scienze, anche il più dimostrato, niun ordine, niun metodo di trattarle, per efficace, accurato, minutissimo, ordinatissimo, solertissimo che possa essere; se esse scienze o sistemi non si fingono e suppongono, determinano, conformano e circoscrivono i subbietti e lor qualità vere o immaginarie a modo loro, come fanno le matematiche e, p. e. la meccanica nella considerazione delle forze fisiche e de’ loro effetti.

Le scienze e i sistemi non possono andare che per via di paradigmi e di esempi, supponendo tali e tali subbietti, di tali e tali qualità in tali e tali circostanze ec. ovvero generalizzando, sia col salire da questi particolari esempi alla università de’ subbietti in qualche modo diversi, e delle combinazioni diverse, sì nelle cause sì negli effetti; sia in qualunque altra guisa. E tutte sono obbligate di fare più o meno come le matematiche, che per considerare gli effetti delle forze, suppongono i corpi perfettamente duri, e perfettamente levigati, e l’assenza del mezzo, ossia il

33

Zib., 3977-3978; 12 dicembre 1823.

(16)

vóto, ec.; e così il punto indivisibile ec. […] V. Thomas Éloge de Descartes, Oeuvres, Amsterdam 1774. t. 4. p. 47. seg.

34

Il referente implicito di queste considerazioni continua verosimilmente ad essere Newton: lo dimostra il fatto che nel luogo a cui Leopardi rinvia alla fine della pagina, Thomas si soffermi sull’operazione di astrazione semplificante rispetto alle condizioni reali in cui si svolge il moto degli astri, come condizione di una loro traduzione in formule matematiche, compiuta proprio dall’autore dei Principia.

L’enfasi posta da Leopardi sulla possibilità di ricondurre l’infinita molteplicità degli effetti a schemi esplicativi semplici e universali come garanzia di

“scientificità”, non si traduce tuttavia in una svalutazione del dato empirico particolare nella sua irriducibile singolarità, di cui anzi egli ha ben presente l’importanza fondamentale. I due versanti infatti per Leopardi non solo non si escludono a vicenda ed hanno pari importanza, ma l’ampliamento del sapere scaturisce da un continuo confronto tra i due piani. Nelle scienze ne fa fede ad esempio il modo di procedere della medicina, che nell’individuare i rimedi alle malattie non può mai prescindere da un’attenta ricognizione di tutte le condizioni concrete in cui esse agiscono:

Basti solamente notare le infinite circostanze, qualità ec. ec. della persona, sì nel fisico sì nel morale, del clima, dell’anno, della stagione, degli avvenimenti ec. ec. che i buoni e veri medici e in particolare Ippocrate prescrive in molti luoghi di osservare in ciascuna malattia e in ciascun malato, per poterne fare retto giudizio, e applicare il rimedio, il cui effetto ognuna delle dette circostanze, ancorchè menoma, male osservata, ec. potrebbe impedire o render dannoso ec. e altresì falsificare affatto il giudizio della malattia il prognostico de’ suoi effetti e successi ec. ec.

35

Come vedremo meglio più avanti, riguardo all’uomo tale consapevolezza varrà a fortiori, ma non sarà certo una ragione sufficiente a segnare una cesura qualitativa a paragone delle altre scienze.

34

Zib., 3978; 12 dicembre 1823.

35

Zib., 3990; 17 dicembre 1823.

(17)

A conferma del senso profondo dell’irriducibile unicità conservata dal fatto empirico concreto, va rilevato che Leopardi non concepisce la scienza come rigida applicazione di schemi generali. La capacità di riportare l’enorme molteplicità dei risultati empirici a cause univoche non corrisponde certo ad un’operazione puramente meccanica e ripetitiva; al contrario egli a questo proposito sottolinea la necessità di possedere un acuminato esprit de finesse, inteso non necessariamente come un dono innato, ma soprattutto come una capacità sviluppata con l’assuefazione e con l’esperienza assidua:

Bisogna aver molta pratica ed abilità ed abitudine di applicare i principii generali agli effetti anche più particolari e lontani, e di scoprire e conoscere e d’investigare i rapporti anche più astrusi e riposti e più remoti. Questa protesta intendo di fare generalmente per tutti gli altri principii e parti del mio sistema sulla natura.

36

E Leopardi indubbiamente dimostra di disporre in quantità notevole di queste doti, dandone prova a più riprese nella straordinaria finezza e intuito con cui interpreta, spesso sul filo del paradosso, le ragioni dei processi psicologici che riguardano l’essere umano.

La scienza dell’uomo com’è intesa da Leopardi non deve essere guidata da un approccio asettico e distaccato, anzi. Se la compresenza di pensieri, immagini e sentimenti è la condizione dell’originalità poetica

37

, così per sondare la realtà umana nella complessità dei suoi aspetti, e non forzarla in un’immagine parziale e unilaterale, tutte le facoltà umane, razionalità logica, potenza immaginativa e coinvolgimento affettivo, sono chiamate a collaborare in uno sforzo comune:

La ricerca delle verità, massime delle più grandi, e sopra tutto di quelle che spettano alla scienza dell’uomo ha bisogno della mescolanza, ed equilibrato temperamento di qualità contrarissime, immaginazione, sentimento, e ragione, calore e freddezza, vita e morte, carattere vivo e morto, gagliardo e languido ec. ec.

38

36

Zib., 3927; 26 novembre 1823.

37

Cfr. Zib., 3388-3389.

38

Zib., 1962; 21 ottobre 1821.

(18)

Se il raziocinio puro non riesce ad andare oltre una fredda scomposizione analitica degli oggetti, estratti dal flusso vitale in cui sono inseriti, d’altro canto una speculazione alimentata principalmente dalla libera creatività dell’immaginazione come quella che caratterizzava i pensatori antichi tende a produrre sistemi tanto fantasiosi quanto effimeri.

Accennando alla necessità di fondare un metodo trasversale alla conoscenza ci siamo avvicinati a porre la questione dei termini entro cui è possibile parlare di un ordine sistematico intorno a cui si organizza il pensiero di Leopardi.

Se nella produzione critica più recente pare ormai assodato il riconoscimento del valore filosofico insito nella sua testimonianza intellettuale, maggiori resistenze si incontrano comprensibilmente ove si voglia porre l’accento anche sulla fondamentale sistematicità a cui risponde in buona misura l’impianto dello Zibaldone

39

. Ma una serie di equivoci possono forse essere evitati cercando di dare una connotazione più precisa a ciò che bisogna intendere con la parola sistema.

Come si è in parte visto, Leopardi si riconosce in una concezione unitaria della natura, le cui parti si rispondono in un disegno armonico complessivo. In altre parole è la natura stessa ad essere disposta in un sistema; in sede conoscitiva si tratterà di aderire ad un ordine oggettivo già scritto nelle cose:

le cose hanno certo un sistema, sono ordinate secondo un sistema, un disegno, un piano. Sia che si voglia supporre tutta la natura ordinata secondo un sistema, tutto legato ed armonico, e corrispondente in ciascuna sua parte; ovvero divisa in tanti particolari sistemi, indipendenti l’uno dall’altro, ma però ben armonici e collegati e corrispondenti nelle loro parti rispettive; certo è che l’idea del sistema, cioè di armonia, di convenienza, di corrispondenza, di relazioni, di rapporti, è idea reale, ed ha il suo fondamento, e il suo soggetto nella sostanza, e in ciò ch’esiste. Così che

39

Fanno eccezione C. Ferrucci, Il «sistema» dello «Zibaldone», in AA. VV., Leopardi e la cultura europea, a cura di F. Musarra, S. Vanvolsem, R. Guglielmone Lamberti, Roma, Bulzoni, 1989 e G.

Pacella, Lo Zibaldone: brogliaccio o opera sistematica?, in AA. VV., Leopardi e il pensiero moderno, a

cura di C. Ferrucci, Milano, Feltrinelli, 1989. In entrambi gli interventi tuttavia le concessioni all’ipotesi di

un ordine sistematico ravvisabile nel quaderno privato composto da Leopardi non sempre paiono sorrette

da argomentazioni convincenti.

(19)

gli speculatori della natura, e delle cose, se vogliono arrivare al vero, bisogna che trovino sistemi, giacchè le cose e la natura sono infatti sistemate, e ordinate armonicamente.

40

Ciò su cui bisognerà intendersi semmai è su quale tipo di sistema si dovrà puntare. Già Condillac aveva distinto i sistemi filosofici che, secondo la regola newtoniana dell’hypotheses non fingo, si attengono solamente alle evidenze accertate sperimentalmente dalle ambiziose costruzioni speculative ispirate ad astratte supposizioni aprioristiche, formalizzando così la contrapposizione, presente anche nel Discorso preliminare di D’Alembert (ma tipicamente illuminista), tra “spirito sistematico” e “spirito di sistema”

41

. Evidentemente Leopardi si mette sulle loro tracce nel momento in cui condanna la pretesa di imporre artificiosamente dall’esterno la forma di sistema ai singoli fatti, mentre considera assolutamente necessari al fine di rintracciare una rete di legami e di stabilire una connessione fra le idee quei sistemi che scaturiscono in modo spontaneo dal graduale ampliamento delle conoscenze, sviluppandosi attraverso un processo di generalizzazione autorizzato soltanto da una vasta raccolta e da un rigoroso confronto fra i dati ricavati dall’esperienza:

chiunque dai particolari cerca di passare ai generali, chiunque cerca il legame delle verità (cosa inseparabile dalla facoltà del pensiero) e i rapporti delle cose; cerca un sistema; e chiunque è passato ai generali, ed ha trovato o creduto di trovare i detti rapporti, ha trovato o creduto di trovare un sistema, o la conferma e la prova, o la persuasione di un sistema già prima trovato o proposto […].

Il male è quando dai generali si passa ai particolari, cioè dal sistema alla considerazione delle verità che lo debbono formare. Ovvero quando da pochi ed incerti, e mal connessi, ed infermi particolari, da pochi ed oscuri rapporti, si passa al sistema, ed ai generali. […] Allora l’amor di sistema, o finto, o vero e derivante da persuasione, è dannosissimo al vero; perchè i particolari si tirano per forza ad accomodarsi al sistema formato prima della considerazione di essi particolari, dalla quale il sistema dovea derivare, ed a cui doveva esso accomodarsi. Allora le cose si travisano, i rapporti si sognano, si considerano i particolari in quell’aspetto solo che favorisce il sistema, in somma le cose servono al sistema, e non il sistema alle cose, come dovrebb’essere.

40

Zib., 1089; 26 maggio 1821.

41

Per approfondire il senso di questa opposizione cfr. E. Cassirer, La filosofia dell’Illuminismo, cit., pp.

22-26.

(20)

Ma che le cose servano ad un sistema, e che la considerazione di esse conduca il filosofo e il pensatore ad un sistema (sia proprio, sia d’altri), è non solamente ragionevole e comune, ma indispensabile, naturale all’uomo, necessario; è inseparabile dalla filosofia; costituisce la sua natura ed il suo scopo: e concludo che non solamente non ci fu, ma non ci può esser filosofo nè pensatore per grande, e spregiudicato, ed amico del puro vero, ch’ei possa essere, il quale non si formi o non segua un sistema […].

42

Leopardi quindi è portatore di una visione globale del mondo: anche da questo punto di vista si conferma come l’antropologia si inserisca in un discorso più ampio e complessivo. Ma sottolineare la percentuale di sistematicità ravvisabile nella filosofia di Leopardi significa non soltanto restituire l’esigenza teorizzata e praticata di un collegamento fra i vari rami del sapere ma anche affrontare la questione di una sua coerenza su un asse diacronico. Sembra di poter dire che la ferma convinzione dell’efficacia dei criteri esplicativi universali su cui si fonda la sua «teoria dell’uomo e delle cose» garantisca dal punto di vista teorico una sostanziale continuità della costruzione sistematica elaborata nello Zibaldone, almeno fino alla crisi del Dialogo della Natura e di un Islandese, quando un nuovo sistema subentra. Ma per il resto, sul terreno empirico che non è certo una parte trascurabile della realtà, ci troviamo ovviamente di fronte non a un sistema statico e ripiegato su se stesso, ma a un’interrogazione infinita, sempre disponibile ad accogliere nuove risultanze ricavate dall’esperienza, interrogazione in cui sono riconoscibili accentuazioni diverse e stratificazioni accumulatesi nello scorrere degli anni

43

. Spesso la critica ha voluto considerare la resistenza ad acquietarsi in approdi stabili e sicuri una ragione per contestare l’idea di una coerenza di fondo del pensiero di Leopardi, senza accorgersi che è lui stesso ad escludere in maniera consapevole qualsiasi pretesa di imprigionare la complessità del reale in sintesi totalizzanti e definitive, proprio perché un sistema filosofico come quella teorizzato in queste pagine dello Zibaldone deve necessariamente alimentarsi di

42

Zib. 947-948; 16 aprile 1821.

43

Ed è proprio uno dei motivi del fascino peculiare promanato della sterminata miniera di riflessioni

affidate allo Zibaldone la possibilità che ci è offerta di seguire lo sviluppo del pensiero in tutte le fasi del

suo costituirsi, che testimoniano un bisogno inesausto di ripensare e sottoporre continuamente a verifica i

propri risultati speculativi.

(21)

una continua tensione verso ulteriori acquisizioni provenienti dal mondo esterno che chiariscano i rapporti fra le cose:

Non si conoscono mai perfettamente le ragioni, nè tutte le ragioni di nessuna verità, anzi nessuna verità si conosce mai perfettamente, se non si conoscono perfettamente tutti i rapporti che ha essa verità colle altre. E siccome tutte le verità e tutte le cose esistenti, sono legate fra loro assai più strettamente ed intimamente ed essenzialmente, di quello che creda o possa credere e concepire il comune degli stessi filosofi; così possiamo dire che non si può conoscere perfettamente nessuna verità, per piccola, isolata, particolare che paia, se non si conoscono perfettamente tutti i suoi rapporti con tutte le verità sussistenti. Che è come dire, che nessuna (ancorchè menoma, ancorchè evidentissima e chiarissima e facilissima) verità, è stata mai nè sarà mai perfettamente ed interamente e da ogni parte conosciuta.

44

E alla luce di questa sospensione problematica verso la verità andrà inteso probabilmente anche l’atteggiamento scettico rivendicato da Leopardi:

Il mio sistema introduce non solo uno Scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia progresso possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero, e si dimostra che la nostra ragione, non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero […], ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere.

45

Per Leopardi con la dissoluzione della teoria delle idee innate e l’affermarsi delle correnti filosofiche empiriste e sensiste basate sul metodo induttivo si è

44

Zib., 1090-1091; 26 maggio 1821. Nell’ottica di una ricomposizione unitaria del sapere si colloca anche la consapevolezza, mantenuta fino al Dialogo di Tristano e di un amico, della necessità per l’intellettuale di possedere una vasta cultura enciclopedica e una certa diffidenza verso ogni forma di eccessivo specialismo.

Cfr. su questo Zib., 1922: «Non può nessuno vantarsi di essere perfetto in veruna umana disciplina, s’egli non è altresì perfetto in tutte le possibili discipline e cognizioni umane. Tanta è la forza e l’importanza de’

rapporti che esistono fra le cose le più disparate, non conoscendo i quali, nessuna cosa si conosce perfettamente. […] almeno quanto è possibile, è realmente necessario di esser uomo enciclopedico, non per darsi a tutte le discipline e non perfezionarsi o distinguersi in nessuna, ma per esser quanto è possibile perfetto in una sola» (corsivo mio).

45

Zib., 1655; 8 settembre 1821. Cfr. anche Zib., 1632: «Non c’è verità che prendendo l’argomento più o

meno da lungi, e camminando per una strada più o meno nuova, non si possa dimostrar falsa con evidenza

ec. ec. ec.».

(22)

verificata una frattura definibile nei termini di Thomas Kuhn come un vero e proprio “mutamento di paradigma”, che ha incrinato la fiducia nella possibilità di giungere a delle certezze assolute perché ha circoscritto la conoscenza all’ordine dei fenomeni, ossia dell’esistenza puramente fattuale delle cose, da cui non è consentito risalire ad una loro essenza necessaria:

queste sensazioni, sole nostre maestre, c’insegnano che le cose stanno così, perchè così stanno, e non perchè così debbano assolutamente stare, cioè perch’esista un bello e un buono assoluto ec. Questo noi lo deduciamo pure dalle nostre sensazioni, (e lo deduciamo naturalmente, come ne deduciamo naturalmente le idee innate, della quale opinione questa è una conseguenza) ma questo è ciò che non ne possiamo dedurre; e non possiamo, appunto perchè tutto ci è insegnato dalle sole sensazioni, le quali sono relative al puro modo di essere ec. e perchè nessuna cognizione o idea ci deriva da un principio anteriore all’esperienza. Quindi è chiaro che la distruzione delle idee innate distrugge il principio della bontà, bellezza, perfezione assoluta, e de’

loro contrarii. Vale a dire di una perfezione ec. la quale abbia un fondamento, una ragione, una forma anteriore alla esistenza dei soggetti che la contengono, e quindi eterna, immutabile, necessaria, primordiale ed esistente prima dei detti soggetti, e indipendente da loro.

46

Si è così potuto consumare un paradosso per cui l’incremento delle conoscenze si è accompagnato ad un processo di continua revisione critica:

Un secolo distrugge la scienza del secolo passato […] che cosa è la nostra pretensione di conoscere il vero? gli antichi s’immaginavano di conoscerlo al pari di noi. Che cosa è lo stesso vero? Quali sono le verità assolute? quando non siamo punto sicuri che il venturo secolo non dubiti di ciò che noi teniamo per certo: anzi mirando all’esempio di tutti i secoli passati, e del nostro, siamo sicuri del contrario.

47

Ma il paradosso è soltanto apparente, perché il paradigma scientifico aveva potuto affermarsi proprio in quanto includeva in sé anche gli strumenti della propria correzione; e ciò non poteva che esporre continuamente le singole teorie scientifiche ad una potenziale smentita: a questo riguardo (come a molti altri) la

46

Zib., 1339-1340; 17 luglio 1821. Com’è noto una torsione in senso scettico del metodo empirista era già stata data da Hume, il quale a differenza di Leopardi arriva però a mettere in discussione anche l’idea dell’uniformità della natura e del carattere necessario delle sue leggi.

47

Zib., 1708-1709; 15 settembre 1821.

(23)

modernità di Leopardi non cessa di sorprendere. Il “sistema in movimento”

48

dello Zibaldone allora riproduce in piccolo (si fa per dire) l’incessante dinamismo del

pensiero filosofico e scientifico occidentale, di cui si descrive la traiettoria nell’operetta Il Parini, ovvero della gloria:

colle nuove notizie e coi nuovi quasi barlumi del vero, che si vengono acquistando di mano in mano, crescono le scienze di continuo: per la qual cosa, e perchè vi prevagliono in diversi tempi diverse opinioni, che tengono luogo di certezze, avviene che esse, poco o nulla durando in un medesimo stato, cangiano forma e qualità di tratto in tratto. […] nella posterità […] per nuove scoperte fatte, o per nuove supposizioni e congetture, lo stato di una o di altra scienza sarà notabilmente mutato da quello che egli è nel nostro secolo […]. Quanti leggono oggidì gli scritti del cancellier Bacone? chi si cura di quello del Mallebranche? e la stessa opera del Locke, se i progressi della scienza quasi fondata da lui, saranno in futuro così rapidi, come mostrano dover essere, quanto tempo andrà per le mani degli uomini?

[…] chi può dubitare che l’età prossima non abbia a conoscere la falsità di moltissime cose affermate oggi o credute da quelli che nel sapere sono primi, e a superare di non piccolo tratto nella notizia del vero l’età presente?

49

Eppure soltanto tre mesi prima della stesura del Parini, nell’aprile 1824 Leopardi aveva fatto riferimento all’opera di Newton come esempio autorevole della capacità dei sistemi scientifici moderni, fondati sull’esame analitico dei particolari, di resistere per un periodo di tempo relativamente lungo

50

, rispetto alle arbitrarie costruzioni filosofiche degli antichi, destinate di solito a breve durata:

Grandissima, e forse la maggior prova e segno del progresso che ha fatto negli ultimi tempi lo spirito e il sapere umano in generale e le scienze fisiche in particolare, è che per ispazio di quasi un secolo e mezzo, quanto ha dalla pubblicazione de’ Principii matematici di filosofia naturale a’

dì nostri (1687), non è sorto sistema alcuno di fisica che sia prevaluto a quello di Newton, o quasi

48

Preferirei questa definizione a quella, peraltro parzialmente affine, di “pensiero in movimento” proposta a suo tempo da Solmi.

49

G. Leopardi, Operette morali, in Tutte le poesie e tutte le prose, cit., pp. 550-551. La tendenza a rimettere continuamente in discussione i propri risultati come cifra della cultura del nostro continente è stata suggerita da P. Hazard, La crisi della coscienza europea, a cura di P. Serini, 2 voll., vol. II, Torino, Einaudi, 1968, pp. 551-558.

50

Nell’arte come nella scienza Leopardi tende spesso a utilizzare il criterio della durata delle opere nel

tempo come una cartina di tornasole della loro qualità.

(24)

niun altro sistema di fisica assolutamente, almeno che abbia pur bilanciato nella opinione per un momento quello di Newton, benchè questo sia tutt’altro che certo e perfetto, anzi riconosciuto ben difettoso in molte parti, oltre alla insufficienza generale de’ suoi principii per ispiegare veramente a fondo i fenomeni naturali. Nondimeno i fisici e filosofi moderni, anche spento il primo calor della fama e della scuola e partito di Newton, si sono contentati e contentansi di questo sistema, servendosene in quanto ipotesi opportuna e comoda nelle parti e occasioni de’

loro studi che hanno bisogno, o alle quali è utile una ipotesi. Ciò nasce e dimostra che gli spiriti e nella fisica e nell’altre scienze e in ogni ricerca del vero e in ogni andamento dell’intelletto si sono volti all’esame fondato dei particolari (senza cui è impossibile generalizzare con verità e profitto) e alla pratica ed esperienza e alle cose certe, rinunziando all’immaginazione, all’incerto, allo splendido, ai generali arbitrarii, tanto del gusto de’ secoli antecedenti e padri di tanti sistemi a quei tempi, che rapidamente brillavano e si spegnevano, e succedevansi e distruggeansi l’un l’altro.

51

Ma per gli stessi motivi accennati poco sopra, non vi è una reale contraddizione fra i due piani. Per di più queste considerazioni dello Zibaldone si inseriscono in un discorso di tipo comparativo, entro cui non si nascondono certo i limiti che il modello newtoniano, confinato ormai ad un’utilità di tipo prevalentemente pragmatico, già all’epoca cominciava ad evidenziare. Il fatto è che se tutte le teorie scientifiche si basano su congetture provvisorie sempre da verificare (per quanto esse non debbano essere formulate in maniera indiscriminata ma debbano essere sempre saldamente agganciate all’esperimento), anche il sistema di Newton alla lunga non potrà pretendere di fare eccezione.

Nonostante i suoi molti pregi, esso non costituisce infatti un’autorità inattaccabile;

anzi Leopardi sembra interpretare le prime crepe che si stanno rendendo visibili nella pars construens di tale sistema come i segni che preludono ad un suo imminente superamento: da questo punto di vista, a differenza di quanto avviene

51

Zib., 4056-4057; 4 aprile 1824. Richiamandosi a questo passo, evidenzia l’«eccezionale importanza storica» riconosciuta al sistema newtoniano B. Biral, La posizione storica di Giacomo Leopardi, Torino, Einaudi, 1974, p. 125, anche se lo studioso forse eccede nel presentare lo scienziato inglese come il massimo rappresentante di un razionalismo puro, non contaminato dalle distorsioni dell’immaginazione;

come si è visto, in altri luoghi dello Zibaldone Leopardi tende a valorizzare proprio l’apporto della «facoltà

inventiva» da cui sgorgarono i Principia, sia pure in un rapporto di stretta collaborazione e non di antitesi

(come avveniva invece presso i filosofi antichi) con il momento dell’osservazione empirica.

(25)

nel passo sopra citato, l’autore può accomunare il metodo conoscitivo antico e quello moderno, Platone e Newton:

Cartesio distrusse gli errori de’ peripatetici. In questo egli fu grande, e lo spirito umano deve una gran parte de’ suoi progressi moderni al disinganno proccuratogli da Cartesio. Ma quando questi volle insegnare e fabbricare, il suo sistema positivo che cosa fu? Sarebbe egli grande, se la sua gloria riposasse sull’edifizio da lui posto, e non sulle ruine di quello de’ peripatetici?

Discorriamo allo tesso modo di Newton, il cui sistema positivo che già vacilla anche nelle scuole, non ha potuto mai essere per i veri e profondi filosofi altro che un’ipotesi, e una favola, come Platone chiamava il suo sistema delle idee, e gli altri particolari o secondari e subordinati sistemi o supposizioni da lui immaginate, esposte e seguite.

52

Ma non si dovrà neanche esagerare in questa direzione, pena il rischio di uno scetticismo assoluto. Allo stato dell’arte (ma forse sarebbe più corretto dire della scienza) il modello di Newton restava nonostante tutto quello in grado di offrire maggiori garanzie, ed è in questa prospettiva che Leopardi gli concede il suo assenso

53

. Ed è significativo in tal senso che la concezione dell’amor proprio come motore e principio che regola la vita dei soggetti che compongono l’intero ordine cosmico, il cui ruolo unificante come si è visto può essere interpretato alla luce di una personale rilettura e appropriazione delle “regole del filosofare” esposte nei Principia, rimarrà nel tempo uno dei capisaldi indiscussi della filosofia di

Leopardi. Sistema in movimento proprio perché sorretto da alcune linee guida tendenzialmente costanti che interagiscono in un rapporto di proficuo scambio con

52

Zib., 2708-2709; 21 maggio 1823.

53

A riprova dell’aggiornamento delle informazioni di cui disponeva, oltre che dell’estensione della sua

cultura enciclopedica, bisogna rilevare che Leopardi fotografa l’effettiva fluidità e irrequietezza degli

orientamenti del pensiero scientifico nei primi decenni dell’Ottocento, segnati dalla pubblicazione dei

cinque volumi del Trattato di Meccanica celeste di Laplace, il quale continuava a richiamarsi alla sintesi di

Newton ma al tempo stesso contribuiva ad aprire interrogativi nuovi. Cfr. a questo proposito quanto scrive

E. Bellone, Le relatività. Da Faraday a Einstein, Torino, Loescher, 1981 p. 13: «le accresciute capacità

teoriche e osservative di cui la Meccanica di Laplace forniva lo schema permettevano di formulare quesiti

e di compiere osservazioni di cui sfuggivano le risposte e le interpretazioni. L’intero mondo dei fenomeni

ottici, termici, elettrici e magnetici veniva affrontato con concetti già messi alla prova nella spiegazione dei

moti celesti, ma, nello stesso tempo, ci si rendeva gradualmente conto che si aveva a che fare con un

mondo irto di inattese difficoltà».

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