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INFLUENZE LETTERARIE:

2. Uomini alle prese con la rivolta: La Peste

La Peste viene pubblicata nel giugno del 1947 al termine di un lungo

periodo di gestazione. Già a partire dal 1938, Camus redige una gran quantità di appunti che andranno poi a costituire il materiale di partenza per alcune sequenze del suo racconto. Tuttavia, è solo all’altezza dell’aprile 1941 che l’autore menziona per la prima volta, nei Carnets, il progetto di un romanzo circa l’argomento della peste. Camus inizia, allora, ad accumulare tutta una serie di letture riguardo l’epidemia: testi scientifici, reperti storici, e anche racconti di tipo letterario.

Tra l’agosto del 1942 e settembre 1943 redige una prima versione dell’opera ma, contemporaneamente, continua a elaborare appunti e correzioni di ciò che lui stesso chiama una “seconda versione”. Questa sarà elaborata tra il 1942 e il 1946. Il testo di partenza subisce numerose trasformazioni tra cui la decisione di ricorrere a un narratore di tipo anonimo. Si deve inoltre tener conto che il periodo in cui avvengono queste modifiche coincide anche con un momento storico denso di avvenimenti importanti, che non possono non trovare un discreto eco all’interno del romanzo.

La Peste racconta una storia ben precisa: la comparsa di una violenta

epidemia nella città di Oran e l’animata lotta dei suoi abitanti per sconfiggerla. Il romanzo presenta, a una prima analisi, una struttura estremamente semplice e lineare. La malattia è, infatti, descritta dalla sua apparizione fino alla scomparsa; si narra circa il contagio progressivo dei

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cittadini, le loro reazioni di fronte alla minaccia di morte e la loro condizione d’isolamento rispetto all’universo circostante.

Il lettore si trova a seguire, di capitolo in capitolo, un incrocio di destini individuali raccontati tramite le azioni del dottor Bernard Rieux, protagonista della vicenda, intento a salvare più vite possibili dalla peste. La figura di Rieux si lega a quella di altri personaggi, anch’essi delineati da un ruolo e da caratteristiche ben precise, di cui potremo osservare, nel corso della storia, la progressiva evoluzione.

Posso dunque precisare fin da subito che anche La Peste si configura come un romanzo di formazione. La malattia mette alla prova ognuno dei personaggi, li sottopone a un ripensamento su se stessi e sul mondo. Il passaggio dell’epidemia lascerà per tutti un segno profondo e un’inevitabile trasformazione interiore. Camus mette ancora in scena una quête esistenziale e lo fa, stavolta, attraverso gli strumenti di un romanzo corale che presenta anche i toni di un racconto investigativo, in cui l’enigma accompagna continuamente il lettore.

La tematica dell’indagine riguarda in primo luogo la malattia. Essa arriva in maniera del tutto inaspettata, lasciando i cittadini in una situazione di sconforto e inquietudine. La comparsa dell’epidemia e il suo successivo sviluppo ci vengono presentati, allora, mediante procedimenti stilistici che ricordano molto il racconto poliziesco. Allo stesso modo, anche i personaggi e le vicende che li riguardano sono sempre avvolti nel mistero, per cui, molti aspetti ci saranno chiari solo alla fine.

Il romanzo si presenta, fin dalla prima frase, come una cronaca: la sua struttura, infatti, segue un preciso ordine temporale. Dopo un prologo, costituito da uno sguardo d’insieme sulla città di Oran, il racconto prende inizio il 16 aprile con il ritrovamento di un topo morto, primo segno

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misterioso dell’avvento della peste. Da allora il calendario si plasma sull’andamento della malattia: i fatti vengono associati agli avvenimenti che riguardano la vita cittadina e il tempo è contato in “giornate, settimane o mesi di peste”. Il romanzo è scandito anche dalla successione delle stagioni e del clima, alla cui descrizione viene lasciato molto spazio. Queste annotazioni creano un immanente scenario cosmico che accompagna l’evoluzione della malattia accentuando l’intensità drammatica del racconto. Possiamo dire che l’epidemia crea un mondo separato da quello circostante il quale diviene, agli occhi dei cittadini, il solo e l’unico esistente.

Il principio narrativo de La Peste è del tutto particolare. L’istanza del racconto è un narratore apparentemente anonimo che parla di se stesso in maniera impersonale (« on doit l’avouer », « le narrateur croit ») oppure si esprime alla prima persona plurale, includendosi così all’interno della cittadinanza orainese (« notre ville », « on ne connait pas chez nous le désordre»). Non dicendo mai “io”, sembra collocarsi nel ruolo di uno spettatore attento o un attore di retroscena nel dramma di cui si fa cronista. Tuttavia non si tratta certo di una descrizione distaccata dei fatti; ben presto egli inizia a intervenire in maniera sempre più frequente per commentare quell’avvenimento o le azioni di quel personaggio, lasciandoci progressivamente scoprire il proprio coinvolgimento all’interno della vicenda narrata. Solo nell’ultimo capitolo il lettore scoprirà che il narratore è il dottor Rieux, protagonista in prima persona del percorso e delle sofferenze che ci ha raccontato. Camus si serve di questo procedimento per sottolineare la portata universale di una storia che riguarda non un determinato gruppo d’individui, ma un’intera comunità di uomini, identificabile con la civiltà occidentale.

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È evidente come il significato della peste invada il piano simbolico, laddove il flagello si fa portatore di un più profondo messaggio di tipo esistenziale. La critica ha attribuito diversi significati all’epidemia. Risulta chiaro come quello politico, dettato dall’urgenza della seconda guerra mondiale, abbia preso il sopravvento sugli altri. In questo quadro la peste è identificata con la guerra e per molti aspetti il romanzo restituisce bene l’atmosfera dell’occupazione tedesca: coprifuoco, linee di confine impossibili da superare, stato di segregazione, penuria di derrate alimentari, e cosi via. Sono queste, realtà che i primi lettori de La Peste avevano appena vissuto in prima persona e, che quindi, hanno generato una consistente identificazione con la vicenda. In generale, possiamo dire che La Peste è anche un romanzo di protesta contro ogni forma di totalitarismo e di forza oppressiva, un invito a portare avanti la propria lotta o per meglio dire il proprio movimento di révolte.

Il racconto va, però, inserito all’interno del già menzionato progetto estetico di Camus, il quale suddivide le sue opere in cicli. L’autore dichiara di aver avuto un piano ben preciso riguardo alla sua opera. Attraverso il « cycle de l’absurde » egli voleva in primo luogo esprimere la negazione. Poi, consapevole dell’impossibilità di continuare a vivere in questo stato, prevede un secondo ciclo, quello della « révolte », dettato da un sentimento di reazione positivo al non senso dell’esistenza.

La Peste presenta, allora, i tratti salienti di quel versante della speculazione

camusiana che ho già ampiamente trattato nel capitolo precedente. Occorre ricordare che l’autore utilizza l’assurdo esclusivamente come punto di partenza e non come approdo della sua riflessione. Per cui troviamo, in questa fase successiva, la chiave di volta delle questioni fino a adesso affrontate e il loro più completo sviluppo.

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Così inquadrato, il romanzo, riesce a far coincidere in sé l’insieme delle letture possibili, da quelle metafisico- esistenziali a quelle storico-politiche, entrambe trattate nell’Homme révolté, come facce della stessa medaglia che si compenetrano e confluiscono nel medesimo flusso speculativo.

Il problema principale è sempre quello della riflessione su una realtà contemporanea seriamente compromessa poiché anch’essa affetta da malattia. In quest’ottica la peste si configura come maschera del nichilismo il quale deborda dai confini individuali per coinvolgere, con la sua furia distruttiva e omicida, l’intera civiltà europea dilaniata dalla guerra.

Il flagello ingloba così tutte le possibili sfaccettature del male e della sofferenza che affligge l’umanità ma, diviene al tempo stesso, occasione per reagire, messaggio che impone di non soccombere.

Il romanzo include al suo interno tutte le voci della filosofia della révolte; ognuno dei personaggi ne incarna un aspetto: azione, conflitto, religione, arte … e viene a costituire una risposta possibile alla peste. Niente sembra essere tralasciato, contribuendo a fare di quest’opera una trasposizione creativa completa e coerente della riflessione camusiana.

Vediamo allora in concreto come vengano trattate le principali tematiche all’interno del racconto.

Il romanzo è suddiviso in cinque capitoli, che ricordano e sembrano ricalcare gli atti di una tragedia. Nella prima sezione, incentrata sulla comparsa dell’epidemia, troviamo anche l’entrata in scena dei protagonisti. Rieux, come abbiamo già detto, è il personaggio principale del romanzo; attraverso i suoi occhi il lettore scopre la malattia e ne segue lo svolgimento. Il suo ruolo si situa a metà tra il medico e l’investigatore in quanto, la situazione di emergenza che viene creandosi, lo vede impegnato

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non solo nella semplice cura dei cittadini ma, anche nella gestione di una vera e propria indagine circa la misteriosa malattia.

La sua figura è legata a quella di Tarrou, altro personaggio chiave del romanzo. Presente fin dal principio, Tarrou arriva a Oran poche settimane prima dell’inizio dell’epidemia, e nessuno sembra sapere lo scopo della sua permanenza in città. Questo personaggio appare da subito legato alla sfera dell’arte: una delle prime cose che veniamo a sapere di lui è che ama frequentare il mondo del teatro, ma egli è importante soprattutto per la sua abitudine a tenere dei “carnets”. Gli appunti di Tarrou vengono a costituire una sotto-cronaca che risulta complementare alla vicenda narrata poiché risponde a un singolare principio estetico: raccontare solo particolari irrilevanti.

Ses carnets, en tout cas, constituent eux aussi une sorte de chronique de cette période difficile. Mais il s’agit d’une chronique très particulière qui semble obéir à un parti pris d’ insignifiance. A première vue on pourrait croire que Tarrou s’est ingénié à considérer les choses et les êtres par le gros bout de la lorgnette. Dans le désarroi général, il s’appliquait, en somme, à se faire historien de ce qui n’a pas d’ histoire. (P, p. 50)

I carnets sono spesso anche deputati a introdurre o caratterizzare un personaggio, come nel caso del dottor Rieux, la cui unica descrizione avviene attraverso suo sguardo. La figura di Tarrou appare caricata fin dall’inizio di un forte significato che tuttavia diverrà esplicito solo nel finale.

Il secondo capitolo sembra rivelarci maggiori particolari sulla malattia. Troviamo, qui, le prime indicazioni su che cosa sia esattamente la “peste” e

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su come cambi la vita dei cittadini. Essa, in linea generale, sembra prefigurare, con la sua comparsa, un nuovo stato dell’esistenza.

Il flagello, adesso associato con il termine “abstraite”( P, p. , inizia a rivelare tutta la sua portata simbolica, laddove il riferimento a un valore altro, prende lentamente il sopravvento su quello materiale della malattia. La peste rimanda, in sostanza, a due grandi sfere di significato complementari tra loro, quelle di decadenza e prigione esistenziale, che vanno poi a confluire nella più generica idea di nichilismo. Cerchiamo adesso di trattarle singolarmente al fine di osservare, in maniera puntuale, il loro sviluppo all’interno della vicenda.

L’identificazione con la décadence emerge chiaramente nei frangenti in cui la malattia è correlata all’attività riflessiva e a quel particolare stato meditativo che la favorisce. Ricorre spesso una sorta di antitesi tra “vita attiva” e “vita meditativa”. Vediamo alcuni esempi:

En d’autres circonstances, d’ailleurs, nos concitoyens auraient trouvé une issue dan une vie plus extérieure et plus active. Mais en même temps, la peste les laissait oisifs, réduits à tourner en rond dans une si petite ville morne et livré, jour après jour aux décevants du souvenir. (P, p.

Un personaggio in particolare sembra rispecchiare tale contrasto. Si tratta di un soggetto sullo sfondo della vicenda, denominato come “il vecchio asmatico”. Sarà Tarrou a incontrarlo e a riferirci, attraverso i carnets, il suo particolare stile di vita. Egli detesta gli orologi a tal punto da non averne mai posseduto uno. Così ha elaborato un personale sistema di misura: trascorre tutta la sua giornata a passare dei ceci da una pentola all’altra e, dalla quantità di pentole riempite, riesce a dedurre l’indicazione temporale che desidera.

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A Tarrou qui avait eu l’air de s’étonner de la vie cloîtrée qu’il menait, il avait peu près expliqué que selon la religion, la première moitié de la vie d’un homme était une ascension et l’autre moitié une descente, que dans la descente les journées de l’homme ne lui appartenaient plus, qu’on pouvait les lui enlever à n’importe quel moment, qu’il ne pouvait donc rien faire et que le mieux justement était d’en rien faire. (P, p. 114)

Occorre precisare che l’uomo sembra gioire dello stato di peste in cui versa la città e, commenta gli avvenimenti con questa singolare affermazione: […] « Ah ! Encore un autre, avait-il dit en voyant Tarrou. C’est le

monde à l’envers, plus de médecins que de malades. C’ est que ça va vite, hein ? Le curé a raison, c’est bien mérité. » ( P, p. 114 )

L’insieme delle considerazioni sembra identificare il vecchio asmatico con una sorta di ideale ascetico. Il suo vivere distaccato dal mondo lo pone in una condizione di superiore saggezza rispetto agli uomini e alla loro malattia che diverrà esplicita alla fine del romanzo. Si noti, infatti, come questo personaggio, apparentemente senza importanza, è invece l’ultimo a cui Rieux dà la parola.

Les autres disent : « c’est la peste, on a eu la peste. » Pour un peu, ils demanderaient à être décorés. Mais qu’est ce que ça veut dire, la peste ? C’est la vie et voilà tout.

« -Faites vos fumigations régulièrement. – Oh ! Ne craignez rien. J’en ai encore pour longtemps et je les verrai tous mourir. Je sais vivre, moi.

Des hurlements de joie lui répondirent au loin. Le docteur s’arrêta au milieu de la chambre.

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« Cela vous ennuierait-il que j’aille sur la terrasse ? – Oh non ! Vous voulez les voir de là-haut, hein ? À votre aise. Mais ils sont bien toujours les mêmes. » (P, p. 247)

Occorre ricordare che la décadence si presenta come un fenomeno di segno ambivalente. La figura del vecchio asmatico ne incarna, allora, il segno positivo, quello incentrato sull’attività riflessiva, e sul necessario distacco dalla vita. La condizione di conoscenza gli deriva, sì, dal suo porsi al di sopra di tutto ma, in particolar modo, dall’interiorizzazione di un’importante messaggio: egli è consapevole che si può comprendere la vita solo a partire dal suo ineludibile rapporto con la morte.

A tale proposito può essere utile citare alcuni aforismi contenuti nel secondo capitolo del Crepuscolo degli idoli. Come già detto, l’opera è un riposizionamento del pensiero nietzscheano; nel caso specifico l’autore rivede la sua posizione rispetto alla figura di Socrate, su cui il capitolo è incentrato.

Il filosofo ateniese, presentato nelle vesti di primo décadent, rispecchia l’emblema della filosofia contemplativa la cui nascita è, in realtà, espressione di un conflitto tra l’intelletto e la componente istintuale - vitalistica dell’uomo.

Sulla scorta di queste osservazioni vediamo come dietro la dialettica “vita attiva”- “vita contemplativa” possa, in realtà, distinguersi la dialettica vita- morte.

I filosofi e i moralisti ingannano se stessi credendo di uscire dalla décadence per il semplice fatto che muovono guerra contro di essa. Uscire è qualcosa al di fuori della loro forza: quel che essi scelgono come rimedio, come ancora di salvezza, è esso nient’altro che una nuova espressione della décadence – essi trasformano la sua

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espressione, ma non la eliminano. […] la via senza istinto, in contrasto agli istinti, era essa stessa soltanto una malattia, una malattia diversa […] dover combattere gli istinti – questa è la formula della décadence; fintantoché la vita è ascendente, felicità e istinto sono eguali. (aforisma 11)69

“Socrate non è un medico”- disse piano a se stesso: “ in questo mondo solo la morte è medico …. Quanto a Socrate, egli fu soltanto a lungo malato …. “. (aforisma 12)70

Con l’espressione “malattia socratica” Nietzsche intende definire la filosofia. Una filosofia, quella décadent che, per la sua caratteristica di rinuncia agli istinti, va a collocarsi in una zona limite dell’esistenza. Lo stato meditativo è molto vicino a quello della morte e fa della sua accettazione il punto di partenza per la comprensione della vita.

Adesso la paradossale frase del vecchio asmatico trova un suo chiarimento. Quando egli dice che la peste colpisce così velocemente perché in questo mondo, definito,“alla rovescia”, ci sono “più dottori che malati” intende ammonire gli uomini sul loro modo di condurre l’esistenza. In un universo dominato dalla volontà di potenza, essi vivono in balia degli istinti, senza dare il giusto spazio all’attività riflessiva, ma soprattutto alla morte. Anche la frase successiva acquista una sua coerenza; il vecchio conclude la sua osservazione dando ragione al parroco: “La peste è ben meritata”.

La religione cristiana rappresenta, infatti, l’altro versante della décadence, quello strettamente negativo poiché improntato sul sopravvento

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F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli Idoli, “ Il problema di Socrate”, aforisma n.° 11, in Opere complete, Milano, Adelphi, 1964, p. 45.

70 F. NIETZSCHE, Crepuscolo degli Idoli, “Il problema di Socrate”, aforisma n.° 12, In Opere

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dell’elemento antivitalistico. La troviamo, qui, incarnata nella figura di Père Paneloux, il curato del paese.

Assistiamo, in questo capitolo alla prima delle due prediche da lui pronunciate. Esse ruotano, ovviamente, intorno al flagello e al suo significato, cercando di orientare i cittadini rispetto alla difficile situazione. Anche in questo caso ritroviamo una certa insistenza sul binomio peste- riflessione: la malattia, insomma, si prefigura come strumento per una nuova interpretazione del mondo.

Paneloux se redressa alors, respira profondément et reprit sur un ton de plus en plus accentué : « Si, aujourd’hui, la peste vous regarde, c’est que le moment de réfléchir est venu. » (P, pp. 98-99) […] et reprit, plus sourdement mais sur un ton accusateur : « Oui, l’heure est venue de réfléchir. » (P, p. 100)

Et comme tous ceux-là l’ont fait, c’est un regard neuf que vous portez sur les êtres et sur les choses, depuis le jour où cette ville a refermez ses murs autour de vous et du fléau. Vous savez maintenant, et enfin, qu’il faut venir à l’essentiel. » (P, p. 100)

Il legame tra décadenza e cristianesimo emerge con chiarezza nelle parole di Père Paneloux, laddove percepiamo che il valore della morte risulta enfatizzato rispetto a quello della vita.

Ce fléau même qui vous meurtrit, il vous élève et vous montre la voie. […] à nos esprits plus clairvoyants, il faut valoir seulement cette lueur exquise d’éternité qui gît au fond de toute souffrance. […] aujourd’hui encore, à travers ce cheminement de mort, d’angoisse et de clameurs, elle nous guide vers le silence essentiel et vers le principe de toute vie. ( P, pp. 100-101)

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Condensando al suo interno i principi chiave del cristianesimo, così come è visto dall’autore, la predica rispecchia gran parte del pensiero camusiano in materia religiosa. La figura di Dio è mostrata all’apice della sua onnipotenza: la punizione attraverso il flagello. Mentre l’ idea di salvezza è prefigurata solo in una vita futura, l’eternità, unica consolazione possibile ai mali dell’esistenza terrena.

Non c’è dunque da stupirsi se la predica non ha un effetto tranquillizzante sui cittadini; al contrario, fornisce loro la netta sensazione di essere condannati per una colpa ignota. Solo il giudice Othon, non a caso, dimostra di aver apprezzato le parole del curato e di sentirsi in perfetto accordo con lui.

Le seguenti considerazioni ci conducono verso la seconda sfera di significato attribuita alla peste, quella di prigione esistenziale. Moltissimi sono i riferimenti a questa tematica e frequenti, anche, i richiami a

L’Étranger.

Tuttavia, in questo frangente, il personaggio chiave si rivela, a mio avviso, il giovane Rambert. Giornalista venuto a Oran per motivi di lavoro, Rambert si trova materialmente imprigionato in una situazione che crede non riguardarlo affatto. Egli desidera insistentemente poter tornare a Parigi dalla sua fidanzata e per gran parte del romanzo lo vedremo impegnato nel tentativo di scappare.

[…] Rambert avait plaidé sa cause. Le fond de son argumentation

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