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Un caso di compulsione sessuale a sfondo ossessivo: immagini e trasformazione dell’energia psichica attraverso un processo di Sand-play

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Academic year: 2021

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Un caso

di compulsione

sessuale

a sfondo ossessivo:

emozioni, immagini e trasformazione del?

energia psichica

attraverso un processo di Sand-play

Paola Mancini Carducci, Roma

II caso riguarda un uomo di 23 anni, insegnante, indotto a sottoporsi ad un'analisi da sintomi di compulsione ses- suale a sfondo ossessivo, che lo perseguitavano in modo divenuto per lui preoccupante: temeva infatti di poter ar- recare danni morali, oltre che a se stesso, ai suoi allievi e allieve preadolescenti e adolescenti.

Dopo circa nove mesi di analisi junghiana verbale, ho in- trodotto al paziente, descrivendogliela, la terapia di Sand- play: Daniel — così lo chiamerò — mi aveva consultato circa il tipo di terapia da suggerire per un «bambino diffi- cile», suo allievo. Si è incuriosito, e ha voluto provare personalmente; dopo la prima esperienza ha voluto con- tinuare.

La sua richiesta si è incontrata con un'intuizione che ave- vo avuto fin dalle prime sedute, e che si era andata con- fermando nel corso dell'analisi: Daniel doveva aver rimosso durante l'infanzia e l'adolescenza emozioni dolorose molto profonde e, di conseguenza, il suo lo si era struttu-

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rato, nel crescere, come una rigida corazza tutta puntellata da sostegni ideologico-politici, che si erano sostituiti ad un normale processo conoscitivo della realtà nei suoi chiaroscuri di male e di bene. Un processo di Sand-play gli avrebbe offerto la possibilità di risalire alla fase preverbale ed esprimere queste emozioni, dando ad esse consistenza di immagini visibili e tangibili. La tendenza di Daniel a concettualizzare e razionalizzare le esperienze, svuotandole del loro contenuto' emotivo, poteva essere più facilmente disarmata attraverso il Sand-play che attraverso l'analisi verbale.

Che il Sand-play faccia parte delle modalità di lavoro adottate da alcuni analisti junghiani è fatto poco noto a chi decida di iniziare un'analisi. Inoltre, di solito, per il Sand- play si usa un ambiente diverso da quello dello studio dove si lavora verbalmente, perché si pensa che la grande quantità di oggetti necessari al gioco della sabbia disturbi la concentrazione. quando la modalità analitica che si usa sia l'altra.

Secondo la mia esperienza, è quindi quasi sempre l'anali- sta che propone un processo di Sand-play.

Quanto ai risultati terapeutici, per quanto mi riguarda, posso dire che ne ho verificato l'efficacia — il potere di trasformare l'energia psichica (1) — in molti casi. E so- prattutto con i pazienti che abbiano difficoltà ad entrare in contatto con le proprie emozioni — ira, paura, dolore — e con i propri istinti, con ciò che Jung chiama naturai mind (2).

I pazienti che vivono le esperienze più profonde e sor- prendenti attraverso il Sand-play sono quelli caratterizzati da una tipologia di intuizione/pensiero o pensiero/intuizio- ne. con una sensazione spesso poco differenziata, un dif- ficile rapporto con il corpo, sentimenti intensi e profondi, difficili da realizzare consciamente e da esprimere, grosse difficoltà ad abbandonare l'identificazione con il proprio lo conscio e raziocinante, incapacità di «lasciarsi andare» ad un'attività non finalizzata e a riconoscere che l'inconscio è tanto reale quanto il conscio. Naturalmente, queste sono anche le persone alle quali è più difficile proporre e far accettare un cambiamento del linguaggio analitico, che a tutta prima può apparire come una regressione a livelli infantili, o come un test attraverso cui l'analista

(1 ) Questo aspetto è stato trattato da Estelle L. Weinrib,

«Sandplay as a Way to Tran- sformation», inImages ofthe Self, Boston, Sigo Press, 1983, pp. 43-47. (2) C.G.

Jung.The VisionsSeminars (1932), Zùrich, Spring Publications, 1976, p. 54 e p.

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(3) Gli argomenti teorici e pra- tici che hanno indotto Dora Kalff a formulare la sua parti- colare concezione di rapporto transferale si trovano, esposti in inglese, in: D. Kalff,

«Sandplay: a Pathway to the Psyche», in Sandplay, Santa Monica, Sigo Press, 1980. pp.

23-39. In quest'opera Dora Kalff si riferisce principalmente alle sue esperienze con i bambini e gli adolescenti. Per l'estensione delle stesse modalità di setting agli adulti, si veda: E. Weinrib,Images of the Self, op. cit., pp. 19-35 e 71-78.

voglia astutamente carpire dei segreti di cui si teme il rive- larsi. Il Sand-play, secondo Dora Kalff, di cui sono allieva, è basato invece su un rapporto transferale in cui l'analista rispetta le resistenze e non forza l'analizzando a confron- tarsi con le proprie debolezze e mistificazioni attraverso in- terpretazioni incisive, ma non sempre tempestive, o magari intenzionalmente frustranti. Si tratta di una via terapeutica che non conviene percorrere senza una preparazione e un'esperienza specifica, a nche personale (3).

Ci sono momenti in cui può essere controindicata, anche nei casi in cui si può escludere che ci sia una psicosi

latente. ^

Ecco un esempio: un paziente accentuatamente intuitivo, con un lo molto razionale, la cui psiche non era ancora pronta ad affrontare una rivoluzione copernicana della ti- pologia psicologica, ha reagito con immagini negative (un sogno di pericolo di morte) alla prima visita nella stanza del Sand-play. Evidentemente la sua curiosità di intuitivo era stimolata, ma il momento giusto per l'esperienza tera- peutica si sarebbe presentato solo un anno più tardi. Per tornare a Daniel, il Sand-play non sarebbe servito a raccogliere dati illuminanti sulle cause del disagio psichico che produceva il sintomo: questi dati erano già emersi a grandi linee nel corso iniziale del lavoro analitico, es- senzialmente verbale. Dai nunerosi sogni, in cui appariva- no animali pericolosi (leoni, tori), lotte, combattimenti, armi da taglio, inseguimenti e agguati, bambine, donne e deboli in pericolo, si poteva dedurre una forte aggressività rimossa e introiettata, con effetti autodistruttivi. Queste scene erano quasi sempre inquadrate da uno schermo, come se l'Io del sognatore le vedesse alla televisione o al cinema.

Benché molto intelligente, Daniel non aveva abbastanza fiducia in se stesso e non osava credere nelle proprie idee. Aveva adottato, come visione del mondo, un'ideolo- gia collettiva di estrema sinistra, cui aderiva in modo acri- tico e idealistico. La militanza nel partito gli assorbiva pra- ticamente tutto il tempo le energie lasciate libere dall'inse- gnamento.

Da alcuni sogni e comportamenti consci emergevano

grandi proiezioni di valori intellettuali, creativi ed etici su

figure di amici, cui veniva attribuita una qualità eroica.

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La figura femminile, sia nei sogni che nel conscio, appariva o come creatura fragile, da difendere — dagli altri uomini.

ma anche da lui stesso, in quanto maschio con pulsioni e istinti pericolosi —, o come simulacro di femminilità inavvicinabile. o come vecchia strega. I rapporti con le donne gli erano inizialmente difficili, e poi possibili, a livello di amicizia; ma, non appena oltrepassavano quella misura di sicurezza, si creava un blocco: lo preoccupava che le ragazze si aspettassero da lui iniziative erotiche e impegno di sentimento esclusivo.

Altro elemento non trascurabile è che Daniel era nato e viveva in un paese diverso da quello originario, e la diffi- coltà di integrarsi in una società e in una cultura diverse da quelle di provenienza dei suoi genitori lo aveva indotto a rinnegare e rimuovere, insieme con la cittadinanza, importanti valori spirituali e religiosi connessi alle radici ar- chetipiche.

In conclusione, si capiva che i disordini della sua perso- nalità nella sfera sessuale erano i sintomi di una situazione psichica su cui avevano agito principalmente i seguenti fattori: un complesso materno molto negativo — sua madre gli appariva «come la Gestapo, una forza cieca cui è inutile opporsi», una figura paterna di buoni sentimenti, ma debole sia sul versante familiare che su quello sociale;

la rimozione della sofferenza per aver dovuto rinunciare alle proprie radici etniche ed essersi dovuto integrare faticosamente in un paese straniero; l'idealismo eccessivo che lo aiutava a ricostruirsi un mondo in cui credere, ma, d'altro canto, lo spingeva a negare come debolezze le ragioni del corpo e dell'istinto.

Il difficile non era parlare di tutto questo. Come in molte analisi accade, conoscere i problemi non trasforma le reazioni emotive. Bisognava che dai sogni scomparisse quel riquadro ricorrente dello schermo televisivo.

Posso dire ora che il processo di Sand-play è servito a

sostituire lo schermo televisivo con la struttura di conteni-

mento della sabbiera, entro la quale si è protetti e lasciati

liberi di esprimere i contenuti più profondi e scottanti, affi-

dandoli ad immagini, in parte, ma non solo. legate alla

patologia. Assieme a queste, a volte addirittura a queste

incorporate, se ne differenziano altre, prospettiche, ani-

mate da energia positiva, che s'irradiano dal Sé, attivato

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a sua volta dalla regressione terapeutica ad un livello preverbale.

Parte essenziale della relazione transferale nel setting del Sand-play è che il terapeuta sappia cogliere e sottolineare opportunamente queste immagini, evidenziando la forza che se ne sprigiona. Ciò accade anche lavorando verbalmente sui sogni. Nel Sand-play il vantaggio è che sia il paziente che il terapeuta hanno davanti agli occhi esattamente le stesse immagini, e non'le interpretano ne le traducono in concetti ma, solamente, le «tengono dentro» alla memoria visiva, come singoli momenti che ricevono un significato più ampio dal continuum del processo in divenire. Non c'è, a mio avviso, incompatibilità con l'analisi verbale e il lavoro sui sogni che contemporaneamente è possibile svolgere.

Comunicazione verbale e comunicazione non verbale corrispondono a livelli psichici diversi:

i percorsi possono essere paralleli o, a volte, intersecarsi, senza perdere la propria identità, se seguiti correttamente. Annotazioni e diapositive conservano la memoria delle rappresentazioni, che si riguardano dopo la conclusione del processo, nel momento finale della ricostruzione interpretativa.

Accingendomi a commentare alcune immagini del caso in esame, vorrei far osservare anzitutto che la compulsio- ne sessuale di cui soffriva Daniel traeva proprio origine da immagini. Ma quale specie di immagini? Immagini non personali, non creative, ma collettive, destinate ad un consumo «di massa» e prodotte da una concezione permissiva, ma consumistica, della sessualità. Esse prendevano possesso della sua psiche, esercitando un richiamo ossessivo: e la volontà dell'Io, sui cui gli avevano insegnato a fare leva per procedere nella vita, era completamente impotente. Si vedrà che, fin dalle prime sabbie, in contrapposizione all'atteggiamento conscio, si fa strada l'immagine di un «mondo giusto», dove la natura è ascoltata, e da cui gradualmente cresce verso l'esterno una ritrovata sicurezza che consente di accettare il conflitto fra il bene e il male, senza rimuovere il dolore. Di tutto il processo — 13 sabbie nell'arco di 16 mesi — ho deciso di mostrare e commentare le rappresentazioni appartenenti a questa fase, anche perché sono le più interessanti dal punto di vista transferale.

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In questo periodo Daniel insegnava e abitava in una città diversa da quella in cui io lavoravo, e i nostri incontri po- tevano avvenire solo con frequenza quindicinale.

// sabbia (Fig. 9 in appendice)

Sabbia umida. Come già durante la prima seduta di Sand-play, Daniel si è immerso in una profonda concentrazione silenziosa. Ha scoperto un recipiente, contenente dei piccoli mattoni che gli piacciono molto, e li userà spesso. Qui li ha adoperati per coronare e rinforzare un cratere, che contiene nel suo centro un piccolo villaggio cinese costituito da cinque capanne. Dice che questo è un «mondo protetto» abitato da esseri giusti, che vivono secondo natura. Intorno ci sono grandi alberi.

Negli angoli (da sinistra in alto, procedendo verso destra, in senso orario) ha posato: una divinità messicana, una te- 104

/ sabbia (Fig. 8 in appendice)

Daniel ha scelto la sabbia umida, come farà poi quasi sem- pre. e ha modellato due colline — una a pianta quadrata e una a pianta ellittica — comprimendo fortemente la sabbia.

In centro ha formato un cratere, con il fondo occupato da un sasso, e ha messo nell'angolo a sinistra, verso l'os- servatore, otto sassi bianchi e grigi disposti in forma di sim- bolo tantrico (4); negli altri tre angoli, tre totem.

Come spesso accade, nella prima sabbia si vedono i pro- blemi principali, e quella che può essere un'indicazione terapeutica per il futuro.

La personalità è compressa da un eccesso di disciplina, la vitalità non fluisce. Il cratere sembra indicare contenuti che devono trovare uno sbocco, a rischio di un'esplosione. Ci sono simboli religiosi appartenenti a civiltà lontane: questo indica forse un sentimento del sacro che si dovrà attivare, per ora è ancora lontano dal conscio. Il simbolo tantrico in- dica la necessità che il principio maschile e quello femmini- le trovino un modo di coesistenza in lui. Alla fine Daniel ha cosparso di sabbia asciutta tutto l'insieme, con un gesto ri- tuale che sembrava voler accentuare il carattere arcaico, di ritrovamento archeologico della scena.

(4) Sette sassi più piatti sono disposti a cerchio intorno al- l'ottavo, più allungato e dispo- sto verticalmente, dando luo- go ad un'immagine che evoca quelle dei culti tantrici indiani (hindu, buddisti, e jaina), in cui si venerano le energie femminili (sakti) in congiunzio- ne con le energie maschili. Si veda, ad esempio: P. Raw- son. The Art of Tantra, London. Thames and Hudson, 1973. fig. 155.

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sta umana e una maschera cinese di «cattivo», con lunga barba nera. Alla fine, nell'angolo in basso a sinistra, ha messo un teschio che ride, e ha commentato, indicando il suo stomaco: «È il mio amico, che ride, là». «Amico» è detto ironicamente: gli sembra di avere una pietra nello stomaco, che gli fa male, da quando, la mattina, ha avuto una discussione con un collega e si è dovuto ringoiare l'aggressività che non è riuscito ad esprimere. La pietra mi ha ricordato il sasso nel cratere della I sabbia. Gli ho suggerito di «parlare» con questa pietra; e Daniel ha realizzato, in questa seduta, di avere dentro di sé «un personaggio che gli vuole male» e lo aggredisce, criticandolo e ridendo di lui con sarcasmo e disprezzo, uno che non lo incoraggia a vivere, come il teschio, che è un simbolo di morte.

/// sabbia (Fig. 10 in appendice)

Sabbia umida. Ancora un «mondo protetto», abitato da esseri giusti. SulIa sinistra un grande fervore di lavoro:

molti piccolissimi cinesi stanno costruendo una città.

Dietro ad essa. una collina con sopra una statuina di Budda, in mezzo al verde e circondata da un anello di acqua, con barchette e cinesi che l'attraversano. La città e l'anello di sostegno della collina sono realizzati anche qui con i piccoli mattoni. Lo spazio rimanente è tutto occupato da grandi alberi e, sulla destra, cinque grandi elefanti vanno a bere a un piccolissimo laghetto.

Qui appaiono per la prima volta degli esseri umani veri e propri, i cinesi, ma non sembrano liberi di fare altro che lavorare, come Daniel. I grandi elefanti in un piccolo spazio, con poca acqua a disposizione, mi fanno pensare a forti istinti naturali che sopravvivono stentatamente.

IV sabbia (Fig. 11 in appendice)

Sabbia umida. Esplosione di un conflitto: gli inglesi, da sinistra, invadono il territorio di una tribù indiana (pellirossa), che è la terza versione del «mondo secondo natura». Qui è protetto da pietre ed affiancato da un altro

«mondo protetto» animale: quello delle pecore. Negli angoli più protetti dalle pietre si vedono due «maternità»:

quella della donna indiana con il bambino, e quella della pecora con l'agnello.

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Questa seduta è stata molto importante dal punto di vista del transfert: mi è sembrato che Daniel avesse bisogno di farmi accettare la triste fine dei giusti, per poterla ac- cettare lui. quando, alla fine, mi ha detto: «Gli inglesi ven- gono con i loro fucili, e uccidono tutti, anche la madre con il bambino, anche la pecora con l'agnello, non hanno rispetto nemmeno per la maternità: agli indiani non resta che soccombere». Tra l'accettazione e l'intervento, non ho potuto trattenere le mie spontanee emozioni di dolore, mentre Daniel faceva cadere anche l'ultimo capo indiano;

e ho infine avanzato l'insinuazione timidamente ottimistica che potesse esserci almeno una possibilità di soluzione meno drastica. Ma lui ha negato.

V sabbia

Sabbia umida. Qui ricompaiono i mattoni, e rinasce, in modo mercuriale, la speranza di una sopravvivenza per i giusti. Sulla sinistre Daniel ha rappresentato un castello circondato da mura e una carrozza rovesciata: gli abitan- ti, che rappresentano l’intellighentia, non sono capaci di difendersi dai demoni, che passano attraverso qualsiasi muro. A destra, invece c'è il villaggio, con i suoi abitanti, le capanne e gli animali. I buoni hanno una possibilità di sopravvivere, perchè sacrificano qualcosa alle potenze negative, e queste li lasciano in pace. Sembra che dopo la stagnazione della seduta precedente, in cui non c'era altra soluzione che stare con i giusti e soccombere o sta- re con i cattivi e uccidere, la libido abbia trovato una via di uscita: Daniel sta scoprendo, credo, che per «salvarsi dai demoni» bisogna sacrificare qualche aspetto di una visione troppo intransigente o troppo idealistica dell'esi- stenza.

VI sabbia (Fig. 12 in appendice)

Altra seduta molto importante dal punto di vista della rela-

zione transferale. Daniel ha costruito con i mattoni un cer-

chio inscritto in un triangolo con la punta rivolta verso il

basso: ai lati s'inseriscono altri due triangoli con la punta

rivolta verso il cerchio; la forma triangolare prevale anche

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nelle pietre disposte orizzontalmente e verticalmente intorno al cerchio. Al centro una lanterna giapponese.

Vedo in questa sabbia un equilibrio (il cerchio) dinamico (i triangoli) e una chiarezza che emana dalla centralità e dalla lanterna: nell'insieme, una forza e una chiarezza nuova. Il numero tre rappresenta una terza situazione a cui si giunge dopo il superamento del conflitto fra i due termini opposti. E da un nuovo spirito sembra uscire quest'improvvisa domanda: «Ma Lei, durante una seduta di Sand-play, mentre io lavoro, cosa fa?». Daniel aveva sempre creduto che l'unico atteggiamento possibile, di fronte ai casi della vita. fosse quello attivo: ora era pronto a capire il valore dell'atteggiamento passivo/ricettivo, tipico del principio femminile.

Chissà da quanto tempo si stava ponendo il quesito. che riguarda uno dei punti più tipici del setting nel Sand-play:

l'analista non ascolta parole e concetti, non da interpretazioni, a che serve dunque la sua presenza?

Potrebbe anche non esserci, e intervenire alla fine per dare qualche commento, o qualche amplificazione.

Invece, la presenza dell'analista, secondo Dora Kalff, è essenziale perché accoglie e contiene, nel vuoto che riesce a fare dentro di sé, i contenuti che

11 paziente va esprimendo nella sabbiera. La sabbia che viene dopo mi sembra proprio il prodotto dell'integrazione, nella personalità di Daniel. di questo valore passivo/ricettivo.

VII sabbia (Fig. 13 in appendice)

«Le mani sono tutt'e tre mie. Sono legate da una corda di sassi. Tra le due mani c'è un albero, con un cristallo.

Hanno buchi, quasi come Gesù». Era molto triste, mentre faceva questo commento, ma senza amarezza. Il suo lo aveva acquisito una nuova forza interiore, e Daniel poteva accettare di vivere con il conflitto, nella delimitazione, e con dolore. Ma tra le impronte delle mani legate e sofferenti, nasce l'albero della vita e porta tra i suoi rami la preziosità di un cristallo trasparente.

Nel seguito del processo si è verificata poi la graduale re- cessione del sintomo, e l'albero della vita di Daniel ha continuato la sua crescita affrontando altre problematiche ed espandendosi in altri spazi.

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La problematica ideologica ha trovato il suo culmine e la sua occasione di verifica, a un anno circa di distanza dal- l'ultima sabbia di cui si è parlato, in un soggiorno di un mese in Cina. Al ritorno, Daniel era pienamente consape- vole di quanto, in precedenza, avesse proiettato su un si- stema politico, idealizzato, la forza e la sicurezza di cui aveva bisogno a livello individuale; e aveva scoperto di poter attingere un'energia più autenticamente sua da quel mondo interno in divenire, di cui aveva cominciato a costruire l'immagine fin dalle prime sabbie. La parola

«costruire», in questo caso, è particolarmente appropria- ta. data la frequenza con la quale compaiono, nelle rap- presentazioni, i piccoli mattoni di terracotta disposti con molta cura e pazienza l'uno accanto all'altro, secondo un preciso disegno. Mi hanno fatto pensare al lavoro di routi- ne a cui le personalità molto dotate, ma acerbe, di Puer, devono assoggettarsi per maturare e ancorarsi alla terra.

La problematica dei rapporti con le donne ha seguito fasi alterne e tempi più lunghi, per risolversi infine in modo molto positivo, quattro anni più tardi. Evidentemente oc- correva del tempo perché il principio femminile, che nelle sabbie qui commentate appare solo una volta, come ma- dre (sabbia IV), o indirettamente, come scoperta dei valo- ri di passività e ricettività (sabbia VI), potesse essere inte- grato. almeno in parte.

La rappresentazioni di immagini che abbiamo considerato qui coprono un periodo di cinque mesi; nell'anno suc- cessivo ne sono state costruite altre sei. Il rapporto analitico è durato in tutto quasi tre anni.

Do queste indicazioni cronologiche perché si possa vede- re che, in un processo di Sand-play, si può toccare presto una notevole profondità di livello psichico e si possono sperimentare grandi trasformazioni nelle emozioni.

mentre le immagini prodotte indicano prospetticamente la via individuale, che appartiene proprio a quel paziente, al di fuori dalle noiose schematizzazioni scolastiche. Portare poi nella realtà della vita quotidiana i contenuti esperiti nel processo di Sand-play richieda spesso, e a seconda della serietà della situazione, certi tempi di gestazione. Il Sand- play non è in nessun modo una «terapia breve», anche se talvolta le immagini prodotte anticipano in modo stupe- facente eventi che potranno verificarsi più avanti.

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