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Il movimento del ‘68

Nel documento L'UDi di Palermo e il progetto (pagine 38-41)

Capitolo 1. Il cammino di liberazione delle donne e la scoperta della differenza

1.3. La seconda metà del secolo e la presa di coscienza delle donne

1.3.1. Il movimento del ‘68

Lo scenario che si delineava in quegli anni è caratterizzato dal processo di modernizzazione che portò al cosiddetto “boom economico”: nasce la società del benessere e dei consumi (Strazzeri 2021), aumenta il tasso di istruzione femminile e anche le possibilità di lavoro extradomestico (Guerra 2008; Sartori 2009).

Guerra (2008) evidenzia anche in questo caso, alcune contraddizioni di questa

‘società dei consumi’ di cui sono ancora una volta le donne a soffrirne. Si è già detto sopra che ritornò in auge il modello della donna madre/moglie, quello che Guerra definisce come il ‘mito della happy housewife’: felice nella sua casa piena di modernissimi elettrodomestici. La contraddizione, secondo l’autrice, stava nel fatto che la realtà del paese era ben diversa: molte erano le operaie che lavoravano duramente e le famiglie avevano difficoltà ad arrivare a fine mese.

Inoltre, le giovani donne cominciavano a mettere in discussioni i modelli imposti dalle famiglie e molte erano impegnate in lotte per la parità dei salari, nel diritto di famiglia e l’accesso a tutte le carriere (Guerra 2008).

In questo clima di crescita economica e innovazione nei costumi, le giovani generazioni figlie del baby boom iniziarono a mettere in discussione i modelli gerarchici tradizionali, politici e familiari, ormai ritenuti oppressivi e obsoleti:

“Il boom economico sul piano sociale aveva infatti portato all’affermarsi di una cittadinanza molto più istruita di quella del decennio precedente” (Strazzeri 2021, pag. 35). Il movimento di contestazione giovanile del ‘68, dal carattere internazionale, coinvolse tutti gli aspetti della vita dalla cultura alla dimensione pubblica e privata, fino alla politica (Pojmann 2005). Fu il momento in cui i giovani presero la parola, per manifestare la loro insofferenza verso la società del consumismo, le disuguaglianze sociali e di genere, la povertà, la guerra in Vietnam (Guerra 2008; Strazzeri 2021). Si sperimenta anche un modo di vivere

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la sessualità più aperto e si apre un dibattito circa il rapporto tra corpo e sessualità tanto che si parla di ‘rivoluzione sessuale’. I giovani volevano, dunque, segnare una linea di demarcazione tra ciò che ritenevano superato e le novità di cui si facevano portavoce.

In Italia le contestazioni partirono dalle università (molte furono occupate) ma coinvolsero anche gli istituiti superiori (Strazzeri 2021). Contestualmente alle proteste giovanili, anche gli operai organizzarono rivolte in cui chiedevano salari più alti, diminuzione delle ore lavorative, più benefici e attenzione al loro valore di individui (Pojmann 2005).

In questo clima di rinnovamento, le donne cominciano a mettere in discussione il ruolo di casalinghe perfette e inizia una presa di coscienza sulle condizioni della donna da sempre succube del patriarcato. Questo è anche il periodo in cui alcuni autori fanno risalire la nascita del femminismo in Italia, definito anche come femminismo di seconda ondata in ottica più internazionale (Pojmann 2005; Di Cori 2012). Scrive la Wilson (2010):

“Un fattore fondamentale per la nascita del femminismo fu la trasformazione prodotta dal miracolo economico. L’urbanizzazione, il miglioramento dell’istruzione e una ricchezza materiale senza precedenti ebbero tutti un peso significativo. Molte donne della generazione precedente avevano lottato per la semplice sopravvivenza. Ora le giovani donne volevano di più”(pag. 265).

Paola di Cori (2012), nel ripercorrere il percorso delle donne negli anni che anticipano e seguono le rivolte del ’68, descrive il distacco della nuova generazione di donne da quella delle madri. Queste madri, che avevano vissuto il fascismo e il dopoguerra – le ‘madri di eroi’ (Bortolotti, Vedi par. 1.4) –

“sembravano allora un concentrato di arretratezza e di arcaismo” lontane “da chi ormai occupa le università, andava in motorino, partecipava alle manifestazioni contro il franchismo […]” e, continua l’autrice, “come sarebbe stato possibile continuare ad accettare strutture sociali, politiche, istituzionali, familiari, sentimentali e sessuali, costruite su robuste gerarchie di indiscutibile

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dominio patriarcale?” (pag. 20 - 21). Si attuarono quindi ‘pratiche della distanza’ rispetto a ciò che veniva ormai considerato antiquato e non più rappresentativo di una generazione nuova e aperta che criticava il sistema patriarcale, gli uomini, le madri e, in generale, le vecchie generazioni.

Anche la Wilson (2019) affronta questo argomento. Riporta, infatti, che negli anni Settanta le femministe si impegnarono in un progetto di ridefinizione del linguaggio per superare la terminologia sessista, perseguendo l’idea di raccontare una nuova storia e cultura delle donne. In questa ottica, distinguevano il termine emancipazione (visto con accezione negativa da queste nuove generazioni) da quello di liberazione (alla base del loro progetto). Il motivo della critica al termine emancipazionismo risiede in una più generale critica alle due grandi associazioni femminili di massa italiane: UDI e CIF, che raccoglievano le “madri delle femministe degli anni Settanti” ma che “venivano ora liquidate come noiose “emancipazioniste” alle quali veniva contrapposta la nuova, entusiasmante politica della “liberazione”, con il suo approccio plateale e intransigente e la sua spinta verso un cambiamento radicale tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica.” (pag. 221).

Sempre Di Cori precisa, però, che nel corso dei ‘70, con la diffusione delle pratiche di autocoscienza, le donne rivalutarono nuovamente il ruolo della madre e della maternità: dal giudizio e dal desiderio di distacco, a “l’esaltazione della maternità, alimentata da una valanga di scritti e di ricerche intorno al tema della madre” in una sorta di “solidarietà consapevole nei confronti delle sofferenze di queste padri e del loro coraggio” stimolata dal femminismo (pag.

21 - 22).

Elda Guerra (2008) offre una chiave di lettura particolare del periodo delle contestazioni giovanili, parlando di una “doppia storia” di una generazione.

Con questo, l’autrice fa riferimento al fatto che sebbene in un primo momento le donne parteciparono al movimento studentesco, gradualmente se ne staccarono. Al suo interno, infatti, venivano comunque relegate dagli uomini a

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ricoprire ruoli marginali come quello di segretarie, domestiche, o delegate a fare il caffè o le fotocopie (Evans 1979; Pojmann 2005). Si resero conto che la loro

“esperienza storica” era necessariamente diversa da quella maschile. Ad esempio, l’esperienza delle donne nella dimensione familiare era diversa da quella degli uomini “rispetto al lavoro domestico ed extradomestico, alla cura dei figli e degli anziani” (Lombardi 2006).

Questo portò molte donne a impegnarsi nella militanza all’interno dei movimenti; altre a scendere nelle piazze protestando contro un sistema da cui non si sentivano ascoltate; altre ancora crearono piccoli gruppi il cui centro erano proprio loro, le donne: fuori dai grandi schieramenti partitici o associazioni, nacquero spazi in cui potevano condividere le loro esperienze di vita, confrontarsi e dare una nuova consistenza all’identità femminile. Si comincia a prefigurare, qui, la ‘pratica dell’autocoscienza’. (Pojmann 2005;

Guerra 2008).

Nel documento L'UDi di Palermo e il progetto (pagine 38-41)