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Tali motori sfruttano tecnologie diverse al fine di ottenere una conversione dell’energia elettrica, fornita da opportuni apparati di generazione e conversione, in energia cinetica di un propellente.

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INTRODUZIONE

1.1. Cenni introduttivi

La propulsione elettrica affonda le proprie radici nei primi anni del novecento negli studi dell’americano Goddard e del russo Tsiolkovsky, si sviluppa nei laboratori delle due superpotenze mondiali nel dopoguerra e grazie all’utilizzo di satelliti ad alta potenza adesso ha trovato campo commerciale.

La qualità fondamentale dei propulsori elettrici è quella di avere un’elevata efficienza nell’utilizzo del propellente. La corrispondente diminuzione di propellente può essere sostituita dal carico pagante riducendo i costi della missione.

Tali motori sfruttano tecnologie diverse al fine di ottenere una conversione dell’energia elettrica, fornita da opportuni apparati di generazione e conversione, in energia cinetica di un propellente.

1.2. La propulsione elettrica

Storicamente i propulsori elettrici sono classificati nel seguente modo [1,2]:

• Propulsione elettrotermica: propulsore nel quale un propellente viene

riscaldato elettricamente e poi accelerato per mezzo di un ugello

(2)

• Propulsione elettrostatica: propulsore nel quale il propellente viene accelerato mediante l’applicazione diretta di forze elettrostatiche a particelle ionizzate

• Propulsione elettromagnetica: propulsore nel quale il propellente ionizzato viene accelerato dalle interazioni fra correnti elettriche che lo percorrono con campi magnetici interni (autoindotti) ed esterni (applicati)

Negli ultimi tempi la ricerca si è focalizzata sugli ultimi due tipi di propulsione perché i motori legati alla prima tipologia sono limitati dal tipo di processo accelerativo (gasdinamico).

1.2.1. I propulsori elettrotermici

I propulsori elettrotermici generano spinta prendendo energia di tipo elettrico e cedendola ad un fluido di lavoro che verrà poi espanso in un ugello. All’interno di questa categoria possiamo trovare varie classi di motori:

• Resistogetto (Figura1.1): il propellente viene riscaldato per effetto Joule da una resistenza immersa in esso o per contatto con le pareti

• Arcogetto (Figura1.2): il propellente viene riscaldato mediante un arco voltaico fatto scoccare all’interno dello stesso

• Sistemi a riscaldamento induttivo e radiativi: gli atomi del propellente vengono eccitati mediante radiazioni ad alta frequenza

A causa del processo accelerativo le prestazioni di questi propulsori possono essere desunte facilmente da considerazioni energetiche. Infatti adottando un modello unidimensionale, notiamo che un gas completamente espanso in un ugello potrà raggiungere al massimo una velocità di scarico pari a

e

2

p c

v

<

c T

(1.1)

dove

cp

è il calore specifico del fluido di lavoro e T

c

la temperatura in camera di

combustione.

(3)

La suddetta formula ci indica subito che per aumentare la velocità di scarico dovremmo o utilizzare un fluido di lavoro con un rapporto calore specifico-massa molecolare il più alto possibile oppure adottare soluzioni tecnologiche affinché si possa massimizzare la temperatura operativa della camera di combustione.

In base a queste considerazioni, a prima vista l’idrogeno potrebbe apparire il migliore fluido di lavoro, ma la sua difficoltà nell’immagazzinamento lo rende sfavorito rispetto all’idrazina o all’ammoniaca.

I propulsori elettrotermici hanno valori dell’impulso specifico compreso tra i 300 ed i 1000 secondi.

Figura 1.1:Sezione di un resistogetto ad idrazina [2]

(4)

Figura 1.2:Disegno e schema di un arcogetto da 1,5kW

1.2.2. I propulsori elettrostatici

Le limitazioni associate alla velocità di scarico e al tempo di vita della propulsione

elettrotermica possono essere aggirate se, come processo accelerativo, viene usata

una forza di massa esterna [1, 2].Concettualmente parlando, il sistema più semplice

(5)

per accelerare il fluido di lavoro è quello del motore a ioni, nel quale un flusso di ioni viene prima accelerato da un campo elettrico e poi neutralizzato. Gli elementi essenziali di tale motore sono raffigurati in Figura 1.3, dove un fascio di ioni atomici non collisionali , liberati da una sorgente, è accelerato da un campo elettrostatico stabilito fra la sorgente e la griglia permeabile. A valle della griglia si trova il neutralizzatore il quale cede gli elettroni in precedenza tolti al propellente neutralizzandolo. La velocità di scarico di tale motore è determinata dalla caduta di potenziale nella zona di accelerazione e dal rapporto carica-massa della specie ionica sfruttata.

2

e

v qV

=

M

(1.2)

Figura 1.3: Schema generale di un propulsore a ioni

Un rapido calcolo basato sul dimensioni ragionevoli degli elettrodi, su agevoli

voltaggi applicati e su rapporti carica-massa pratici, indica che le velocità di scarico

sono estremamente alte (superiori a 10

5

m/s). In realtà, a causa della penalizzazione

di massa del sistema di potenza questi sistemi tendono ad ottimizzare il loro

rendimento di spinta a velocità di scarico troppo elevate per le principali missioni

spaziali nelle vicinanze della terra e nelle missioni interplanetarie. Un altro grosso

inconveniente è legato alla bassa densità di spinta di questa classe di propulsori:

(6)

Per valori consueti dei parametri di riferimento la densità di spinta e la densità di potenza sono rispettivamente dell’ordine di pochi newton per metro quadro e di centinaia di kilowatt per metro quadro. L’aspetto positivo di questi motori sta nel fatto che il rendimento di spinta è essenzialmente limitato soltanto dal costo energetico necessario alla ionizzazione il quale è una piccola frazione della loro energia cinetica di scarico.

Nell’ambito della propulsione elettrostatica si fa riferimento, in particolare, a tre tipologie di propulsori:

• Propulsori ad emissione ad effetto di campo (FEEP) (Figura 1.4, Figura

1.5): piccole quantità di propellente liquido sono portate, per capillarità, verso

regioni dove un intenso campo elettrico strappa gli ioni, secondo un meccanismo detto dei coni di Taylor, e quindi li accelera fino ad ottenere un I

sp

di circa 6000-8000s

Figura 1.4: Schema di funzionamento di un propulsore FEEP

(7)

Figura 1.5:Propulsore FEEP assemblato (a sinistra) e durante lo sparo (a destra)

• Propulsori a bombardamento elettronico (Figura 1.6): si ottengono ioni positivi attraverso il bombardamento di un gas propellente, come Xeno o Mercurio, da parte di elettroni emessi per effetto termoionico da catodi incandescenti; tali ioni sono infine accelerati da un campo di forza elettrostatico. Si ottengono valori di I

sp

attorno a 3000-4500s.

Figura 1.6: Schema di un propulsore elettrostatico a bombardamento elettronico

(8)

• Propulsori a ioni a radiofrequenza (RIT) (Figura 1.7): gli ioni sono creati in una camera di scarica isolante, generalmente quarzo o alumina, attraverso l’eccitazione di elettroni liberi nel gas utilizzato come propellente, di solito un gas nobile pesante come Xenon o Kripton, a frequenze radio. La bobina di induzione circonda la camera di scarica, e non essendo necessari catodi in quest’ultima, il propulsore ha una vita maggiore di quelli a bombardamento elettronico. Questi tipi di propulsori hanno un’efficienza alta, dell’ordine del 60% con impulsi specifici di 3000-4000s.

Figura 1.7: Propulsori RIT-10

1.2.3. I propulsori elettromagnetici

Quest’ultima categoria si basa sull’interazione di una corrente elettrica, guidata attraverso un propellente conduttore, con un campo magnetico indotto o applicato dall’esterno, al fine di produrre una forza per accelerare la massa. Tali sistemi possono generare velocità di scarico considerevolmente più elevate dei sistemi elettrotermici e densità di spinta maggiori dei propulsori elettrostatici, ma sono, sia dal punto di vista dei fenomeni fisici, sia dal punto di vista della modellizzazione analitica più complessi e meno trattabili.

L’essenza dei propulsori elettromagnetici è rappresentata in Figura 1.8, dove un

fluido di lavoro elettricamente conduttivo e ionizzato è soggetto ad un campo

elettrico E e ad un campo magnetico B perpendicolari l’uno all’altro ed entrambi

perpendicolari alla velocità u del fluido. La densità di corrente j controllata dal

(9)

campo elettrico, interagisce con B generando una forza di massa lungo la corrente

f

= × che accelera il fluido lungo il canale. Il processo può essere

j B

alternativamente rappresentato dal punto di vista particellare in termini di traiettoria media degli elettroni portatori di corrente, i quali seguendo il campo elettrico, sono ruotati a valle dal campo magnetico, trasmettendo la loro quantità di moto alle particelle pesanti della corrente per collisione e/o attraverso microscopici campi polarizzati. E’ importante notare che in entrambe le rappresentazioni il fluido di lavoro sebbene altamente ionizzato, è microscopicamente neutro, quindi non ha vincoli dovuti a limitazioni della carica spaziale come accadeva nei propulsori elettrostatici.

Figura 1.8: Schema di un propulsore elettromagnetico a campi incrociati

A differenza dei sistemi elettrotermici ed elettrostatici, che offrono solo poche configurazioni, i propulsori elettromagnetici presentano una notevole quantità di versioni. I campi applicati e le correnti interne possono essere stazionari, pulsati o alternati sopra un intervallo di frequenze; il campo magnetico può essere applicato esternamente o indotto dalla corrente; si possono usare una grande varietà di propellenti, inoltre si può variare la geometria degli elettrodi, la forma del canale, i mezzi di iniezione, i sistemi di ionizzazione. Tra le varie soluzioni studiate emergono tre tipologie di propulsori:

• Propulsori magnetoplasmadinamici (MPD) (Figura 1.9, Figura 1.10): il

propellente fluisce nello spazio tra gli elettrodi e viene ionizzato dalla

(10)

scarica di corrente presente tra anodo e catodo; l’interazione tra la corrente che attraversa il fluido ed il campo magnetico autoindotto dalla corrente stessa produce una forza di massa che accelera il fluido fornendo la spinta.

Possono essere sia stazionari o pulsati. Il valore dell’impulso specifico raggiunge i 2000-3500s

Figura 1.9: Schema di funzionamento di un motore MPD

Figura 1.10:Schema di funzionamento di un motore MPD

(11)

• Propulsori MPD con campo magnetico applicato (Figura 1.11): si differenziano dai precedenti per una bobina esterna coassiale che introduce un campo magnetico esterno per aumentare la corrente di Hall azimutale ed aumentare la spinta.

Figura 1.11: Schema di funzionamento di un motore MPD con campo applicato

• Propulsori ad effetto Hall (HET) (Figura 1.12): il propellente viene

ionizzato da una forte corrente azimutale di elettroni generata

dall’interazione tra il campo magnetico radiale e quello elettrico

longitudinale. I valori dell’impulso specifico variano tra 1000-5000s. Vi

sono due modelli principali denominati SPT (Stationary Plasma Thruster)) e

TAL (Thruster with Anode Layer) le cui differenze sono riportate in Figura

1.13.

(12)

Figura 1.12: Schema di funzionamento di un motore ad effetto Hall

Figura 1.13: Differenze tra SPT (a sinistra) e TAL (a destra)

(13)

1.3. Storia e stato dello sviluppo dei motori ad effetto Hall

Lo studio dei motori ad effetto Hall comincia nei primi anni sessanta in maniera indipendente negli Stati Uniti e in Unione Sovietica. I primi dispositivi ufficiali sono statunitensi e risalgono a l962. Essi miravano a produrre un propulsore capace di operare in un intervallo di impulso specifico tra 5000-10000s, ma a causa dello sviluppo del motore a ioni e per problemi legati alla bassa efficienza nella produzione degli ioni, negli anni 70 gli esperimenti cessarono.

Al contrario nell’URSS l’attività di ricerca coinvolse due gruppi distinti. Il primo, guidato da A.I. Morozov, studiava un motore ad effetto Hall denominato SPT (Stationary Plasma Thruster) il quale aveva la particolarità di possedere una zona di accelerazione estesa. Il secondo gruppo, guidato da A.V. Ahzrinov studiava un motore con un canale di accelerazione corto denominato TAL (Thruster with

Anode Layer) [6].

Il primo prototipo di SPT a volare fu l’SPT-60 il 29 dicembre 1971 sul satellite Meteor e funzionò per circa 170 ore . Dopo questo molti altri motori di dimensioni diverse, SPT-50, SPT-70, SPT-100, hanno volato. Con la fine della guerra fredda questa tecnologia fu a disposizione anche dell’occidente che capì la potenzialità di questi propulsori.

Propulsori da 1,35kW sono stati usati per manovre di station-keeping su satellite GEO e sono stati considerati anche per station-keeping su costellazioni di satelliti per comunicazione in LEO. Infine un propulsore di tipo PPS-1350 è stato utilizzato, come sistema propulsivo principale, per il trasferimento Terra-Luna di SMART-1.

Dall’inizio degli anni ’90 ad oggi l’interesse per questo tipo di propulsori è rapidamente aumentato e lo sviluppo di tali motori rappresenta una parte importante di tutti i programmi spaziali delle aziende che si occupano di propulsione spaziale.

I propulsori ad effetto Hall studiati attualmente hanno potenze che variano da 0.1 fino a 100 kW con impulsi specifici variabili tra 1000 e 5000s.

Negli ultimi anni sono stati svolti numerosi studi che analizzano forme e concezioni del propulsore ad effetto Hall sensibilmente differenti da quella maggiormente studiata.

La richiesta di propulsori di bassa potenza per i cosiddetti microsatelliti ha portato

alla investigazione di propulsori lineari a deriva aperta [29, 32, 33]. Tali

(14)

propulsori non sono a simmetria cilindrica, ma hanno una geometria lineare. I vantaggi legati a questa classe di motori sono da imputarsi alla possibilità di scalare verso il basso la potenza di scarica in maniera migliore rispetto a quelli con simmetria assialsimmetrica, i quali sono limitati dalla presenza del magnete interno. Un altro vantaggio è legato al fatto di poter utilizzare materiale isolante con caratteristiche migliori rispetto al nitruro di boro ma che non può essere facilmente lavorato alle macchine utensili. Inoltre i motori lineari potrebbero avere il vantaggio legato alla possibilità di indirizzare la spinta attraverso la variazione delle condizioni del campo magnetico nella zona di accelerazione. Per questa tipologia di propulsori sono già stati testati prototipi con potenze di 50-100W, di 200W e di 2kW [29, 32, 33].

In Figura 1.14 e Figura 1.15 sono riportati gli schemi generali di funzionamento di tale propulsore, mentre in Figura 1.16 e Figura 1.17 sono riportati i propulsori testati rispettivamente in [29] ed in [32].

Figura 1.14: Schema generale di funzionamento del propulsore ad effetto Hall lineare [32]

(15)

Figura 1.15:Vista frontale del propulsore ad effetto Hall lineare [32]

Figura 1.16: Funzionamento di un HET lineare a deriva aperta [29]

(16)

Figura 1.17: Propulsore ad effetto Hall lineare da 2kW [33]

A causa delle elevate potenze a bordo dei grandi satelliti ed in prospettiva per il futuro sono stati analizzati anche sistemi propulsivi che adottino configurazioni con più di un motore.

1.4. Motivazioni del progetto

Negli ultimi anni i sistemi di propulsione elettrica ad alta potenza stanno

diventando rapidamente un’alternativa efficace ai propulsori di tipo chimico sia per

la missione di sollevamento orbitale, sia per le manovre di posizionamento finale

sull’orbita (NSSK, controllo d’assetto) di strutture di grandi dimensioni. Studi

recenti [5] hanno dimostrato che, nel caso di satelliti legati alle telecomunicazioni

di ultima generazione, il vantaggio in termini di carico pagante effettivo trasportato

in orbita a parità di prestazioni del lanciatore tra un sistema propulsivo chimico

tradizionale ed un sistema elettrico può raggiungere il 100%. La presenza di elevate

(17)

potenze elettriche per il funzionamento dei canali di comunicazione (trasponders) nei satelliti di telecomunicazione fa sì che si possano sviluppare propulsori in grado di utilizzare tali potenze durante le fasi di trasferimento.

Inoltre tali sistemi propulsivi sono essenziali per la realizzazione di alcune tra le future missioni scientifiche e tecnologiche promosse dall’ASI e dall’ESA, come missioni di esplorazione interplanetaria o di osservazione terrestre in orbita molto bassa.

Fino ad oggi lo studio è stato indirizzato, attraverso opportune scalature geometriche, alla progettazione di motori ad un singolo canale ad alta potenza oppure allo sviluppo di cluster di motori di dimensioni ridotte[27]. In quest ultimo caso si hanno vantaggi considerevoli nell’ambito del risparmio di ingombri e quindi di massa (a parità di potenza e di caratteristiche geometriche del canale di accelerazione) rispetto al singolo motore. In più si ha anche la possibilità di utilizzare l’insieme dei motori durante il trasferimento orbitale, mentre per il NSSK può venir utilizzato soltanto un propulsore della serie con un evidente vantaggio ponderale Nel caso di cluster sembra che l’intervallo di potenza più interessante sia quello compreso tra 5 e 10kW [5].

Tra i vari tipi di propulsori elettrici quelli che sembrano più promettenti sono i motori ad effetto Hall, sia nella tipologia SPT sia in quella TAL. Entrambi presentano rendimento di spinta dell’ordine del 60%, con minori problemi di erosione rispetto ai motori ad ioni. Tali motori sono avvantaggiati anche dalla semplicità realizzativa delle parti e dalla buona adattabilità ai processi di scalatura.

Un campo particolarmente inesplorato della ricerca è legato ai motori ad effetto Hall con più di un canale di accelerazione. Tali motori potrebbero acuire maggiormente il recupero di ingombri e di massa rispetto alle configurazioni in clusters di propulsori a singolo canale. Infatti l’idea del propulsore a canali multipli è quella di compattare il più possibile l’architettura, inserendo più canali nello spazio adibito per un singolo.

Riguardo a questa tipologia di propulsori si ha soltanto un brevetto depositato [34]

(Figura 1.18) in cui si è pensato di allineare espandendoli radialmente dei canali

geometricamente simili. Dalla figura sembra che il circuito magnetico non sia

comune a tutti i canali.

(18)

Figura 1.18: Schema costruttivo di un propulsore ad effetto Hall multicanale [34]

Nel presente lavoro si è pensato di studiare un propulsore a canali multipli che abbia il circuito magnetico in comune a tutti i canali di accelerazione.

1.5. Tipologie di motori a canali multipli

Prima di prendere in considerazione le varie tipologie di propulsori dobbiamo pensare a cosa è un propulsore ad effetto Hall a canali multipli. Una definizione possibile potrebbe essere:

Un propulsore ad effetto Hall a canali multipli è formato da una ripetizione finita dell’apparato di accelerazione opportunamente scalato nella direzione trasversale al moto.

(19)

Dal punto di vista progettuale un propulsore a canali multipli può essere visto come un’espansione di un propulsore di riferimento a singolo canale lungo la direzione trasversale

i

Essendo una espansione del motore monocanale anche per il propulsore a canali multipli si adotteranno le stesse soluzioni costruttive.

Alcune possibili scelte progettuali riguardo alle configurazioni del motore potrebbero riguardare:

• Simmetria del motore: il propulsore potrebbe essere di forma assialsimmetrica con conseguente espansione del numero dei canali nella direzione radiale; oppure potrebbe avere una simmetria planare con le estremità raccordate a semicerchio. (vedi Figura 1.19).

Figura 1.19: Simmetria del motore: a destra si ha la configurazione del motore a canali multipli con simmetria planare, mentre a sinistra si ha quella con simmetria cilindrica

i A questo livello progettuale parliamo di espansione trasversale in quanto non conosciamo il tipo di simmetria del motore.

(20)

• Configurazione geometrica della sezione trasversale: il motore potrebbe essere del tipo TAL o SPT; potrebbe esserci una bobina esterna all’ultimo canale.

• Sorgente del campo magnetico:il circuito magnetico potrebbe essere generato da bobine elettriche; ci potrebbe essere la presenza di magneti permanenti.

• Legge di scalatura: la modalità con cui variano le grandezze caratteristiche dei canali di accelerazione.

Delle molteplici possibili configurazioni sopra riportate si è pensato di studiare un propulsore assialsimmetrico di tipo SPT con campo magnetico generato soltanto da bobine elettriche. Tali scelte sono state prese per motivi di semplicità realizzativa e per avere dei confronti diretti con i motori a singolo canale già testati. Tuttavia la scelta di strade diverse da quella intrapresa in questo lavoro non sono da scartare a priori.

Nella analisi magnetica effettuata nel capitolo successivo si è inserita anche la possibilità di aggiungere un circuito esterno. Questo fatto, come vedremo ha degli effetti positivi.

Per quanto riguarda la legge di scalatura, a causa della finalità prototipica del propulsore, si è adottato la legge di tipo lineare così da mantenere inalterate le caratteristiche prestazionali proprie del motore a singolo canale. Naturalmente siamo consci del fatto che il motore così adottato non risulta ottimizzato.

1.6. Confronto con le precedenti versioni di pari potenza

Per verificare quanto detto nei precedenti paragrafi riguardo al guadagno di ingombri e di pesi possiamo confrontare le differenze e i possibili guadagni che la classe dei propulsori a canali coassiali con scalatura lineare presenta rispetto sia a quelli a singolo canale sia ai clusters.

Nel presente lavoro si riportano schematicamente due confronti fra motori di pari

potenza che abbiano:

(21)

• Le stesse caratteristiche geometriche (L, b) in ogni canale di accelerazione.

• Ogni canale dimensionato con il criterio della massimizzazione del rendimento.

In tutti e due i casi ci siamo basati su dati estrapolati dal Database presente in Centro Spazio.

Lo studio effettuato è puramente di carattere preliminare e calcola l’ingombro necessario delle configurazioni attraverso il diametro esterno.

1.6.1. Lunghezze caratteristiche del canale di accelerazione fissate

Per questa analisi ci siamo basati sulla legge di scalatura Lineare definita in [8] i cui fattori di scala sono riportati nella Tabella 1.1.

d b L V I

sp

, v

e

m

p

, J P T n T

e

B u

az W i

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

Tabella 1.1: Fattori di scala per la scalatura Lineare [8]

Analizziamo inizialmente le differenze che intercorrono tra un motore monocanale, una serie di motori di tipo monocanale uniti in cluster ed il propulsore a canali coassiali aventi tutti le stesse caratteristiche geometriche del canale di accelerazione.

Per le dimensioni del canale di accelerazione abbiamo preso quelle del T-220 riportate in [28]:

Lunghezza del canale 38mm

Larghezza del canale 32mm

Diametro esterno 220mm

Potenza 10kW

Tabella 1.2: Dimensioni caratteristiche del canale di accelerazione del T-220 [28]

(22)

Se pensassimo di ricavare un propulsore a singolo canale di potenza pari a 100kW utilizzando la legge di scalatura lineare troveremmo un motore con diametro esterno pari a 2.2 metri. Questo fatto è molto svantaggioso sia dal punto di vista degli ingombri ( si avrebbe all’interno una zona cilindrica inutilizzata di oltre 2 metri di diametro) sia dal punto di vista costruttivo (elevato costo di produzione, fragilità della camera ceramica). Per ridurre questi inconvenienti si deve agire sulla dimensione radiale del canale di accelerazione diminuendola. Fino ad oggi si è pensato di ridurre l’ingombro del propulsore creando insiemi di propulsori di potenza nominale più bassa (clusters). In questo caso significherebbe creare n propulsori con le stesse caratteristiche geometriche del canale di accelerazione, ma di potenza pari a 100

kW n

/ e disporli nella posizione di minimo ingombro.

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 2200

Numero dei propulsori

Diametro esterno [mm]

Figura 1.20: Diametro esterno in funzione del numero di propulsori

(23)

L’andamento del diametro esterno del singolo motore in funzione del numero di propulsori utilizzati è riportato in Figura 1.20, mentre in Figura 1.21 vengono riportate le configurazioni di minimo ingombro per i propulsori uniti in cluster.

Figura 1.21: Alcune possibili configurazioni di minimo ingombro

Nello studio successivo, atto a determinare l’ingombro del sistema propulsivo in cluster, abbiamo preso come lunghezza caratteristica esterna il diametro della circonferenza che circoscrive i propulsori.

In Tabella 1.3 sono riportati i valori di tale grandezza in funzione del diametro esterno parametrizzati con il numero di propulsori.

N=2 N=4

N=3 N=7

(24)

Lunghezza caratteristica (R)

N=2 2 ⋅

Dext

N=3 3

2 1

3

Dext

⋅ + ⋅

N=4 ( 1 + 2 )

Dext

N=7 3 ⋅

Dext

Tabella 1.3: Ingombri in funzione del diametro esterno

Attraverso la routine Matlab Ptot_vs_nmot.m riportata in Appendice B possiamo trovare la lunghezza caratteristica del sistema propulsivo. In Figura 1.22 sono riportati gli andamenti in funzione della potenza totale e del numero di propulsori.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000

Potenza totale [kW]

Lunghezza caratteristica di ingombro [mm]

N=1 N=2 N=3 N=4 N=7

Figura 1.22: Lunghezza massima del sistema propulsivo in funzione del numero dei motori

(25)

Dalla figura si può notare che con l’aumentare del numero di motori diminuisce l’ingombro totale del sistema propulsivo. Tale risultato si può spiegare con il fatto che i motori di dimensioni ridotte riescono ad utilizzare rispetto all’unico motore il volume in maniera migliore.

Analizziamo adesso il comportamento del propulsore a canali coassiali. Un parametro importante per questo tipo di propulsore è la distanza tra le linee centrali di due camere di accelerazione contigue. Infatti tale distanza è indice del grado di compattezza del motore stesso: più piccolo è il valore e più il motore è ottimizzato.

Essa rappresenta la porzione di spazio necessaria per alloggiare tutti i componenti atti a far funzionare il propulsore ed in prima approssimazione può essere presa pari a 2 2.5 b ÷ ⋅ .

Utilizzando come primo canale quello con le stesse dimensioni di quello del T-220, adottando per la distanza tra le linee centrali dei canali il valore di 2.5 b ⋅ e usando come variabile il numero di canali troviamo (Figura 1.23) i valori del diametro esterno del canale più esterno in funzione della potenza totale.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000

Potenza totale [kW]

Lunghezza massima di ingombro [mm]

N=1 N=2 N=3 N=4 N=5 N=6 N=7

Figura 1.23: Lunghezza massima di ingombro per un propulsore a canali coassiali in funzione della potenza e parametrizzato con il numero di canali

(26)

E’ interessante fare due annotazioni: la prima è che, fissata la potenza nominale, all’aumentare del numero dei canali diminuisce la distanza tra le linee centrali riducendosi perciò l’ingombro; la seconda è che, posto come limite inferiore un certo valore della distanza tra le linee centrali, non è possibile aumentare liberamente il numero dei canali a parità di potenza. Infatti dalla Figura 1.24 si può notare che per la potenza di 100kW la nostra scelta potrà ricadere su configurazioni da due, tre o quattro canali anche se la soluzione di minimo ingombro è quella con il numero di canali pari a quattro.

0 20 40 60 80 100 120 140

0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500

Potenza totale [kW]

Lunghezza massima di ingombro [mm]

N=1 N=2 N=3 N=4 N=5 N=6 N=7

Figura 1.24: Lunghezza massima di ingombro per un propulsore a canali coassiali in funzione della potenza e parametrizzata con il numero dei canali per potenze inferiori ai 120kW

Infine è interessante notare che ad elevate potenze si ha un guadagno netto delle

configurazioni a canali coassiali rispetto a tutte le altre. In precedenza è stato

dimostrato che la configurazione in cluster riduce considerevolmente l’ingombro

totale rispetto al propulsore con singolo canale, quindi per affermare che la

(27)

configurazione con canali coassiali è migliore basta confrontarla con i sistemi propulsivi in cluster.

0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

n*Wref/Wtot parametro di ingombro R/D ref

Propulsore a canali coassiali Cluster n=2 Cluster n=3 Cluster n=4 Cluster n=6 Cluster n=7

Figura 1.25: Confronto tra le diverse configurazioni per i sistemi propulsivi

Per avere una più completa comprensione delle differenze di ingombri intercorrenti

fra le due classi di propulsori prese in considerazione abbiamo definito due

parametri dimensionali: il rapporto tra la potenza media per numero di motori o

(28)

canali e la potenza totale e il rapporto tra l’ingombro e il diametro di riferimento del propulsore adottato

ii

.

Nella Figura 1.25 sono riportati gli andamenti in funzione di

ref

tot

n W

W

del parametro di ingombro, mentre in Figura 1.26 sono rappresentati gli andamenti nell’intervallo tra 0.2-0.8 calcolati attraverso la routine Matlab grafico_Pot().m riportata in Appendice B.

0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

n*Wref/Wtot parametro di ingombro R/D ref

Propulsore a canali coassiali Cluster n=2 Cluster n=3 Cluster n=4 Cluster n=6 Cluster n=7

Figura 1.26: Confronto tra le configurazioni per i sistemi propulsivi nell’intervallo tra 0.2 e 0.8

ii Per la definizione dei parametri dimensionali si veda l’Appendice A

(29)

Osservando la figura si nota quanto detto in precedenza. Infatti per

Wtot

= 100

kW

abbiamo:

• 4 10 0.4

100

ref tot

n W

W

= ⋅ = propulsore con 4 canali coassiali

• 7 10

100 0.7

ref tot

n W

W

= ⋅ = cluster con 7 propulsori

che si traduce rispettivamente in:

R

= ⋅ 4

Dref

= 880

mm

propulsore con 4 canali (Figura 1.26)

R

= 4.285 ⋅

Dref

= 942

mm

cluster con 7 propulsori (Figura 1.26)

Da questi risultati si evince che, confrontando un propulsore a quattro canali coassiali ed un cluster di sette propulsori a singolo canale il primo ha un ingombro più contenuto. Inoltre si nota anche una diminuzione del numero dei componenti : utilizzando infatti l’architettura del motore di riferimento avremmo per il cluster 14 bobine elettriche con i rispettivi circuiti, mentre per la configurazione a quattro canali si avranno al più 9 bobine.

Un’ultima osservazione da fare è che in questo grafico la linea indicante l’ingombro del propulsore a canali coassiali non tiene conto delle limitazioni geometriche legate alla distanza minima tra le linee centrali dei canali di accelerazione e sopra accennate: per trovare il numero dei canali ottimali dovremmo utilizzare anche la Figura 1.24.

1.6.2.Canale di accelerazione di massimo rendimento

Analizziamo inizialmente le differenze tra un motore monocanale e il propulsore a

canali coassiali. Se pensassimo di ricavare un propulsore a singolo canale di

potenza pari a 100kW con rendimento massimo, prendendo in considerazione il

(30)

Database presso Centro Spazio e utilizzando le relazioni empiriche per la determinazione delle grandezze del canale troveremo le seguenti caratteristiche.

Potenza 100kW

Diametro esterno 540mm

Spinta 3,82N

Impulso specifico 3870s

Larghezza del canale 70mm

Lunghezza del canale 104mm

Tabella 1.4: Caratteristiche geometriche principali di un propulsore a singolo canale da 100kW con procedimento di massimo rendimento

Dalla Tabella 1.4 possiamo notare che tale propulsore ha all’interno un vano cilindrico di circa 200mm di diametro non utilizzato. Per ridurre gli ingombri allora si è pensato di riempire tale spazio vuoto interno con un nuovo canale opportunamente scalato. Questa soluzione comporterebbe la nascita di un propulsore che a parità di ingombri ha una maggiore potenza nominale e una maggior spinta.

D’altro canto se volessimo un propulsore a canali coassiali della stessa potenza nominale del monocanale troveremmo una riduzione dell’ingombro. Per l’analisi alle alte potenze e con la massimizzazione del rendimento possiamo attenerci a quanto indicato in [8]. In tale studio si è osservato che per potenze elevate il processo di scalatura più efficiente dal punto di vista degli ingombri tra quelli proposti è quello denominato geomE. Esso consiste in una variazione simile di tutte le tre lunghezze caratteristiche del canale di accelerazione.

In Tabella 1.4 sono riportati i fattori di scala propri di tale legge:

d b L V I

sp

, v

e

m

p

, J P T n T

e

B u

az W i

1/2 2 3 5/2

1 1 1 1

-1 -1

Tabella 1.5: Fattori di scala per la scalatura geomE [8]

(31)

Utilizzando sempre il T-220 come motore di riferimento possiamo trovare, attraverso l’utilizzo dei parametri di scala di Tabella 1.5, l’andamento in funzione delle potenze del diametro esterno del propulsore a canali coassiali

0 100 200 300 400 500 600 700

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000

Potenza totale [kW]

Lunghezza massima di ingombro [mm]

N=1 N=2 N=3

Figura 1.27: Lunghezza massima di ingombro per un propulsore a canali coassiali in funzione della potenza e parametrizzato con il numero di canali

Dalla Figura 1.27 possiamo notare che l’ingombro cresce molto più lentamente

della scalatura lineare. Questo è dato dal fatto che il motore a singolo canale è già

stato ottimizzato dal punto di vista degli ingombri. Anche in questo caso

all’aumentare delle potenze si ha la possibilità di utilizzare un maggior numero di

canali. Rispetto alle soluzioni trovate mediante la legge di scalatura Lineare, la

convenienza nell’utilizzo di un propulsore a canali coassiali rispetto ad un

monocanale si ha per potenze molto più elevate (un motore con tre canali di

accelerazione si può utilizzare per potenze superiori ai 450kW rispetto ai 50kW

circa dell’altra soluzione). In più è da notare la non rilevanza della configurazione a

(32)

due canali con questa tipologia di scalatura: il guadagno in ingombro è molto esiguo.

Confrontando invece il motore a canali coassiali con un cluster di motori a singolo canale di pari potenza totale possiamo troviamo che la soluzione a canali multipli è molto migliore.

Infatti per raggiungere la potenza richiesta con il minimo ingombro, i motori nel cluster dovranno essere progettati al fine di massimizzare il rendimento e dovranno essere disposti in maniera tale da minimizzare l’ingombro.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500

200 400 600 800 1000 1200 1400

Potenza totale [kW]

Lunghezza caratteristica di ingombro [mm]

N=1 N=2 N=3 N=4 N=7

Figura 1.28: Lunghezza massima di ingombro per un sistema propulsivo a cluster in funzione della potenza e parametrizzata con il numero di propulsori

Utilizzando sempre come motore di riferimento il T-220 e come legge di scalatura

quella denominata geomE troviamo che l’ingombro dei motori uniti in clusters è

maggiore rispetto al propulsore a singolo canale (Figura 1.28). Tale risultato si

spiega perché il motore a singolo canale essendo già ottimizzato avrà, a causa della

maggiore potenza, un rendimento più elevato rispetto ai motori del cluster. Questo

(33)

significa avere un diametro esterno più piccolo rispetto alla somma di quelli del cluster.

Ovviamente, essendo il motore a canali coassiali migliore di quello a singolo canale, avrà minor ingombro del sistema propulsivo in cluster.

Da queste considerazioni preliminari si evince che la possibilità di realizzare un propulsore a canali coassiali può essere una valida alternativa sia ai propulsori monocanali sia ai cluster per quanto riguarda le alte potenze. Naturalmente tali motori non presentano soltanto vantaggi, ma potrebbero essere limitati dagli elevati stress termici, dovuti alla loro forma così compatta e anche dai possibili effetti dissipativi legati alle interazioni dei canali di accelerazione.

1.7. Obiettivi della Tesi

L’attività del presente lavoro ha lo scopo di studiare i parametri fondamentali necessari alla progettazione di un propulsore ad effetto Hall con canali coassiali.

Lo sviluppo di un nuovo propulsore richiede la comprensione di fenomeni fisici che hanno luogo all’interno dello stesso e che sono responsabili del suo funzionamento. Tale conoscenza è ancora vaga e, nonostante in letteratura vi siano vari modelli analitici, essi non sono ancora indicativi sia perché non sufficientemente accurati, sia perché relativi a motori a singolo canale di accelerazione e quindi non tenenti conto delle interazioni magnetiche ed elettriche, che potrebbero avere luogo tra i vari canali. Per questo motivo il presente lavoro ha lo scopo di essere un punto di partenza nello studio di tali motori. Esso, sulla base di simulazioni agli elementi finiti, cerca una configurazione preliminare di base di un propulsore ad effetto Hall con il solo scopo di essere utilizzato da prototipo per le sperimentazioni successive.

1.8. Ripartizione del Lavoro

L’attività svolta nel presente lavoro si può suddividere nelle seguenti fasi:

• Analisi magnetica: in cui si prende un motore monocanale di riferimento e

lo si scala in senso radiale aumentandone il numero dei canali. Dopo aver

(34)

fatto ciò studiamo, attraverso un solutore agli elementi finiti e sotto alcuni vincoli imposti, il comportamento magnetico in funzione del numero dei canali. Infine si sceglie la soluzione migliore

• Analisi termica preliminare: in cui si analizza la soluzione scelta sotto l’aspetto termico. In questa analisi si studiano due possibili comportamenti del propulsore a canali coassiali: nel primo si è ipotizzato che le interazioni tra i canali facciano aumentare a dismisura la potenza dissipata, mentre nel secondo si è ipotizzato che le interazioni non abbiano alcun effetto dissipativo.

• Disegno: in cui viene svolta la fase di progettazione e dimensionamento. In questa parte si compie in primo luogo l’analisi funzionale del motore con la scelta della configurazione finale. Successivamente si dimensionano le parti prese in considerazione

• Verifica: in cui vengono rifatte le analisi magnetiche e termiche della soluzione definitiva

Al fine di comprendere in maniera migliore il funzionamento dei propulsori ad

effetto Hall nel seguente capitolo vengono riportati in maniera schematica il

funzionamento di tali motori ed alcuni fenomeni caratteristici intercorrenti in essi.

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