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Descrizione di un propulsore ad effetto Hall

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Academic year: 2021

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2 2 2

TEORIA DEL FUNZIONAMENTO DI UN MOTORE AD EFFETTO HALL

2.1 Richiami sul comportamento dei plasmi

Per comprendere le complesse dinamiche del plasma in un motore ad effetto Hall, è necessario dapprima analizzare il comportamento di una particella in presenza di campi elettrici e magnetici [5,8]. Trascurando gli effetti relativistici, il moto di una particella di carica q, avente velocità u , in una regione caratterizzata dalla presenza di un campo elettrico di intensità E e di un campo magnetico di intensità B, rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, è governato dall’equazione di Lorentz:

 = q ∙  + ∧ . 

dove: F è la forza esercitata sulla particella.

In seguito verranno analizzati casi semplici relativi a campi uniformi.

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Moto di una particella in un campo elettrico uniforme: B = 0

Il caso più semplice da analizzare è quello relativo ad una particella soggetta al solo campo elettrico uniforme di intensità E. Dalla 2.1, per B = 0 si ottiene l’equazione del moto:

m ∙d

dt = q ∙  . 

dalla quale per integrazione, si ricavano le seguenti espressioni della velocità e dello spostamento:

 = 

 ∙  ∙  +  . 

  = 

2 ∙  ∙ +  ∙  +  . 

dove:  è la velocità iniziale della particella;

 è la posizione iniziale della particella;

In assenza di urti, pertanto, dalla 2.2 si evince che la particella accelera, in direzione parallela al campo elettrico con verso dipendente dalla polarità della carica.

Moto di una particella in un campo magnetico uniforme: E = 0

Come nel paragrafo precedente, dalla 2.1 si ricava l’equazione del moto:

 ∙d

dt =  ∙ ∧ . 

Il campo magnetico, in tal caso non compie lavoro sulla particella essendo ortogonale alla risultante delle forze agenti sulla particella.

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Scomponendo la velocità in due componenti, l’una parallela, l’altra perpendicolare al campo magnetico, si ottiene:

d

dt +d "

dt = 

 ∙ ∧ + "∧  . #

Essendo nullo il primo membro a destra, risulta che:

d dt = 0

d "

dt = 

 ∙ "∧  . %

Dalla prima delle 2.7 si evince che la componente della velocità in direzione parallela al campo magnetico rimane costante nel tempo, con essa anche l’energia cinetica della particella, e quindi │u│ in virtù del fatto che il campo magnetico non compie lavoro.

Si prenda un sistema di riferimento inerziale con asse Z nella direzione del campo magnetico e si supponga che la componente di velocità parallela a B sia inizialmente nulla.

Il moto della particella, che avviene nel piano X-Y, è governato dalle seguenti equazioni:

d &

dt = 

 ∙ | | ∙ ( d (

dt = − 

 ∙ | | ∙ & . *

le cui soluzioni sono:

& = "+cos /t + α (= ∓ "+sin /t + α . 4

dove: α è l’angolo di fase il quale dipende solo dalle condizioni iniziali;

/ è la frequenza del moto detta frequenza di ciclotrone o frequenza di Larmour.

Il segno della 2.9.2 dipende dalla carica della particella e vale il meno se la particella è di carica positiva, il più in caso contrario.

La frequenza del moto è, dalla 2.8:

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36 5 =|q|

m ∙ . +

Si tratta, pertanto, di un moto circolare a velocità angolare costante, il cui raggio detto raggio di Larmour o raggio di ciclotrone può essere determinato dalla seguente relazione:

67 = "

. 

Dalla 2.10 risulta chiaro che gli ioni ciclano più lentamente in virtù della loro massa maggiore.

Qualora si ammetta una ∥+ ≠ +, si ottiene che la particella è soggetta ad un moto elicoidale , derivante dalla somma di un moto circolare e di un moto traslatorio, avente velocità assiale pari proprio a ∥+.

Possiamo integrare le 2.9 ancora una volta ottenendo le equazioni relative alla traiettoria della particella:

& − &+ = 67∙ 9:; /

( − (< ± 67∙ >?9 / . 

Con & − &++ ( − (<= 67 . 

&+, (< : sono costanti di integrazioni e sono le coordinate della posizione iniziale della particella.

In un sistema di riferimento in moto con velocità ∥+,l’orbita è un cerchio di raggio e centro guida in (&+, (<) come mostrato in fig.2.1.

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Fig. 2.1 Moto di ioni ed elettroni in una regione con campo magnetico uniforme rispetto un riferimento in moto con velocità A∥+. Gli ioni ciclano in senso antiorario, gli elettroni in senso orario. Le particelle cariche seguono le linee di forza a patto che non vi siano campi elettrici e che il campo magnetico sia omogeneo.

Le particelle spiraleggianti costituiscono delle vere e proprie spire di corrente che generano a loro volta la propria induzione magnetica. Da semplici considerazioni e attraverso semplici passaggi analitici si può dimostrare che il plasma è diamagnetico, ovvero tutti i flussi associati alle particelle si sommano per ridurre il campo magnetico ambientale B.

La variazione totale di B è proporzionale all’energia cinetica totale associata al moto delle particelle cariche perpendicolare al campo, maggiore quindi sarà l’energia termica del plasma, maggiore sarà la diminuzione del campo magnetico. In sintesi, il comportamento diamagnetico delle particelle del plasma, fa si che quando si consideri l’effetto complessivo sull’intero volume di plasma, tale diamagnetismo dà luogo ad una corrente netta fluente nel plasma definita corrente diamagnetica.

Dato l’elevato numero di collisioni in un plasma che disturbano il moto della singola particella, è utile introdurre un parametro estremamente significativo quale il parametro di Hall, β, pari al rapporto tra la frequenza propria del moto e la frequenza di collisione νc:

B = ω

νE . 

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Il parametro di Hall rappresenta una misura del numero di cicli che la particella è in grado di compiere durante il periodo medio di assenza di collisioni.

Tale parametro, pertanto, evidenzia l’importanza degli effetti magnetici in un plasma.

Quando la frequenza di collisione è elevata il plasma non risente significativamente del campo magnetico, quando, invece, è bassa, ci si aspetta che il fluido derivi come conseguenza delle derive dei centri guida delle singole particelle.

Moto di una particella in campi uniformi: E≠0, B≠0

Si analizza ora il caso generico in cui la particella si muove in una regione in cui sono presenti un campo elettrico e un campo magnetico entrambi uniformi.

Scomponendo sia il campo elettrico che la velocità nelle direzioni parallela e perpendicolare al campo magnetico, si ottiene:

d

dt +d "

dt = 

 ∙ + "+ ∧ + " .  

Si ottiene pertanto:

d

dt = 

 ∙  d "

dt = 

 ∙ "+ " . #

Preso un sistema di coordinate tale che B sia nella direzione Z, il moto nel piano X-Y è governato dalle seguenti equazioni:

du&

dt = 

 ∙ GE&+ u(∙ BJ du(

dt = 

 ∙ GE(− u&∙ BJ . %

La soluzione del sistema differenziale (2.17) è la seguente:

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u& = u"+cos ωt + α +EK

B u(= ±u"+sin ωt + α −EL

B . *

dove il segno meno è per particelle di carica positiva, il segno + per particelle di carica negativa.

Rispetto alle equazioni relative alla presenza del solo campo magnetico, in tal caso compaiono termini aggiuntivi rappresentanti la velocità di deriva.

Un’ espressione vettoriale di quest’ultima può essere ottenuta dalla seguente relazione derivante dalla conservazione dell’energia nel piano X-Y:

 +  ∧ M" = 0 . 4

Moltiplicando vettorialmente la 2.19 per B e prendendo la componente X-Y dell’espressione così ottenuta, si ricava la seguente espressione della velocità di deriva:

N = ∧ M

O . +

La velocità di deriva è indipendente dalla massa e dalla carica della specie.

Complessivamente la particella presenta un moto cicloidale nel piano X-Y al quale si somma un moto accelerato nella direzione del campo magnetico; ovvero, la velocità si compone di tre parti:

 = PQR + S+ T . 

In cui: PQR è la velocità nella direzione di B

S è la velocità di deriva del centro guida dell’orbita di Larmour.

T è la velocità relativa al moto di Larmour precedentemente descritta.

Quando " è uguale a zero, l’orbita intorno a B è circolare, quando E è finito l’orbita è cicloidale.

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40 Tale moto è rappresentato in fig.2.2

Fig.2. 2 Moto generico di una particella in presenza di E e B uniformi.

Per una maggior comprensione, si consideri il caso di campo elettrico e campo magnetico perpendicolari e si analizzi il moto di una particella carica positivamente.

La particella, nella prima metà dell’orbita guadagna energia dal campo elettrico, la sua A"aumenta e con essa anche il raggio di Larmour 67 come si evince dalla 2.11.

Quando la particella, invece, entra nella seconda metà della traiettoria, la velocità ed il raggio di Larmour si riducono.

La differenza tra i due raggi di Larmour determina la velocità di deriva US.

Le stesse considerazioni possono esser fatte per una particella carica negativamente come illustrato in fig.2.3.

Ne consegue che la velocità di deriva è sempre nella stessa direzione indipendentemente dalla polarizzazione della carica.

Come risultato, considerando particelle di ugual carica, quelle più leggere avranno un raggio di Larmour più piccolo, deriveranno meno per ciclo ma avranno una frequenza di Larmour,ω, più elevata.

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Fig. 2. 3 Velocità di deriva e raggio di Larmour per particelle di carica negativa e positiva.

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2.2

Descrizione di un propulsore ad effetto Hall

I propulsori ad effetto Hall basano il loro principio di funzionamento sull’accelerazione di un fluido di lavoro, opportunamente ionizzato, per effetto della mutua azione derivante dalla sovrapposizione di un campo magnetico e di un campo elettrico tra loro ortogonali e diretti rispettivamente radialmente e lungo l’asse del propulsore.

Un motore ad effetto Hall ha, in genere, una geometria assialsimmetrica (fig.2.4), il gas generalmente utilizzato è lo Xenon in virtù delle sue caratteristiche di elevata massa atomica e basso potenziale di ionizzazione, ma anche altri gas nobili quali l’Argon e il Kripton possono essere utilizzati.

Il campo magnetico viene generato da un circuito magnetico costituito da bobine percorse da corrente e da elementi ferromagnetici al fine di indirizzare le linee di campo nella zona di introduzione del propellente; il campo elettrico viene inizialmente generato da una differenza di potenziale mantenuta tra un elettrodo negativo esterno al motore (catodo) e un elettrodo positivo interno al motore (anodo).

Quest’ultimo di solito in metallo (titanio o acciaio) funge anche da iniettore del propellente, per tale motivo, al fine di garantire un ingresso del gas in camera a pressione e densità uniformi, è provvisto di una sorta di labirinto interno.

Una corrente elettronica emessa dal catodo, fluisce sotto l’effetto del campo elettrico applicato, in direzione pressochè assiale verso l’anodo.

Gli elettroni, penetrando all’interno del motore, risentono del campo magnetico radiale e, come visto nei paragrafi precedenti, si muovono con una velocità di ciclotrone e con una velocità di deriva che sarà, data la simmetria del problema, azimutale.

Dato che il raggio di ciclotrone elettronico è molto piccolo, a causa dell’esigua massa delle particelle, gli elettroni rimangono intrappolati nella zona di massima intensità del campo magnetico. In altri termini, il moto degli elettroni verso l’anodo viene pressoché annullato e si crea per effetto Hall una corrente elettronica azimutale all’interno del motore.

Tale corrente formatasi costituita da un’elevata densità di elettroni ad elevata energia consente la ionizzazione del propellente mediante urto degli elettroni con gli atomi neutri del fluido di lavoro. La distribuzione degli elettroni produce un effetto di carica spaziale negativa, una sorta di catodo virtuale, il quale genera una differenza di potenziale con l’anodo consentendo l’accelerazione degli ioni prodotti; questi ultimi, infatti, si

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muoveranno verso gli elettroni per ristabilire la condizione di quasi neutralità. Per tale motivo i motori ad effetto Hall sono di solito definiti come motori a ioni senza griglia nonostante le notevoli differenze con questi ultimi. Come nei motori a ioni, la velocità di espulsione degli ioni è proporzionale alla radice quadrata del potenziale di scarica,Vd, secondo l’equazione:

PV = W2XVYN

V . 

dove Z è lo stato di ionizzazione della particella.

Gli ioni, a differenza degli elettroni, non risentono dell’azione del campo magnetico in quanto la loro elevata massa atomica determina un raggio di ciclotrone maggiore delle dimensioni caratteristiche del canale. Come risultato, gli ioni percorrono traiettorie pressoché rettilinee dirette prevalentemente lungo l’asse del motore. Gli ioni accelerati fuori dal motore, verranno neutralizzati da altrettanti elettroni sempre prodotti dal catodo il quale, pertanto, ha la duplice funzione di sostenere la scarica e neutralizzare il fascio ionico.

Fig. 2.4 Schema di funzionamento di un HET.

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Gli elettroni creati dalla ionizzazione del propellente contribuiscono ad alimentare la corrente azimutale e quindi a mantenere il funzionamento del motore, essi si muoveranno lentamente verso l’anodo. Una volta raccolti dall’anodo questi elettroni vengono di nuovo forniti al catodo esterno attraverso un opportuno generatore di tensione ed emessi in modo da mantenere la neutralità macroscopica del satellite e del plasma prodotto dal motore.

I vantaggi offerti da questa categoria di propulsori possono essere riassunti nei punti seguenti:

• efficacia del processo di ionizzazione del propellente in quanto prodotto direttamente dalla corrente di scarica, senza la necessità di introdurre elementi di ionizzazione il che ridurrebbe il rendimento del propulsore;

• quasi neutralità del plasma all’interno del propulsore il quale nonostante utilizzi un processo accelerativo elettrostatico, a differenza degli altri motori elettrostatici, non presenta limiti di carica spaziale;

• gli elevati livelli di potenza disponibili a bordo dei satelliti e gli elevati rendimenti di spinta di tali motori (50-60%), consentono di ottenere impulsi specifici dell’ordine di 1500-2000 secondi. Ciò fa si che l’utilizzo di tali motori sia vantaggioso quando sia richiesta la propulsione elettrica;

• assenza di fenomeni di erosione degli elettrodi non essendo questi ultimi immersi nel plasma.

Tali vantaggi della propulsione ad effetto Hall rispetto a quella elettrotermica, elettrostatica classica e magnetoplasmadinamica, unitamente alla maturità delle tecnologie di costruzione di tali motori, pongono i motori ad effetto Hall in una posizione privilegiata per le future applicazioni spaziali.

Per una miglior comprensione del funzionamento dei propulsori ad effetto Hall, nei paragrafi seguenti verranno trattati alcuni fenomeni caratteristici quali:

− Influenza del campo magnetico

− Processo di ionizzazione del propellente

− Processo diffusivo

− Interazioni plasma pareti

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45

Seguiranno le definizioni dei diversi rendimenti di un propulsori ad effetto Hall ed una rassegna dei principali criteri di scalatura.

2.3

Influenza del campo magnetico

2.3.1 Aspetti introduttivi

Il campo magnetico è uno dei più importanti parametri intorno a cui dimensionare il propulsore [9,10]. Infatti, bisogna garantire che il raggio di Larmour che è inversamente proporzionale al campo magnetico, deve essere per gli elettroni più piccolo della larghezza della camera di accelerazione per evitare che questi collidano con le pareti, ma sufficientemente grande per gli ioni al fine di rendere le loro traiettorie pressoché rettilinee.

Le relazioni che devono essere soddisfatte sono le seguenti:

67Z[Z\\]^_Z ≪ a

67V^_Z ≫ a . 

dove b è la larghezza del canale di accelerazione.

Pertanto, data la geometria del canale di accelerazione, è possibile stabilire l’intensità del campo magnetico che soddisfa le 2.23.

Approssimando la velocità A"degli elettroni con la velocità termica media:

>c = WZ 8efgZ

hZ" . 

dove: ef è la costante di Boltzmann;

Zè la massa elettronica;

gZ è la temperatura elettronica.

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Dall’espressione 2.11 si evince che il raggio di Larmour dipende unicamente dalla temperatura gZ e dall’intensità di B:

67 ∝ WgZ

O .  

Pertanto, l’equazione 2.231 può essere soddisfatta in un ampio intervallo di temperature elettroniche con piccole variazioni del campo magnetico.

Occorre, però, a tal proposito, tener presente che la temperatura elettronica richiesta deve essere superiore ad un valore limite determinato dal processo di ionizzazione per collisione tra un elettrone e un neutro.

Per soddisfare, invece, la condizione relativa al raggio di Larmour per gli ioni, ovvero la 2.232, è importante tener conto della massa del gas.

A tal proposito l’elevata massa atomica dello Xenon (131 a.m.u.) rende quest’ultimo preferibile rispetto ad altri gas quali Argon (40 a.m.u) e Kripton(84 a.m.u), in quanto una massa atomica elevata consente di verificare la condizione 2.232 con maggiore facilità.

Altra condizione da rispettare è che il raggio di Larmour degli elettroni deve essere più piccolo della lunghezza di ionizzazione Li, 67Z[Z\\]^_Z < lV.

Assumendo che i neutri raggiungano la regione di ionizzazione con velocità uao, affinchè la maggioranza dei neutri sia ionizzata nella lunghezza caratteristica del processo di ionizzazione la frequenza di collisione deve essere grande e quindi le condizioni da rispettare sono: 67Z[Z\\]^_Z m m uνa0

en . #

I primi motori ad effetto Hall erano stati costruiti in maniera tale da avere un campo magnetico radiale nel canale il più possibile uniforme nel tentativo di limitare il più possibile la corrente di scarica all’anodo. All’epoca tale approccio, basato sui principi fondamentali di funzionamento dei motori ad effetto Hall, sembrava corretto.

I primi HET russi, pertanto, non presentavano schermi magnetici interni e avevano un basso valore del gradiente assiale del campo magnetico indotto radiale lungo il raggio medio del canale, unito a bassi valori della componente assiale di flusso specifico.

Fu però presto chiaro che tale configurazione risultava instabile ed inefficiente.

Gli effetti della struttura del campo magnetico sono stati esaminati sperimentalmente, per la prima volta, da Morozov il quale dimostrò come la variazione del gradiente assiale della componente radiale del campo magnetico indotto ∇qO] influenza il funzionamento

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dei motori ad effetto Hall. Nella fattispecie, Morozov analizzò variazioni di ∇qO] al raggio medio lungo il canale di accelerazione, considerando tre casi:

1. ∇qO] > 0 in tal caso il campo magnetico cresce dall’anodo fino alla sezione di massimo posta nelle vicinanze dell’uscita della camera di accelerazione;

2. ∇qO] ≅ 0 il campo magnetico è pressoché costante lungo il canale;

3. ∇qO] < 0 il campo magnetico decresce dall’anodo fino all’uscita del canale;

I risultati ottenuti nei tre casi sono stati i seguenti: nel primo caso il rapporto tra la corrente ionica e quella elettronica è pari a circa il 90%; nel secondo caso tale rapporto scende a valori del 60%; nell’ultimo caso si arriva a valori minori o al più pari al 50%.

Il problema fu anche affrontato da un punto di vista teorico e si mostrò che un plasma che passa attraverso una zona a gradiente negativo è instabile. In tal caso infatti subentrano delle fluttuazioni di densità degli elettroni, conosciute come onde magnetofoniche di deriva, causate dall’attrito tra le varie parti della nuvola elettronica, le quali si muovono con velocità angolari diverse. Alla luce di quanto dimostrato, è importante che lungo il canale di accelerazione il gradiente del campo magnetico sia positivo per massimizzare le prestazioni del propulsore, il valore massimo del campo magnetico deve essere, pertanto, vicino al piano d’uscita del propulsore.

Morozov fu il primo a comprendere l’importanza della topografia del campo magnetico nel focalizzare la traiettoria degli ioni. Si scoprì che una topografia del campo magnetico simmetrica rispetto all’asse del canale ha effetti positivi sulle prestazioni del propulsore.

Quando, infatti, ∇qO] è positivo e quando le linee di flusso magnetico sono simmetriche rispetto l’asse del canale, la concavità di tali linee è rivolta verso la base del motore.

Dato che le linee di flusso magnetico, sotto certe ipotesi, approssimano quelle di campo elettrico, sono in grado di influenzare la traiettoria degli ioni; una configurazione di tal tipo è denominata ‘Plasma Lens’. Tuttavia la simmetria delle linee di campo non è la sola a consentire una focalizzazione adeguata del fascio ionico, il valore di ∇qO] è importante sotto quest’ottica. Vi sono studi che mostrano come il valore di ∇qO] ha effetto sulla topografia del campo magnetico, in particolare è stato trovato un valore ottimale di ∇qO] che minimizza la divergenza del ‘plume’.

La prima generazione di motori ad effetto Hall presentava un circuito magnetico che non provvedeva a dare il dovuto valore ∇qO] lungo l’asse del canale, ciò si traduceva in

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un’elevata velocità radiale degli ioni e quindi in un’elevata divergenza del ‘plume’, in un’elevata erosione delle pareti della camera d’accelerazione e in bassi rendimenti del propulsore. A partire dal 1992 nel realizzare gli HET si introdussero schermi magnetici al fine di aumentare ∇qO] lungo l’asse del canale d’accelerazione e quindi di creare una zona di campo magnetico quasi nullo in prossimità dell’anodo di distribuzione.

La topografia del campo magnetico nella camera d’accelerazione è infatti determinata dalla riluttanza tra i poli magnetici e gli schermi magnetici. I poli magnetici determinano la zona di traferro in cui la maggior parte del flusso è applicato, mentre gli schermi magnetici sono responsabili della topografia nel canale in quanto essi stessi conducono una parte di flusso.

Affinchè questi siano in grado di aumentare il gradiente assiale di campo magnetico radiale lungo il canale, devono essere dimensionati e posizionati in modo da abbassare l’intensità del campo magnetico verso l’anodo.

In seguito, negli HET furono introdotte bobine interne per controllare con maggior efficacia il valore di ∇qO] nella camera d’accelerazione. In tal modo i motori, mostranti una buona correlazione tra linee di campo magnetico e linee equipotenziali, presentavano una migliore capacità di focalizzare il fascio ionico con conseguente diminuzione del tasso d’usura della camera d’accelerazione.

2.3.2 Requisiti del campo magnetico indotto

Alla luce dei numerosi studi sopracitati, il campo magnetico indotto in un HET deve soddisfare i seguenti requisiti:

• Intensità massima del campo magnetico radiale nella zona compresa nell’intraferro in corrispondenza della sezione d’uscita del canale d’accelerazione, con picco alle pareti maggiore rispetto al valore a raggio medio. Così facendo, in tale sezione viene aumentata la resistività della corrente elettronica per effetto di un forte campo magnetico radiale che forza gli elettroni ad eseguire un moto cicloidale.

Il parametro di Hall è elevato, la componente azimutale della corrente è molto più elevata di quella assiale cosicchè il moto degli elettroni in tale zona del canale può essere descritto solo dal moto cicloidale con deriva. I picchi alle pareti sono necessari

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per accrescere l’isolamento magnetico della parete dal plasma. Infatti, la posizione del plasma è influenzata dalla pressione P e dal termine di pressione magnetica t

u

vw

,

pertanto, creare un minimo del campo magnetico radiale nella zona di traferro consente di localizzare la posizione del plasma in tale zona.

• Gradiente assiale del campo magnetico radiale positivo all’interno della camera d’accelerazione: ∇qO] > 0.

Ciò è necessario per evitare fenomeni complessi d’instabilità come precedentemente spiegato, i quali comporterebbero un aumento dell’erosione delle pareti della camera di accelerazione con conseguente perdita in termini di rendimento.

• Basso rapporto tra componente assiale e radiale del flusso magnetico specie in prossimità della camera di distribuzione: tx

ty≪ 1.

Difatti la componente assiale tende a guidare gli elettroni verso l’anodo aumentando la corrente di scarica senza però aumentare la corrente ionica che genera la spinta, il che diminuisce il rendimento del propulsore.

• Curvatura delle linee di campo esterne al motore tale da limitare la divergenza del fascio ionico, nella soluzione di ottimo esse devono essere tali da focalizzare la traiettoria degli ioni lungo l’asse del canale. La curvatura di tali linee formano, in un’analisi di primo ordine, delle superfici equipotenziali per il campo elettrostatico accelerante.

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Fig. 2.5 Andamento qualitativo del campo magnetico nel canale d’accelerazione di un HET.

2.4 Ionizzazione

2.4.1 Aspetti introduttivi

Col termine ionizzazione si vuole sintetizzare una serie di processi molto complessi ed articolati che hanno l’effetto macroscopico di produrre uno o più ioni in seguito ad una collisione tra un atomo neutro ed un elettrone. L’energia necessaria alla ionizzazione del propellente ha origine da processi collisionali anelastici sufficientemente energetici da strappare gli elettroni dalla zona più esterna della banda di valenza.

Quando tale condizione non viene verificata l’atomo viene solamente eccitato.

Il processo che prendiamo in esame in tale trattazione è quello di prima ionizzazione:

X + :{ ↔ X}+ 2:{

Il numero di ioni prodotti al secondo nell’unità di volume, valutato nello spazio delle velocità relative, all’interno di una sfera di raggio infinitesimo è:

~V^_Z  = ;€∙ ;Z∙  ∙ V  ∙ ‚ . %

dove: ;€ è la densità dei neutri, ;Z la densità degli elettroni, g è la velocità relativa di collisione e V  la sezione d’urto per collisione neutro-elettrone.

(19)

51

Ovviamente per ottenere la velocità di ionizzazione globale sarà necessario integrare su tutte le possibili velocità di collisione relative g.

In fig.2.6 si riporta l’andamento delle sezioni d’urto relative allo Xenon per collisioni neutro-elettrone al variare dell’energia degli elettroni che impattano con l’atomo. Si vede che per atomi singolarmente ionizzati la sezione d’urto cresce da un valore zero per valori di energia di circa 12 eV, fino a un valore massimo in corrispondenza di valori di energia prossimi ai 50 eV. Una descrizione dettagliata dei processi collisionali nei gas parzialmente ionizzati e delle relative cross section è riportata in appendice.

Per trovare la dipendenza della velocità di ionizzazione dalla temperatura elettronica si trascura la velocità dei neutri e si risolve l’integrale seguente:

V^_ € Z V

ƒ

„…†‡ Z Z ˆ Z Z

Fig. 2.6 Cross section per lo Xeno in funzione dell’energia elettronica.

Dove: P‰V_ è la velocità corrispondente all’energia minima di ionizzazione del propellente;

ˆ ŠZ è la funzione di distribuzione della velocità elettronica, la quale in condizioni di equilibrio termico può essere considerata di tipo Maxwelliano.

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Per valori di temperatura elettronica tipici dei motori ad effetto Hall, si ottiene che una buona approssimazione del rateo di ionizzazione è la seguente:

~V^_ ∽ ;€∙ ;Z∙ gZ

Π2.29

Dalla 2.29 si evince che quando la densità dei neutri decresce, si può compensare o diminuire la conseguente diminuzione del rateo di ionizzazione incrementando la temperatura elettronica.

2.4.2 Lunghezza caratteristica del processo di ionizzazione

Se parte del propellente non viene ionizzato, questo non contribuisce alla generazione di spinta nel propulsore. Affinchè quest’ultimo funzioni in modo efficiente è quindi necessario che gli elettroni ionizzino il maggior numero di neutri possibile; per far ciò è necessario ridurre il cammino libero medio degli elettroni Ž‰che rappresenta la distanza percorsa dall’elettrone senza urto dopo la quale con buona probabilità esso colliderà con uno ione o con un neutro. Ai fini di una più completa comprensione del processo di ionizzazione del propellente, consideriamo nell’ipotesi di stazionarietà l’equazione di continuità per i neutri, la cui velocità nel canale può essere considerata costante:

P€∙‚;€

‚ = −~V^_+2

a Γ‘’ = −n ∙ n“∙ ”σ‘v“— +2

a Γ‘’ 2.30

L’ultimo termine a secondo membro rappresenta la porzione di ioni che si ricombinano alle pareti e sono emessi come neutri, con n si indica la densità del plasma, b è l’altezza della camera d’accelerazione, Γ‘’ il flusso di ioni alle pareti.

Considerando un profilo di temperatura caratteristico di un HET, si ottiene che in corrispondenza dell’anodo per bassi valori di temperatura i due effetti contrastanti sulla densità dei neutri tendono a compensarsi rendendo la densità dei neutri pressoché costante nella prima parte del canale d’accelerazione.

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53

Solo dove la temperatura elettronica diviene elevata la ionizzazione è dominante rispetto all’altro termine comportando una rapida diminuzione della densità de neutri ed un conseguente aumento della densità del plasma.

Fig. 2.7 Peso relativo dei fenomeni di ionizzazione e ricombinazione in un range di temperatura tipico dei HET.

Lontano dall’anodo, dove la temperatura raggiunge valori significativi, il processo di ionizzazione prende il sopravvento, pertanto, è lecito trascurare il termine di ricombinazione nella 2.29:

P€N_™ = −~V^_ 2.31

Considerando la definizione del flusso di particelle Γ› = n›u›q si ottiene dalla 2.30:

‚Γ›

Γ› =−”VPZ—;

P€š ‚ 2.32

Integrando la precedente si ottiene il flusso di neutri lungo l’asse:

Γ› z = Γ›∙ exp Ÿ  q {”¡¤†¥¦¢£—_§dξ 2.33

Introducendo Li, scala di lunghezza per il processo di ionizzazione, pari a:

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54 L‘ = u›q

”VŠZ—; ~cost 2.34

la 2.31 può scriversi in modo semplificato:

Γ›q = Γ›exp{q¬‘ 2.35

E’ chiaro che affinchè il processo di ionizzazione risulti efficace, L‘ deve essere una piccola frazione della lunghezza della camera di accelerazione:

ŽV = lV

l ≪ 1 2.36

Applicando la 2.29, dalla 2.33 si ottiene una relazione molto importante che lega la lunghezza di ionizzazione ad altri parametri di funzionamento di un motore ad effetto Hall:

ŽV ~ P€š

;lgZ

Π2.37

2.4.3 Costo energetico della ionizzazione

L’insieme degli urti anelastici cui è soggetto il flusso di propellente uscente dall’anodo, produce non solo le ionizzazioni singole e multiple dello stesso propellente, ma anche fenomeni di eccitazione elettronica. Quegli elettroni che in conseguenza di urti sono spinti verso livelli energetici più elevati, quando decadono al livello di partenza, emettono una radiazione luminosa nel campo del visibile; tale fenomeno è alla base della particolare luminescenza del plasma.

(23)

55

Per tener in debito conto tutti i fenomeni collegati alla ionizzazione, si può considerare un multiplo dell’energia di prima ionizzazione del propellente EI:

°V^_ = 2: 3E² 2.38

La perdita di potenza legata quindi alla ionizzazione del propellente è:

³V^_ =´µ°V^_

µ 2.39

dove ¶µè la massa atomica del propellente.

2.5 Diffusione

2.5.1 Il processo di diffusione ed il suo effetto sulla conduttività in un propulsore ad effetto Hall

Dopo aver analizzato il moto delle singole particelle in presenza di campi uniformi, ora si analizza il comportamento collettivo di un plasma in presenza di un campo magnetico ed un campo elettrico mutuamente ortogonali [5].

L’equazione fluida di moto in direzione perpendicolare a B per gli elettroni e per gli ioni singolarmente ionizzati, nell’ipotesi di plasma isotermo, è la seguente:

;‚"

‚ = ;  + "∧ M − k¸T∇n + P 2.40

Dove P= - mn" è il rateo di cambio della quantità di moto dovuto alle collisioni con le altre particelle e il campo elettrico E è contenuto nel piano ortogonale a B.

(24)

56

Assumendo condizioni stazionarie e i gradienti di velocità trascurabili, ovvero trascurando il primo membro dell’equazione si ottiene, scomponendo nelle componenti x e y:

; u» = qnEL− k¸T ¼

; u½ = qnEK− k¸T ¾ 2.41

Le quali divengono:

¿ ¿ À

_ Á_

Á¿

ÂÃ Ä Å

K K E

L 2.42

Dove con D e μ si indicano rispettivamente i coefficienti di diffusione e mobilità per un plasma debolmente ionizzato e pari a:

|È|

ÉÊ ; ËÌ

‰Ä (i segni + e – nelle equazioni valgono rispettivamente per ioni ed elettroni). Disaccoppiando le equazioni precedenti sostituendo per P¿ e risolvendo per uK

o viceversa:

P¿ 1 + /ÍÎ = ±Ï°¿−Ð

; /ÍΰÅ

O ∓ /ÍÎk¸g

O 1

;

¿ Í 

Å À

_ Á_

ÁÅ Í  ÑÒ

t Í kbÌ

Ôt Õ _

Á_

Á¿ 2.43

In cui Î =ÕÄ è il tempo di collisione. I due termini finali delle equazioni sono rispettivamente proporzionali alla deriva dei centri guida uE =E/B, e alla deriva diamagnetica uD = ËÌ

Ôt Õ _Ö;

Ö .

Semplifichiamo l’espressione introducendo i coefficienti di mobilità e diffusione perpendicolari alla direzione del campo magnetico B:

(25)

57 Ï" = Ï

1 + /×Î 2.44

Ð"= Ð

1 + /×Î 2.45

Si noti che mentre i coefficienti di diffusione e mobilità in direzione parallela al campo magnetico rimangono inalterati rispetto alla situazione che si avrebbe con la sola presenza del campo elettrico, quelli perpendicolari al campo B presentano un termine addizionale.

Pertanto l’espressione della velocità di flusso delle specie perpendicolarmente al campo è la seguente:

" " "Ø__ }

Õ}ÜÃuÛu 2.46

Si noti come in definitiva, le derive uE uD , perpendicolari a ÝÞ : ݳ siano rallentate dalle collisioni coi neutri, le derive di mobilità e di diffusione parallele a ÝÞ : ݳ siano ridotte del fattore 1 + /×Î ovvero 1+B dove B è il parametro di Hall introdotto in precedenza.

La situazione in un plasma debolmente ionizzato può riassumersi nel modo seguente:

in direzione parallela al campo B: Ð~ß (le collisioni in tal caso ritardano il moto);

in direzione ortogonale al campo B: Ð~ß (le collisioni in tal caso non solo non rappresentano un ostacolo per il moto delle particelle ma anzi rappresentano un fattore essenziale affinchè il loro moto abbia luogo).

In assenza di collisioni B → ∞ mobilità e diffusioni ortogonali sono nulle e i fenomeni di trasporto sono associati solo alle derive dei centri guida uE uD.

Se B ≫ 1, i coefficienti di diffusione e mobilità ortogonali divengono:

Ï" = Ï

B ; Ð" = Ð

B 2.47

In tal caso il trasporto in direzione ortogonale a B è proporzionale al quadrato della frequenza di collisione. Aumentando il valore del campo magnetico il raggio di Larmour decresce e i fenomeni di trasporto sono ostacolati. Viceversa nel caso di B ≪ 1 il campo magnetico ha un effetto debole sul trasporto.

(26)

58

Riprendendo l’equazione 2.39 del moto per le singole specie con le ipotesi di plasma debolmente ionizzato, con derivata convettiva nulla e in condizioni stazionarie, trascurando i gradienti di pressione, l’equazione del moto può essere elaborata nel modo seguente:

ã =   +  ∧ M 2.48

Dove ã = nq è la densità di corrente di specie e ne2è la conduttività lungo B.

Quando ß → 0 allora  → ∞ ovvero  +  ∧ M = + , si riottiene l’usuale deriva  ∧ M.

Se ui differisce da ue per effetto di un maggior frenamento collisionale del moto degli ioni rispetto a quello degli elettroni, allora i due fluidi non si muovono più assieme, la

 diviene finita e si avrà un flusso netto di corrente risultante:

ã" = qn ä"− å" 2.49

perpendicolare sia ad  che a M diretta in senso opposto ad  ∧ M e nota come corrente di Hall.

La relazione tra corrente e campo elettrico in forma tensoriale diviene la seguente:

æç¿ çÅ

çš

è = 

é êê ë

ß

ß + /× −ß/×

ß+ /× 0 ß/×

ß + /× ß

ß+ /× 0

0 0 1ì

íí î∙ æ°¿

°Å

°š

è 2.50

Il tensore di conduttività è così definito:

ï = ð" ñ 0

ñ " 0

0 0 

ò

Con: " conduttività perpendicolare;  conduttività longitudinale; ñ conduttività di Hall.

Riscrivendo la 2.50 in coordinate cilindriche si evince che al fine di garantire un buon confinamento del plasma bisogna ridurre il più possibile la conduttività ortogonale e quindi limitare la diffusione ortogonale attraverso un intenso campo magnetico.

(27)

59

A basse frequenze, / ≪ /×V, il plasma si comporta come un unico fluido conduttore con un dato valore di densità ó ed un dato valore di conduttività .

Adottando le seguenti semplificazioni:

• me/mi→ +: gli elettroni, a basse frequenze hanno solo il ruolo di schermare, i loro effetti inerziali sono trascurabili;

• ne~ôõ: quasi neutralità, si possono pertanto trascurare le correnti di spostamento nelle equazioni di Maxwell;

• termine convettivo nelle equazioni trascurabile essendo quadratico in u ed avendo assunto la u piccola;

e combinando le equazioni fluide per gli ioni e gli elettroni si ottiene un sistema di equazioni descrivente un flusso singolo:

óÖ

Ö = ã ∧ M − Ýö 2.51

 +  ∧ M = ÷ã + 1

qn ã ∧ M − øpù 2.52

In cui si è posto:

÷ = ZßZV

;:

L’intero sistema di equazioni a singolo fluido risulta composto oltre che dalle due equazioni derivanti da quella di moto, dall’equazione di continuità della massa, dall’equazione di continuità della carica e dalle equazioni di Maxwell.

Assumendo, ora di essere in condizioni stazionarie le equazioni di moto a singolo fluido divengono:

Ýp = ã ∧ M

 +  ∧ M = ÷ã

 = ֋ 2.53

La componente perpendicolare del flusso diffusivo risulta:

" = ∧ M O −÷"

OÝú 2.54

in cui il primo termine rappresenta la velocità collettiva del plasma ed il secondo termine la velocità del plasma come singolo fluido sotto l’azione di un gradiente di pressione.

Il flusso associato con la diffusione è:

(28)

60

Γ" = nu" = −÷"; agZ+ agV

O Ý; 2.55

Quanto riportato sopra, ricorda la legge di Fick:

Γ" = nu" = −Ð"Ý;

con un coefficiente di diffusione per il plasma magnetizzato pienamente ionizzato pari a:

Ð"= ÷"∑ ;üýgü

O 2.56

In analogia col caso di plasma debolmente ionizzato il coefficiente di diffusione scala come 1/O implicando un cammino casuale con passo rL.

Tuttavia ci sono delle importanti differenze rispetto al caso debolmente ionizzato:

• in tal caso Ð" non è una costante ma è proporzionale ad n;

• poiché ÷ ∼ g{u, la diffusione decresce quando la temperatura sale, l’opposto di quanto accadeva per gas debolmente ionizzati.

Il modello classico finora visto, porta ad una dipendenza della diffusività dall’inverso del quadrato del campo magnetico. Gli esperimenti invece suggeriscono che la diffusione scali in realtà come 1/B anziché come 1/O. Il coefficiente di diffusione introdotto da Bohm e determinato per via empirica corrisponde a:

t ̣

Zt "t _Zu

Ì£ t _Z

t 2.57

Si ritiene che tale eccesso di diffusione sia causato da fenomeni di instabilità e derive convettive come spiegato nel paragrafo seguente.

In base a tale nuova caratterizzazione del coefficiente di diffusione, il rapporto tra corrente di Hall e corrente ortogonale è:

çñ

ç" = /×Z

/×Z = 1

 2.58

Al parametro , Bohm attribuisce il valore di 1/16, pertanto il valore della corrente di Hall è di gran lunga maggiore rispetto al valore della corrente ortogonale e il loro

(29)

61

rapporto, caratteristica fondamentale dei propulsori ad effetto Hall, è strettamente legato alla fisica dei fenomeni diffusivi.

2.5.2 Diffusività di Bohm

In questo paragrafo, si analizza il processo fisico alla base del fenomeno della diffusione di Bohm.

La causa principale di tale diffusione anomala si può ricercare nelle onde di deriva il cui potenziale innesco è legato esclusivamente alla presenza di un gradiente di densità ortogonale al campo magnetico. La conoscenza della fisica di questa particolare categoria di onde risulta molto importante per la comprensione del funzionamento di numerosi dispositivi al plasma.

Per l’analisi delle onde di deriva si consideri inizialmente una perturbazione della densità del plasma di tipo oscillatorio e si analizza la conseguente evoluzione qualitativa delle altre grandezze. Si consideri quindi un campo magnetico ed un gradiente di densità. Si assuma che si genera una perturbazione di densità del plasma avente la seguente forma:

; ¾, ¼,  = ;:VGÅ}xš{Â\J 2.59

Gli elettroni reagiscono a tale perturbazione di densità muovendosi lungo il campo magnetico e stabilendo un equilibrio termico. Gli elettroni, però, escono dalla zona di densità maggiore molto più velocemente degli ioni a causa della loro maggiore mobilità rispetto questi ultimi.

Pertanto, nelle regioni dense si crea un accumulo di ioni, nelle regioni rarefatte di elettroni, ovvero si determina una distribuzione di potenziale che regola i flussi di elettroni nelle varie zone, del tipo:

_

_

£Þ 1

£ ZÞ 1

Ì£ 2.60

Il legame tra perturbazione e densità espresso nella 2.60 è stato trovato supponendo che la funzione di distribuzione sia di tipo Maxwelliano e mediante le ipotesi di

(30)

62

perturbazione di potenziale, in termini energetici, di piccola ampiezza rispetto alla temperatura elettronica e di velocità iniziale del plasma nulla.

Fig. 2.8 Condizione di potenziale innesco delle onde di deriva.

Riassumendo, una perturbazione di densità genera una perturbazione di potenziale esattamente in fase con la prima. Associato alla perturbazione di potenziale si ha una perturbazione di campo elettrico che influenza il moto delle particelle in direzione dell’asse y:

ÅÕ Õ Å Z 2.61

Poiché le oscillazioni di deriva sono di bassa frequenza il campo elettrico associato alla distribuzione può essere considerato di tipo elettrostatico.

La combinazione di tale campo elettrico con il campo magnetico genera una deriva delle particelle dovuta all’effetto E x B avente tale espressione:

(31)

63

ŠÀÕÅ

O = −1 OÖÞ Õ

Ö¼ = −m eÅgZ

:;O ; 2.62

Come si può vedere dalla 2.62 la velocità di deriva in direzione y è sfasata di

 rispetto alla perturbazione di densità. Tale velocità di deriva porta in una metà della regione densa particelle cariche provenienti da regioni più dense e nell’altra metà particelle provenienti da regioni meno dense. Ciò porta alla formazione di un’onda progressiva che si propaga ortogonalmente a ŠÀ ovvero in direzione y. Il rateo di variazione in ogni punto della densità associata alla deriva si può scrivere attraverso l’equazione di continuità linearizzata:

Ö;Ö = −ŠÀÖ;

Ö¾ = −meÅgZ

:O ∙;

;Ö;

Ö¾ 2.63

Dalla (2.62) si vede che la perturbazione ; oscilla nel tempo con la frequenza

À Ì£

Z_t Á_

Á¿ 2.64

denominata frequenza di deriva. In definitiva la velocità di deriva essendo sfasata rispetto alla perturbazione di densità, consente a quest’ultima di propagare in direzione y portando fluido di differente densità rispetto ad un osservatore fisso.

Si può scrivere la velocità di fase y dell’onda, ovvero la velocità di fase di propagazione della perturbazione lungo y come:

Š =/À eÅ = gZ

:;O 2.65

Quindi nonostante il moto del fluido avvenga lungo x, la propagazione della perturbazione avviene in direzione y alla velocità di fase indicata nella (2.64) funzione del gradiente di densità in direzione x.

Pertanto, in un’onda di deriva le particelle non si muovono con la perturbazione, la loro velocità di deriva è ortogonale alla velocità di fase. Per tutte le particelle il campo dell’onda progressiva risulta un campo variabile col tempo. Un campo variabile nel

(32)

64

tempo genera una deriva inerziale la cui velocità è proporzionale alla deriva del campo ed alla massa delle particelle:

À V_Z]šV€[Z ‰

Ztu

N\ 2.66

Tale deriva dipendendo dalla massa delle particelle, è trascurabile per gli elettroni.

Fig. 2.9 Schema di generazione della deriva inerziale.

La deriva inerziale degli ioni, tenendo conto del gradiente di densità, porta un’ulteriore variazione di potenziale Þ , sfasato di

 rispetto Þ Õ. Il potenziale Þ  genera un ulteriore campo elettrostatico E2 che provoca una deriva addizionale lungo x la cui velocità ŠÀ

varia in fase con la perturbazione di densità. Quindi in tal caso, nelle regioni dense la deriva è diretta contro il gradiente di densità, nelle regioni rarefatte segue il gradiente come si evince in fig.2.10.

(33)

65

Fig. 2.10 Schema di riferimento per la comprensione delle onde di deriva.

La densità, quindi, nelle zone rarefatte diminuisce, nelle zone dense cresce. Tale meccanismo se non viene compensato da processi dissipativi porta alla crescita nel tempo dell’onda di deriva. Il plasma è quindi instabile rispetto all’eccitazione di quest’onda.

Diamo ora una stima grossolana del coefficiente di diffusione anomala di particelle cariche che accompagna lo sviluppo delle instabilità di deriva. Si rappresentino velocità e densità come somma delle quantità imperturbate e delle perturbazioni:

;Z = ;V = ;+ ;Õ , 

 = +  , 

Dove: ; = ; ¾; N_N¿w .

Le quantità perturbate si considerano sotto forma di onde che si propagano perpendicolarmente al gradiente di densità imperturbata:

(34)

66

; ,  = ~: ;Õ  ∙ :Õ VGÅ}xš{Â\J

 ,  = ~:  ∙ :VGÅ}xš{Â\J 2.67

Tenendo presente che: ”;՗ = 0, ”P՗ = 0 si ottiene che:

Γ = ”nÕu— = 1

B ”nÕE— 2.68

Nel campo sinusoidale di un’onda di deriva stazionaria E è sfasato rispetto alla perturbazione di densità nÕ di 90 ̊ ; corrispondentemente il flusso medio è nullo.

Pertanto, in presenza di un campo sinusoidale, la velocità di deriva cambia periodicamente di segno e il flusso medio è nullo. Tuttavia se si tiene conto, nel tempo, dell’aumento dell’ampiezza dell’onda, ogni periodo porta ad uno spostamento sempre maggiore delle particelle cariche e quindi alla comparsa di un flusso medio. Si stimi tale effetto:

nÕ = −εLdn

dx = −εLχn 2.69

Dove N

N\ ux1. Si ottiene:

Γ = ”nÕu— = −”εLεL´ —dn

dx =. γ”εL— dndx 2.70 

Quindi il coefficiente di diffusione che descrive il flusso in direzione opposta a quella del gradiente della densità imperturbata è:

Ð" = γ”εL— = γ χ”nÕ

n— 2.71

La grandezza γ”nÕ— che compare nella precedente deve essere sommata sui differenti modi corrispondenti ai differenti valori delle componenti del vettore d’onda.

Durante lo sviluppo della turbolenza, l’ampiezza d’oscillazione dei vari modi, può crescere al punto che la perturbazione del gradiente di densità diventa dello stesso ordine del gradiente iniziale. Ciò significa che per oscillazioni con un dato eÅ: eÅ;Õ ∼ ;.

(35)

67 Alla luce di ciò si ha:

Ð"= ∑ u”  !"

w§—

 ~ ∑u 2.72

Il contributo principale alle oscillazioni proviene dalle oscillazioni per le quali

#~/À~Zt£

raggiunge i valori massimi, il valore minimo di eÅ deve essere dello stesso ordine di  (cioè dell’ordine inverso della dimensione caratteristica).

Tenendo conto di questo si ottiene una stima per il coefficiente di diffusione nel caso in cui l’ampiezza dell’oscillazione è massima:

Ð"‰€¿ =gZ

:O 2.73

dove  = 1/16 è il coefficiente di diffusione anomala o di Bohm.

2.5.3 Lunghezza di diffusione

Nella scalatura del canale di un motore ad effetto Hall grande importanza ricopre la lunghezza di diffusione. Il canale, in un modello 1-D, può essere diviso in diverse zone come riportato nella figura seguente.

Fig. 2.11 Modello 1-D di un HET.

(36)

68

Si indichi con: L la lunghezza del canale di accelerazione;

r1, r2 rispettivamente raggio interno ed esterno;

n il flusso di neutri;

e il flusso di elettroni;

i il flusso di ioni.

Dal punto di vista operativo si possono individuare cinque differenti regioni nel canale:

AB è la zona di guaina all’anodo, BC la zona di preguaina, CD la zona di diffusione, DS la zona di ionizzazione, SE la zona di accelerazione. Nella regione di diffusione la ionizzazione è molto bassa a causa dei bassi valori della temperatura elettronica determinati dalla perdita di energia che gli elettroni hanno subito nella adiacente regione di ionizzazione, nel loro percorso verso l’anodo. Nella zona BC pertanto il flusso ionico è debole e di segno opposto rispetto al principale, la diffusione degli elettroni è determinata dal gradiente di pressione dato che in tale regione la caduta di potenziale è trascurabile. Considerando quindi in tale regione ∆Þ = 0 e la temperatura elettronica e la frequenza di collisione diffusiva ßN= ÂÄ£

£ quasi costanti, si può scrivere la pressione elettronica nel modo seguente:

úZ ¾ ≅ úZt+ 'Γ“

Ac' m“ßN¾ 2.74

In cui Γ“ è il flusso elettronico e Ac l’area della sezione del canale d’accelerazione.

La frequenza di collisione elettronica ßZ è in tale regione governata dalla diffusione di Bohm:

ßZ = t^)‰/Z 2.75

L’equazione della temperatura elettronica attorno al punto D, ovvero nella zona di transizione tra regione diffusiva e regione d ionizzazione, considerando che la variazione di temperatura sia causata, in prima approssimazione, dalla ionizzazione, è la seguente:

‚gZ

~V gZ ≅ −;_gZ+ V°V

gZ ZßN¾‚¾ 2.76

(V è il coefficiente medio che tiene conto delle perdite di energia per ionizzazione pari a 2*†;

~V gZ è la velocità di ionizzazione definita nella 2.29.

(37)

69

La soluzione approssimata della 2.76 considerando le zone AB e BC poco estese, è la seguente:

¾ = lÍÀ− 2gZŒ

gZ+ V°VVZßN;_~V gZ 2.77

In cui lÍÀ = £+u

†Ñ†u‰ Ì£+

£Ä,wĆ+ 2.78

Trascurando i termini costanti nella 2.78 si ottiene una stima della lunghezza della regione di diffusione in funzione dei parametri di funzionamento del motore:

lÍÀ = WgZ

Œ

;O 2.79

(38)

70

2.6 Interazioni plasma-pareti

2.6.1 Introduzione

Il fattore principale limitante il tempo di vita di un propulsore ad effetto Hall è rappresentato dall’erosione delle pareti del canale a seguito delle collisioni da parte degli ioni con esse [12-13-14].

In virtù dei sempre crescenti spazi applicativi degli HET in campo spaziale, la durata di vita che viene richiesta ai propulsori in alcune missioni può essere superiore alle 10000 ore, pertanto lo studio delle interazioni tra plasma e parete ricopre un ruolo fondamentale in fase progettuale. Si analizza ora cosa accada ad un plasma in prossimità di una parete.

Un gas parzialmente ionizzato ha la tendenza a rimanere sempre elettricamente neutro.

Ciò accade in quanto l’eventuale presenza di zone elettricamente cariche nel plasma, verrebbe ben presto contrastata dalla formazione di campi elettrici locali auto consistenti generati appunto dalla distribuzione di carica locale, tali campi vanno a ripristinare la condizione di quasineutralità. Fatta tale premessa, è da sottolineare che tali variazioni di carica possono avvenire in regioni di spazio della dimensione caratteristica detta lunghezza di Debye:

ŽÀ = Š\)

√2/µZ = .etgZ

;Z 

Õ

2.80

In cui: Š\) è la velocità termica della particella e /µZ è la frequenza elettronica del plasma; Te temperatura elettronica; ;Z è la densità elettronica; In sintesi, in base alla teoria cinetica, ogni carica libera nel plasma viene schermata entro una lunghezza di Debye. Nell’espressione di ŽÀ compare la temperatura degli elettroni, poiché questi, essendo più leggeri degli ioni, sono essi essenzialmente a muoversi per formare la schermatura creando un accumulo o deficit di carica negativa. Ciò permette di trattare il plasma come un insieme di elementi indipendenti che evolve sotto l’azione di una funzione di distribuzione che a sua volta evolve sotto l’azione delle forze locali e delle collisioni. Condizione richiesta per la quasi-neutralità è che ovviamente la dimensione

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