Capitolo 1. Il cammino di liberazione delle donne e la scoperta della differenza
1.3. La seconda metà del secolo e la presa di coscienza delle donne
1.3.3. Il pensiero della differenza sessuale
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costituiti da giovani, potessero aprirsi alla possibilità di un dialogo e scambio in Italia (Pojmann 2005).
Rispetto al movimento studentesco si creò una frattura tra uomini e donne che presero le distanze da quell’esperienza. Ci si rese conto – e anche l’UDI e il CIF lo denunciarono – che, sia i lavoratori che gli studenti, non erano stati capaci di rendere la questione femminile un punto cruciale e da cui partire nei loro programmi. La presenza dominante dei capi maschi nei gruppi extra- parlamentari era la stessa di quella dei partiti, rendendo evidente la necessità di una presenza femminile più forte (Pojmann 2005).
Gli anni '70 sono quindi caratterizzati dal fiorire di movimenti femministi e femminili italiani che affermano la centralità del privato in una società dominata dall'autoritarismo patriarcale; a ciò si aggiunsero grandi mobilitazioni su temi specifici, come quello dell'aborto (Lombardi 2006). Nel decennio successivo, invece, si inizia a perdere la pratica dell’autocoscienze e dei piccoli gruppi e si approfondiscono “nuove prospettive teoriche approdando ad una consapevolezza della vita quotidiana come spazio del fare concreto, attraverso il quale perseguire un confronto attivo con il sociali” (Lombardi 2006).
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sperimentazioni dei gruppi e collettivi femminili in Italia e, negli anni ’80 e ’90, diventerà la corrente femminista prevalente in Italia.
Ma cosa vogliono comunicare esattamente le donne che abbracciano queste novità? Sicuramente, il nuovo modo di guardare a sé stesse e di guardare alla storia, la loro storia, a partire da sé. Il già citato gruppo di Rivolta femminile proclamava nel suo Manifesto la volontà di affermare l’unicità dell’esperienza femminile e il distacco dal modello patriarcale. In questo senso, e proprio all’interno di questi gruppi di autocoscienza, le donne si scoprono diverse e, per la prima volta, in senso positivo (Sartori 2009). La diversità, infatti, era stata interpretata per decenni come fonte di discriminazioni e disuguaglianze di genere. Le femministe della prima ora, vi si appellavano proprio per sottolineare che questa differenza era la causa della loro inferiorità nella società e perciò da eliminare. In questo modo avrebbero raggiunto l’uguaglianza formale con gli uomini e, quindi, i loro stessi diritti. La via dell’uguaglianza venne perseguita per molto tempo finché ci si rese conto che effettivamente implicava l’uguaglianza ad un modello che non rappresentava anche le donne.
Sartori (2009) ricollega le teorie dell’uguaglianza al lavoro di Simone de Beauvoir (1961) che definiva le donne come il “secondo sesso” e ciò implicava
“per le donne di diventare uguali al primo” (pag. 34), cioè l’uomo. Le donne sono state escluse da una società impostata esclusivamente su modelli e punti di riferimento maschili e tale svantaggio dipende, secondo questa teoria, da variabili socioeconomiche, norme, pregiudizi sociali che le imprigiona in ruoli fissi e stereotipati (Sartori 2009).
Con la teorizzazione del pensiero della differenza, ad opera di Luce Irigaray negli anni Settanta, tutto questo sistema cambia orientamento. Questa teoria si basa sul voler creare modelli simbolici femminili di riferimento alternativi a quelli maschili e in cui identificarsi; modelli che le sono stati negati a causa della condizione di oppressione ed esclusione dalla sfera pubblica e politica in cui si è ritrovata ad essere confinata da sempre (Braidotti 1994; 1995; Sartori 2009).
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“La mancata elaborazione della differenza sessuale si imputa, non senza ragione, al dominio storico esercitato dagli uomini sulle donne […]. Qui ciò che si trova escluso è l’alterità stessa in cui si costituisce il soggetto umano a causa del sesso […]. In questo ha giocato il dominio sessista. La subordinazione di un sesso all’altro è una maniera pratica di risolvere il problema del soggetto umano che non è uno ma due” (Diotima 1991, pag. 9-10).
Queste parole del gruppo Diotima, riassumo la visione delle femministe che abbracciano questa teoria, che fornisce una spiegazione alle discriminazioni di genere e, più in generale, alla condizione della donna. Accusano il patriarcato di averle messe da parte e vogliono scardinare questo sistema per rifondare il proprio.
Piccone Stella e Saraceno (1998) nel ricostruire le direttive che guidano la riflessione sulla differenza sessuale, definisce questo approccio come quello più filosofico e politico: “il punto di partenza della teoria è situato nel tempo: si colloca nella filosofia occidentale dove il pensiero maschile si è imposto come soggetto universale e neutro, come soggetto che definisce il mondo a partire da sé […]. All’essere umano sessuato femminile, il pensiero maschile, fondandosi come soggetto unico, ha sottratto l’accesso al simbolico, la capacità di autosignificarsi” (pag. 18). Diventa quindi necessario che le donne, a partire dal loro corpo sessuato – quindi da una loro “qualità femminile irriducibile” – rifondino la loro soggettività. Altro concetto centrale è infatti quello di genealogia femminile, che si basa sul riconoscimento del legame con la madre che quindi legittima l’essere donna in riferimento alla propria origine femminile (Sartori 2009). A tal proposito, Teresa de Laurentis precisa che la genealogia delle donne è stata scoperta, inventata e costruita prorpio attraverso le pratiche femministe del rileggere gli scritti delle donne, che forniscono una mediazione simbolica tra se stesse e le altre, tra la propria soggettività e il mondo: “la parola genealogia - la cui radice la collega con il genere, la generazione e altre parole che si riferiscono alla nascita come un evento sociale - di solito designa la
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legittima discendenza del compagno, per parentela sociale o intellettuale, di individui liberi di sesso maschile. Le tradizioni intellettuali e sociali della cultura occidentale sono genealogie maschili dove […] le donne non hanno posto: tra le cose che non avevano nome [prima del discorso femminista] c'era, c'è, il dolore di entrare in un mondo, in questo modo, senza posizionamento simbolico” (pag. 2).,
Infatti, l’immagine che si è costruita dalla donna è stata solitamente negativa, angelicata o comunque costruita a partire da un modo di pensare maschile che quindi è lontano dall’esperienza reale delle donne, dal loro vissuto e quotidiano (Capecchi 2018). Costruire un’immagine reale, non neutra o uguale a quella dell’uomo, ma diversa e specifica, diventa obiettivo precipuo di questa corrente femminista.
“Il pensiero della differenza […] anziché ribellarsi contro la cosiddetta condizione femminile, derivata in primis dal ruolo riproduttivo femminile e dal corpo sessuato della donna, con le varie discriminazioni che da esso derivano, si propone di assumerla come punto di partenza positivo da cui procedere all’elaborazione di un progetto politico. Partire dunque dalle differenze oggettive per arrivare a considerarle però irriducibili tanto da rendere le donne “altro” dagli uomini” (Sartori 2009, pag. 35).
Le principali esponenti del pensiero della differenza in Italia sono Luisa Muraro e Adriana Cavarero mentre i punti di riferimento, a livello sia nazionale che internazionale, sono la Libreria italiana delle donne di Milano (associazione femminile nata nel 1975), la comunità filosofica Diotima di Verona (nata nel 1983 grazie all’influsso di donne sia interne che esterne all’università tra queste proprio la Muraro e la Cavarero), il Centro culturale Virginia Woolf a Roma (nato nel 1979) e l’associazione Orlando di Bologna (che nasce a metà degli anni Settanta e diventa associazione nel 1983).