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Bataille, Salomè, Andler: tre letture del pensiero nietzscheano:

Abbiamo detto poco sopra che esistono, nel panorama culturale francese, due fondamentali letture del pensiero nietzscheano, una avanguardistica, l’altra esistenziale, così determinanti da aver dato luogo a filoni interpretativi alquanto distinti. Tra di esse si inserisce la lettura di Lou Salomé che, insieme a un breve accenno a quella di Jaspers, meritava, a mio avviso, un suo posto specifico all’interno del percorso delineato. Cercherò adesso di chiarirne i tratti salienti, mettendo in luce, per ciascuna di queste letture, i motivi e i nodi tematici che hanno poi, trovato riscontro nell’opera camusiana.

1) Sur Nietzsche, George Bataille: la lettura delle avanguardie storiche

« à Albert Camus, … la morale pourrait-elle etre poussé trop loin ? Avec l’amitié de George Bataille. »

Sur Nietzsche si presenta come un testo molto complesso e di non facile lettura. Il saggio, dalla struttura frammentata e dispersiva, è sorta di diario che racconta il periodo parigino dell’autore durante l’occupazione nazista. Quasi tutta la linea avanguardistica ha tentato di leggere Nietzsche alla luce di un parallelismo con Sade, lungo un’asse che naturalmente si ricongiunge con il pensiero di Marx e Freud. Tale lettura puntava su concetti a essa facilmente armonizzabili quali la volontà di potenza e il superuomo, mentre trovava maggiori difficoltà con il pensiero dell’eterno ritorno. In questo

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quadro, l’ interpretazione di Bataille costituisce sicuramente un punto di rottura e innovazione.

Anch’egli parte dalla consueta lettura sadiana che definisce Nietzsche come filosofo del male ponendo l’accento sul valore liberatorio della negazione e sulla critica della morale dell’epoca. In questo senso la volontà di potenza rappresenterebbe la “parte maledetta”, l’eccesso di energia che necessita dispendio per non divenire dannoso. Tuttavia, l’attenzione del filosofo francese si concentra su quella che lui chiama “la posizione della chance”, un concetto collegato all’idea di ritorno in quanto assenza di uno scopo, rifiuto di ogni progettualità, identificabile con la leggerezza della danza e del riso di Zarathustra.

Di ciò non si dubiti nemmeno un attimo: non si è capito nemmeno una sola parola dell’opera di Nietzsche prima di aver vissuto questa smagliante dissoluzione nella totalità.17

Bataille distingue tra il mondo dei fini e quello del non-senso, teorizzando per l’uomo la possibilità di una terza alternativa che prescinda dai due mondi e, contemporaneamente li presupponga entrambi: inquadrare l’azione all’ interno di un processo liberatorio purché razionale. La ragione costituisce, dunque il limite che circoscrive e controlla i margini esterni di un agire che appare comunque provvisorio.

« Sur Nietzsche » significa appunto vedere che cosa succede prendendo Nietzsche come base mobile, instabile del proprio pensiero. “Essere Nietzsche”, “provarlo”, significa farne un’esperienza interiore e lasciarsi trascinare in un viaggio all’estremo possibile dell’uomo. Secondo Bataille, avere a che fare con il filosofo tedesco, comporta prima di tutto il dovere di vivere fino in fondo, in maniera anche paradossale, un pensiero la cui

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essenza è quella di essere sovrano, un pensiero pensato per il solo piacere di entrare in un’esistenza dominata dal rischio.

La sfida di Bataille è dunque quella di riuscire a coniugare interpretazione e a-sistematicità, dare senso a un pensiero, senza per questo incanalarlo verso una meta fissa e prestabilita. Nell’ottica proposta, le parole di Nietzsche non sono né buone né cattive, né vere né false, non conducono a un valore, né tantomeno rispecchiano l’essere. Questo perché il filosofo francese aveva ben compreso che il pensiero nietzscheano, è un movimento, un’aspirazione continua e inarrestabile che sfugge alla definizione e ai dettami razionalistici. Per Bataille, l’interpretazione di Nietzsche si configura, allora, come un gioco basato su una contrattazione faticosa e su un accordo sempre provvisorio tra le pretese del senso e le resistenze che a esso di volta in volta si presentano.

Il chiarimento della nozione di potenza , la liquidazione della sua equivocità, approdano all’opposizione potere/sovranità in base alla quale Bataille neutralizza ogni sorta di risvolto politico. Se è vero che la volontà di potenza è l’essenza di un mondo irrimediabilmente segnato dalla lotta e dal conflitto, è altrettanto vero che il contrasto di cui si parla non è collocato nel mondo esterno ma, all’interno dell’individuo.

Bataille nel corso del suo scritto, spiega e approfondisce i motivi dell’estraneità di Nietzsche al regime nazista. L’emancipazione voluta dal filosofo non è certo quella di una classe sociale rispetto a un’altra, ma quella della vita umana rispetto alle schiavitù morali del passato. L’uomo sognato da Nietzsche non sfugge alla tragicità del destino, egli lo ama e lo incarna in modo tale da decretare la sua libertà. Quest’uomo, al contrario di quanto si pensi, non è stato definito, in quanto nulla è più vano che fissare o limitare ciò che ancora non esiste. Solo in questo modo l’avvenire diviene

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qualcosa di deresponsabilizzato, poiché slegato dal passato e dalle sue implicazioni etiche.

Come anticipato dalla dedica a Camus, il problema che Bataille pone fin dalle prima righe è quello della morale, nello specifico: la ricerca di una condotta che prescinda da un fine e da Dio. L’autore paragona lo smarrimento personale a quello che Nietzsche deve aver provato nel lanciarsi in questa difficile impresa che aveva come solo scopo la libertà dell’ individuo. Ma, nonostante lo sconforto, Bataille dichiara convinto:

Le difficoltà che incontrò Nietzsche – abbandonando Dio e il bene eppure continuando a bruciare del fuoco di coloro che per Dio e il bene si fecero uccidere – le incontro anch’io a mia volta. La solitudine scorante che egli ha descritto mi toglie ora le forze. Ma la liberazione dalle entità morali, dà all’aria che respiro una verità così grande, che preferirei vivere da paralizzato o morire piuttosto che ricadere nella schiavitù.18

Veniamo adesso alla trattazione dei due concetti che, a mio avviso, possono essere considerati, i più interessanti del saggio, quelli di culmine e declino, i quali conducono alla già menzionata, “posizione della chance”.

Il culmine non è “ciò che bisogna raggiungere”; il declino non è “ciò che bisogna eliminare”. Come il culmine non è che l’inaccessibile, il declino è fin dall’inizio l’inevitabile.19

È questa la sentenza riassuntiva con cui Bataille sembra voler inquadrare due concetti estremamente complessi poiché portatori di un significato sfuggente e molteplice. Il culmine si identifica con la volontà di affermazione dell’essere, un desiderio incessante e, mai completamente

18 Ibidem, p. 32. 19

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appagabile, verso cui l’uomo, nel corso della sua esistenza, sembra tendere costantemente. Per contro, esiste una tendenza completamente opposta, quella al declino, che appare altrettanto inevitabile, seppur indipendente dalla nostra volontà. Tale necessità, sentita dall’uomo come subita, è invece la condizione che lo rende tale e che, se accettata, può infondere un benefico e pacificante dominio sulle cose.

Culmine e declino sono a loro volta portatori di una propria morale. L’etica del culmine è tutta incentrata sul presente, sullo spreco e sul gioco, un’azione libera da schemi finalistici, mentre quella del declino si presenta come un agire finalizzato che antepone il valore del guadagno futuro a quello dell’attimo che stiamo vivendo. Su queste basi Bataille ipotizza l’ inconsistenza dei concetti bene e male, di buono e cattivo in quanto meri giudizi di valore, basati su un equivoco e, derivanti da uno slittamento di tipo logico- concettuale.

Il tempo entra nell’ individuo attraverso la morte ma, anche attraverso l’effetto delle speculazioni che collegano al tempo ogni mia più irrilevante azione. Agire è speculare su un risultato successivo, spendere energia per il futuro. La speculazione si differenzia dalla “messa in gioco” in quanto è fatta in vista di un guadagno. La “messa in gioco” invece può essere indipendente e libera da implicazioni future. 20

Prima di procedere nel ragionamento che porta a definire che cosa sia “la posizione della chance”, possiamo riassumere con queste importanti parole: Anche se il culmine si sottrae a chi lo cerca, a chi mira a esso come

scopo definitivo, posso riconoscere i me un impulso capace di farmi procedere verso il declino. Se posso fare del culmine la meta di un procedere o di un’intenzione posso fare della mia vita la lunga divinazione del possibile.21

20 Ibidem, p. 167. 21

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Si capisce fin da adesso come Bataille identifichi la posizione della chance con il concetto nietzscheano di amor fati. Essa, rappresenta, infatti, l’apertura sul possibile, il dovere di amare ciò che per essenza è perituro vivendo in balia della sua perdita. “Volere” la chance significa non solo accettare il nulla ma, avere la forza di amarlo, con tutto ciò che questo comporta. In questa visione, l’eterno ritorno, è il prezzo del’accettazione e, aprirsi sull’abisso del nulla, il primo passo da compiere per l’individuo. Sulla scorta della seguente lettura vorrei fare alcune riflessioni circa un concetto, quello di limite, che percorre l’interpretazione nietzscheana operata da Bataille, e che sicuramente, come poi vedremo nel seguito del mio lavoro, assume una certa rilevanza anche per l’ opera di Camus.

In primo luogo esso si da come consapevolezza del carattere necessariamente limitato, nel senso di finito, relativo, parziale, delle possibilità dell’uomo. In secondo luogo, esso si pone come superamento delle forme e condizioni che del proprio essere e della realtà oggettiva, l’uomo di volta in volta definisce con la propria azione. Da ognuna di queste accezioni scaturiscono tematiche collegate e dipendenti.

In generale, la filosofia nietzscheana è una presa d’atto della circostanza che i limiti comunque si impongono all’uomo, anche quando egli pensi o pretenda di poterne prescindere e, dall’altro, presa di coscienza che il limite non è semplicemente un fatto da protocollare e da subire, bensì un campo di sperimentazione infinita identificabile con l’esistenza stessa in quanto gioco del possibile.

Il concetto di prospettivismo, ovvero l’ idea che alla realtà ci si avvicini sempre attraverso un’ottica particolare, limitata, si unisce, qui, alla possibilità dell’uomo di ridefinire il proprio essere in rapporto a situazioni sempre nuove e diverse.

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Nella capacità di prendere congedo da cose e situazioni, Gianni Vattimo ha visto un segno e un’espressione importante della tra svalutazione nietzscheana: la tra svalutazione, definita in termini di” passaggio dal gusto per la sicurezza al gusto per l’insicurezza e l’avventura”, non è soltanto la sostituzione di altri valori a quelli già esistenti ma, piuttosto, la nascita di un nuovo modo di rapportarsi ai valori stessi. Saper prendere congedo vuol dire appunto non trattare più il valore come un feticcio, ma come un senso che si è conferito alle cose, e che” nel procedere della vita in un mondo aperto, non più dominato da strutture rigide, può e deve continuamente essere rimesso in discussione , sostituito da un valore più alto e diverso” […] “Per cui anche lo stesso concetto di superuomo è necessariamente da

intendersi in questa prospettiva esistenziale”22.

2) Verso la strada esistenziale: le letture di Lou Salomé e Jaspers

Trasformazioni esistenziali, apertura verso il nuovo, auto superamento, sono questi temi fondamentali anche all’ interno della particolare prospettiva di Lou Salomé, la cui lettura occupa un suo posto specifico all’ interno di questa mia ricostruzione.

Nel 1894, Lou Salomé scrive una biografia intellettuale, intitolata

Friedrich Nietzsche in seinen Werken, che costituisce la prima grande

analisi critica dedicata al filosofo tedesco redatta a ridosso della pubblicazione della sua opera, e per questo ancora più sorprendente.

Nel prologo del libro viene trascritta una lettera dello stesso Nietzsche atta a legittimare l’idea di una riduzione dei sistemi filosofici ai documenti

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biografici dell’autore, dando così l’ immagine della filosofia come auto confessione , di un’esperienza interiore scandita dall’alternanza di salute e malattia, paragonabile a una grande autobiografia del dolore.

L’esigenza del dolore sembra essere la chiave di lettura per intendere le trasformazioni del pensiero nietzscheano, che l’autrice suddivide in tre fasi, tre metamorfosi interiori dominate da un sostanziale desiderio di rompere drasticamente con ciò che ci è appartenuto, di creare una ferita interiore in grado di generare nuovi slanci interpretativi. La lettura della Salomé, getta così, una luce particolare sullo sviluppo intellettuale del filosofo: Nietzsche appare continuamente dilaniato tra la nostalgia di ciò che ha perso e il suo bisogno impellente di auto superamento, un’evoluzione spirituale che lo costringe sempre di più ad allontanarsi dalle cose vissute. La trasformazione è il mezzo attraverso cui si giunge a un nuovo io e a una nuova concezione della vita . Essa è, in definitiva, la dolorosa condizione di ricerca per la creazione di uno spirito originale. In questa prospettiva l’ individuo può esercitare la sua libertà nell’ orizzonte del pensiero e della vita e, ancor di più, nell’ insieme delle sue esperienze interiori.

Il richiamo al ruolo della vita affettiva è, dunque, forte e costante e genera quello che l’autrice chiama “una dislocazione del fondamento della verità

nel mondo degli impulsi”23 in modo da dare al pensiero, fino ad adesso

nebulosa teoria, consistenza e vita. In questo modo la Salomé coglie pienamente la novità della scrittura filosofica nietzscheana, la grande rivoluzione che consiste nella creazione di uno stile caratteristico, il quale esprime il pensiero non soltanto in quanto tale, ma “ con tutta la ricchezza di tonalità emotive risonanti dalla sua anima, con tutti i nessi del

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sentimento, sottili e segreti che una parola e un pensiero possono

risvegliare”24

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In generale questa lettura si distingue, oltre che per una meticolosa e finissima interpretazione dell’evoluzione del pensiero nietzscheano, anche per l’ introduzione di alcuni motivi, in particolar modo quello della maschera e quello del nemico interiore, utilizzati anche dalla critica più recente e, sui quali ritorneremo nel corso dello studio.

È interessante vedere come questa autrice, così prossima al filosofo, sia stata una delle poche interpreti, se non la sola, ad aver dato una corretta lettura del distacco da Wagner. Questo episodio, forse anche a causa delle falsificazioni di E. Forster-Nietzsche, ha costituito un forte momento di

impasse per la critica, la quale ha trovato molte difficoltà nell’inquadrarlo

correttamente. La Salomé procede, invece, con una spiegazione che, lungi dal ricercare motivazioni concrete nel mondo esterno, disloca tutto nell’ universo mentale del filosofo. Nietzsche, a suo avviso, è pervaso da un’esigenza di liberazione e di distacco, non tanto nei confronti del musicista inteso come persona fisica, ma dall’abitudine e dalla dipendenza delle proprie posizioni su di lui. Questo bisogno di crearsi “nemici interiori” risulta, allora, necessario per il progresso dell’evoluzione spirituale e intellettuale. Si tratta, come ad esempio per il tema della religione, di un vero e proprio moto di rivolta contro se stessi, di un allontanamento da una parte di sé che si era accomodata e necessitava per questo di una crisi, di una scossa interiore. Secondo l’autrice, la vera originalità di Nietzsche consiste nel fato che “ mentre udiamo dei pensieri

in lotta, assistiamo allo sprofondare di mondi e al nascerne di nuovi”25.

24 Ibidem, p. 176. 25

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Veniamo adesso alla parte finale del saggio, quella che definisce l’ultima metamorfosi nietzscheana come uno spostamento verso “la filosofia della vita interiore”. In questo periodo, che poi fu anche il più produttivo, Nietzsche sembrò scrivere quasi esclusivamente per se stesso, forzandosi di sottomettere l’ insieme delle sue concezioni alle esigenze del suo io e, di spiegare l’ universo secondo le leggi che regolano la sua personalità. Le nuove prospettive aperte dal filosofo oscillano, dunque, tra un carattere mistico e l’elemento psicologico che dà loro la nascita: è come se questa ultima fase ci conducesse attraverso il dolore e le sofferenze più recondite della sua anima e della sua esperienza. L’istinto fondamentale che dominava il suo essere e la sua conoscenza sembra, adesso svelare la Salomé, fu quello religioso: le filosofie che si alternarono furono, insomma, per lui altrettanti surrogati di Dio. L’ autrice si propone, dunque, nell’ ultimo capitolo, di vedere in che modo Nietzsche risolse il tragico conflitto

della sua vita: “aver bisogno di Dio eppure doverlo negare”26.

Dal punto di vista logico, assistiamo a un allontanamento dall’ideale fino ad allora seguito, quello di una conoscenza dominata dal rigore del pensiero razionale. Dal punto di vista etico, invece, Nietzsche abbandona la critica negatrice adottata fino ad allora per spostare il fondamento della verità nel mondo degli impulsi psichici, come fonte di una nuova valutazione di tutte le cose.

Troviamo, in questa fase, un tentativo di riflessione sui problemi della conoscenza che si indirizza verso la teorizzazione di una dipendenza del pensiero dalla vita istintiva umana. Nietzsche nei suoi scritti finali postula la relatività di ogni pensiero riducendo ogni conoscenza intellettuale al fondamento pratico della vita pulsionale da cui essa discende o, comunque,

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dalla quale è continuamente dipendente. L’ idea che siamo noi stessi a plasmare, in quanto creatori, attraverso la nostra costituzione psichica, la complessità dell’immagine del mondo così come ce la siamo costruita e, che la nostra conoscenza, non è altro che, in ultima analisi, un’umanizzazione delle cose. Per Nietzsche l’ insieme del mondo si dissolve in un’immagine di sogno che l’individuo può arbitrariamente raffigurarsi.

È da questa visione che si genera la nuova tipologia di filosofo: un uomo creatore del mondo attraverso la sua volontà, etica come estetica, che pone il pensiero in un rapporto molto stretto con la vita, con i suoi fini più umani e personali. Il sentimento tragico che ritorna a pervadere tutta l’ ultima filosofia Nietzscheana santifica il dolore trasfigurandolo ed elevandolo alla beatitudine della pienezza vitale in cui si afferma il tratto dionisiaco come emblema di tale divinizzazione. Anche il pensiero dell’eterno ritorno, conclude la Salomé, è da collocarsi all’ interno di tale proposito: dotare la vita di un carattere spirituale per giungere a colmare quella nostalgia religiosa di cui Nietzsche, in sostanza, sembra non liberarsi mai.

Procediamo, adesso con un accenno alla lettura di Jasper, la quale si trova anch’essa, in un rapporto di continuità con quella di Lou Salomé, ad accentuare le caratteristiche esistenziali del pensiero nietzscheano.

Nella sua monografia del 1936, Jaspers si pone l’obiettivo di comprendere la filosofia di Nietzsche a partire dal nesso inestricabile di vita e pensiero, riproposto, però, dal punto di vista dell’interprete, il quale è invitato a una vera e propria appropriazione del pensiero nietzscheano in termini di

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rielaborazione del vissuto personale, all’interno di un processo, che potremmo definire, di intercomunicazione.

Jaspers accentua la connotazione esistenziale del filosofo, seguendone lo sviluppo temporale, attingendo al sostrato biografico e, soprattutto, considerandolo sempre come un edificio in costante stato di costruzione, oscillante tra la dispersione aforistica e l’anelito alla forma unificante di un sistema. “Contraddirsi è il tratto fondamentale del pensiero nietzscheano”, scrive Jasper, precisando come tale contraddittorietà preservi “ la tensione delle possibilità” e comporti “ un ampliamento dello spazio di esistenza

possibile”27. Applicando la logica del contraddirsi, Nietzsche utilizza le

possibilità di un movimento del pensiero negativo per cogliere l’ambivalenza costitutiva della verità, il suo carattere di “maschera”; la seduzione e la fecondità dei contrasti, che si rivelano sempre come espressione di ricchezza.

Secondo Jaspers, un esempio di questo passaggio dalla negazione all’affermazione dionisiaca della vita, è il rapporto che Nietzsche istituisce tra malattia e salute, la necessità della ferita per accedere al dominio della “grande salute”. Jasper mette in luce l’atteggiamento di Nietzsche nei confronti della sofferenza , l’alternanza di stati psicofisici che sembrano ricalcare quell’opposizione tra vita ascendente e vita declinante, tra volontà di potenza affermativa e décadence nichilistica, di cui il filosofo tratta nella sua opera.

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