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CAPITOLO 5

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 5

Organizzazione e gestione del terminal di Gioia Tauro.

5.1 Introduzione

Dopo aver analizzato le caratteristiche fisiche del terminal di Gioia Tauro, andremo ora a studiare, in base ad esse, l’organizzazione del porto. Abbiamo visto che il terminal di Gioia Tauro è essenzialmente un terminal di transhipment (ad oggi, la quota di transhipment è del 96%); questo fa sì che, nella sua organizzazione, vi siano molte differenze rispetto ai porti tradizionali.

Nei porti tradizionali, i flussi di container possono essere import (sbarcati dalle navi ed in attesa di proseguire via terra) oppure export (scaricati da camion o treni ed in attesa di proseguire via mare). In entrambi i casi vi è l’interazione tra un problema deterministico ed uno aleatorio.

I container export, infatti, arrivano al gate secondo un ordine casuale e, di conseguenza, sono accumulati sul piazzale in base al piano di stivaggio della nave cui sono destinati. Il loro tempo di partenza è noto in quanto coincide con la partenza prevista della nave. Il problema in questo caso nasce dallo stoccare i container destinati alla stessa nave e, per fare questo, si possono

considerare due diverse strategie per operare: statica e dinamica.1

Consideriamo inizialmente il caso statico, in pratica il caso in cui non si ha alcuna rimovimentazione intermedia dei container durante la loro permanenza nello yard. In altre parole, i container vengono collocati nel posto assegnato loro e ripresi solo nel momento in cui dovranno essere

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caricati sulla nave. Inizialmente lo spazio assegnato ai container di una specifica nave sarà vuoto, man mano che la partenza della nave si avvicina, esso si riempirà.

Per capire la necessità della strategia dinamica è opportuno ricordare l’esistenza dei criteri di frammentazione delle aree di stoccaggio e della presenza di aree buffer, cioè aree di accumulo temporanee.

Utilizzando queste aree buffer lo spazio occupato può essere ridotto al prezzo di aumentare gli sforzi di movimentazione. I container saranno assegnati in blocco all’area dedicata ad una nave solo in un tempo intermedio tra il loro arrivo nel terminal ed il tempo di cutoff (tempo dopo il quale non vengono accettati più container, al fine di operare più efficientemente). Il tempo in cui avviene il trasferimento è chiamato tempo

di assegnamento. I container che arrivano prima del tempo di assegnamento

sono dunque collocati nelle aree temporanee, mentre quelli che arrivano dopo tale tempo saranno sistemati direttamente nella posizione definitiva. I container nelle aree provvisorie vengono sistemati senza un ordine preciso ma con il vincolo che tutti i container in uno stack siano destinati alla

medesima nave2.

I container import al contrario, arrivano ad un tempo noto, che coincide con l’arrivo della nave, ma poi devono essere stoccati in attesa che, aleatoriamente, arrivino i camion o i treni a caricarli.

E’ già stato osservato che, per ridurre la dimensione delle aree, i container vengono generalmente sistemati in pile costituite anche da sei unità. Naturalmente, al crescere della altezza degli stack, aumenta mediamente il numero di manipolazioni necessarie per la ripresa. Infatti, quando uno specifico container deve essere ripreso, la gru di piazzale deve prima

2

Nell’area provvisoria, stack contigui possono anche essere costituiti da container di tipo diverso o destinati a navi diverse. Questo consente di ridurre la dispersione che la frammentazione delle aree

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spostare su stack adiacenti altri container che potrebbero trovarsi su di esso. Questi spostamenti sono detti “shuffles”. In genere, essi si realizzano tra pile appartenenti allo stesso “gruppo”, vale a dire collocate nella stessa baia del piazzale. Per risolvere problemi di allocazione, anche in questo caso sono

state studiate due strategie: della non separazione e della separazione3.

La strategia della non separazione mira a mantenere gli stack il più possibile livellati e consente, a container provenienti da navi diverse, di essere collocati insieme in uno stesso stack. Tuttavia è anche vero che se i container arrivati vengono posti sempre sulla cima degli stack, un container

“vecchio”4molto probabilmente sarà coperto da altri container più “giovani”.

Ciò, naturalmente, incrementa il numero atteso di movimenti necessari per la ripresa.

La strategia della separazione mira a mantenere separati i carichi provenienti da navi diverse. Quando una nave arriva nel porto, i suoi container non vengono collocati sopra gli stack già presenti nello yard, ma sono sistemati in gruppi in aree vuote. Così, ogni gruppo, e quindi ogni stack, conterranno i container sbarcati da un’unica nave; pertanto, i gruppi saranno differenziati in base alla nave di provenienza, e quindi in base alla loro età, o tempo di giacenza (tutti i container di un gruppo saranno arrivati nello stesso momento, e quindi, in ogni istante, avranno trascorso nel piazzale la stessa quantità di tempo). Naturalmente, affinché tutto ciò sia realizzabile, è necessario che, quando è in arrivo una nave, nello yard venga liberato lo spazio sufficiente per allocare il nuovo carico.

Questo approccio evidentemente richiede degli spostamenti extra (“clearing

moves”), per “ripulire” lo spazio necessario ad allocare il carico della nave

in arrivo. Tuttavia consente di risparmiare un numero notevole di movimenti durante il successivo processo di ripresa.

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De Castilho, Daganzo: “Handling strategies for import containers at marine terminals”

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Nei porti di transhipment i container sbarcano da una nave (import) ed attendono di essere imbarcati su un’altra nave (export); di conseguenza, il loro tempo di arrivo e partenza è ben noto, in quanto coincidente con quello delle navi che li trasportano. I problemi relativi allo stoccaggio sono diversi che nei casi precedentemente illustrati, in quanto ora è tutto noto ed è necessaria così una buona pianificazione delle aree e delle banchine.

Poiché i container non escono dal terminal se non via mare, tutta l’area di stoccaggio è come un vasto parcheggio; come vedremo, i contenitori vengono depositati con criteri opportuni, in modo da essere poi ripresi senza eccessive manipolazioni che riducono la produttività.

La produttività media di un terminal corrisponde al numero medio di movimenti in un’ora effettuato da una gru di banchina. Nel terminal di Gioia Tauro si aggira intorno ai 23 TEUs/h (per ogni gru, quindi, teoricamente, in un’ora si movimentano 23x18 = 414 TEUs); questo valore dipende molto anche dal tipo di navi che si lavorano perché le navi madri, ad esempio, sono grandi, le gru non si disturbano tra loro, non ci sono errori di disposizione a bordo (cosa che, purtroppo, accade per alcune feeder). La produttività dipende molto anche dagli orari dei turni: la sera (19.00-1.00) e la notte (1.00-7.00) si rischia di precipitare a 17/18 TEUs/h, con ripercussioni su tutta la giornata.

Nei paragrafi successivi, andremo ad analizzare i criteri di gestione di un terminal di transhipment delle dimensioni di quello di Gioia Tauro.

Come fatto in precedenza, divideremo l’argomento in due grossi sottogruppi relativi a banchine e piazzali, ricordando sempre che, in ogni caso, le operazioni relative ad essi sono in continuo ed inscindibile rapporto.

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5.2

Le banchine

Nel terminal di Gioia Tauro le banchine hanno una lunghezza di 3011 metri, costruite in senso parallelo alla costa, quasi perfettamente rettilinee (ricordiamo che, inoltre, è previsto un loro ampliamento di 350 metri).

Le banchine sono divise in 122 bitte (colonnini in acciaio utilizzati per legarvi i cavi di ormeggio delle navi) distanziate tra loro di 24 metri. Le bitte operative partono dalla numero 21 perché le prime 20 interessano la zona degli attracchi Ro-Ro.

Considerando poi che la profondità del canale varia tra 13,5 e 15,5 metri, possiamo notare che nel terminal sono consentiti 5/6 attracchi per navi madri e 5/6 attracchi per feeder (oltre a 2 per navi Ro-Ro che però non influiscono sulla capacità del porto).

Nel terminal sono presenti anche due telecamere, una all’imbocco ed una in un tratto del canale, per monitorare quello che succede ed evitare che ci siano problemi di ingorghi tra le navi che entrano ed escono. Questo può accadere a causa della larghezza ridotta del canale (circa 200 metri) che garantisce protezione da vento e mare grosso, ma non consente di avere affiancate tre navi contemporaneamente (una che entra, una che esce, una ormeggiata). Anche se abbiamo tre navi di dimensioni tali da poter essere affiancate, non bisogna dimenticare che c’è sempre un margine di sicurezza per le manovre dei rimorchiatori, pari a 1,5 volte la larghezza della nave. Per questo motivo la precedenza viene data sempre alla nave che lascia il terminal.

In genere, la capacità della banchina è utilizzata al 60-70%, perché proprio per le manovre, non è possibile, appena una nave è pronta a partire, sostituirla istantaneamente con un’altra (passano circa tre ore tra il disormeggio di una e l’ormeggio e l’inizio lavori di un’altra).

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Dalla bitta numero 85 fino alla 122 (per un totale di più di 800 metri) le banchine di Gioia Tauro, ed 8 Gantry Cranes, sono riservate alla compagnia di navigazione Maersk, che detiene il 10% delle azioni del terminal. Questo fa sì che in quegli spazi non possano attraccare altre navi che dovranno quindi essere assegnate alla parte restante degli attracchi, rischiando di restare in attesa in rada. Se queste navi sono feeder, attracca prima chi prima arriva, se sono madri, bisogna guardare il contratto, gli accordi, la mole di lavoro che comporta associata alla situazione contingente nel terminal.

Dell’assegnazione degli attracchi si occupa, come detto, l’ufficio Berth

Planning, che giornalmente fornisce a tutti i diretti interessati (Capitaneria

di Porto, piloti, ormeggiatori, dogana, Guardia di Finanza…) un Programma degli Ormeggi. In questo si riporta il nome delle navi, la data e l’ora di arrivo, l’intervallo di bitte tra le quali deve essere ormeggiata ognuna di esse ed il lato di ormeggio.

L’arrivo di una nave nel porto di Gioia Tauro non avviene in maniera aleatoria ma è determinato dall’E.T.A. (Extimated Time of Arrivals), che è appunto l’orario previsto di arrivo della nave nel terminal.

La pianificazione degli accosti assume una importanza fondamentale, in quanto questa influisce in modo pesante sulla gestione di un terminal. Alcuni dei vantaggi offerti da una pianificazione accosti, supportata da un sistema informatico, sono:

- Controllo, durante la pianificazione, del pescaggio delle navi;

- Controllo che non ci siano degli ormeggi in zone non idonee;

- Controllo di tutta la situazione degli accosti per più giorni

contemporaneamente;

- Pianificazione visiva di tutti i mezzi utilizzati per le operazioni di

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Il processo di programmazione si svolge attraverso tre fasi:

I. Programmazione a lungo termine: in questa fase la linea dovrà fornire

al terminal, con cadenza mensile, il “Long term schedule” che comprende le seguenti informazioni: nome del servizio/linea, nome della nave, nºdi viaggio, porti di imbarco/sbarco, data prevista di ormeggio. Queste informazioni vengono inserite manualmente nel sistema di gestione degli accosti in modo da avere, anche visivamente, una previsione mensile di tutti gli accosti;

II. Programmazione settimanale: è il “Short term schedule”, che fornisce

anche l’ETA (arrivo previsto) ed i movimenti di container (in/out) previsti (fig.5.1).

III. Programmazione giornaliera: la linea dovrà fornire al terminal, 24 ore

prima dell’arrivo della nave, il “Final ETA”che comprende: nome del servizio/linea, nome della nave, nºdi viaggio, porti di imbarco/sbarco, ETA/ETB, movimenti di container (in/out) effettivi, nome, nº di viaggio e nº di container (in/out) delle navi di connessione.

Queste informazioni sono necessarie per determinare l’orario e l’accosto in relazioni ad eventuali variazioni. In seguito, il responsabile accosti, riporta la previsione di ormeggio in maniera grafica, in modo da avere un riscontro visivo con la banchina e le altre navi già operanti. Questo consente di prenotare l’area di ormeggio e di programmare l’assegnazione di gru e mezzi di movimentazione.

L’E.T.A. è comunicato dalla nave al terminal con un anticipo di almeno 7/8 giorni e viene aggiornato in tempo reale fino al giorno che precede l’arrivo effettivo, nel quale si comunica anche l’orario preciso. L’eventuale ritardo può dipendere ovviamente dalle condizioni atmosferiche (vento, mare mosso, …) ma anche dall’efficienza del porto da cui la nave proviene.

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In ogni modo, sulla base delle informazioni che giungono nel terminal con l’E.T.A., viene preparata la banchina destinata ad accogliere la nave. La posizione di una nave sulla banchina (se non appartiene ad una compagnia con banchina dedicata) viene programmata in base alle dimensioni e al pescaggio della stessa (la banchina non è uniforme), alle precedenze tra gli arrivi ma anche alla distanza (che deve essere minima) tra la nave ed i parchi in cui si trovano i container che deve imbarcare.

Il Berth Allocation definisce inoltre il numero di “mani di lavoro”sulla base del “Bay Plan” che è una rappresentazione grafica del piano di stivaggio della nave, con riportati i dati identificativi di ogni contenitore. Al Bay Plan è associato il “Letter Plan” che rappresenta informazioni sulla destinazione del container, esplicitata appunto con una lettera codificata.

La “Mano di lavoro” è un termine che deriva dalla tradizione portuale e indica il team di lavoro necessario per ogni gru che si adopera su una nave. Questo team è composto da:

- Gru e relativo gruista;

- Deckman: operatore che ha il compito di coordinare da bordo nave il

lavoro del gruista, della squadra di Rizzatori e del Checker Vessel durante le operazioni di imbarco/sbarco, al fine che l’intero processo si svolga secondo le direttive degli Uffici Operativi, nel rispetto delle norme di sicurezza ed in collaborazione con l’Ufficiale di Bordo addetto al Carico. Rileva eventuali variazioni nella sequenza di sbarco derivanti da stivaggio errato nel porto di provenienza ed esegue un controllo sommario sullo stato del container;

- Rizzatori: eseguono tecniche di bloccaggio e sbloccaggio dei

contenitori sulla base dei piani di lavoro forniti dal Deckman, utilizzando l’attrezzatura specifica a disposizione;

- Checker Vessel: ha il compito, stazionando al di sotto della gru di

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sottobordo avvenga nei tempi e modi previsti dai piani di sbarco/imbarco. Deve inoltre eseguire un’ispezione tecnica visiva dei contenitori, controllando e digitando su un sistema informativo il numero del contenitore, comunicando eventuali danni, assenza di sigillo, di etichetta di pericolosità merci e/o assenza di etichetta di omologazione;

- Mezzi operativi addetti al trasporto container da/per l’area di piazzale.

Al Piano degli Ormeggi è affiancato un Programma di Lavoro giornaliero sempre sulla base degli accosti settimanali. La figura 4.1 mostra la schermata del computer che è come un diagramma cartesiano che riporta in ascisse le bitte (cioè la schematizzazione della lunghezza delle banchine) e in ordinate i turni di lavoro. Ogni giorno è diviso in quattro turni (01/07, 07/13, 13/19, 19/01) all’interno dei quali si cerca di non utilizzare più di 16 gru, a causa della loro manutenzione. L’ufficio manutenzione comunica giorno per giorno il piano di manutenzione ordinaria e di forza. Se è ordinaria e la gru in questione è comunque necessaria (per motivi di traffico intenso o perché si trova in mezzo ad altre due operative su una stessa nave), viene utilizzata ugualmente, rimandando la manutenzione.

Nel diagramma si riportano dei rettangoli che rappresentano le navi che attraccheranno: all’interno di questi si trovano, infatti, il nome ed il numero di movimentazioni della nave. La dimensione di questi rettangoli parallela all’asse delle bitte indica la lunghezza della nave e ci permette di leggere l’intervallo assegnato tra le bitte in cui dovrà essere attraccata. La dimensione parallela all’asse dei turni, indica invece il tempo di sosta della nave nel porto per effettuare le operazioni di carico e scarico. Non bisogna dimenticare che l’ufficio Berth riceve, infatti, anche tutte le informazioni sul numero totale di container da imbarcare e sbarcare per assegnare la nave all’attracco.

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All’interno di questi rettangoli si assegnano, per ogni turno in cui la nave è attraccata, il numero di gru che lavoreranno la nave, sempre osservando la situazione contingente del terminal e facendo in modo che il numero totale di gru utilizzate contemporaneamente non superi 16. Può accadere così, anche se sarebbe da evitare, che, per tutto un turno, una nave sia ormeggiata ma non abbia alcuna gru che lavora su di essa, con conseguenti perdite di tempo e danni economici.

Una delle caratteristiche più importanti che influenzano la posizione della nave sulla banchina è costituita dalla distanza dai parchi in cui sono stati stoccati i container ad essa destinati. Bisogna cercare di collocare la nave in una posizione che consenta il minimo trasferimento spaziale dei container (questo, ovviamente, dipende anche dal tipo di attrezzatura di movimentazione scelto). La situazione ottimale è quella in cui una nave attracca proprio di fronte ai propri parchi.

In genere, una nave A che scala sempre lo stesso terminal, ha in esso una posizione quasi prestabilita (in funzione del pescaggio e delle dimensioni) ed è in base a questa che si sa già dove preparare i suoi container. Può accadere, però, che la nave B che la precede subisca dei ritardi, occupando ancora l’attracco quando la A arriva al terminal.

Per garantire puntualità al cliente, nel rispetto dell’orario previsto per l’attracco, la nave viene spostata rispetto alle bitte previste; attracca ma lontano dai blocchi in cui erano stati posizionati preventivamente i propri container. Questo garantisce che non ci sia ritardo nell’attracco e probabilmente nemmeno per le operazioni (basterà utilizzare uno straddle carrier in più), ma può causare problemi di movimentazione perché gli straddle carrier devono compiere più distanza, con conseguenti spese maggiori per il terminal (in termini di personale, carburante, usura del mezzo,…).

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Nei terminal di transhipment come Gioia Tauro l’attracco di una nave può essere deciso anche sulla base del numero di container che deve “scambiare” con un’altra nave. Così, se la nave madre e la feeder sono ormeggiate contemporaneamente, si può evitare, in teoria, lo stoccaggio dei container che si scambiano tra loro le due navi.

A questo punto le braccia delle gru di banchina, che erano alzate per non ostacolare la nave nelle operazioni di attracco, si abbassano ed inizia il procedimento di carico/scarico sulla base dello “Ship Planning” che pianifica le attività di imbarco/sbarco delle navi. Tramite un contatto diretto e continuo con la linea di navigazione ed il comando nave (garantendo sicurezza, efficienza e rispetto dei tempi e delle modalità operative concordate con il cliente) lo Ship Planner fornisce come risultato finale la produzione di un piano di sbarco (Bay Plan Import) dove sono indicate le posizioni a bordo e le prosecuzioni dei contenitori che sbarcano a Gioia Tauro, ed un piano di imbarco (Bay Plan Export) dove è indicata la posizione a bordo per ogni container che imbarca a Gioia Tauro.

Si decidono inoltre, sulla base della produttività delle gru e sul numero di container da movimentare, le gru necessarie, il numero di movimenti che devono fare e le stive che devono lavorare.

Lo Ship Planner fornisce un Profilo Nave, in cui vengono indicate, graficamente, le procedure di imbarco/sbarco delle bay (coperta e stiva). Va sottolineato che la zona della nave più pesante è quella in cui si trova la cabina di pilotaggio, così si scaricherà partendo da lì e andando nel verso opposto e, al contrario, si caricherà per ultima quella parte.

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fig.5.2 Profilo della nave, con indicato il numero di contenitori di carico/scarico per ogni stiva.

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Una gru in genere ha più di una stiva su cui lavorare e, in base a questo, si decide il modus operandi.

Per esempio, supponendo di avere due stive da 20’, A e B, da caricare, le operazioni possono essere eseguite in diversi modi:

A3 B3

A2 B2

A1 B1

1) Carica tutta la A e poi la B;

2) Carica in ordine A1, B1, A2, B2, A3, B3;

3) Carica in ordine A1, B1, B2, A2, A3, B3

Se poi bisogna caricare la A e scaricare la B:

1) Carica A1, A2, A3 e scarica B3, B2, B1;

2) Carica A1 e tornando per prendere A2 scarica B3

In quest’ultimo caso si ottimizza l’operazione perché la gru evita di fare viaggi a vuoto.

Al termine delle operazioni, quando la nave è pronta per salpare, tutta la documentazione relativa allo stivaggio viene inviata dal terminal di Gioia Tauro al prossimo porto che scalerà la nave, così che lì si conoscerà la situazione di partenza per le attività che competono quel terminal.

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5.3

Il piazzale

La superficie del piazzale del terminal di Gioia Tauro si estende parallela alla banchina, con una profondità di circa 350 metri, per un totale di 1200000 metri quadrati. A questa andrà poi aggiunta un'ulteriore area di espansione (i cui lavori sono già iniziati) che comprende una fascia di altri 100 metri, in aggiunta ai 350 esistenti, parallela alla banchina (per un totale di 458000 m²) ed un’area laterale profonda 350 m e larga 350 m, corrispondenti all’espansione della banchina (per un totale di 110000 m²). L’area di stoccaggio container è data dall’area totale, depurata da tutti gli spazi necessari per svolgere ogni tipo di operazioni, come: uffici dell’amministrazione, dogana, area manutenzione mezzi, area container danneggiati, area lavaggio container, gate, area ispezioni, area adiacente le banchine. L’area di stoccaggio complessiva, per Gioia Tauro, è di circa 800000 metri quadri. Per capire meglio la struttura e la suddivisione del piazzale, è utile osservare la figura 5.7.

Prima di procedere ad una descrizione dettagliata del parco operativo, è utile riportare le definizioni di alcuni termini utilizzati sempre in questo ambito. Slot: posizione di un singolo contenitore;

Tiri: altezza di sovrapposizione di più contenitori; Row: riga composta da più slot;

Blocchi: gruppi di row;

Moduli: gruppi di tre blocchi A, B, C con le stesse numerazioni; Aree: insieme di più moduli o blocchi con diverse numerazioni;

Cataste: blocchi di contenitori posizionati con mezzi di sollevamento frontale.

L’area di stoccaggio è divisa in blocchi, denominati con lettere maiuscole: i blocchi A sono posti in prossimità delle banchine (a 36 metri dal mare per

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non ostacolare la circolazione dei mezzi) e distano dai blocchi B retrostanti di 24 metri, sempre per agevolare la circolazione senza congestione.

I blocchi A, B e C sono destinati a container pieni, i blocchi D ai vuoti (si chiamano anche cataste perché i container vengono impilati con mezzi di sollevamento frontale, raggiungendo il 4ºtiro). I blocchi C e D sono tracciati sovrapposti sulla stessa area, andando così ad assumere la definizione di aree polivalenti, che verranno spiegate meglio in seguito.

I blocchi A e B sono numerati da 1 a 16, numerazione crescente dalle aree verso San Ferdinando a quelle verso Gioia Tauro.

Per comprendere la superficie media di questi blocchi, consideriamo, ad esempio il blocco A11 (vedi figura 5.7); dalla rappresentazione del parco operativo si nota che ha 32 rows e 17 slots.

Dato che una row è larga 2,5 metri, più 20 cm (10 per parte) laterali di tracciatura, e considerato che tra una row e l’altra vi sono 1,5 metri per il passaggio degli straddle carrier, il blocco A11 è largo:

2,5 x 32 = 80 metri, rows senza tracciatura; 0,2 x 33 = 6,6 metri, tracciatura;

1,5 x 31 = 46,5 metri, interdistanza tra row totale 133,1 metri.

Per quanto riguarda la profondità, basterà moltiplicare la lunghezza di un container da 20’ per il numero di slots, cioè: 20 x 0,3 x 17 = 102 metri circa. Entrambi i blocchi A e B hanno 32 rows (tranne in corrispondenza del corridoio centrale in cui si allargano) ed un numero di slots, per ogni row, che va da 12-14 per i B a 17-18 per gli A.

In questi parchi i container sono disposti con il lato minore parallelo alla banchina e raggiungono un massimo di tre tiri (di solito due) a causa della scelta dei mezzi, come vedremo meglio in seguito.

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fig. 5.3 Corridoio tra i blocchi B e C

Allontanandoci ancora dalla banchina di altri 24 metri, troviamo i parchi C e D che costituiscono un’area “bivalente”. Per spiegare il significato di questo termine, prendiamo in esame la figura seguente, in cui riportiamo un esempio:

fig.5.4

Nella figura, le linee blu rappresentano i posti per i container relativi al blocco C (destinato ai container pieni che attendono di proseguire il loro viaggio), le verdi al blocco D (destinato ai container vuoti). Notare che le row del parco C sono distanziate tra loro di circa 1,5 metri, per consentire l’accesso agli straddle carrier; questo spazio non è necessario per i D perché,

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essendo destinati ai vuoti, sono lavorati con mezzi differenti, tipo fork lift, che non richiedono spazio laterale.

Lo spazio necessario per i due parchi è analogo; disponendo quindi i container con i principi della figura, possiamo ottenere un’area che, a parità di superficie, può essere impiegata per stoccare container pieni o vuoti.

Se guardiamo in terra nei parchi A o B, troveremo delle strisce gialle che indicano ogni singolo posto per un container; i parchi C e D sono, invece, rappresentati da strisce bianche (per i D) e gialle (per i C) “sovrapposte”, come nella figura seguente, in cui si notano blocchi C con il lato minore parallelo alla banchina, e blocchi D con il lato maggiore parallelo alla banchina:

fig.5.5 Area bivalente

Il vantaggio di queste aree bivalenti consiste nell’evitare di avere zone sotto utilizzate o congestionate perché, secondo il bisogno, posso convertire i blocchi, utilizzando il C se devo stoccare pieni, il D se ho un esubero di vuoti.

Ovviamente, per i blocchi D e per tutte le aree riservate ai vuoti (laterali ai parchi 16) si raggiunge anche il 4º tiro, utilizzando così mezzi diversi per l’impilaggio. Ricordiamo che in questi blocchi, la prima e l’ultima row

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lavorano al 3º tiro, per problemi di accessibilità ai container retrostanti e per motivi di sicurezza.

Nell’area dedicata ai parchi C e D, troviamo dei parchi senza lettera identificativa: questi sono i parchi per i contenitori reefer, cioè frigoriferi, che contengono merci deperibili (alimenti, fiori, ecc..) e quindi hanno bisogno di prese a terra per l’alimentazione elettrica.

Il totale di TEUs disponibili è di 55618, divisi tra le varie tipologie di container:

- 30505 TEUs per pieni (considerando il 2º tiro);

- 2306 TEUs per reefer (calcolati con occupazione al 100%);

- 22807 TEUs per vuoti (considerando il 4º tiro, escluse la prima e

l’ultima row).

Il corridoio centrale supera i 30 metri in larghezza: questo per consentire il passaggio dei Multitrailer e per garantire il pronto intervento dei Vigili del Fuoco in caso di emergenza. Nelle rows che si affacciano sul corridoio centrale vengono, infatti, posizionati i container di merce pericolosa (serie IMO) di cui si è parlato in precedenza.

Osservando la figura si notano anche tre vasche di raccolta (identificate con la sigla CL): queste servono per container danneggiati che perdono liquidi che potrebbero essere inquinanti.

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fig.5.6 Row laterale con merce pericolosa.

Le zone contrassegnate con la sigla IC Tr sono riservate ai camion esterni che lì attendono di caricare o scaricare i container. Da qui, poi, gli Straddle Carrier provvederanno a spostarli nelle aree destinate.

Infine, in fondo al piazzale, dietro i parchi C e D, troviamo l’area “problem”, così definita perché in essa si trovano contenitori fuori sagoma o merci break bulk (sciolte). Di quest’area si occupano in genere squadre specializzate, con l’ausilio di Fork Lift.

Figura

fig. 5.3 Corridoio tra i blocchi B e C

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