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18 febbraio 2018 Importa anche DOVE il dollaro sia debole o forte. Non solo QUANTO.

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18 febbraio 2018 – Importa anche DOVE il dollaro sia debole o forte. Non solo QUANTO.

Euro a 1.2406 contro dollaro e 131.88 contro yen. Dollaro/yen 106.21, yen/euro 131.88. Oro 1,346.96, rame 7191, indice GSCI 443.59, greggio 61.68. T-Bond 144.22, rendimento 3.13%. Euribor tre mesi -0.26%, Bund 158.61, rendimento 0.71%. Dow Jones 25219. Milano 22798. Indice Banche tedesche 61.31.

E dopo quindici giorni di choc doveva arrivare, ovviamente, la "settimana del rimbalzo". E arriva.

Qualche +4% o +5% (Borse e materie prime) o +1% (valute e bond) ammorbidisce (non dappertutto) i -10% e -2.5% rispettivi della settimana precedente.

Più precisamente - e indico i movimenti più importanti che attenuano in qualche misura l'allarme "da decollo dei tassi USA" di dieci giorni fa:

resta "forte" e "reflattivo" l'oro (1,346.96), sopra 1360, che legittima un nuovo calo del dollaro su livelli che possono segnalare un indebolimento di medio termine (1.2406 contro euro, sotto 90 sul dollar index) e che consente alle materie prime un rimbalzo (rame daccapo sopra 7000, greggio sopra 60, indice GSCI a 440).

Le Borse, che erano state la "sorpresa" degli scorsi dieci giorni, cedendo dopo aver resistito a lungo alle tensioni sui tassi, trovano in realtà soltanto acquisti di "ricopertura", non temi e iniziative che le sostengano saldamente:

la Cina recupera il 2% dopo aver perso il 10%, Wall Street dimezza (dal 12 al 6%) le perdite delle scorse due settimane.

E' quindi un movimento "passivo", che non contiene temi sostanziali che contraddicano l'allarme della scorsa settimana, e che lascia molti portafogli seriamente feriti.

Operatori e commentatori fanno molta fatica anche a farsi piacere un leggero aumento dell'inflazione americana misurata sui prezzi al consumo [+0.5% nel trimestre l'indice generale, +0.3% l'indice "core", sorvegliato da FED, che esclude energia e cibo. L'aumento del core è decisamente superiore allo 0.2% atteso].

I commentatori l'hanno sognato per anni, hanno detto per anni che un po' di "benefica inflazione" era l'obiettivo delle Autorità e che avrebbe aiutato il risanamento dell'economia globale dopo un decennio di prezzi inerti,

ma, al di là del fatto che poi quell'analisi è sbagliata (non è l'inflazione a creare profitti e capitale quindi buste paga. E l'"inflazione americana" negli ultimi anni è stata soprattutto dilatazione dei bilanci della Banca centrale e dei prezzi degli asset finanziari.

"Inflazionati" sono i bond a 150, non il formaggio cheddar).

segnali di aumento dell'inflazione non sono certo rassicuranti durante una crisi sui titoli di Stato.

E infatti, il rimbalzo dei titoli di Stato globali, dopo ampie perdite, è

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Soprattutto, i bond americani trentennali mantengono i segnali di crollo a 148 e 145, sfiorano più volte 143, reggono su quell'ultima linea di difesa ma senza rimbalzare sostanzialmente.

Aggravano addirittura i segnali di ribasso le Notes americane a due anni (questi titoli a breve termine tradizionalmente indicano le attese degli operatori sulle mosse della FED, alla quale i commentatori attribuiscono ora 4 possibili rialzi dei tassi entro l'anno).

E il calo del dollaro (che dovrebbe indicare un aumento della disponibilità di liquidità nella moneta per definizione più liquida del Mondo) ha un retrogusto strano:

la gran parte del calo del dollaro avviene contro lo yen, che guadagna un altro 2.5% contro dollaro, un 1% contro euro, e ha l'unica Borsa in rosso della settimana (Banche giapponesi).

E il rialzo dello yen è tradizionalmente un segnale di stretta del credito (i Giapponesi hanno soldi da prestare, anche troppi, nonostante l'ampio debito pubblico, e li prestano a tassi forzatamente bassi nei periodi in cui gli operatori si sentono sicuri e prendono rischi. Quando il credito minaccia di contrarsi, la prima valuta a esigere rimborsi è quella che è stata prestata più ampiamente, appunto lo yen).

A questo si aggiungono le notizie della settimana sul mercato obbligazionario:

una prima analisi della botta di dieci giorni fa mostra che sono stati venduti in massa i titoli migliori. I titoli liquidi hanno ceduto peggio dei titoli-spazzatura, dei bond emergenti e dei titoli strutturati (a parte le famose "VIX Notes").

Dice: "chi ha venduto titoli di qualità e si è tenuto i titoli spazzatura... è scemo?".

No: è che quegli altri titoli non si riusciva nemmeno a venderli, nel clima di otto e quindici giorni fa. Molti non facevano prezzo.

Anche qualche "incidente" tecnico sui Bund e il mancato rimbalzo dei Bonos spagnoli confermano che la tensione sui titoli di Stato è globale e persiste: un'altra novità degli ultimi quindici giorni che non viene smentita.

Quindi: la crisi sui bond rallenta tecnicamente, non si ferma.

L'atteggiamento dei commentatori è, sia sulla Borsa sia sui bond, "compra approfittando della correzione",

ma gli operatori trovano qualche difficoltà a essere altrettanto spavaldi.

La forza dello yen dice che probabilmente hanno qualche difficoltà a trovare soldi in prestito per "comprare più in basso".

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IN ESTREMA SINTESI, I PRINCIPALI MOVIMENTI SUI MERCATI:

BORSE:

Borse generaliste:

Dow Jones +4.25% a 25219, intacca l'allarme da crollo di 24000 ma da lì reagisce/rimbalza. Ancora alta nonostante le ampie perdite delle ultime settimane (-7% ca. dopo il rimbalzo).

Tengo 24000 come primo segnale di possibili gravi conseguenze di lungo termine, e solo 22000 avvierebbe una correzione destinata a durare a lungo.

Francoforte +2.85% a 12452, il recupero è modesto e le Banche restano fragili: teniamo un'allerta a 12000;

Londra +2.85% a 7295, sotto 7300/7400 non ferma nemmeno il tonfo.

Attenzione a 7050;

Brasile +4.48% a 84525;

Tokyo +1.58% a 21720, teniamo d'occhio yen, banche e 20800, grave allarme sfiorato ancora giovedì.

Cina: Shanghai +2.21% a 3199. Sempre troppo vicina a 3000.

Banche:

Germania (+4.34% a 61.31), inchiodata sui minimi storici intorno a 60, Europa (+2.72% a 180.99),

Inghilterra (+3.34% a 161) America (+4.72% a 480.61),

Fondi immobiliari USA (+1.85% a 326.68), erano da tempo in preallarme (345/335), teniamo 300 come allarme di scenario.

Italia (+2.85% a 22798), anche dopo il rimbalzo resta sotto 23000 che è uno storico allarme.

Giappone (-0.32% a 251.99), sempre negativa.

Titoli di Stato globali (indicatore dei tassi d'interesse di mercato):

T-Bond americani [30 anni] invariati a 144.22, rendimento 3.13%; ritentano di annullare l'allarme di 148, falliscono di nuovo, ripassano due volte da 143, lì esitano a sfondare, ma restano sotto l'allarme da crollo di 145.

Tecnicamente, se sganciano 145 il ribasso di medio e lungo termine sarà iniziato in pieno (obiettivi a 140 poi calo poliennale).

T-Note americane [2 anni], -0.22% a 106.54, rendimento 2.19%;

Il "motore" è americano, e quindi un crollo globale dei bond avverrà solo se parte da lì. Dopo quel segnale terrò come allarmi specifici:

156/154 per i Bund tedeschi, che segnano +0.36% a 158.61, rendimento 0.71%;

151/150 per gli OAT francesi, che segnano +0.26% a 153.02, rendimento 0.95%;

134 per i BTP italiani, che segnano +0.74% a 136.66, rendimento 1.99%;

Sono invece già in allarme ribassista, e restano fiacchi anche durante il

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sono già in allarme, da 123, anche le Gilt inglesi, che segnano +0.13% a 121.28, rendimento 1.58%.

I JGB giapponesi (invariati a 150.72, rendimento 0.06%) sono in tutt'altra situazione. Nessuno li può vendere, visto che sono tutti in mano, direttamente o indirettamente, a Banca del Giappone. Ma soprattutto: a chi li venderebbe?

I tassi sono quindi in globale rialzo, con il rischio di accelerare molto al di là delle aspettative degli operatori.

Ma questa "stretta" non viene riflessa in modo compatto dalle MONETE:

il tema più rilevante è la "debolezza" del dollaro. Ma è anche il più complesso e sfumato.

1) Perché una stretta monetaria americana implicherebbe un dollaro scarso e costoso quindi forte,

2) perché una crisi sui titoli del debito pubblico americano (che comporterebbe pesanti dubbi anche sul bilancio della FED) invece indebolirebbe anche sostanzialmente il dollaro, quantomeno in una prima fase (che però può durare un anno),

e quindi lo stesso scenario dei mercati (tassi americani in netto rialzo, bond giù) vede forze che "tirano" il dollaro in due direzioni opposte,

3) e infine perché bisogna sempre controllare quanta parte della "debolezza del dollaro" avvenga contro yen o al contrario contro monete a alto rendimento (australia, emergenti).

La debolezza del dollaro contro monete indicizzate a commodities e speculative (semidollari, emergenti deboli) è un indicatore globale di abbondanza di credito non solo per attività produttive ma anche speculative.

La sua debolezza contro yen è invece [vedi sopra lo "scenario"] un indicatore opposto.

Prendiamo quindi con un grano di sale i movimenti che contengono, come questa settimana, entrambe le componenti.

E pesiamo queste componenti.

Questa settimana, che vede il dollaro di nuovo arretrare da un rimbalzino di dieci giorni fa (avallando segnali reflattivi e di "sollievo" per il credito), vede però prevalere decisamente la forza dello yen, non quella dei semidollari.

Dollar index -1.48% a 89.1, aggrava l'allarme di 91, avvicina 88. 88/85 sarebbero segnali di netto ribasso del dollaro.

Ma in questa "debolezza" pesa molto il calo di dollaro/yen, che è un segnale di forza dello yen (deflattiva), non di "abbondanza di dollari". E infatti:

Dollaro/yen -2.41% a 106.21: sfonda il grave allarme di 108 (segnale rialzista per lo yen, con piena conferma a 105).

E' un serio allarme rialzista per lo yen.

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Ho spostato le posizioni d'investimento da dollaro a yen.

A fisso, o acquistando put dollaro 105 al cedimento di 108.

Yen/euro (+1.05% a 131.88) non sfonda ancora l'allarme di 131/130, ma lo avvicina.

Dollaro/euro -1.30% a 1.2406: ricade verso 1.25 (segnale di ribasso del dollaro, che però blocca l'euro da anni), ma lì regge per l'ennesima volta, e chiude la settimana con danni molto minori.

Ho coperture sul ribasso del dollaro a 1.22/1.23 e a 1.25, per breve termine (settimane).

Solo il ritorno del dollaro sopra 1.22/1.20 permetterebbe di abbandonare cautela e protezioni.

Ma la forza dell'euro non mi convince: è vulnerabilissimo al tema "titoli di Stato".

L'euro resta debole contro franco svizzero (franco invariato a 1.1511 contro euro). Sarebbe "in ribasso" soltanto sotto 1.15/1.13, ma il recupero degli ultimi mesi si è piantato.

Aggiungiamoci che anche australiano/svizzero [considerato l'indicatore di

"speculazione allegra" contro "paura"] comincia a avvicinare segnali di allarme (-0.18% a 0.7322, 0.73 avvierebbe una correzione, 0.70 un crollo).

E così abbiamo una evidente netta prevalenza delle monete "difensive/deflattive"

rispetto a quelle "inflazioniste/speculative".

Sterlina/dollaro +1.53% a 1.4026, riprende il recente deciso recupero,

mentre sterlina/euro (+0.33% a 0.8840) resta lenta/ferma vicina a livelli (0.88/0.85) che potrebbero dare il via a un rimbalzo di medio termine.

Non li aggancia ancora. Tengo 0.88 come allarme, 0.85 come conferma.

Australiano +1.19% a 0.7905; torna sotto 0.80 e avvicina 0.78 raffreddando un importante allarme da "dollaro debole". Canadese +0.25% a 1.2558.

Rand sudafricano +3.57% a 11.60: festeggia l'uscita di scena del caro Leader Jacob Zuma. Aspettate di vedere il prossimo. Era già successo in Brasile con Lula, e poi Rousseff è riuscita a far peggio...

Real brasiliano +2.12% a 3.231. Da segnalare che c'è in giro una "moda"

speculativa di arbitraggi fra le due monete (debiti in rand per acquistare reais). Mah... Questo falsa in parte l'andamento delle due monete.

Yuan cinese 6.342: resta forte ma rallenta il rialzo per la seconda settimana di seguito.... Aspettate di vedere cosa faranno i Cinesi se Shanghai sfonda 3000... Apriranno daccapo i rubinetti.

Won coreano +2.65% a 1,063.10: torna vicino ai massimi recenti dopo una correzione dieci giorni fa. Alto/forte, lento.

L'Asia resta comunque il fronte sul quale il dollaro rischia di più.

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Evito di tenere posizioni debitorie (import) scoperte verso le monete asiatiche forti (yen, won). Lo yen può fare da "jolly" per le coperture su questo fronte.

MATERIE PRIME:

L'oro resta relativamente alto [attenzione: l'ultima volta in cui il dollaro era davvero debole, e aveva paura per il proprio sistema finanziario, l'oro quotava 2000. Da lì scese a 1200. Sotto 1200 darebbe un segnale deflattivo clamoroso, e lo ha sfiorato in autunno. Quindi, 1300 indica un dollaro "non forte" - non un crollo del dollaro]:

contro dollaro segna +2.3% a 1,346.96, ancora sopra 1300;

contro yen +0.87% a 4613, ancora sopra il primo minimo allarme di 4500 - ma in leggero calo. Ahia...

contro euro segna +0.99% a 1,085.73, ancora ben sopra 1050 - alla faccia dell'"euro forte".

L'oro quindi "legittima" la fiacca del dollaro. "Purtroppo" legittima anche al forza dello yen.

L'ambiguità sui movimenti delle monete permane anche qui [no: sotto 1400, a poca distanza da 1200, l'oro si aspetta ancora un dollaro che risalga, con tassi in rialzo. E' un'ambiguità a breve termine, per lungo termine l'oro indica ancora deflazione].

Su questo sfondo di vago sollievo, le materie prime riducono il tonfo di dieci giorni fa.

Per medio termine restano piatte/fiacche, non nettamente deboli.

indice GSCI della materie prime +3.51% a 443.59, riaggancia 440 (allarme ribassista a 425/400),

greggio +4.19% 61.68, torna intorno a 60. Che secondo me è il "tappo" di medio termine, con 50 come livello di equilibrio per il lungo termine, metano -0.78% a 2.56, molto vicino all'allarme da crollo di 2.50 - da seguire,

rame +7.14% a 7191, tengo 6800/6500 come allerta in caso di nuove sbandate;

nickel +7.25% a 13871, alluminio +4.57% a 2218, zinco +5.48% a 3599,

acciaio cinese +0.43% a 3935,

noli: -3.64% a 1084: dice il rimbalzo delle commodities è puramente finanziario: si comprano su carta come "asset" speculativo, non vengono spedite e consumate.

A che punto siamo, perciò, con lo SCENARIO DI MEDIO TERMINE?

Nelle ultime settimane una gelata globale ha preso di sorpresa gli operatori e i commentatori, che ancora il mese scorso ipotizzavano un ritorno agli scenari di "dollaro debole", "credito facile", "reflazione"

(quindi: Borse in decollo, materie prime in recupero, credito accessibile a bassi tassi reali).

Dimenticarsi quell'allerta come se non fosse mai esistita, e con il dollaro ancora sotto pressione, sarebbe imprudente.

E infatti in questi giorni i mercati hanno riproposto qualcuno di quei temi.

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Ma la direzione dei tassi USA è però chiara, al rialzo, e il rapido e pesante coinvolgimento delle Borse e soprattutto delle Banche nel ribasso dei bond conferma la possibilità di un nuovo "deleveraging" globale [chiusura di posizioni speculative, riduzione dei portafogli delle Banche, minore assunzione di rischio, minore liquidità dei mercati].

Allora, io:

mantengo ovviamente la raccomandazione ribassista sui titoli di Stato USA [con avvertimento su possibili rimbalzi a breve e breve].

Valuto ora l'apertura di posizioni ribassiste sui bond europei. Ho fornito sopra i segnali di allarme.

Sto alla larga da Borse e commodities.

La situazione più complessa è quella delle valute:

il dollaro si è indebolito in qualche caso (euro) fino a livelli che segnalano una possibile mini-crisi quantomeno a breve termine.

Se questa fiacca del dollaro è effettivamente sintomo di un attacco di sfiducia sulla capacità americana di servire il debito, essa potrebbe ridiventare debolezza vera e propria.

Solo in uno scenario del genere il calo del dollaro rappresenta un rischio di lungo termine,

e in quel caso il rischio si estenderebbe rapidamente ai Paesi debitori (emergenti, area-euro).

Quindi procedo così:

* operando da area-euro, ho protetto a breve termine (settimane) le posizioni in dollari acquistando dei put dollaro sulle basi 1.22, 1.23 e 1.25.

Serve a coprire le posizioni export o creditorie verso dollaro.

Ritengo che a lungo/lunghissimo termine non ci siano ancora indicazioni di un recupero dell'euro contro dollaro.

* Invece, per i portafogli d'investimento, gestione di tesoreria o speculazione, preferisco spostare le posizioni dal dollaro allo yen (restando comunque fuori dall'euro), se nei prossimi giorni il dollaro intaccherà anche 108.

Il segnale definitivo di ribasso del dollaro sarà a 105.

Può anche essere utile, in alternativa, acquistare dei put dollaro 105 a breve scadenza (venti giorni).

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