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Il rapporto con il cristianesimo e il problema della teologia:

DUE PENSIERI A CONFRONTO

2. La filosofia della rivolta e la sua connessione con il movimento autocritico:

2.1 Il rapporto con il cristianesimo e il problema della teologia:

Una volta definiti i principi e le caratteristiche che regolano la rivolta, Camus passa a esaminare quelli che sono i suoi specifici campi d’azione. Essa è in primo luogo “rivolta metafisica”, poiché insorge contro la condizione umana caratterizzata dal dolore e dal male. Per conseguenza il primo bersaglio contro cui si scaglia è Dio, ritenuto, in quanto Creatore, il principale responsabile dell’ingiusta condizione che affligge gli uomini. Abbiamo visto come L’ Homme révolté faccia della critica al nichilismo il suo fulcro tematico; proprio in queste pagine Camus tenta di ricostruire una sorta di “genealogia del nichilismo” e della morale, quella cristiana, che lo ha generato. La ricerca camusiana viene quindi a configurarsi, sulla scorta di quella nietzscheana, come uno specifico modo di accostarsi ai problemi vitali, che consiste nel mostrare il carattere storico o divenuto dei valori etici e le motivazioni umane che ne stanno alla base. Il percorso genealogico, caratteristico della filosofia nietzscheana, rivela, così, la sua fondamentale importanza anche nell’ opera di Camus laddove, il nesso tra morale e società appare sempre più necessario.

La storia della rivolta si lega, così, a quella del cristianesimo, identificato come radice antropologica del mondo occidentale e ciò che ne emerge è la complessa relazione tra la religione e l’autore. È questa una tematica che Camus non ha mai teorizzato, tuttavia la sua” teologia”, seppure non cosciente, ci arriva, e laddove il suo pensiero si oppone al dogmatismo

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cristiano, esso porta con sé le proprie idee su Dio, la fede, Cristo, la chiesa e così via.

Fin dalle prime pubblicazioni, l’immagine di Dio è caratterizzata dalle due idee di onnipotenza e onniscienza divina. Tuttavia, quando l’idea di Dio viene a contatto con quella di uomo, il concetto di potenza assume un valore indirettamente proporzionale: se allo strapotere divino corrisponde l’impotenza degli uomini, alla potenza umana corrisponde l’impotenza divina. Emerge, qui, un’idea di centrale importanza nel pensiero dell’autore, quella che solo gli uomini deboli, coloro che hanno perduto il coraggio di vivere, si rimettano a Dio. Secondo Camus, la fede cristiana riposa sulla sottomissione umana al Creatore e alla sua onnipotenza, la quale include anche l’abnegazione totale e l’accettazione dell’ingiustizia del mondo. È su queste basi che l’autore non esita a definire il cristianesimo come una “dottrina dell’ ingiustizia”.

La divinità « cruelle et capricieuse, celle qui préfère, sans motifs convaincant, le sacrifice d’ Abel à celui de Caïn et qui, par là, provoque le première meurtre » (HR, p. 445) è identificata per Camus con l’ ingiustizia stessa.

Un punto fondamentale della quête Camusiana attorno al tema religioso è la teodicea, ovvero l’ indagine circa l’ origine del male. Anche in questo caso l’ opposizione Dio- uomo è per lui inevitabile.

[…] ou nous ne sommes pas libres et Dieu tout-puissant est responsable du mal. Ou nous sommes libres et responsables mais Dieu n’est pas tout - puissant. Tout les subtilités d’écoles n’ont rien ajouté ni soustrait au tranchant de ce paradoxe. ( HR, p. 690)

Se si crede all’onnipotenza di Dio, tutto il male del mondo è a esso imputabile, perfino la morte dei bambini innocenti, ed è questo lo scandalo,

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che per Camus rappresenta uno dei più terribili esempi della crudeltà divina. Per cui nell’Homme révolté conclude il ragionamento dicendo: « La seule excuse de Dieu c’est qu’ il n’existe pas. »(HR, p. 476)

Se fin dal principio l’immagine camusiana su Dio, è negativa, quella sulla figura di Cristo è piuttosto positiva; in lui, vede un tentativo di assicurare la mediazione tra il divino e l’uomo. Gesù ha subito l' ingiustizia più estrema, poiché Dio l’ha lasciato morire da innocente ignorando il suo grido di dolore e paura. Allo stesso modo, Dio ignora ogni giorno l’appello disperato di milioni di uomini condannati a morire seppure innocenti. Cristo è , quindi, colui che incarna il trauma umano indicando come si deve vivere e morire. Il riferimento a Nietzsche è qui evidente:

[…] Questo messaggero della” buona novella”morto così come ha vissuto, non per salvare gli uomini, ma per mostrargli come bisogna vivere. 50

Il fulcro della cristologia camusiana è, però, incentrato sul motivo della croce. È questo il momento in cui si può osservare: da un lato la disperazione e l’angoscia di Gesù, tale e quale a quella di un uomo e, dall’altro l’abbandono di Dio. Questa idea è stata ben espressa nei Carnets, dove Camus scrive:

Arrachons les dernières pages de l’ évangile et voici qu’ une religion humaine, un culte de la solitude et de la grandeur nous est proposé. Son amertume la rend bien sur insupportable. Mais là est la vérité et le mensonge de tout le reste. (C,1940 p. 206)

La chiesa tradisce gli insegnamenti di Gesù. Questa frase è il filo conduttore di ogni ragionamento camusiano sulla storia della chiesa. È anche questa

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un’idea che l’autore ha tratto dal pensiero nietzscheano del quale approva la

conclusione che « Dieu est morte a cause du christianisme. » (HR, p. 479)

Nel 1937, alla conferenza inaugurale tenutasi alla “ Maison de la culture” di Algeri Camus, rivela i criteri secondo i quali giudica la storia della chiesa: egli approva tutte le correnti che accentuano la “ parte greca” del cristianesimo, e rifiuta, di conseguenza, tutte le “tendenze giudaiche”. La cultura greca, attraverso i suoi principi di mediazione, ha veicolato una visione più umana della religione che si è così avvicinata maggiormente all’uomo abbandonando quella rigidità e quella chiusura caratteristiche della sua matrice giudaica di partenza. Lo gnosticismo fu uno dei primi esempi di collaborazione greco- cristiana, tuttavia, in seguito alla corrente del neoplatonismo, venne bollato come eresia, e il cristianesimo riprese ben presto contatto con le sue origini. In seguito Sant Agostino, attraverso la dottrina della predestinazione, accentuò la divisione tra cielo e terra classificando il mondo in giansenisti e “ribelli”. Per la chiesa era, quindi, giustificata la tortura degli uomini sulla terra nell’attesa di una guarigione dal male possibile solo nel regno spirituale dell’aldilà. Camus si scaglia contro tutti i grandi inquisitori della storia della chiesa e non solo, che servendosi del nome di Cristo, il quale predicava l’amore e il perdono dei peccatori, hanno condannato e giudicato con il solo fine di esercitare e perpetuare il loro potere.

Le idee di Camus sulla teologia e sulla chiesa non hanno mai subito mutamenti, dalle prime opere fino alle ultime. Eppure, parallelamente alla sua evoluzione dell’idea di morale, l’interpretazione e il rifiuto dell’etica cristiana cambiano d’accento. È su questo terreno che si svolgerà il vero e proprio dibattito tra il Camus e il Cristianesimo, laddove l’autore risulta sempre più tormentato dalla ricerca di un fondamento e di una giustificazione circa l’agire umano:

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[…] il s’agit de savoir pour nous si l’ homme, sans le secours de l’éternel ou de la pensée rationaliste, peut créer à lui seul se propres valeurs. (HR, p. 456)

Il conflitto con il cristianesimo risiede, in maniera specifica, nella comprensione di se stesso e del mondo, in quanto esso si presenta come un credo religioso ostile alla natura e alla vita. Dio obbliga l’uomo a scegliere tra il cielo e la terra, tra questo mondo e l’aldilà rompendo, così quel « bel équilibre de l’ humain et de la nature, le consentement de l’ homme au

monde, qui soulève et fait resplendir toute la pensée antique » (HR, p. 595).

É proprio questo dualismo, tipico del pensiero cristiano, che Camus desidera abbandonare, scoprendo il corpo e la vita come alternative praticabili a quelle realtà dello spirito e della morte che fin da giovane lo hanno ossessionato. L’ esperienza personale di amore per l’ universo circostante: il sole, la luce, il mare … è alla base di una sorta di “religione naturale”, una vera e propria santificazione della vita e della natura, che risulta incompatibile con il pessimismo della fede cristiana. Essa auspica a una fusione con il mondo e, a una sua totale accettazione, che non comprende quella possibilità di rifugiarsi nella speranza di un mondo altro proposta dalla religione.

In una relazione fatta al convento dei Domenicani a Latour- Maubourg nel 1946 Camus dichiara:

Je partage avec vous la même horreur du mal. Mais je ne partage pas votre espoir, et je continue à lutter contre cet univers où des enfants souffrent et meurent. ( OE, p. 372)

Nella sua conferenza, egli non parte dal principio che la verità cristiana è illusoria ma, soltanto dal fatto che non può accettarla. Una delle cause che denuncia come responsabile della sua non credenza è, infatti, il pessimismo

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cristiano, in tutti i suoi differenti aspetti. La religione si presenta, agli occhi di Camus, come la risposta dell’uomo al suo sentimento d’impotenza e di smarrimento di fronte all’assurdità dell’esistenza. Tale soluzione gli appare, però, inadeguata , per questo orienta la sua ricerca verso l’ individuazione di una possibile religione della vita e dell’ amore, un culto fondato su quelle forze antagoniste alla morte nei confronti delle quali sente un senso di profonda devozione. L’etica che persegue è focalizzata sull’amore nei confronti dell’uomo, una sorta di religione dell’umanità che risponda agli interrogativi dell’ individuo su se stesso partendo, sì , dalla presa di coscienza del dolore e della morte, ma individuando, come fine, la vita.

Il pensiero nietzscheano in materia teologico- religiosa , si muove sul medesimo terreno. Camus deve aver scorto nell’ opera del filosofo tedesco, per altro citata a più riprese, le sue stesse preoccupazioni e gli stessi presupposti: in primo luogo il fatto di voler riconsiderare la natura vitale, a lungo negata, del sentimento religioso e la conseguente critica alla società occidentale e alla morale da cui essa si è formata. Inoltre, come è già stato precisato, è sicuramente l’approccio, quello genealogico, a costituire il nesso più stringente tra i due autori. Anche per Camus, la morale non riguarda solamente il modo in cui la società gerarchizza e disciplina le pulsioni del singolo, ma è un vero e proprio istinto storicamente determinato, e quindi modificabile. La vita morale si configura, allora, come la stratificazione di questi impulsi storicamente formatisi , nonché come l’articolarsi e l’intrecciarsi dei vari piani della stratificazione. Quello che, secondo Nietzsche, è mancato nella speculazione filosofica a lui antecedente, è il problema stesso della morale, o meglio, è mancato il sospetto che ci potesse essere su questo punto qualcosa di problematico:

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Abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori – e a tale scopo è necessaria una conoscenza delle condizioni e delle circostanze in cui sono attecchiti, poste le quali si sono andati sviluppando e modificando .51

Il problema della genealogia della morale risulta di centrale importanza nella sua analisi della società occidentale. È lo stesso Nietzsche a confessare:

il problema dell’ origine del male già mi correva dentro da quando

avevo tredici anni […] e per quanto concerne la mia “soluzione” al problema , a quel tempo, ebbene, come logico, resi onore a Dio e feci di lui il padre del male. 52

Il destino dell’ Occidente è, agli occhi di Nietzsche, quello di cadere in un’inevitabile crisi della modernità, ovvero un’evoluzione della società che viene a caratterizzarsi nei termini di un’ “autocontraddizione fisiologica”. La critica della modernità operata da Nietzsche si configura come un processo duplice: essa è una messa in discussione, sia della società occidentale nel suo complesso, che dell’ individuo da essa prodotto. L’età moderna, in quanto epoca, ha inizio, secondo Nietzsche, con la Rivoluzione francese, la quale “ ha posto completamente e solamente lo scettro nelle mani del’ uomo buono ( della pecora, dell’ asino, dell’ oca e di tutto ciò che è inguaribilmente piatto e schiamazzante e maturo per il manicomio delle

idee moderne)”53

. Di conseguenza egli indica come primo uomo moderno il pensatore che più di ogni altro ha influenzato la rivoluzione stessa, Jean- Jacques Rousseau verso il quale scaglia forti parole d’ accusa:

51 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, Prefazione, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964,

p.8

52

F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, Prefazione, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, p. 5

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“ Ma Rousseau – a che cosa voleva mai ritornare? Rousseau, questo primo uomo moderno, idealista e canaglia in una stessa persona, che aveva bisogno della “dignità” morale per poter sopportare il suo stesso aspetto; malato di sfrenata vanità e di sfrenato disprezzo di sé. Anche questo aborto, che si è accampato alle soglie dell’età moderna, voleva il “ritorno alla natura”- a cosa, si domanda ancora una volta, voleva tornare Rousseau? Io odio Rousseau anche nella Rivoluzione: essa è nella storia del mondo, l’ espressione di questa doppiezza di idealista e canaglia. La cruenta farsa con cui questa rivoluzione si svolse, la sua “immoralità” mi importa poco; quello che odio è la sua moralità rousseauiana – le cosiddette “verità” della rivoluzione, con le quali essa continua ad esercitare i suoi effetti e ad attirare a sé tutti i superficiali e i mediocri. La teoria dell’ uguaglianza ! … ma non c’ è assolutamente nessun veleno più velenoso, giacchè essa sembra predicata dalla giustizia stessa, mentre è la fine della giustizia … […] Che intorno a questa teoria dell’ uguaglianza si siano svolte vicende così raccapriccianti e sanguinose, ha conferito a questa “idea moderna” per eccellenza una specie di aureola e di splendore fiammeggiante, sicché la rivoluzione come spettacolo ha sviato e conquistato a sé anche gli spiriti più nobili”. 54

Laddove la modernità si configura non solo come epoca, ma come processo, essa si identifica come un processo di decadenza:

non c’è che fare, bisogna andare avanti, voglio dire inoltrarsi, passo

dopo passo, sempre più nella décadence ( è questa la mia

definizione di “progresso” moderno) 55

54

F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli idoli, “Scorribande di un inattuale”, aforisma n.° 48, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, p. 136.

55 F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli Idoli, “Scorribande di un inattuale”, in Opere Complete, Milano,

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È essenziale chiarire il segno ambivalente della décadence. Essa è positiva in quanto comporta un indebolimento degli istinti in favore dell’ attività riflessiva. Ma è negativa nella misura in cui si stalla nella negazione poiché, negando totalmente tutti gli aspetti vitalistici, essa nega la vita. Nel momento in cui si è preteso di fondare una morale su tale indebolimento degli istinti, ciò che ne è scaturito è stato quanto di più dannoso per l’individuo: la creazione di una morale antivitalistica. I decadenti sono coloro i quali “ preferiscono istintivamente quello che dissolve, che affretta

la fine56 ” E per questo essi dicono no alla vita.

L’ atteggiamento anti-vitalistico della décadence è strettamente connesso al sentimento predominante attraverso il quale essa si esprime: il risentimento. Il risentimento è l’odio imponente contro ciò che non si può essere o non si può avere, che anima l’ uomo moderno. Dietro il “ressentiment di Rousseau” , il quale è chiamato da Nietzsche a rappresentante di tutti quegli esseri “ a cui la vera reazione, quella dell’ azione è negata”, si cela la

consolazione della “vendetta immaginaria”57. L’origine della morale

moderna è da rinvenirsi proprio a quest’ altezza, quando il ressentiment diventa esso stesso creatore di valori. Nietzsche, attraverso il suo metodo genealogico mira a dimostrare come la morale della décadence e del

ressentiment, dato per appurato il suo carattere storico e divenuto, sia

espressione tipica della modernità.

Inizialmente, in una sorta di mondo omerico e aristocratico, era dominate la “morale dei signori”; essa, delineata in Al di là del bene e del male, è identificata con una morale che sgorga da un sentimento di pienezza e di potenza che si esprime in una serie di valori vitali, come la forza, la salute, la fierezza e la gioia. In questa morale dei dominatori “si può agire come

56 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale,in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, pp. 25-26 57

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pare e piace o “come vuole il cuore” e comunque “ al di là del bene e del

male”58. Contrapposta a questo tipo di morale, è la “morale degli schiavi”,

la quale sgorga da un sentimento di debolezza e risentimento e che risulta improntata ai valori anti-vitali dell’ umiltà, del disinteresse e della pietà. Prima di passare a analizzare come la morale degli schiavi sia riuscita a soppiantare quella dei signori, è fondamentale interrogarsi su come si siano costituiti i valori alla base delle rispettive morali. A dare una risposta a questa questione è in particolar modo la prima dissertazione della Genealogia della morale, intitolata “Buono e malvagio” “ buono e cattivo”. Sono proprio queste due coppie di termini che aiutano, infatti, a comprendere la genesi del concetto di “ buono”, presente in entrambe gli atteggiamenti etici. Il concetto di “ buono” nella morale dei signori nasce semplicemente per designare il loro ceto sociale. Tale constatazione è facilmente verificabile anche sul piano etimologico in quanto, pressoché in tutte le lingue, il termine “buono” ha subito lo stesso mutamento concettuale: esso era in origine legato a un sentire particolarmente elevato tipico della società aristocratica, che si identificava nel più generale significato di “spiritualmente nobile”. Se l’ uomo della morale aristocratica concepisce spontaneamente l’ idea di “buono”, prendendo le mosse da se stesso e solo in un secondo momento si foggia l’idea di “cattivo”, per l’ uomo appartenente alla morale degli schiavi avviene esattamente il procedimento inverso. Infatti “ la morale degli schiavi” ha bisogno per la sua nascita, sempre, e in primo luogo, di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno, per esprimersi in termini psicologici, di stimoli esterni per potere

in generale agire – la sua azione è fondamentalmente una reazione”59.

58 F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, in Opere Complete, Milano, Adelphi, 1964, p. 239. 59

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L’ uomo del ressentiment , prende come punto di partenza il nemico, un nemico che designa come “malvagio” e solo in antitesi ad esso si forma il suo concetto di “buono” con il quale identifica se stesso. Sono, dunque, due atteggiamenti morali assolutamente contrastanti nei quali assistiamo ad un completo capovolgimento dei valori a seconda della prospettiva che li inquadra.

Questa vendetta dello spirito sul corpo si è consumata attraverso due momenti fondamentali: il platonismo e la morale ebraico - cristiana.

Costruendo l’idea di un mondo intellegibile, separato rispetto a quello sensibile e corporeo, il platonismo aveva indicato nel primo il criterio di verità e la sede del valore, riducendo il secondo a pura apparenza. La filosofia platonica ha, in questo senso, posto le basi per quella morale della rinuncia che il cristianesimo avrebbe ereditato e sviluppato. Gli Ebrei rappresentano la casta sacerdotale pervasa dall’invidia e dal risentimento per il ceto guerriero aristocratico. Essi hanno saputo veicolare questo sentimento di odio attraverso le qualità strategiche e intellettuali proprie alla loro natura capovolgendo, così, i valori del mondo antico:

I Romani erano invero forti e nobili, come non sono mai esistiti sulla terra di più forti e nobili, e nemmeno mai sono stati sognati. […] Gli Ebrei viceversa erano quel popolo sacerdotale, del

ressentiment par excellence , in cui era insita una genialità popolare

– morale impareggiabile. […] Quale di essi ha il temperamento

vinto, Roma o Giudea? Ma non c’ è proprio il minimo dubbio: si

consideri invero dinnanzi a chi si inchini oggi, nella stessa Roma, come dinnanzi alla sintesi di ogni supremo valore – e non soltanto a

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Roma, ma quasi su metà della terra, ovunque l’ uomo è stato addomesticato o vuole diventarlo.[…].60

Il cristianesimo è dunque una religione fondata sulla negazione della volontà di vivere che ha condotto quell’ auto contraddizione della modernità da cui è partito il ragionamento. L’ età moderna è contraddittoria perché si basa su una morale che costringe l’ uomo a vergognarsi dei suoi istinti e a ricacciarli nel profondo. Il mondo vero, quello del corpo e dell’ accettazione della vita è stato sostituito da un mondo fasullo, quello della metafisica platonico- cristiana il quale altro non è che una menzogna funzionalizzata alle esigenze sociali.

A conclusione del mio ragionamento, ritengo sia utile, adesso, esaminare il capitolo de L’ Homme Révolté, dedicato appunto a Nietzsche e intitolato “Nietzsche et le nihilisme”. In esso, Camus dimostra di aver raccolto

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