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INFLUENZE LETTERARIE:

1. L’ Étranger: un esempio di uomo assurdo

A partire dal 1937, mentre Camus si sforzava di terminare La Mort hereuse, quello che sarebbe dovuto essere il suo primo romanzo, troviamo all’interno dei Carnets, alcune annotazioni che delineano, in maniera sempre più puntuale, la costruzione di un’altra opera. L’autore ci lascia intravedere una sorta di schema che illustra l’ossatura di un romanzo incentrato sulla rappresentazione di un « homme étrange à sa vie ».

L’Étranger è certamente l’opera più rappresentativa di quello che Camus

stesso definisce il suo “ciclo dell’assurdo” o “ciclo della negazione”. Tale definizione, rintracciabile nei Carnets, si configura come il tentativo di trasportare nell’universo creativo ciò che in quel momento occupava a pieno titolo la sua attività riflessiva. La filosofia dell’assurdo, e tutte le implicazioni che da essa derivano, trovano, così, sbocco nella finzione letteraria e, accanto al Mythe de Sisyphe, il romanzo ha, dunque, il compito di esprimere e riflettere l’individuo assurdo illustrando quello che Camus vede come lo stadio negativo per eccellenza dell’uomo moderno.

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Pensato fin dal 1937 e terminato soltanto nel maggio 1940, L’ Étranger attraversa un periodo di gestazione lungo e denso di avvenimenti personali per l’autore.

Si profila, adesso, una nuova fase nella vita di Camus, in cui l’evento chiave è sicuramente rappresentato dall’incontro con Pascal Pia. Il giovane scrittore si trova a contatto con un uomo che non solo, esprime idee simili alle sue ma, piuttosto, possiamo dire, le incarna. Camus non aveva certo aspettato la conoscenza di Pia per formulare la parola “absurde”, la troviamo già nei suoi Carnets del 1936, eppure mediante questo incontro ebbe la sensazione di trovarsi in presenza di un esempio vivente di “homme absurde”. Come Camus, anche Pia era stato orfano di guerra; cresciuto nella miseria, aveva coltivato la passione per la letteratura, ma se per il primo l’assurdo non era che un punto di partenza, per il secondo esso rappresentava il duro terreno di approdo, lo sguardo disincantato di fronte al niente. Fu sicuramente il confronto con il pessimismo e il nichilismo più disperato a colpire il giovane scrittore, che vide in questa figura carismatica l’esempio più toccante e insieme lucido di rassegnazione nei confronti del non senso dell’esistenza umana.

Se la figura di Pascal Pia abbia o meno ispirato il personaggio di Meursault non è rilevante; certo, sappiamo che il Mythe de Sisyphe è dedicato a lui e, per cui egli risulta sicuramente essere tributario di quell’orientamento della riflessione camusiana che dall’analisi del concetto di assurdo inizia la sua evoluzione.

La critica diffida da una spiegazione de L’ Étranger basata sul Mythe de

Sisyphe; questo è comprensibile se si pensa di poter ridurre un romanzo così

complesso e, per tanti versi oscuro, alla mera esposizione di una tesi. Tuttavia, trovo che, solo per fare alcuni esempi, letture di tipo psicanalitico,

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o coloniale dell’opera, esulino totalmente dal mio percorso. Per questo, senza in alcun modo banalizzare o appiattire la densità dello scritto, ritengo che la speculazione filosofica sul tema dell’assurdo rimanga ancora oggi l’unica strada in grado di illuminare in merito ad una corretta interpretazione critica.

L’audacia della scelta narrativa è sicuramente uno dei motivi della riuscita de L’ Étranger. Tutto il racconto è scritto alla prima persona, e passa attraverso lo sguardo del personaggio protagonista, Meursault, il quale, espone in maniera molto precisa dal punto di vista cronologico, fatti e dettagli della sua vita quotidiana. Il racconto sembrerebbe impostato come un diario, sennonché il protagonista, contrariamente a quanto ci si aspetti, non riferisce assolutamente niente di ciò che pensa; Meursault più che un tipico narratore in prima persona, sembra piuttosto una coscienza proiettata nel mondo circostante. Egli appare al lettore come immerso in un universo di sensazioni, al tempo stesso vive e indifferenti, in cui tutto si uniforma e, in cui sembra impossibile cogliere un significato altro.

Attraverso la prima frase del romanzo s’impone, quindi, una sorta di presenza sconcertante, costantemente separata da se stessa e da ciò che racconta. « Au jour d’hui maman est morte » (E, p. 121) : è così che si apre

L’Étranger, con una costatazione secca, una frase lapidaria, al tempo stesso

banale e potenzialmente tragica che conferisce da subito al libro quella particolare risonanza stilistica che lo caratterizza.

La critica parla di « écriture blanche »66 ovvero di una scrittura che renda

l’idea di una coscienza totalmente neutra, come svuotata di senso, innocente di fronte al mondo che descrive; estranea, per l’appunto. Il tono della prima parte del romanzo è, in effetti, tutto giocato sul rifiuto del pathos; attraverso

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la giustapposizione di frasi brevi e semplici, vengono descritte conversazioni e fatti del tutto ordinari. Perfino il funerale della madre di Meursault si trasforma nell’accumulazione di una serie di azioni più o meno insensate, in un rituale che il protagonista vede quasi dall’esterno.

I sei capitoli che vanno a formare questa prima parte si presentano, dunque, come un susseguirsi di incontri posti l’uno dopo l’altro, il cui insieme non si può dire che formi una vera e propria trama.

Una breve scena del capitolo quinto denota proprio, questa tendenza all’annotazione e all’aneddoto che va a schiacciare il racconto, orientandolo verso una descrizione del quotidiano, che risulti più piatta possibile. Meursault ha l’abitudine di pranzare nella la trattoria di Céleste e durante uno dei suoi pasti si dilunga nell’osservazione minuziosa di una « bizarre petite femme » ( E, p. 166) dai gesti automatici e ritualizzati che sta mangiando accanto a lui.

Questo è solo un esempio di come il racconto metta l’accento sulla meccanicità della vita: gli individui sono mostrati nella loro nuda realtà senza nessuna sorta di abbellimento romanzesco, senza nessuna ricerca di significato o giustificazione, essi sono, in definitiva, solo azione.

Meursault sembra tenersi a distanza dal mondo che descrive, annota i singoli gesti, decompone ai minimi termini le nostre abitudini e, al tempo stesso ne fa parte, anch’ egli immerso del divenire incessante. Il protagonista è come un occhio che registra i fenomeni del mondo circostante, una coscienza silenziosa che si rifiuta di dare un senso all’esperienza che fa della realtà.

A una prima lettura l’atteggiamento di Meursault è assimilabile a un’indifferenza sistematica, un naturale distacco. Tuttavia, tale

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comportamento rivela, a un’analisi più attenta, una certa ambiguità. Egli, più che disinteressato sembra interessato solo agli aspetti più materiali della vita che conduce, i fatti veri e propri. Ciò che ne deriva è la dimostrazione di un’aderenza quasi animalesca alla realtà, come se questa fosse composta solamente di gesti materiali.

Quando Camus parla di un “narratore senza coscienza apparente”, non intende certo dire che il suo personaggio non abbia una coscienza ma, piuttosto, che egli si comporta, almeno per questa prima parte del romanzo, come se non ce l’avesse. Si potrebbe parlare allora di una tecnica narrativa neutralizzante, in cui il linguaggio è utilizzato in modo che il lettore abbia il senso di veder funzionare un processo meccanico.

Riassumiamo adesso i motivi fondamentali di questa prima parte del romanzo: la narrazione è esclusivamente nelle mani del protagonista, un personaggio estraneo e disinteressato rispetto al mondo in cui vive, che ci riferisce una serie di fatti della sua vita quotidiana, apparentemente slegati tra loro, e privi di ogni sorta di impatto emotivo. Eppure la vicenda non è certo priva di materiale da sviluppare. Gli eventi raccontati potrebbero, se presi singolarmente, dar luogo a un filone autonomo: la morte della madre, la relazione sentimentale con Marie, il vicino di casa probabilmente legato alla criminalità, ma nessuno di questi accadimenti riesce a giocare un ruolo decisivo ai fini della narrazione. Tutto sembra succedere per caso, nella totale indifferenza di un protagonista che liquida ogni avvenimento attraverso la frase: « cela n’ a aucune importance».

Se la parola del protagonista, nella prima fase, è pressoché inesistente, l’immagine occupa fin dall’inizio, e per tutto il romanzo, un ruolo di rilievo. Fedele al suo proposito estetico di “non pensare per idee”, Camus vede nell’immagine la strada privilegiata della comunicazione.

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Sono molti i brani che offrono un riscontro di quanto detto. Nel testo troviamo una spiccata tendenza a rendere attraverso la vista quanto Meursault non riesce o non vuole dire a parole. Abbiamo, quindi, una sorta di raffigurazione delle sue sensazioni, più che dei suoi pensieri; le immagini ci informano circa le percezioni degli eventi che il protagonista si trova a vivere e, divengono anche, prezioso strumento interpretativo.

Potremmo dire che le immagini svolgono, all’interno dell’opera, una duplice funzione. In primo luogo, esse sono una sorta di corollario agli eventi raccontati in quanto li connotano emotivamente. In secondo luogo, si rivelano necessarie alla speculazione filosofica e, hanno, quindi, il compito di mettere in luce i concetti della riflessione che soggiace al romanzo. Vediamo meglio attraverso alcuni esempi. Il funerale della madre di Meursault è sicuramente il momento che più di tutti disattende le aspettative del lettore. Anche di fronte ad un avvenimento di così forte impatto emotivo la reazione del protagonista è pressoché inesistente: da lui, insomma, non trapela alcuna sorta di sentimento. Tuttavia, le immagini che accompagnano l’evento funebre sembrano rivelare qualcosa di più.

J’étais un peu perdu entre le ciel bleu et blanc et la monotonie de ces couleurs, noir gluant du goudron ouvert, noir terne des habits, noir laqué de la voiture. Tout cela, le soleil, l’odeur de cuir et de crottin de la voiture, celle du vernis et celle de l’encens, la fatigue d’une nuit d’insomnie, me troublait le regard et les idées. […] J’ai encore gardé quelques images de cette journée : par exemple, le visage de Pérez quand pour la dernière fois, il nous a rejoints prés du village. De grosses larmes d’énervement et de peine ruisselaient sur ses joues. Mais à cause des rides, elles ne s’écoulaient pas. Elles s’étalaient, se rejoignaient et formaient un vernis d’eau sur ce visage détruit. Il ya eu encore l’ église et les

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villageois sur le trottoirs, les géranium rouges sur les tombes du cimetière, l’ évanouissement de Pérez ( on eut dit un pantin disloqué), la terre couleur de sang qui roulait sur la bière de maman, la chair blanche des racines qui s’ y mêlaient, encore du monde, des voix, le village, l’ attente devant un café, l’ incessant ronflement du moteur, et ma joie quand l’ autobus est entré dans le nid de lumières d’ Alger et que j’ ai pensé que j’allais me coucher et dormir pendant douze heures. ( E. pp. 147-150)

Si noti che le immagini non rivelano, come si potrebbe pensare, lo stato d’animo del protagonista, ma sono sempre e solo portatrici di un insieme indistinto di sensazioni che lo sommergono e lo lasciano in uno stato di sfinimento fisico e mentale. Il lettore, così come Meursault, non riesce a stabilire un preciso legame emotivo tra ciò che percepisce e gli eventi raccontati, ma si ritrova anch’ esso trasportato in quel turbinio di sensoriale che avvolge il racconto. Potrebbe darsi, allora, che la continua stanchezza lamentata dal protagonista, il suo sovente stupirsi circa la velocità delle cose e tutto quell’andare di corsa, non siano elementi casuali ma, piuttosto, indizi da inquadrare all’interno di un ragionamento più ampio.

Questa prima parte del romanzo è collocata nella sfera del divenire e ne assume, così, tutti i tratti salienti. Non mancano allora gli elementi per mostrare che esiste un parallelismo tra la narrazione gestita dal personaggio camusiano e quei principi riguardanti l’assurdo esposti nel Mythe de

Sisyphe.

Nel capitolo precedente ho spiegato che Camus distingue tra “sentimento dell’assurdo” e “nozione dell’assurdo” e, di come lo scarto tra le due condizioni sia rappresentato dalla presa di coscienza. Meursault diviene, così, emblema dell’uomo alle prese con la sua condizione metafisica iniziale. Egli vive perso nel flusso del divenire e sperimenta dapprima al

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livello sensoriale un sentire confuso e irrazionale che solo in un secondo momento sarà in grado di portare a coscienza.

L’insistenza sul desiderio di dormire, sul sonno, si configura come il simbolo di una vita che, anestetizzata dalle abitudini quotidiane, risulta ripetitiva e uniforme. Anche l’accento sull’aspetto meccanico dell’esistenza va inquadrato in questa direzione: una volta privato della voce, l’uomo risulta come la pantomima di se stesso, esso è visto, in definitiva, in quanto essere solo fisico all’interno di un contesto dove ogni sua azione perde di senso.

La scoperta che l’esistenza umana non ha significato è, si, il punto di partenza della quête camusiana, ma coincide anche con l’inizio di un processo di liberazione dell’individuo.

Nel capitolo precedente ho cercato di dimostrare come la dissertazione contenuta all’interno del Mythe de Sisyphe trovi il suo punto di convergenza con il pensiero nietzscheano, proprio su questo terreno. Rivalutazione dei sensi e critica i limiti della ragione sfociano, così, in una deresponsabilizzazione del divenire che apre le porte a una visione della vita umana del tutto nuova, poiché basata su un’attestazione di innocenza. Se si considera che L’Étranger è anche e, soprattutto, la storia di un processo, le considerazioni appena fatte assumono una maggiore valenza e una loro coerenza di fondo. Tuttavia, adesso è importante proseguire con lo sviluppo della vicenda concentrando l’attenzione sull’evento che segna la svolta del romanzo: l’omicidio commesso da Meursault.

Abbiamo lasciato il nostro protagonista in balia del caso; intento a vivere una vita che sembra non riguardarlo, circondato da persone che non destano in lui il benché minimo interesse. Che questo individuo possa commettere

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un omicidio è sicuramente la cosa più improbabile. Eppure accade. In un giorno qualsiasi, per un motivo di poca importanza, Meursault, con quattro colpi di pistola, uccide un uomo. Un arabo, per la precisione.

Su questo episodio del romanzo la critica ha detto moltissimo. Per cui mi limiterò a trovare una chiave di lettura che risulti quantomeno coerente con il mio percorso di ricerca.

Dopo tutto il silenzio della prima parte, i quattro spari, con il loro rumore secco e insieme assordante, si impongono con un’evidenza pressoché assoluta. Essi vengono a interrompere quel continuum ipnotico di cui ho parlato, lo fanno letteralmente saltare in aria tanto da sembrare spari metafisici più che reali. Inoltre, tutto sembra avvenire non per volontà del protagonista, ma piuttosto per una sorta di reazione a catena prodotta dagli elementi della natura, così preponderanti in questa scena, o forse, potremmo dire, dalla fatalità del cosmo.

Perché si capisca meglio il clima e il pathos in cui avviene l’omicidio occorre citare alcuni tra i brani più significativi, operando, però, al loro interno, una distinzione. Come già sottolineato, è la natura a fare da protagonista e per questo le citazioni testuali saranno incentrate esclusivamente su di essa e sul suo ruolo. A tale proposito propongo di classificare il testo secondo tre categorie: 1) natura che collabora a spingere il soggetto verso l’omicidio, 2) precisa relazione tra natura e morte, 3) indicazioni fornite dal rapporto sole- ombra.

Esempi appartenenti alla prima categoria:

La chaleur était telle qu’il m’était pénible aussi de rester immobile sous la pluie aveuglante qui tombait du ciel. […] j’ai pensé que je n’avais qu’une demi-tour à faire et ce serait fini. Mais toute une plage vibrante de soleil se pressait derrière moi. […] A cause de cette

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brulure que je ne pouvais plus supporter, j’ai fait un mouvement en avant. Je savais que c’était stupide, que je ne me débarrasserais pas du soleil en me déplaçant d’un pas. Mais j’ai fait un pas, un seul pas en avant. […] C’est alors que tout a vacillé. La mer a charrié un souffle épais et ardent. Il m’a semblé que le ciel s’ouvrait sur toute son étendue pour laisser pleuvoir du feu. ( E. pp. 174-176)

Esempi appartenenti alla seconda categoria:

C’était le même soleil que le jour où j’avais enterré maman et, comme alors, le front surtout me faisait mal et toutes ses veines battaient ensemble sous la peau. ( E. p. 175)

Esempi appartenenti alla terza categoria:

J’avais envie de retrouver le murmure de son eau, envie de fuir le soleil, l’effort et les pleurs de femme, envie de retrouver l’ombre et son repos. […] Le bruit des vagues était encore plus paresseux, plus étale qu’à midi. C’était le même soleil, la même lumière sur le même sable qui se prolongeait ici. Il y avait déjà deux heures que la journée n’avançait plus, deux heures qu’elle avait jeté l’ancre dans un océan de métal bouillant. ( E. pp. 174-176)

Si noti che, al di là delle distinzioni da me proposte, il binomio natura - morte è onnipresente in questa scena. Tutto sembra essere affidato alle percezioni primarie dei sensi, le quali decidono sullo stato d’animo e sulle azioni del protagonista ed è come se la totale accettazione camusiana della natura coincidesse con la presenza inespugnabile della morte. Ho preferito isolare la citazione sul funerale della madre in una categoria a sé stante proprio per evidenziare come, anche in quella ricorrenza, l’elemento del sole fosse connotato negativamente e mostrato nella sua stretta correlazione con l’evento funebre.

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La terza categoria è quella che più di tutte ha destato il mio interesse in quanto meno facile da collocare rispetto alle altre. A cosa rimandano le alternanze sole-ombra? E soprattutto che cosa intende dire Camus con la frase pronunciata da Meursault subito prima di sparare: « j’ai compris que j’avais détruit l’équilibre du jour, le silence exceptionnel d’une plage où j’avais été heureux. » ? ( E, p. 176)

Tra le poesie di Nietzsche intitolate Le canzoni de principe Vogelfrei, in appendice alla Gaia scienza, se ne trova una il cui primo schizzo risale 1882. Nella sua versione definitiva è stata intitolata Sils-Maria:

Qui me ne stavo e attendevo, nulla attendevo, Al di là del bene e del male, or della luce Godendo , or dell’ombra, tutto semplice gioco, E mare e meriggio, tutto tempo senza meta.

E d’improvviso, amica! Ecco che l’Uno divenne Due – -E Zarathustra mi passo vicino …67

Al di là del significato più generale della poesia, vorrei incentrare l’attenzione sulla scena descritta. Essa contiene in sé un qualcosa di enigmatico ed illuminante al tempo stesso; per cui, ritengo che la sua interpretazione potrebbe arricchire di nuovi particolari il brano de

L’Étranger che stiamo analizzando.

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Tutto si svolge nell’ora del meriggio. In questo momento della giornata si è soliti cercare ombra e riparo in un ambiente interno, perché fuori la luce è fortissima. L’effetto ci è dato dal fatto che luce ed ombra si manifestano con eguale intensità e perciò in modo equilibrato. Nel meriggio la vista non riesce a delineare nessuna figura o paesaggio e, così pure il mare è percepito non come cosa singola ma, come una totalità. Esso arriva a sembrare una superficie metallica, uno specchio su cui riflette la luce, in maniera talmente forte da accecare tutto il resto, uniformando i contorni delle cose. Il silenzio domina la scena.

La situazione che il nostro Meursault si trova a sperimentare è pressoché simile. Si svolge nelle ore del primo pomeriggio, appena passato mezzogiorno. Sulla spiaggia il sole batte a picco e il riflesso sulla superficie del mare genera un riverbero di luce accecante, quasi insopportabile, in cui acqua e sabbia quasi non si distinguono.

Veniamo adesso al “soggetto”: come e attraverso quali modalità dovremmo collocare le sue azioni?

Nella poesia si dice che “tutto è semplice gioco”. Fino a quando ci si

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