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DUE PENSIERI A CONFRONTO

1. La filosofia dell’assurdo:

Due sono le nozioni fondamentali che sottendono al pensiero di Albert Camus: l’assurdo e la rivolta. Sebbene sia importante notare fin da subito che l’idea di assurdo cederà sempre di più il posto a quella di rivolta, l’assurdo gioca un ruolo decisivo nel pensiero dell’autore poiché rappresenta la sua posizione metafisica iniziale. È quindi essenziale partire dal chiarimento di tale concetto attraverso l’analisi del suo saggio Le Mythe

de Sisyphe.

Camus distingue tra il sentimento dell’assurdo e la nozione di assurdo. La differenza fondamentale tra i due è da rilevarsi nella presa di coscienza: se nel primo caso è la sensibilità che percepisce un malessere diffuso di fronte al mondo, nel secondo caso è l’intelletto a concluderne l’assurdità.

In primo luogo è al livello della sensibilità che l’uomo sperimenta uno stato di contraddizione con l’universo, il quale gli da l’impressione di essere assurdo. La vita è anestetizzata dalle abitudini quotidiane che la rendono pressoché meccanica, ma un giorno un avvenimento in apparenza banale arriva a trascinare la coscienza fuori dal torpore in cui si era abituata a vivere e viene da colpo come risvegliata:

Il arrive que les décors s’écroulent. Lever, tramway, quatre heures de travail, repas sommeil et lundi mardi mercredi jeudi vendredi et samedi sur le même rythme. Cette route se suit la plupart du temps.

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Un jour seulement le « pourquoi » s’élève et tout recommence dans cette lassitude teintée d’étonnement. « Commence », ceci est important. La lassitude est à la fin des actes d’une vie machinale, mais elle inaugure en même temps le mouvement de la conscience. Elle l’éveille et elle provoque la suite. La suite, c’est le retour inconscient dans la chaine, où c’est l’éveille définitif. (MS, p. 101)

La coscienza è, qui, invasa da uno strano malessere che non può ancora essere descritto in quanto appartiene all’ordine dei sentimenti più che a quello della ragione. Camus parla di un sentimento “irrazionale”: a un primo livello intende dire che esso sfugge alla razionalità, ma a un secondo livello intende dire che esso pone lo spirito, anche se in maniera ancora confusa, di fronte all’irrazionalità del mondo. Tale sensazione è qualcosa

“qui prive l’ esprit du sommeil nécessaire à sa vie.”(MS, p. 101) Si tratta,

in generale, di un sentimento di estraneità, l’ impressione di essere estraneo in un mondo in cui niente è chiaro, e niente è spiegato:

Un monde qu’ on peut expliquer même avec de mauvaises raisons est un monde familier. Mais au contraire, dans un univers soudain privé d’illusions et de lumières, l’homme se sent un étranger. Cet exil est sans recours puisqu’ il est privé des souvenirs d’une patrie perdue ou de l’espoir d’une terre promise” […] “Ce divorce entre l’ homme et sa vie, l’ acteur et son décor , c’est proprement le sentiment de l’ absurdité. (MS, p.101)

L’ individuo, divenuto lucido, scopre, sia al livello sensibile che a quello dell’ intelletto, le realtà che spiegano il sentimento dell’ assurdo. È questo il capitolo dedicato a quelle che Camus chiama “Le murs absurdes”. Si tratta adesso, per l’ autore, di smascherare tutte le false apparenze, le illusioni dietro le quali si cela l’ assurdità della vita.

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È in primo luogo la percezione del tempo a far prendere coscienza all’individuo della contraddizione assurda: questo insaziabile bisogno di durata viene a scontrarsi con un mondo mortale e limitato in cui siamo soggetti al divenire incessante.

La seconda scoperta è quella dell’ostilità della natura. Camus, sebbene sia stato nella sua opera un celebratore della natura, ne rileva più volte l’ambivalenza, e nella misura in cui essa si pone come nemica, partecipa a

sua volta all’ assurdità. « Le monde n’est plus qu’un paysage inconnu où mon

cœur ne trouve plus d’ apaisement. Etranger, savoir ce que cela veut dire. »(C I, p. 201)

Anche l’inumanità degli uomini partecipa, certo, ad accrescere questo sentimento di disagio. Camus insiste molto sull’ aspetto meccanico della vita e sulle conseguenze negative che da esso derivano. A questo livello del suo pensiero, però, il “meccanico” è qualcosa d’involontario in cui, ciò che riguarda l’ assurdo, è piuttosto inerente al processo ripetitivo della vita quotidiana. Gli atti e i gesti degli individui, una volta svuotati di senso, appaiono come una ridicola pantomima che rende stupido tutto ciò che lo circonda.

Infine è la morte ad apparire come la più evidente delle contraddizioni. Il fatto stesso che l’ uomo sia vivo, ma già condannato a morire fa scorgere l’inutilità e la tragicità di una condizione, quella umana, verso la quale nessuna morale può apportare giustificazione.

« L’intelligence aussi me dit … à sa manière que ce monde est absurde » (MS, p.112)

L’ intelletto altro non fa, adesso, che estrapolare conclusioni sulla base di ciò che i sensi hanno rivelato: esso attesta l’ impossibilità da parte dell’individuo di afferrare la verità. L’ uomo è animato dal desiderio di

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comprendere il mondo, di dare un senso alla propria esistenza attraverso una volontà ordinatrice alla quale non riesce a sottrarsi. Questa continua aspirazione a ridurre la realtà in termini di pensiero si scontra con le sue limitate possibilità di comprensione, per cui egli si accorge di poter cogliere non la verità, ma solo alcune piccole porzioni di verità, sempre e comunque relative in quanto passibili di errore. L’ assurdo nasce anche dal contrasto tra questo irrazionale da cui è dominato il mondo e il desiderio ostinato di unità, di chiarezza che risiede nell’ uomo. Il dramma dello spirito è sicuramente caratterizzato da un sentimento di insoddisfazione che l’ individuo prova nel confronto con un cosmo a lui estraneo che continuamente rigetta il suo slancio di familiarità e ricongiungimento con esso.

Con la nozione di assurdo Camus approfondisce la sua analisi e tenta di dare una propria definizione del concetto.

L’ assurdo non si definisce come tale se non in relazione ai tre elementi che lo compongono: il mondo, l’ uomo, e il confronto tra l’ uomo e il mondo. L’assurdità non risiede, quindi, né nella realtà circostante, né nell’ individuo stesso, ma nel confronto tra i due elementi i quali sono entrambe indispensabili, ed è, quindi, definibile come la relazione di inadeguatezza metafisica tra l’ uomo e il mondo.

I concetti fino ad adesso esposti si possono ascrivere sotto il segno della denuncia, dello smascheramento e della demistificazione. È questa la fase del pensiero camusiano in cui, attraverso una critica del razionalismo, si pongono le basi per tutta quella che sarà la riflessione successiva. Secondo Camus constatare l’ assurdità della vita non è un fine, ma l’ inizio di una riflessione più ampia e profonda, la “verità” dalla quale partire per trarre altri tipi di conseguenze.

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Prima di proseguire il ragionamento Camusiano è utile soffermarsi sugli aspetti dei concetti fino a adesso illustrati che possono essere stati ispirati dalla lettura dei testi di Nietzsche. Per quanto riguarda questa prima fase due sono le tematiche sulle quali intendo focalizzare l’attenzione: 1) la filosofia come riflessione sull’ esistenza, 2) la rivalutazione dei sensi come strumento utile alla conoscenza e la conseguente critica al razionalismo.

1) Sia per Camus che per Nietzsche la filosofia non è separabile dall’ esistenza. Entrambe, infatti, rifiutano di improntare la loro riflessione filosofica in maniera da allontanarla dal suo terreno privilegiato che è quello umano.

A tale proposito Nietzsche confessa:

Ho sempre messo nei miei scritti tutta la mia vita, tutta la mia persona, ignoro quei problemi che possono essere puramente intellettuali. 33

Camus allo stesso modo annota nei suoi Carnets : « Je ne suis pas un philosophe, en effet, et je ne sais parler que de ce que j’ai vécu. »( C, II, p.753).

Tuttavia l’ ambizione di Camus, così come quella di Nietzsche, non si traduce in uno sfruttamento filosofico delle passioni soggettive, ma piuttosto nella volontà di poggiare sulla realtà contemporanea uno sguardo

clinico. Se Camus insiste precisamente su questo aspetto della riflessione

nietzscheana è proprio perché vi riconosce un tratto distintivo della propria indagine: come affrontare l’ esistenza umana una volta presa coscienza della sua assurdità? Questa è, in effetti, la domanda alla quale tutta l’opera camusiana, nella prospettiva aperta da Nietzsche, si sforza a sua volta di rispondere. I due autori non si sentono affatto estranei al “male” che

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pretendono di superare. L’ esistenza è per loro un oggetto di studio e una prova personale al tempo stesso.

Laddove la riflessione filosofica si fonde con l’esistenza, essa rifiuta ogni tipo sistematizzazione. Il pensiero, libero dall’ immobilizzazione concettuale, rivela un’ autenticità che deriva proprio da quel dinamismo che lo rende “vivo”. Su questo punto Nietzsche scrive:

Dal punto di vista scientifico ogni sistema è un’ illusione, un errore che inganna il bisogno di conoscenza e non lo soddisfa che temporaneamente. Il valore della filosofia non risiede quindi nella sfera della conoscenza, ma nella sfera della vita.34.

E anche Camus, annotando questa frase nei suoi Carnets, sempre di

Nietzsche, « la volonté de système est une manque de loyauté »35, dimostra

di aver assimilato il medesimo proposito.

La riflessione nietzscheana si pone come una filosofia dell’esistenza nella misura in cui essa si evolve in linea con il divenire incessante della vita. I principi a cui di volta in volta essa perviene e, i temi a cui si interessa sono solo determinazioni della verità passibili di essere smentite mediante critica. Tenendo conto che anche Camus rileva l’ importanza di rimettere in

discussione le conclusioni alle quali si è provvisoriamente pervenuti36,

ritengo utile introdurre il concetto di critica, limitandomi in questa prima fase, a esporlo sottolineando la sua rilevanza nell’ambito di una speculazione filosofica di tipo a-sistematico.

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F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, p.158

35

F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli idoli,“Sentenze e strali”, aforisma n.°26, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, p. 58

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“ Supposons un penseur qui, après avoir publié quelques ouvrages, déclare dans un nouveau livre : « j’ ai pris jusqu’ ici une mauvaise direction. Je vais recommencer. Je pense maintenant que j’avais tort », plus personne ne le prendrait au sérieux. Et pourtant il ferait alors la preuve qu’il est digne de la pensée. “ ( C2, 58).

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Il concetto di critica risulta di fondamentale importanza per l’elaborazione di tutta l’ultima filosofia nietzscheana, ovvero quella che occupa gli anni a partire dal 1886 e che vede negli scritti del 1888 il suo nucleo di sviluppo centrale. La critica è lo strumento con cui noi appuriamo la falsità delle verità che un tempo ci sono appartenute e con cui, al tempo stesso, ne riconosciamo anche il bisogno.

La prima comparsa del concetto di critica la troviamo all’ altezza del 1881- 82 nell’ aforisma 307 de La Gaia Scienza dal titolo “ A vantaggio della

critica”:

Oggi qualcosa che tu una volta hai amato come una verità o una verosimiglianza ti appare come un errore: lo respingi da te e credi a torto che la tua ragione abbia riportato qui una vittoria. Ma forse allora, quando tu eri un altro – tu sei sempre un altro-, ti era altrettanto necessario quell’errore quanto tutte le tue “verità” di oggi, quasi come un’epidermide che ti dissimulava e occultava alcune cose che non ti era ancora lecito vedere. La tua nuova vita ha ucciso per te quell’ opinione, non la tua ragione: non ne hai più bisogno, e così essa crolla su se stessa, e l’ irrazionale esce alla luce strisciando da essa come un groviglio di vermi. Quando noi facciamo della critica, non c’ è niente di arbitrario e di impersonale – almeno molto spesso è questa una dimostrazione che esistono in noi incalzanti energie vive che infrangono una scorza. Noi neghiamo e dobbiamo negare, perché qualcosa in noi vuole vivere e affermarsi, qualcosa che forse ancora non conosciamo, ancora non vediamo! – questo sia detto a vantaggio della critica.37

Noi siamo, quindi tante determinazioni del divenire dell’ esistenza che muoiono continuamente adattandosi a tale flusso continuo. Da questo

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aforisma possiamo estrapolare quelle che sono le tre fondamentali determinazioni del termine:

a) Negativa. La critica è sempre negativa in quanto nega un’ opinione, una visione precedente delle cose.

b) Personale. La critica è sempre un’ autocritica, anche quando è critica di una verità altrui, , una critica di noi stessi, dei tanti “noi”che si sviluppano durante l’ esistenza.

c) Dialettica. La critica, come conseguenza delle osservazioni appena fatte, deve sempre assumere una struttura dialogica oppositiva, in quanto mette a confronto due verità, due posizioni contrastanti. Gli scritti del 1888 rientrano tutti nell’ ottica di una filosofia autocritica ma, il testo che tra questi citeremo più spesso, in quanto di particolare rilevanza per la nostra analisi, è il Crepuscolo degli Idoli. Scritto nell’ estate dell’ 88, rappresenta per Nietzsche, e così lo definisce, la “summa della sua filosofia”. Fulcro tematico dell’opera è infatti un riposizionamento e una ridefinizione di quello che fino ad allora è stato il suo pensiero filosofico. La prima sezione, dal titolo “Sentenze e Strali”, è formata da aforismi brevi e strutturata in modo da riassumere il pensiero nietzschiano di questo ultimo periodo sottolineando aspetti importanti di concetti più ampi. Si delinea qui il concetto dell’ autocritica, e l’aforisma più esemplificativo di questo tema è a mio avviso l’ aforisma 42:

Per me erano solo dei gradini, io sono salito al di sopra di loro – a questo fine dovetti passarvi su. Ma essi credevano che io mi volessi mettere su di loro per riposarmi …38

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Risulta chiaro, sulla scorta delle osservazioni precedentemente fatte, la corretta interpretazione di questo aforisma che illustra perfettamente il movimento autocritico, in cui, i gradini rappresentano i giudizi che il filosofo ha preso in esame durante la sua esistenza, e l’ immagine del salire al di sopra rende l’ idea del superamento di tali giudizi. La filosofia nietzschiana non arresta mai il suo movimento critico, essa si evolve di pari passo all’ evolversi dell’ esistenza ed è proprio in questo senso che si configura come filosofia a- sistematica.

2)La filosofia dell’ esistenza richiede un impegno totale dell’ essere. Ricordandosi, forse, dello Zarathustra di Nietzsche il quale afferma:

Di tutto quanto è scritto, amo solo quello che uno scrive con il proprio sangue. Scrivi con il sangue: e imparerai che il sangue è spirito. 39

Camus annota ironicamente:

Question à poser : Aimez-vous les idées – avec passion, avec le sang ? Faites-vous une insomnie de cette idée ? Sentez-vous que vous jouez votre vie sur elle ? Que de penseurs recouleraient ! (C, II, p.59).

È evidente come quella del sangue non sia solo una semplice metafora ma, contenga un invito all’ esaltazione del corpo che Camus ha sicuramente recepito all’ interno della sua opera. Nietzsche, attraverso la riflessione filosofica, si è largamente impegnato a far scendere lo spirito dall’alto del piedistallo dal quale si era arrogato il diritto di screditare il corpo. L’ io cosciente è ,cosi, formato dalla sua totalità

39 F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, I, ”Del leggere e dello scrivere”, in Opere Complete,

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biologica, che lo determina e che lo ingloba40. L’esaltazione di sensi è

un tema della filosofia nietzscheana al quale Camus si è dimostrato particolarmente ricettivo. Basti pensare alla relazione “sensuale” che l’ io instaura, nella sua opera con la natura e a come siano sempre i sensi a rivelare all’ individuo le verità più feconde.

È così che la verità del corpo si oppone alla menzogna dello spirito e, l’ esaltazione dei sensi porta a una decisa critica dei limiti della ragione. Entrambe gli autori non si limitano, infatti, a denunciare il pericolo corso dal pensiero qualora si fissi in un sistema, ma contestano anche il postulato implicito su cui poggia ogni costruzione dogmatica: la ragione umana ha il potere di conoscere la realtà.

Abbiamo già visto come Camus affronti questo tema nel Mythe de

Sisyphe, illustriamo allora come il filosofo tedesco giunga, nella sua

opera, a conclusioni pressoché simili.

Il testo di riferimento è ancora il Crepuscolo degli Idoli. Il terzo capitolo, intitolato “La“ragione”nella filosofia”, contiene gli aforismi più significativi a riguardo. Citerò i passi a mio avviso più rilevanti. […]Tutto ciò di cui da millenni i filosofi hanno fatto uso, erano

concetti mummificati; dalle loro mani non sortì nulla di reale. Quando adorano, questi signori che idolatrano il concetto, uccidono, impagliano – quando adorano, essi diventano un pericolo mortale per ogni cosa.[…] Quel che è non diviene; quel che diviene, non è […] Allora tutti costoro credono, persino con disperazione a ciò che è. Ma dal momento che non ne diventano padroni, cercano dei motivi per spiegarsi perché mai ne siano

40 “ Occorre voler vivere i grandi problemi nel corpo e nello spirito” F. NIETZSCHE, La volontà di

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defraudati.”Deve esserci un’ illusione, un inganno nel fatto che non percepiamo ciò che è; dove si nasconde il truffatore?” – “Lo teniamo” gridano ebbri di gioia “è la sensibilità !” Questi sensi,” i quali per altro sono anche così immorali”, ci ingannano sul mondo “vero”.41

Metto da parte, con sommo rispetto, il nome di Eraclito. Se il restante popolo dei filosofi rigettava la testimonianza dei sensi, perché questi indicavano molteplicità e cambiamento, egli rifiutava la loro testimonianza perché essi mostravano le cose come se avessero durata e unità. Anche Eraclito fece torto ai sensi. Essi non mentono né nel modo che credevano gli Eleati, né in quello che credeva lui – in generale essi non mentono. È soltanto quel che noi facciamo della loro testimonianza che introduce in essi la menzogna , per esempio la menzogna dell’ unità, la menzogna della causalità, della sostanza, della durata […] La “ ragione ” è la causa del nostro falsificare la testimonianza dei sensi. In quanto i sensi ci mostrano il divenire, lo scorrere, il cangiamento, non mentono …42

La menzogna della filosofia occidentale è quella di credere il mondo delle idee come unico mondo vero e quello dei sensi come ingannevole. Tale orientamento di pensiero ha inseguito l’ essere, gli “idoli”, negando il divenire. I sensi ci rivelano che la vita è divenire, e il mondo dell’essere, in quanto mondo statico, è una creazione metafisica. La ragione genera concetti, i quali sono realtà statiche e quindi in contrasto con la vita, al contrario i sensi generano interpretazioni, le quali si configurano come realtà dinamiche e, per questo, in armonia con l’esistenza. La realtà sfugge alle prese della ragione e l’istinto di conoscenza non è che una modalità

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F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli idoli, aforisma n.° 1, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, p. 68

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della volontà di potenza che spinge ogni essere vivente a creare un mondo a sua misura, piegato alle regole di staticità che la ragione si costruisce.

Riprendiamo l’analisi della tematica dell’assurdo così come è esposta da Camus nel suo saggio.

Una volta constatata l’assurdità del mondo è necessario parlare delle attitudini possibili di fronte ad essa. Arriviamo, così, al tema del suicidio. Indicato come tema principale, esso altro non è che il capro espiatorio iniziale, una sorta di provocazione, da cui far partire tutta la successiva riflessione. La tematica centrale dell’ opera è infatti la descrizione e l’ analisi quasi clinica di un “male dell’anima” che, al contrario di molti altri pensatori, non conduce né all’interruzione della vita, né tantomeno a uno slancio verso Dio ma, a una rivalutazione dei valori più terreni come il corpo o l’ azione. Le ragioni che Camus oppone al suicidio sono, infatti, condensabili in un generale messaggio di accettazione dell’esistenza e del suo contenuto di avversità, che pervade tutta la sua opera.

Il successivo passo logico operato dall’autore è, quindi, la spiegazione di come mantenere questa condizione di assurdità, da lui definita pressoché necessaria per l’individuo. Vengono, adesso, introdotti tre concetti, quelli di

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