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La nozione di interesse collettivo. La dottrina precorporativa e la ricostruzione in chiave individualistica

Nel documento Capitolo I PROFILI STORICI 1. (pagine 101-107)

3. La nozione di interesse collettivo. La dottrina precorporativa e la ricostruzione

dimostravano chiaramente come si continuasse in realtà ad attribuire rilievo determinante alla volontà del singolo e, quindi, in definitiva all’autonomia privata.

Si riuscì a concepire il contratto collettivo come atto unico143, e si intuì che, proprio per effetto del momento organizzativo che precede logicamente e cronologicamente la stipulazione del contratto collettivo, “le volontà dei singoli non rimangono separate e distinte”, ma “si fondono in una volontà organica ed unica 144, che “non è più quella dei singoli, né una riunione di volontà individuali, è una volontà nuova: della collettività associata145; inoltre si intuì anche che “gli interessi che con il contratto collettivo si vogliono tutelare sorpassano i confini dei semplici interessi individuali dei soci per assumere l’aspetto dell’interesse del gruppo146.

Senonchè quando si trattò di ricostruire il fenomeno in termini normativi, alla luce delle premesse dalle quali si partiva, si finiva per rimanere vincolati allo schema della rappresentanza volontaria147, la quale se, da un lato, era in grado di “trasformare una casuale e caotica massa di individui in una collettività148, dall’altro, ancora una volta finiva per conservare intatto il rilievo dell’autonomia dei singoli.

Per comprendere la difficoltà di discostarsi dalla prospettiva individualista in cui incorreva tale dottrina si deve tenere presente che al tempo la situazione legislativa era tale per cui difficilmente si sarebbero potuti individuare altri protagonisti del fenomeno sindacale che non fossero i singoli individui; tanto più che nel periodo precedente il regime fascista i sindacati erano privi di personalità giuridica.

Non fu un caso che la difficoltà in questione fu superata con l’avvento del regime fascista, nell’ambito del quale il contratto collettivo fu collocato entro l’alveo del diritto pubblico ed il sindacato divenne a tutti gli effetti un soggetto giuridico. Come pure non fu casuale che il medesimo problema si ripresentasse a seguito della caduta dell’ordinamento fascista.

Ma dopo la caduta del regime fascista, la dottrina post-costituzionale, oltre a potersi giovare per le proprie ricostruzioni teoriche di nuovi strumenti concettuali forgiati nel frattempo dai giuristi corporativi, trovava un importante supporto nell’art. 39 Cost. che, oltre a sancire il principio della libertà sindacale, impediva quanto meno di potere prospettare validamente la collocazione del contratto collettivo nell’area di diritto

143 Cfr. MESSINA, op. cit.,pag. 499, il quale per spiegare il fenomeno ricorreva alla figura dell’atto complesso.

144 A. GALIZIA, Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, 1907, pag. 78.

145 A. GALIZIA, op. cit.,, pag. 85.

146 A. GALIZIA, op. cit., pag. 79 ss.

147 Cfr. MESSINA, op. cit.,pag. 479 ss.

148 A. GALIZIA, op. cit., pag. 77

pubblico e legittimava l’introduzione di nuovi modelli teorici nuovi e, quindi, riduceva il ventaglio di soluzioni prospettabili.

3.1. La ricostruzione di interesse collettivo operata da Santoro Passarelli.

Tali circostanze crearono il terreno propizio per l’emersione di una nuova ipotesi ricostruttiva in forza della quale il contratto collettivo era considerato espressione, più che dell’autonomia individuale, di un’autonomia ugualmente privata, ma collettiva e come tale da considerare prevalente su quella individuale.

Illustre esponente di tale ricostruzione fu il Santoro Passarelli, il quale costruì il concetto di interesse collettivo e di autonomia collettiva in evidente simmetria con il concetto di interesse individuale e autonomia individuale.

Quest’ultima, la c.d. autonomia dei privati, consisteva nella sfera di libertà che l’ordinamento giuridico riconosceva ai singoli individui per la realizzazione dei propri interessi individuali149.

L’autonomia collettiva, invece, spettava non ai singoli individui ma ad alcuni gruppi sociali organizzati per la tutela appunto degli interessi collettivi, da intendersi quali

interessi di una pluralità di persone a un bene a soddisfare non già il bisogno individuale di una o alcune di esse, ma il bisogno comune di tutte150.

Tali gruppi sociali organizzati o intermedi erano quelli direttamente e stabilmente inseriti nel corpo sociale, ma non nell’organizzazione giuridica dello Stato; tra essi, accanto alla famiglia, spiccava la categoria professionale che era “il gruppo che si determina per effetto dell’esistenza di un interesse collettivo professionale, comune a più soggetti che esercitano professionalmente la medesima attività151.

Attraverso il raffronto tra le due iniziali definizioni di interesse individuale e interesse collettivo è possibile individuare alcuni punti fermi nella ricostruzione operata dal Santoro Passarelli. In primo luogo, i due interessi sono categorie giuridiche distinte ed, infatti, distinta è la titolarità dei medesimi, spettando il primo al singolo individuo ed il secondo al gruppo organizzato, dal che si desume ulteriormente che l’interesse collettivo è indivisibile, in quanto esso consiste “non nella somma dei singoli interessi

149 L’autonomia dei privati è, quindi, “la potestà di regolamentare i propri interessi”; il fondamento di tale potestà risiede nella la legge e alla legge stessa è subordinata. L’A. in proposito sottolinea che l’autonomia privata non può mai essere concepita come fonte di norme giuridiche e ciò perché la volontà manifestata attraverso l’atto di autonomia privata intanto può produrre effetti giuridici nei confronti del soggetto in quanto un’altra volontà, quella sovrana dello Stato, conceda tale possibilità. Cfr. F.

SANTORO PASSARELLI, Autonomia collettiva, in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1959, pag. 369.

150 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero”, in ID, Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, pag. 179. Per contro, l’interesse generale è l’interesse dell’intera comunità e, conseguentemente, è l’interesse collettivo per eccellenza.

151 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Autonomia collettiva, in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1959, pag.

370.

individuali, ma nella loro sintesi”152. In secondo luogo, l’interesse collettivo è superiore a quello individuale, poiché “organizzazione significa disciplina e subordinazione degli interessi organizzata a quelli dell’organizzazione153. L’Autore ritiene che tale prevalenza possa essere desunta dagli istituti e dalle norme che presuppongono collettività organizzate. Ma non solo da essi; infatti, la prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale si manifesta anche rispetto agli istituti e alle norme che prevedono forme di organizzazione occasionale, quali quelle in materia di mandato nell’interesse dei terzi (art. 1723, comma II c.c.) e quella sul mandato collettivo (art. 1726 c.c.).

Da un’analisi di tali disposizioni è dato desumere che tanto i datori di lavoro quanto i lavoratori, allorquando attraverso l’atto di adesione conferiscono il mandato ad agire in nome e per conto di essi all’organizzazione sindacale, non possono poi revocare tale mandato fino a quando esso non sia stato correttamente eseguito, né, dopo la stipulazione del contratto collettivo, possono derogare ad esso. Ciò in quanto “il contratto collettivo non è una somma dei contratti individuali e non soddisfa gli interessi individuali degli iscritti alle associazioni contraenti. Il “collettivo” non sta nel contratto, ma nell’atto di volontà di ciascuna delle associazioni, la quale vuole, non già per i singoli iscritti, sebbene per tutti, in conformità dell’incarico che ciascuno le ha conferito nell’interesse non solo proprio, ma di tutti gli altri, per l’esclusione della concorrenza154.

Quanto detto, consente all’Autore, di trarre l’ulteriore considerazione che l’interesse collettivo (quando non è quello generale, ossia dell’intera comunità) è un interesse privato e non pubblico e, per la sua realizzazione, di conseguenza sono previsti dall’ordinamento strumenti di diritto privato, quali quelli appena citati.

A ben vedere, la nozione di interesse collettivo così come intesa dal Santoro Passarelli era già stata individuata dalla dottrina precorporativa, che aveva intuito l’esistenza “nei rapporti tra operai di un sentimento e di un vincolo nuovo, che tutti li unisce in una comunanza di interessi e di aspirazioni per cui nessuno di essi si vede mai estraneo agli interessi dell’altro155, cosicché “gli interessi che con il contratto collettivo si

152 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero”, in ID, Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, pag.

153 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., pag. 179.

154 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, op. ult. cit., pag. 180.

155 A. GALIZIA, op. cit., pag. 73.

vogliono tutelare sorpassano i confini dei semplici interessi individuali dei soci per assumere l’aspetto dell’interesse di gruppo156.

Pur tuttavia, è dato rilevare una differenza fondamentale tra l’ipotesi formulata dalla dottrina precorporativa e quella facente capo al Santoro Passarelli.

Tale differenza consiste in ciò: mentre per i primi l’intuizione avuta sull’interesse collettivo finiva sempre per riferire tale interesse ai singoli e, conseguentemente, i soggetti del contratto collettivo erano gli operai in quanto associati, invece, nell’ottica del Santoro Passarelli è il sindacato, e cioè l’organizzazione del gruppo professionale, ad essere titolare dell’autonomia collettiva, in quanto “spetta alla disciplina propria del gruppo di provvedere agli interessi del gruppo, corrispondetemene sottratti alla competenza della legge come dell’autonomia individuale157.

3.2. La corrente dottrinale sull’inesistenza dell’interesse collettivo.

Accanto alla teoria sull’autonomia privata collettiva elaborata dal Santoro Passarelli si devono segnalare, per dovere di completezza, ulteriori teorie le quali, seppure per vie diverse, giungono tutte a sostenere l’impossibilità di spiegare il fenomeno sindacale facendo ricorso al concetto di interesse collettivo.

Una prima corrente dottrinale riteneva che il contratto collettivo fosse consensualmente derogabile, in quanto non era rinvenibile nell’ordinamento giuridico alcuna disposizione a cui ricollegare l’invocata inderogabilità, la quale non era giustificabile neppure con il ricorso all’art. 2077 c.c. 158.

Tale teoria, oltre a non tenere conto della consolidata giurisprudenza di segno opposto, perveniva a tale conclusione poiché partiva anch’essa da una impostazione individualistica; il sindacato era un soggetto che agiva individualmente in qualità di rappresentante volontario dei suoi iscritti, limitandosi ad esercitare esclusivamente i poteri da questi ultimi conferiti159. In tale ottica, essi escludevano qualunque rilevanza dell’interesse collettivo ed il contratto collettivo finiva per essere semplicemente un atto di autonomia individuale o meglio una serie di contratti individuali.

Un’altra parte della dottrina sosteneva addirittura che il sindacato non fosse centro di imputazione di situazioni giuridiche160. Lo scopo del sindacato, in tale visione, non era

156 A. GALIZIA, op. cit., pag. 86.

157 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., pag. 235.

158 Cfr. G. MAZZONI, Il diritto dei rapporti collettivi di lavoro in Italia, in DURAND, MAZZONI, ARANGUEREN, I rapporti collettivi di lavoro, Firenze, 1959; BALZARINI, Problematica del contratto collettivo di lavoro nel diritto comparato, in Studi di diritto del lavoro,Milano, 1957;

GRANDI, Contratto collettivo di diritto comune, rappresentanza sindacale e commissione interna, in Riv. Dir. Lav., II, 1965, pag. 43 ss.

159 Cfr. BALZARINI, op. cit., pag. 152 e GRANDI, op. cit., pag. 59

160 Cfr. R. FLAMMIA, Contributo all’analisi dei sindacati di fatto, Milano, 1963, pag. 57.

quello di provvedere alla cura degli interessi dei suoi iscritti né tanto meno del loro interesse collettivo, bensì consisteva nel rafforzare gli interessi individuali onde consentire ai singoli lavoratori di raggiungere una condizione di parità rispetto ai datori di lavoro161.

Portata alle estreme conseguenze, tale impostazione perveniva alla conclusione che non esisteva la categoria dell’autonomia privata collettiva e dell’interesse collettivo, potendo tutt’al più essere considerati proiezione rispettivamente dell’autonomia individuale e degli interessi individuali.

Ed, infatti, del supposto interesse collettivo non sarebbe stato possibile individuare il titolare e se anche lo si fosse voluto individuare nella categoria professionale, esso si sarebbe risolto nell’interesse dei suoi componenti, in quanto l’attività che caratterizzava la categoria professionale era pur sempre riferibile soltanto ai singoli individui che la componevano.

Probabilmente tale conclusione era frutto del timore suscitato dall’opprimente regime fascista che induceva nella dottrina il rifiuto di qualsivoglia limitazione della libertà individuale162.

In realtà, ammettere l’esistenza, accanto all’interesse individuale dell’interesse collettivo, non sottende affatto la volontà di una limitazione del primo; infatti, sebbene nella ricostruzione prospettata dal Santoro Passarelli l’autonomia individuale sia subordinata a quella collettiva, la quale quindi viene ad essere limitata da quest’ultima, è altrettanto vero che l’unica limitazione che l’autonomia individuale in concreto subisce è nel senso di impedire al singolo l’accettazione di condizioni peggiorative rispetto a quelle stabilite dal contratto collettivo.

Ove si scorga l’intera produzione scientifica del Santoro Passarelli si nota che il tema del contratto e dell’interesse collettivo è sempre presente, ma al contempo essa si è arricchita di nuove suggestioni. La sua indagine, condotta con gli strumenti dell’elaborazione privatistica ed in particolare con gli istituti rientranti in tale area, in primis la categoria della sostituzione utilizzato per spiegare il meccanismo e l’efficacia del contratto collettivo, risulta essere assai convincente.

Tuttavia, la spiegazione “privatistica” da egli formulata finiva per essere riferita, nel regime corporativo, a un’organizzazione sindacale che, facendo parte essa stessa dell’apparato statuale, non si prestava ad una ricostruzione di tal genere.

161 Cfr. R. FLAMMIA, op. cit., pag. 76

162 Cfr. R. FLAMMIA, op. cit., pag. 18 ss.

D’altro canto, la possibilità di spiegare l’efficacia del contratto collettivo riconducendolo ad una prospettiva diversa e superiore a quella meramente individuale, oggi è legittimata dalle valutazioni del fenomeno sindacale implicitamente contenute nell’art. 39 Cost. che consente di ritenere valida la spiegazione privatistica dell’autonomia sindacale.

L’art. 39 Cost, non può certo essere utilizzato per spiegare la rilevanza e l’efficacia del contratto collettivo di diritto comune, ma sancisce comunque “l’implicito, ma non meno sicuro, riconoscimento a livello costituzionale della competenza delle associazioni di categoria a regolare gli interessi collettivi dei lavoratori”163.

Nel documento Capitolo I PROFILI STORICI 1. (pagine 101-107)