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Tra letteratura e filosofia: l' influenza del pensiero nietzscheano sull' opera di Albert Camus.

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Academic year: 2021

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INDICE:

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

Camus lettore di Nietzsche

1. Una breve storia della ricezione francese di Nietzsche

1.2 Bataille, Salomé, Andler: tre letture del pensiero nietzscheano. CAPITOLO II Due pensieri a confronto

1. La filosofia dell’assurdo

2. La rivolta e la sua connessione con il movimento autocritico

2.1 Rivolta e religione: il rapporto con il cristianesimo e il problema della teologia

2.2 Rivolta estetica: la tematica dell’arte e il ruolo dell’artista CAPITOLO III Influenze letterarie

1. Un esempio di uomo assurdo: L’Étranger 2. Uomini alle prese con la rivolta: La Peste CONCLUSIONI Oltre il nichilismo

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INTRODUZIONE:

L’intento di questo studio è rintracciare l’influenza che il pensiero di Friedrich Nietzsche ha avuto nell’opera di Albert Camus .

Le testimonianze di tale influsso sono molte e di vario genere. La mia ricerca si dedicherà, in primo luogo, a rinvenire quelle più dirette, ovvero, a dare un quadro generale del tipo di contatto che l’autore ha avuto con il filosofo tedesco. In secondo luogo, passerà ad analizzare come e in che modo la lettura di Nietzsche ha influenzato e plasmato il pensiero camusiano.

Al fine di orientarsi nel percorso di ricerca qui proposto, ritengo utile affrontare le linee generali del pensiero filosofico di Camus, che tenterò di delineare in chiave comparativa, ovvero, rilevando, di volta in volta, i punti di contatto tra i due autori.

Camus ha più volte precisato di non essere un filosofo, e per questo, non solo, non è possibile rintracciare una sintesi coerente del suo pensiero, ma la difficoltà è acuita dal fatto che ci troviamo in presenza di un’opera vastissima e variegata in cui l’Essai appare limitante rispetto alla ricchezza tematica del romanzo, del teatro, o del giornalismo; occorre tenere conto che, ad esempio, un romanzo possa modificare il pensiero espresso in un saggio a esso anteriore e, ad ogni modo, uno stesso pensiero circola all’interno i suoi diversi mezzi di espressione i quali necessitano di essere analizzati e interpretati. A mio avviso la filosofia camusiana va anche ricercata nella tensione drammatica della sua opera artistica e nell’incarnazione di un pensiero attraverso dei personaggi messi di fronte

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all’esistenza, alle sue difficili scelte, e alla vasta gamma delle rispettive conseguenze.

Sarà proprio nell’analisi della produzione artistica che, a mio parere, si troveranno le influenze nietzscheane più interessanti in quanto nascoste da un tessuto simbolico che cela e al tempo stesso arricchisce il più lucido pensiero filosofico svelando nuovi punti di connessione.

Camus nel 1954 scrive: « Je dois à Nietzsche une partie de ce que je suis » (AII, p. 397). Il filosofo tedesco occupa, certo, un posto di particolare rilevanza nell’universo mentale dell’autore. Egli è, infatti, presente in ogni momento della produzione camusiana; il tono dei rimandi e delle allusioni è sempre intriso di un’ammirazione e di un rispetto che difficilmente vengono meno ed è, quindi, possibile affermare che, nonostante qualche critica o punto di divergenza, Nietzsche rappresenta per Camus, in merito alla visone del mondo e della vita, uno dei suoi maggiori alleati.

L’interesse per il filosofo non risulta circoscritto a una fase ma, perdura, piuttosto, lungo tutta l’esistenza dell’autore. Negli anni del liceo, in cui i suoi professori ricordano come il giovane Camus citasse Nietzsche continuamente, assistiamo anche al primo riscontro concreto di tale passione. “Sud”, la piccola rivista patrocinata da Jean Grenier, nel 1932, pubblica Sur la musique, uno scritto che verte sull’estetica musicale di Nietzsche a partire da Schopenhauer. Esso, al di là dei contenuti evidentemente acerbi, si distingue per una bibliografia molto accurata, la quale ci informa sulle letture dello studente. Tra queste segnaliamo: Ecce

Homo, Il caso Wagner e Nietzsche contro Wagner, per quanto riguarda le

opere di Nietzsche e, Pierre Lasserre e Henri Lichtenberger, per quanto riguarda l’apparato critico.

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Durante gli anni dell’occupazione, Camus si dedica allo studio della grande opera di Charles Andler, Nietzsche sa vie et sa pensée, mentre nel dopo guerra lavora prevalentemente a La volontà di Potenza per la stesura dell’Homme Révolté. Nel 1950 riunisce i suoi scritti di cronaca in una raccolta dal titolo Actuelles, il cui richiamo alle Inattuali nietzscheane è evidente e conclamato dalla citazione iniziale tratta da Il Viandante e la sua

ombra:

Il vaut mieux périr que haïr et craindre ; il vaut mieux périr deuz fois que se faire haïr et redouter ; telle devra être un jour la suprême maxime de toute société organisée politiquement. ( AI, p. 374)

Durante il discorso di ringraziamento per il premio Nobel nel 1957, Camus omaggia il filosofo tedesco annoverandolo tra i principali maestri guida della sua carriera letteraria. Infine, al momento della sua morte, nel 1960, sarà ritrovata, all’interno della macchina incidentata, oltre alle carte che poi andranno a formare Le Premier Homme, anche una copia de La Gaia

scienza.

Molte delle opere dell’autore non sono comprensibili che a partire da una profonda conoscenza della filosofia nietzscheana: La Mort heureuse, in cui è rielaborato il pensiero sul dionisiaco e sul tragico, e così pure la riflessione sulla tematica dell’assurdo contenuta all’interno del Mythe de

Sisyphe che prosegue, poi, nell’Homme Révolté. Il filosofo tedesco appare

sicuramente onnipresente all’interno dei Carnets, nei quali Camus riporta non solo citazioni, ma anche tutta una serie di dettagli biografici che hanno attirato la sua attenzione.

Alla fine del 1930, all’età di diciassette anni, Camus subisce un primo attacco di tubercolosi polmonare. La malattia marca sicuramente un punto di svolta cruciale all’interno della sua vita. Da un punto di vista pratico, essa causa l’interruzione degli studi in filosofia, impedendogli l’accesso alla

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carriera professionale di insegnante. Ma il cambiamento più profondo fu sicuramente quello di ordine intimo, spirituale e di conseguenza anche filosofico: il giovane ragazzo di diciassette anni sperimenta, attraverso la malattia, l’improvvisa e prematura scoperta della finitudine umana.

La malattia diventa così un tema centrale della sua opera; essa, lungi dal rappresentare una punizione divina, si fa portavoce dell’assurdità del destino umano, diventa, insomma, il termine di confronto privilegiato con tutto ciò che nell’esistenza mette l’uomo di fronte al niente. L’individuo porta con sé un’esigenza di logica e di giustizia, un bisogno di spiegazione al quale il mondo risponde con una totale indifferenza perfettamente riscontrabile anche nella logica di morte tipica della malattia.

Nonostante l’inquietudine e la disperazione s’ intravedano continuamente, soprattutto nelle sue opere giovanili, Camus è stato capace di trasformare questa lezione di morte in una lezione di vita e soprattutto in una lezione letteraria. Basti pensare alla Préface del 1958 alla pubblicazione de

L’Envers et l’endroit.

Chaque artiste garde ainsi, au tond de lui, une source unique qui alimente pendant sa vie ce qu’il est et ce qu’il dit.[…] Pour moi, je sais que ma source est dans L’Envers et l’Endroit, dans ce monde de pauvreté et de lumière où j’ai longtemps vécu et dont le souvenir me préserve encore des deux dangers contraires qui menacent tout artiste, le ressentiment et la satisfaction.[…] Rien ne m’empêche en tout cas de rêver que j’y réussirai, d’imaginer que je mettrai encore au centre de cette œuvre l’admirable silence d’une mère et l’effort d’un homme pour retrouver une justice ou un amour qui équilibre ce silence. Dans le songe de la vie, voici l’homme qui trouve ses vérités et qui les perd, sur la terre de la mort, pour revenir à travers les guerres, les cris, la folie de justice et d’amour, la douleur enfin, vers cette patrie tranquille où la mort même est un silence heureux. Voici encore... Oui, rien n’empêche de rêver, à l’heure même de l’exil, puisque du moins je sais cela, de science certaine, qu’une œuvre

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d’homme n’est rien d’autre que ce long cheminement pour retrouver par les détours de l’art les deux ou trois images simples et grandes sur lesquelles le cœur, une première fois, s’est ouvert. ( OE, p. 407 )

L’accettazione della sofferenza e l’integrazione di essa nella propria vita è certo una delle più importanti lezioni nietzscheane che Camus ha raccolto. Si tratta di quella che Nietzsche definisce come condizione tragico-dionisiaca dell’esistenza e, che rappresenta una particolare interpretazione del rapporto dell’uomo con il dolore, la malattia, la crisi. Nietzsche promuove un’accettazione dell’esistenza nella totalità dei suoi aspetti, anche i più dolorosi e terribili. All’interno di questa visione, la malattia, non è vista semplicemente come un aspetto negativo, essa, al contrario, contribuisce a suo modo allo stato di “grande salute”, quella particolare condizione, verso la quale, nel suo processo di liberazione, l’uomo deve tendere.

Un grande sì alla vita, è quello che si respira in Noces, prima opera matura dell’autore. Questo breve testo, dalla trama scarna, rivela tutta la sua importanza sul piano dei contenuti, e stupisce per il pregio stilistico. Si tratta, infatti, di una scrittura ibrida, che unisce al suo interno le caratteristiche della prosa, del testo poetico, come del trattato filosofico. La meditazione esistenziale è arricchita da una profusione di immagini, di sinestesie, che esaltano l’aspetto sensoriale e permettono una sorta di utilizzo dionisiaco dell’universo circostante. Il testo si sviluppa all’insegna della luce e del calore: colori che si condensano e si cristallizzano, astrazioni che acquistano corposità, paesaggi che si stemperano nella natura rigogliosa fino al punto in cui gli oggetti sfumano nei fiori. L’uomo, immerso in un simile paesaggio, viene ad acquistare una dimensione nuova:

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una vita di comunione di con il cosmo. Si anticipano, qui, molti dei temi contenuti nel Mythe; la rivalutazione dei sensi come unico strumento concreto in opposizione alla ragione, l’accettazione lucida del non senso dell’esistenza, il rapporto inscindibile tra vita e morte; sono questi i principali motivi di matrice nietzscheana, che s’incontrano in Noces, e che convergono in un generale sentimento di amor fati, nell’idea di amare il mondo e l’esistenza con tutti i suoi aspetti di bene e male.

L’opera di Camus si colloca a metà strada tra la letteratura e la riflessione filosofica, ed è forse questo il grande punto di convergenza tra i due autori: un approccio ibrido, del tutto particolare nei confronti dell’esistenza umana e delle sue problematiche.

Nel 1936 Camus annota nei suoi Carnets queste parole divenute, poi, molto celebri:

« On ne pense que par image. Si tu veux être philosophe, écris des romans. » (C I, p.23) .

L’idea di “pensare attraverso le immagini” implica sicuramente una sorta di rifiuto del più canonico pensiero basato sull’idea e definisce l’attività dello scrittore come una ricerca sul linguaggio e sulla trascrizione della propria immaginazione. Più in generale questa formula, lungi dal confessare una mancata aspirazione verso la filosofia, suona piuttosto come una sorta di sfida o provocazione nei confronti del mondo intellettuale contemporaneo, di quella cultura, sia essa letteraria o filosofica, di cui, in seguito, rimarcherà più volte la crisi e i limiti.

Al momento in cui fa questa dichiarazione, Camus ha già una certa esperienza della scrittura. Sappiamo, infatti, dalle sue annotazioni che il desiderio di scrivere nacque in lui fin dall’età di diciassette anni, intorno al

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1930, momento che coincise anche con la scoperta della sua malattia e con l’inizio dei suoi studi liceali in filosofia. Ma questo fu soprattutto il momento dell’incontro con Jean Grenier, il quale non solo lo condusse in maniera diretta nel mondo della cultura, ma diede al giovane Camus, il primo esempio vivente di un uomo di pensiero che al tempo stesso pratica la scrittura.

Tutto ciò può sembrare banale o dato per acquisito, eppure l’importanza dell’incontro con Jean Grenier, non è certo da sottovalutare. Camus stesso ha dichiarato, e si noti che lo ha fatto in uno dei suoi ultimi testi, quanto decisiva fu per lui la lettura di Iles, nel 1933, la quale, non solo, gli fornì la conferma della decisione di scrivere, ma, costituì una vera e propria

« révélation ».1 . Il professore rappresentava l’incarnazione di un pensiero

in continua elaborazione, e in continua inchiesta su se stesso, e non il detentore di un sistema filosofico; se la lettura di La doleur di André Richaud, permise a Camus di comprendere che tutto ciò che viveva e sentiva al livello emotivo “poteva essere detto”, la presenza e la lettura di Grenier gli apportarono la convinzione che il pensiero poteva svilupparsi anche al di fuori di un’adesione al dogmatismo, all’ortodossia, e che esso doveva nascere piuttosto all’interno di un apprendimento cosciente e riflettuto sul quotidiano. È così che Camus inizia a indirizzare la sua ricerca sul senso della vita verso il mondo reale, comprendendo l’importanza di quella fedeltà agli aspetti più concreti dell’esistenza umana, tangibile in tutte le sue opere.

La scrittura letteraria si configura, allora, come lo strumento migliore per esprimere la riflessione filosofica, in quanto assorbe in se quel desiderio di pensare attraverso immagini e parole che Camus aveva esplicitato con una

1 Essais, textes établis et annotées par R. Quillot et L. Faucon, Paris, Gallimard, “Bibliothèque la

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sorta di imperativo. Risulta chiaro come per l’autore, essere romanziere significhi incarnare le domande, piuttosto che le risposte, inerenti alla nostra condizione, inquadrandole non all’interno di un universo astratto ma, nel mondo concreto che è, in fondo, l’unico e il solo in cui è possibile indagare.

Del resto Camus non si è limitato a parlare dell’assurdo, o della rivolta, ma le ha messe in scena nei sui romanzi mostrandone tutte le implicazioni e le conseguenze possibili. Dando al suo Sisyphe “mani terrestri” lo fa prendere vita e carne umane, aggiungendo così alla riflessione, tutto il prezioso bagaglio dell’esperienza. A questo legame tra esperienza e riflessione che definisce il romanzo bisogna aggiungere quella che sembra essere la formula fondatrice della creazione letteraria: « J’ imagine ». Essa appare tanto nel romanzo quanto nell’Essai; il pensiero, la testimonianza sul reale, e l’immaginazione creatrice, si confondono e si compenetrano a vicenda senza sosta nell’opera e nell’universo camusiano.

Camus ci fornisce una bella definizione del rapporto che il romanzo intrattiene con la realtà:

La création romanesque utilise le réel et n’ utilise que lui, avec sa chaleur et son sang, ses passions ou ses cris. Simplement, elle y ajoute quelque chose qui le transfigure. ( OE, p. 673)

Nel termine trasfigurazione si ritrova la traduzione concreta di quel processo che, mediante il processo creativo dell’autore, ci fornisce la sua filosofia, il suo pensiero. Occorre allora ricordare la portata etica e metafisica del romanzo camusiano e dimostrare che i personaggi di Meursault, Rieux, o Clamence incarnano, ognuno a suo modo, una riflessione sull’uomo e sul mondo, che deborda dai contorni dell’universo della finzione letteraria per divenire profonda interrogazione filosofico -esistenziale.

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Oggetto di questo studio non è certo stabilire la valenza filosofica di Albert Camus, ogni giudizio di questo tipo, non solo esula dal mio percorso, ma limita, a mio avviso, qualsiasi lavoro di ricerca letteraria sull’autore.

L’ultima parte del mio elaborato sarà, ad esempio, incentrata su un’analisi letteraria volta a dimostrare che l’influenza nietzscheana si manifesta, non solo, nell’opera saggistica ma, anche e soprattutto all’interno del romanzo. È certo che nel Mythe de Sisyphe e nell’Homme Révolté, troviamo un più spiccato intento speculativo, e per questo i retaggi e le influenze nietzscheane ci appaiono più marcate; molto spesso, esse, sono rese evidenti da citazioni o riferimenti diretti, per cui, le deduzioni che se ne possono trarre risultano sicuramente più chiare e attestabili. Al contrario, l’analisi letteraria si muove su un terreno incerto e dai contorni sfumati. La centralità del complesso rapporto tra filosofia e poesia sembra uno degli esiti ineludibili di quella crisi del pensiero metafisico che rimette in discussione la possibilità di accedere al senso della verità attraverso i concetti e le argomentazioni di una ragione meramente teoretica. Tale crisi comprende una serie di autori nelle cui opere non è più possibile distinguere nettamente tra articolazione concettuale ed espressione poetica, tra mito e filosofia.

Anche l’opera nietzscheana, come molto del pensiero tardo ottocentesco , è inquadrabile come una “filosofia della vita”, non tanto nel senso di metafisica vitalistica che ha oggi il termine, ma nel senso di una riflessione sull’esistenza che rinuncia a ogni pretesa scientifica di validità e di fondazione. Nietzsche si colloca accanto a tutti quei filosofi-scrittori che si muovono nell’ orizzonte aperto da Schopenhauer: “Questa specie di letteratura” dice Dilthey, “è vicina all’antica arte dei sofisti e dei rètori, che Platone esilia dall’ambito della filosofia, poiché, al posto della

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dimostrazione metodica, nei loro scritti, subentra la persuasione è […] il loro occhio, resta diretto al mistero della vita, ma essi disperano di risolverlo con una metafisica universalmente valida: la vita deve essere spiegata in base a se stessa. Questo è il grande principio che lega tali

all’esperienza del mondo e della poesia.” 2

Tuttavia, Nietzsche è anche un pensatore metafisico, potremmo dire l’ultimo, poiché, con lui le grandi costruzioni sistematiche presentatisi nel pensiero occidentale, giungono al termine. Il pensiero nietzscheano si colloca, allora, nell’orizzonte dell’ ontologia ermeneutica, ovvero, esso si caratterizza per la messa in luce del legame tra critica della cultura e riproposizione del problema della verità e dell’essere. Un pensiero, insomma, riferito all’esistenza nella sua concretezza e storicità.

In generale possiamo dire che Camus riprende l’ indagine nietzscheana sul nichilismo, e la applica alla sua nozione di assurdo al fine di comprendere se sia possibile assumere questa problematica in maniera totale, farla propria esaminandone tutte le possibili conseguenze e, scoprire, così, che cosa ci sia al di là dell’assurdità e del mondo e della vita.

Lungi dal voler di dimostrare che l’opera di Nietzsche rappresenti per Camus una “fonte” diretta, preferisco piuttosto parlare di “motivi nietzscheani”, ovvero, di tutta una serie di inferenze, che la lettura del filosofo tedesco può aver generato all’interno dell’universo letterario dell’autore. Lo studio e l’attenzione che Camus ha dedicato alla filosofia di Nietzsche, oltre ad aver influenzato tanto del suo pensiero e della sua prassi speculativa, può anche, a mio avviso aver contribuito, mediante rielaborazione, alla genesi creativa delle sue opere romanzesche.

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È chiaro che il mio percorso di ricerca acquista una sua coerenza e una sua validità metodologica unicamente all’ interno di una visione della letteratura basata sull’ interscambio, ovvero, solo se si pensa alla letteratura come ad un terreno d’ incontro, in cui avviene il dialogo di una civiltà.

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CAPITOLO I

CAMUS LETTORE DI NIETZSCHE :

Questo capitolo intende delineare un quadro generale sulle letture

nietzscheane dell’autore. Grazie allo studio di James Arnold3

, del 1975, ma

soprattutto a quello più recente di Frantz Favre4, degli anni 2000, abbiamo

testimonianza di tutte le opere contenute nella biblioteca di Albert Camus. La solida documentazione nietzscheana ritrovata, comprova che l’interesse per il filosofo tedesco non era affatto di tipo superficiale, ma si basava su una lettura attenta e dettagliata dei suoi testi.

Occorre precisare che non è mai stato eseguito un vero e proprio studio sistematico del materiale a disposizione. Per questo riporterò, qui di seguito, alcune osservazioni, utili, quantomeno, a un’analisi di tipo preliminare. Esponiamo adesso la bibliografia primaria a cui faranno riferimento le considerazioni a seguire:

Ainsi parlait Zarathoustra. Trad. Maurice BETZ. Paris, Gallimard, 1942. Aurore. Trad. Henri ALBERT. Paris, Mercure de France, 1930.

Considérations intempestives. III et IV. Trad. Geneviève BLANQUIS.

Paris, Aubier, 1954.

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A. J. ARNOLD, Camus lecteur de Nietzsche, in ALBERT CAMUS 9, « Revue des lettres modernes », 1979

4 F. FAVRE, Quand Camus lisait Nietzsche, in ALBERT CAMUS 20, « Revue des lettres modernes »,

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Le crépuscule des idoles. Trad. Henri ALBERT. Paris, Mercure de France,

1921.

La Généalogie de la morale. Trad. Henri ALBERT. Paris, Mercure de

France, 1948.

Humain, trop humain. Première partie. Trad. A.-M. DESROUSSEAUX.

Paris, Mercure de France, 1948.

Lettres choisies. Trad. anonyme. Paris, Stock, 1931.

Memorandum. Maximes et textes recueillis par George BATAILLE. Paris,

Gallimard, 1945.

La naissance de la philosophie à l’époque de la tragédie grecque. Trad.

Geneviève BLANQUIS. Paris, Gallimard, 1938.

Œuvres posthumes. Trad. H. J. BOLLE. Paris, Mercure de France, 1934. L’origine de la tragédie. Trad. J. MARNOLD et J. MORLAND. Paris,

Mercure de France, 1923.

Par-delà le Bien et le Mal. Trad. Henri ALBERT. Paris, Mercure de France,

1941.

Poésies complètes. Trad. Georges RIBEMONT-DESSAIGNES. Paris,

Seuil, 1948.

La volonté puissance. Tomes I et II. Trad. Henri ALBERT. Paris, Mercure

de France, 1923.

La volonté de puissance. Trad. Geneviève BLANQUIS. Paris, Gallimard,

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Le annotazioni sono molte, ma non sempre decifrabili, mentre le sottolineature si lasciano rilevare in maniera più chiara e precisa. In linea generale, possiamo notare come negli aforismi rimarcati da Camus emergano tutte le costanti della sua sensibilità.

Non c’è da stupirsi, ad esempio se troviamo sottolineata l’espressione: « sans soleil » nel giudizio di Nietzsche su Delacroix e Wagner: « touts deux dépendants de la littérature, extrêmement cultivés et eux-mêmes écrivains. Nerveux, maladifs, tourmentés, sans soleil. » (III, 2, n.°208, p. 74) ; allo stesso modo, risulta comprensibile l’interesse per questa confessione: « La Grèce a pour nous la valeur qu’on les saints pour les catholiques. »( IV, 5, n.°409, p. 329). Infine, visto l’interesse camusiano per il rapporto tra sfera dei sensi e creazione artistica, risulta chiara la sottolineatura di questa frase:

L’artiste est peut-être nécessairement par nature un homme sensuel, émotif avant tout sens, porté naturellement vers toutes les excitations et la suggestion des excitations. Mais sous l’action da sa mission, de sa volonté d’arriver à la maitrise, il est généralement tempérant, voire chaste. Son instinct dominant l’exige de lui, ne lui permet pas de dépenser à tort et à travers. C’est la même force qui se dépense dans la conception artiste et dans l’acte sexuel ; il ya qu’ une seule force. (II, 6, n.° 441, p. 334)

Possiamo distinguere tre tipi di annotazioni. In primo luogo quelle che si riducono a un giudizio di tipo sintetico con funzione conclusiva alla lettura. Ad esempio, in margine a un aforisma in cui Nietzsche parla dell’approccio stoico all’accettazione del mondo basato su una volontaria anestesia di se stessi(I, 1, n.°74, p. 54), Camus chiosa: « Stoïciens non révoltés, ils adhèrent. » .

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In secondo luogo, troviamo annotazioni che testimoniano una reazione di tipo impulsivo alla lettura. Ad esempio a margine di un aforisma nel quale Nietzsche definisce l’estetica moderna come « art de tyranniser » (I, 5, n.°196, p. 70), Camus corregge: « Non, de persuader. ».

Infine, ci sono annotazioni, più rare rispetto alle precedenti, che lasciano intravedere un progetto personale da parte dell’autore. Di particolare interesse è, ad esempio, la nota « le Bucher », poiché l’aforisma che la ispira è in grado di illuminarci circa un proposito creativo menzionato a più riprese nei Carnets (C2, p. 248, 318-19).

L’amour durable est possible – même l’amour heureux – parce qu’on n’a jamais fini de posséder, de conquérir un être humain. Sans cesse se dévoilent de nouvelles profondeurs, des arrière-plans inexplorés de l’âme, et la convoitise infinie de l’amour s’étendent à des régions aussi. Mais l’amour cesse dès que nous sentons des limites d’un être. Le conflit entre la passion durable et la passion éphémère se produit quand l’un des deux croit posséder l’autre à fond, et que l’autre ne le croit pas encore ; alors le premier se dérobe et, par son éloignement même, excite l’autre à chercher des valeurs nouvelles ; ce qui n’empêche qu’il est bien souvent résolu à le touer plutôt qu’à le laisser devenir la proie d’un tiers. ( II, 1, n.°34, p. 210).

Si riconosce, qui, un tema che Camus svilupperà in seguito nell’ Homme

Révolté (HR, p. 625), e ne La chute (CH, p. 1507), in maniera più esplicita

rispetto a come è presentato nei Carnets. In un certo senso « le bucher » può essere il fuoco che divora Eracle, la tortura che la moglie gli ha inflitto in seguito al tradimento. Ma è qui che troviamo un elemento di rottura con una leggenda nella quale, la moglie è presentata come causa indiretta del rogo. Il tormento dell’eroe infedele si svolge tutto al livello soggettivo poiché ciò che lo consuma è la gelosia che alimenta l’amore.

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Tale annotazione, oltre a essere un ulteriore esempio di quel personale riutilizzo del mito a cui Camus ci abituerà nella sua opera, costituisce anche un altro importante fattore di interesse. Essa, infatti, ci conduce anche a datare l’inizio di quell’interesse per la lettura de La volontà di potenza, che caratterizzò molti anni della sua vita.

Per quanto riguarda le citazioni, Camus da spesso prova di un’ampia libertà interpretativa. Egli non falsifica il testo, ma invece di citarlo integralmente, lo condensa e lo riassume in una formula. Così la frase Nietzsche: « quand je soufflais à quelqu’un qu’il ferait mieux de s’enquérir d’un César Borgia plutôt que d’un Parsifal, il en croyait pas ses oreilles. »(EH, « Pourquoi

j’écris si bons livres », 1, p. 76), viene ridotta dall’autore nell’affermazione:

« Plutôt César Borgia que Parsifal. » (II, p. 484).

Quando si tratta di un testo lirico, Camus si lascia andare a un più evidente lavoro di riscrittura. La prova più evidente ci è data dal verso di Così parlò Zarathustra:

L’enfant est innocence et oubli, un nouveau commencement et un jeu, une roue qui roule sur elle-même, un premier mouvement, un « oui » sacré. (I, « Des trois métamorphoses », p. 46).

Secondo l’autore la traduzione non si accorda con l’ampio respiro del lirismo nietzscheano, per cui decide di trasformarla nel seguente modo: L’enfant c’est l’innocence et l’oubli, un recommencement, un jeu, une roue qui roule d’elle-même, un premier mouvement, le don sacré de dire oui. ( II, p. 483)

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1. Una breve storia della ricezione francese di Nietzsche:

Esiste, inoltre, una ricca bibliografia secondaria. L’insieme dell’impianto critico ritrovato nella biblioteca camusiana, si presta, anch’esso, ad alcune considerazioni.

ANDLER, Charles. Nietzsche, sa vie et sa pensée. Paris, Gallimard, I. Les précurseurs de Nietzsche. 1938.

II. La jeunesse de Nietzsche. 1920.

III. Le pessimisme esthétique de Nietzsche. 1921.

IV. La maturité de Nietzsche. 1928.

V. Nietzsche et le transformisme intellectualiste. 1922.

VI. La Dernière philosophie de Nietzsche. 1931.

ANDREAS-SALOME, Lou. Nietzsche. Paris, Grasset, 1932.

Revue Arguments, 3ème année, n.°15 : « Nietzsche et la crise du monde

moderne », 3ème trimestre 1959 :

Martin HEIDEGGER, « Le Mot de Nietzsche : « Dieu est mort ». » Henri LEFEBVRE, « Justice et vérité ».

Gilles DELEUZE, « Sens et valeur ».

ARMANCE. Divinité de Nietzsche. Germe d’une religion d’Europe. Paris, Editions du Siècle., 1925

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BIANQUIS, Geneviève. Nietzsche devant ses contemporains. Monaco, Editions du Rocher, 1959.

CHESTOV, Léon. La philosophie de la tragédie, Dostoievski et Nietzsche. Trad. B. DE SCHLOEZER. Paris, J. Schiffrin-Editions de la Pléiade, 1926. FLAM, Léopold, « Signification de Nietzsche pour notre époque », Revue de l’Université de Bruxelles, t. XI, oct. 1958-févr. 1959, pp. 69-85.

GARNIER, Pierre. Nietzsche. Paris, Seghers, 1957.

GAULTIER, Jules. Nietzsche. Paris, Editions du Siècle. 1926.

GAULTIER, Jules. De Kant à Nietzsche. Paris, Mercure de France. 1930. HALEVY, Daniel. Nietzsche. Paris, Grasset, 1944.

JASPER, Karl. Nietzsche et le christianisme. Trad. J. HERSCH. Paris, Minuits, 1949.

JASPER, Karl. Nietzsche, introduction à sa philosophie. Paris, Gallimard, 1950.

KAUFMANN, Walter. Nietzsche, philosopher, Psychologist, Antechrist. Princeton, Princeton University Press, 1950.

LASSERRE, Pierre. Les idées de Nietzsche sur la musique. Paris, Calmann-Lévy. 1929.

LASSERRE, Pierre. La morale de Nietzsche. Paris, Calmann-Lévy, 1923. LUBAC, Henri. Le Drame de l’humanisme athée. Paris, Editions Spes, 1944.

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I. Le Débuts de l’irrationalisme moderne de Schelling à Nietzsche. Paris, L’Arche, 1958. Coll. « Le Sens de la marche ».

MAULNIER, Thierry. Nietzsche. Paris, Gallimard. 1935.

PODACH, E. F.. L’Effondrement de Nietzsche. Paris, Gallimard, 1931. QUINOT, Armand. Les Pages mystiques de Nietzsche. Forcalquier, Editions Charles Testanière, 1955.

ROESCHL, Herbert. Nietzsche et la solitude. Manosque, S.F.E.N. , 1958. SOCIETE FRANCAISE D’ETUDES NIETZSCHEENNES. Nietzsche,

études et témoignages du cinquantenaire. Forcalquier, Editions Charles

Testanière, 1950.

L’approccio di Camus con il pensiero nietzscheano, appare, allora significativamente mediato dall’insieme di queste letture. I testi sopra riportati comprendono e riflettono quella che fu, non solo per l’autore, ma anche per molti suoi contemporanei, la ricezione francese del pensiero nietzscheano. Lungi dal voler affrontare questo vasto e complesso argomento, mi limiterò, qui, sulla base dei dati in mio possesso, a inquadrarne le linee generali. Cercherò, dunque, di rinvenire gli autori e i principali motivi che hanno contribuito a formare l’idea camusiana su Nietzsche e la sua filosofia.

La figura e l’opera di Nietzsche sono caratterizzati per un rapporto nato e perdurato sotto il segno dell’ambiguità. Per un verso, infatti, la ricchezza e la fioritura dei dibattiti sembra essere stata preparata, per usare le parole di G. Bianquis ,“ da una sorta di pre-nitzscheanismo latente, che aveva predisposto un buon numero di spiriti ad accogliere e comprendere questo

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21

pensiero”5. Questo fenomeno fu dovuto soprattutto anche alle numerose

letture di autori francesi compiute dal filosofo, le quali hanno reso i suoi testi e le sue idee quanto più prossime ai primi interpreti.

In effetti, Nietzsche si interessa molto alla cultura francese. La lettura di

Essais de psychologie contemporaine di Paul Bourget, inaugura una lunga

lista di testi, affrontati a partire dal 1883 – 1884, e indirizzati soprattutto alla ricerca del concetto di décadence: Gautier, Flaubert, de Goncourt, Maupassant, Lemaitre, Baudelaire, Renan, Taine, e così via.

Per cui, se è vero che Nietzsche ha avuto una grandissima influenza sugli autori francesi delle generazioni a venire, è anche vero che, in una sorta di relazione circolare, era stato anch’esso precedentemente influenzato da quelli a lui contemporanei.

Per contro, alcuni fattori rallentarono, in prima battuta, l’attenzione francese per Nietzsche e le sue opere. La filosofia universitaria di quel periodo è quasi esclusivamente orientata verso il filone neo-kantiano, incentrato sul primato e il valore dell’etica, per cui, come precisato da J. De Gaultier nel suo scritto De Kant à Nietzsche, “ la voga della filosofia di Nietzsche è precisamente una reazione contro la precedente infatuazione in favore della filosofia tedesca […] Il pensiero di Nietzsche è, infatti, l’arma più mortale

che mai sia stata affilata contro il moralismo metafisico di Kant.”6.

Un ulteriore fattore di rallentamento fu costituito dai giudizi di alcuni rappresentanti dei circoli wagneriani francesi e, in particolare parigini, i quali, avevano elevato la figura del compositore a guida spirituale. È evidente che il mutamento critico del filosofo nei confronti di Wagner, non solo, non fu compreso ma, contribuì a creargli alcuni nemici.

5

G. BIANQUIS, Nietzsche en France. L’influence de Nietzsche sur la pensée française, Paris, Alcan, 1929, p. 6.

6

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Ciò nonostante, Nietzsche intrattenne contatti con diversi intellettuali dell’epoca, nei quali confidava per la circolazione delle sue opere, J. Bourdeau, Taine, ma in particolare Gabriel Monod, conosciuto all’interno del circolo di Malwida von Meysenburg. Monod riterrà Nietzsche, scrittore, moralista, poeta, ma, in accordo con la visione generale della filosofia universitaria francese, mai un filosofo nel senso compiuto del termine. Tuttavia, anche se non sembrò dimostrare particolare impegno nella pubblicazione delle opere nietzscheane a Parigi, egli ebbe sicuramente il merito di spingere due dei suoi più importanti allievi dell’Ecole normale a interessarsene: Charles Andler e Daniel Halévy.

Il primo articolo di Halévy, intitolato F. Nietzsche, e scritto in collaborazione con F. Gregh, contiene al suo interno anche una traduzione di Al di là del Bene e del Male. Lo scritto nasce in risposta alle critiche di Wyzweva, il quale vede Nietzsche solo come un dissacratore pessimista e

nichilista7. Al contrario, dice Halévy, Nietzsche è il filosofo “della fiducia,

della salute e della gioia”, purtroppo chi ne ha scritto “difficilmente lo ha letto”, in particolare lo scritto di Wyzewa è “inconsistente” e “falso”;esso ha causato grande confusione in coloro che si sono cimentati con il filosofo a partire da tali conclusioni. In realtà il cuore della dottrina di Nietzsche non è il pessimismo, ma un proposito di ottimismo con cui occorre contrastare la cultura decadente. Nietzsche è colui che afferma la vita ed esorta a “accettarla interamente, a viverla in modo completo, e più riccamente possibile”8.

Gli scritti di Halévy continuano in questo senso, ovvero, in direzione di una progressiva riabilitazione del filosofo agli occhi dei suoi contemporanei, i

7

T. DE WYZEWA, Frédéric Nietzsche, le dernier métaphysicien, in « La revue bleue », novembre 1891, XLVIII, pp. 586-592.

8

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quali ebbero modo di iniziare a interessarsene in maniera sempre più cosciente.

Sul versante delle traduzioni, è opinione diffusa che a partire dal 1888, il nome di Nietzsche si trovi, almeno per quanto riguardi la Francia, in una situazione del tutto particolare. Egli è molto conosciuto ma, la sua fama ha preceduto la traduzione delle sue opere.

Nel 1894 Henri Albert, redattore del Mercure de France, constata che “Nietzsche è celebre presso di noi, ma appena conosciuto” e, che “si citano a ogni proposito i suoi aforismi mal compresi”, nonostante la sua opera sia

ancora avvolta “nelle tenebre dell’ ignoto”9

. Diviene indispensabile, perciò, colmare la lacuna che riguarda la traduzione.

Sarà proprio H. Albert che decise di intraprendere l’arduo compito; si mise, così, in contatto con E. Forster- Nietzsche annunciandole il suo arrivo a Namburg nell’ottobre del 1894. Il legame tra i due durerà fino alla prima guerra mondiale e Albert non figurerà solo come traduttore dell’opera di Nietzsche, ma anche come influente autore presso la stampa parigina.

A causa di un lavoro di traduzione che si rivela più complesso del previsto e di alcuni problemi con l’editore Naumann, solo nel 1898, Così parlò

Zarathustra e Al di là del Bene e del Male, vengono pubblicati in una

coedizione: Naumann li stamperà a Leipzig e la società di Mercure de France li metterà in vendita a Parigi. Inizia così a concretizzarsi la possibilità di tradurre tutta l’opera di Nietzsche al fine di renderla accessibile a un pubblico sempre più vasto. Il progetto di tradurre l’intera produzione nietzscheana è ragguardevole in sé, ma ovviamente, acquista

9 H. ALBERT, Les œuvres complètes de Nietzsche, in « Mercure de France », II semestre 1894, VI,

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una maggiore importanza poiché per la prima volta saranno leggibili i testi fondamentali di un autore del quale, a detta anche di G. Bianquis, “non si è

potuto leggere una riga”10. Albert si assicurerà, dunque, il monopolio

francese: sarà lui il direttore della pubblicazione delle Œuvres complètes, per un totale di undici volumi, così da ricomporre, in parte, il divario tra pubblicazioni e traduzioni.

L’ interesse di Albert verso quello che lui chiama il “poeta filosofo”, dipende dall’ ammirazione verso la forma di frasi e aforismi e dalla profondità che egli riconosce sotto tale grazia formale; dall’abisso che questa disvela, nonché dalla facoltà, dominante in Nietzsche, di vivere le sue idee fino a scendere, guidato da esse, nei suoi meandri più intrinseci. Per Albert “solo ciò che c’è di più profondamente umano in Nietzsche

dovrebbe interessarci nella sua opera”11

.

I primi tentativi fatti per introdurre la sua filosofia in Francia, sono apprezzabili, per quanto ancora insufficienti, ma del resto, l’interesse nei suoi confronti e, conseguentemente, il lavoro intorno alle sue opere non potrà far altro che aumentare “nella misura in cui si conoscerà meglio la

loro portata umana e il loro incontestabile significato per l’avvenire”12.

Iniziarono parallelamente anche i primi tentativi biografici, i quali incontrarono problemi vari e di diversa natura. Per Le Rider, innanzitutto, fino agli anni cinquanta, risulta impossibile scrivere una biografia che non abbia a che fare con la “mitologia” e con la “leggenda” della figura di Nietzsche, come dimostrato dal filo conduttore dell’ opera di E. Bertram,

Nietzsche. Essai de mythologie, tradotta in Francia nel 193213.

10

G. BIANQUIS, Compte rendu, in « L’illustration », novembre 1898.

11

H. ALBERT, Nietzsche, in « Mercure de France », Février 1893, VII, p. 171.

12 Ibidem 13

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I biografi si sono trovati ad affrontare da un lato, la presenza di un’autobiografia come Ecce Homo, in cui Nietzsche ha forgiato l’immagine del proprio personaggio e, dall’altro la questione delle falsificazioni compiute da E. Forster- Nietzsche.

Ciononostante, dalla seconda metà del 1896, persero il via lavori di questo tipo, i quali si dipanarono da uno dei più urgenti problemi interpretativi: una sorta di volontà armonizzatrice tra le contraddizioni del pensiero nietzscheano, che tendeva, nella maggior parte dei casi, a risolvere il tutto relazionando l’opera con la vita.

Su queste basi si inaugurano letture fortemente negative, come quella del già citato Wyzewa, e letture a esse contrapposte, come quella di Gide, che scrive in difesa del filosofo protestando contro coloro che lo considerano alla stregua di un malato e denunciando una grande incomprensione di fondo.

Si contrappone anche l’autore di una delle biografie più importanti del periodo: Henri Lichtenberger, il quale rigetta in modo assoluto le interpretazioni volte “a spiegare lo sviluppo intellettuale di Nietzsche con l’aiuto di una psicologia veramente troppo sommaria e semplicista”. Lichtenberger rifiuta, perciò, di screditare tutta la filosofia nietzscheana “scegliendo di farla passare per l’opera di un pazzo” e critica chi pensa che la follia sia stata sempre presente, ad uno stato latente nella sua vita,

condizionandone l’intera attività intellettuale14

.

Insieme alla biografia di Lichtenberger, riveste una notevole importanza anche quella del già menzionato D. Halévy, la quale, pubblicata nel 1909, conoscerà otto edizioni, fino al 1922 quando la biografia di Charles Andler inizierà a essere considerata indispensabile punto di riferimento.

14

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Per Halévy, che si sofferma sulle origini nobili della famiglia di Nietzsche e sulla figura del padre, sono fondamentali, nello sviluppo intellettuale dell’autore, la sua formazione filologica sia l’esperienza della guerra del 1870. Gli aspetti più particolari e originali dell’opera di Halévy sono sostanzialmente due. Da una parte, un’analisi quasi filologica sul lavorio e sulle difficoltà che hanno inquietato Nietzsche nel processo creativo dello

Zarathustra, dall’altra, nell’edizione del 1944, i dubbi circa la traduzione di

G. Bianquis, del 1935, de La Volontà di potenza.

È necessario arrestare il ragionamento a questa primissima fase della ricezione nietzscheana, in modo da mettere a punto alcune importanti linee guida per poi passare all’analisi approfondita di due autori, George Bataille da un lato e, Charles Andler dall’altro, la cui lettura ha, a mio avviso, maggiormente contribuito a formare quella particolarissima commistione di elementi che è l’ idea di Albert Camus su Nietzsche.

Il dibattito intorno a Nietzsche appare, dunque vivace e fecondo, soprattutto in quei contesti che si collocano al di fuori della “filosofia ufficiale” o universitaria, creando lo sviluppo di una sorta di filosofia di confine che si muove nelle riviste di avanguardia e che si sposta tra diversi ambiti: dalla critica musicale a quella letteraria, dalla sociologia alla politica, dalla morale alla religione.

Così pure gli interessi che muovono nei confronti del pensiero nietzscheano sono molti e di vario genere: la ricchezza e l’originalità dei temi, la fecondità di spunti interpretativi e, inoltre, da non sottovalutare, la modernità, la precedenza, rispetto a intuizioni successive. Nietzsche ha posto problemi, suggerito possibili soluzioni, provocato dibattiti, suscitando, al tempo stesso, ostilità e fascino. I prolungamenti eretti a seguito del suo pensiero sono tutti di estrema importanza, poiché, molti

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autori hanno cercato se stessi nella comprensione delle sue idee; la maggior parte trova in lui dei punti di contatto , degli incoraggiamenti da seguire, ma anche una linea di guida per la propria esistenza. E questo a un punto tale che si può ben dire, con le parole di Boudot, che è proprio “come moralista

che Nietzsche ha maggiormente agito in Francia”15.

Seguendo le tracce di questi autori, è possibile mettere in luce nuclei tematici, motivi e, campi di interesse, al fine di evidenziare la complessità di un periodo storico culturale che utilizzava con profitto validi strumenti come la critica letteraria, teatrale e artistica, dialogando sia con le scienze umane, che con le scienze esatte, all’ interno di uno scenario aperto all’analisi di temi differenti, ma proprio per questo sempre stimolanti. La primissima ricezione è importante perché lascia delle eredità preziose, alcune sviluppate, altre interrotte, o modificate, ma che comunque hanno il merito di aver dato luogo a una storia, quella di Nietzsche in Francia, che si muove lungo una sostanziale linea di frattura. Lo spartiacque è, naturalmente, costituito dagli eventi bellici. Il periodo tra gli anni trenta- quaranta, in particolare, costituisce un momento cruciale, in cui la lettura del filosofo tedesco sembra identificarsi con un problema di appartenenza politica. Si sviluppa così, una sorta di movimento di riabilitazione, di cui George Bataille è sicuramente l’esponente di spicco, orientata in primis a svincolare la figura di Nietzsche dal regime nazista e da tutto ciò che ne consegue, e poi, a darne un’interpretazione che mette l’accento sull’ irriducibilità degli elementi di contraddizione sia nel pensiero che nella vita. A questa corrente, che lo leggeva, in quanto avanguardia, in modo anticonformista, Nietzsche appare come un espediente per vincere la disperazione di un’epoca dilaniata dalla guerra, nonché come un possibile

15 P. BOUDOT, Nietzsche et l’au-delà de la liberté ou Nietzsche et les écrivains français de 1930 à

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alleato, insieme a Marx e a Freud, delle nuove scienze umane e sociali, ma soprattutto, come un riferimento che permetta di pensare la crisi della civiltà occidentale.

Occorre però considerare, che se letture francesi appaiono più marcatamente vicine a esperienze artistiche e letterarie, legate, spesso anche da fili ben precisi, allo spirito delle avanguardie , proprio un certo estetismo tende a far sì che, vedendo in Nietzsche il grande distruttore della metafisica occidentale, le interpretazioni francesi più significative incanalino la sua portata eversiva proprio “in direzione di quella sospensione di pretese metafisiche di ogni sedicente verità, valore,

costruzione simbolica”16.

La parte negativa, critica dell’opera di Nietzsche, provoca un notevole interesse presso gli autori francesi. Rispetto alla decadenza, alla religione, e alla morale, nonostante le differenze di impostazione e di analisi, è da sottolineare come, in linea generale, vengano poi messi in risalto alcuni fondamentali elementi delle ipotesi nietzscheane, che andranno a sfociare in un pensiero di tipo esistenzialista.

I punti di partenza sono spesso differenti, ma è interessante come molti di questi orientamenti, siano essi politici, psicologici, o strettamente filosofici, convergano e insistano sull’ idea che i presunti valori etici, ritenuti eterni e immutabili, si rivelino, in realtà, come espressione di un processo storico e, quindi, divenuti, nonché, dipendenti da determinate condizioni esistenziali. Le stesse motivazioni della morale smettono di prefigurarsi come trascendenti e assolute, per assumere uno stretto legame con i moventi umani. Con questi termini si intende sia, evidenziare l’ importanza delle componenti istintuali che, soprattutto, spiegare, sul versante dei meccanismi

16

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di conoscenza, tutto l’insieme delle falsificazioni a cui nel corso del tempo si è dato luogo.

L’ interesse nei confronti della negazione, va dunque in direzione del dissolvimento della morale e della religione, nonché della decadenza della società europea, con la tendenza a vedere in questi aspetti facce dipendenti di una stessa dinamica umana. È proprio questa preponderanza dell’elemento vitale a far sì che gli autori si appassionino maggiormente alla filosofia nietzscheana, poiché assistono a una dissoluzione di certezze metafisiche che coinvolge emotivamente anche il suo artefice, il quale sembra letteralmente patirne le conseguenze e portane i segni sulla propria persona.

Nell’ottica di molti Nietzsche è stato il primo pensatore ad aver il coraggio di guardare la realtà senza reticenze, il primo ad avere la necessaria fermezza di andare alla dolorosa radice delle cose ultime, distruggendo per sempre ogni sorta di appiglio illusorio, e liberando la vita dai più tradizionali modelli di valutazione morali e finalistici. Una volta che l’ orizzonte è vuoto, spoglio del consolante universo metafisico, privo di morali ormai logore, ciò che rimane è il nichilismo. Non si tratta però di un nichilismo vissuto come sterile atteggiamento ma, di una condizione in cui la consapevolezza del vuoto, lungi dallo scatenare un cieco furore distruttivo, produce la forza di accettare l’esistenza in tutte le sue forme favorendo la produzione di nuovi valori.

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1.2 Bataille, Salomè, Andler: tre letture del pensiero nietzscheano:

Abbiamo detto poco sopra che esistono, nel panorama culturale francese, due fondamentali letture del pensiero nietzscheano, una avanguardistica, l’altra esistenziale, così determinanti da aver dato luogo a filoni interpretativi alquanto distinti. Tra di esse si inserisce la lettura di Lou Salomé che, insieme a un breve accenno a quella di Jaspers, meritava, a mio avviso, un suo posto specifico all’interno del percorso delineato. Cercherò adesso di chiarirne i tratti salienti, mettendo in luce, per ciascuna di queste letture, i motivi e i nodi tematici che hanno poi, trovato riscontro nell’opera camusiana.

1) Sur Nietzsche, George Bataille: la lettura delle avanguardie storiche

« à Albert Camus, … la morale pourrait-elle etre poussé trop loin ? Avec l’amitié de George Bataille. »

Sur Nietzsche si presenta come un testo molto complesso e di non facile lettura. Il saggio, dalla struttura frammentata e dispersiva, è sorta di diario che racconta il periodo parigino dell’autore durante l’occupazione nazista. Quasi tutta la linea avanguardistica ha tentato di leggere Nietzsche alla luce di un parallelismo con Sade, lungo un’asse che naturalmente si ricongiunge con il pensiero di Marx e Freud. Tale lettura puntava su concetti a essa facilmente armonizzabili quali la volontà di potenza e il superuomo, mentre trovava maggiori difficoltà con il pensiero dell’eterno ritorno. In questo

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quadro, l’ interpretazione di Bataille costituisce sicuramente un punto di rottura e innovazione.

Anch’egli parte dalla consueta lettura sadiana che definisce Nietzsche come filosofo del male ponendo l’accento sul valore liberatorio della negazione e sulla critica della morale dell’epoca. In questo senso la volontà di potenza rappresenterebbe la “parte maledetta”, l’eccesso di energia che necessita dispendio per non divenire dannoso. Tuttavia, l’attenzione del filosofo francese si concentra su quella che lui chiama “la posizione della chance”, un concetto collegato all’idea di ritorno in quanto assenza di uno scopo, rifiuto di ogni progettualità, identificabile con la leggerezza della danza e del riso di Zarathustra.

Di ciò non si dubiti nemmeno un attimo: non si è capito nemmeno una sola parola dell’opera di Nietzsche prima di aver vissuto questa smagliante dissoluzione nella totalità.17

Bataille distingue tra il mondo dei fini e quello del non-senso, teorizzando per l’uomo la possibilità di una terza alternativa che prescinda dai due mondi e, contemporaneamente li presupponga entrambi: inquadrare l’azione all’ interno di un processo liberatorio purché razionale. La ragione costituisce, dunque il limite che circoscrive e controlla i margini esterni di un agire che appare comunque provvisorio.

« Sur Nietzsche » significa appunto vedere che cosa succede prendendo Nietzsche come base mobile, instabile del proprio pensiero. “Essere Nietzsche”, “provarlo”, significa farne un’esperienza interiore e lasciarsi trascinare in un viaggio all’estremo possibile dell’uomo. Secondo Bataille, avere a che fare con il filosofo tedesco, comporta prima di tutto il dovere di vivere fino in fondo, in maniera anche paradossale, un pensiero la cui

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essenza è quella di essere sovrano, un pensiero pensato per il solo piacere di entrare in un’esistenza dominata dal rischio.

La sfida di Bataille è dunque quella di riuscire a coniugare interpretazione e a-sistematicità, dare senso a un pensiero, senza per questo incanalarlo verso una meta fissa e prestabilita. Nell’ottica proposta, le parole di Nietzsche non sono né buone né cattive, né vere né false, non conducono a un valore, né tantomeno rispecchiano l’essere. Questo perché il filosofo francese aveva ben compreso che il pensiero nietzscheano, è un movimento, un’aspirazione continua e inarrestabile che sfugge alla definizione e ai dettami razionalistici. Per Bataille, l’interpretazione di Nietzsche si configura, allora, come un gioco basato su una contrattazione faticosa e su un accordo sempre provvisorio tra le pretese del senso e le resistenze che a esso di volta in volta si presentano.

Il chiarimento della nozione di potenza , la liquidazione della sua equivocità, approdano all’opposizione potere/sovranità in base alla quale Bataille neutralizza ogni sorta di risvolto politico. Se è vero che la volontà di potenza è l’essenza di un mondo irrimediabilmente segnato dalla lotta e dal conflitto, è altrettanto vero che il contrasto di cui si parla non è collocato nel mondo esterno ma, all’interno dell’individuo.

Bataille nel corso del suo scritto, spiega e approfondisce i motivi dell’estraneità di Nietzsche al regime nazista. L’emancipazione voluta dal filosofo non è certo quella di una classe sociale rispetto a un’altra, ma quella della vita umana rispetto alle schiavitù morali del passato. L’uomo sognato da Nietzsche non sfugge alla tragicità del destino, egli lo ama e lo incarna in modo tale da decretare la sua libertà. Quest’uomo, al contrario di quanto si pensi, non è stato definito, in quanto nulla è più vano che fissare o limitare ciò che ancora non esiste. Solo in questo modo l’avvenire diviene

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qualcosa di deresponsabilizzato, poiché slegato dal passato e dalle sue implicazioni etiche.

Come anticipato dalla dedica a Camus, il problema che Bataille pone fin dalle prima righe è quello della morale, nello specifico: la ricerca di una condotta che prescinda da un fine e da Dio. L’autore paragona lo smarrimento personale a quello che Nietzsche deve aver provato nel lanciarsi in questa difficile impresa che aveva come solo scopo la libertà dell’ individuo. Ma, nonostante lo sconforto, Bataille dichiara convinto:

Le difficoltà che incontrò Nietzsche – abbandonando Dio e il bene eppure continuando a bruciare del fuoco di coloro che per Dio e il bene si fecero uccidere – le incontro anch’io a mia volta. La solitudine scorante che egli ha descritto mi toglie ora le forze. Ma la liberazione dalle entità morali, dà all’aria che respiro una verità così grande, che preferirei vivere da paralizzato o morire piuttosto che ricadere nella schiavitù.18

Veniamo adesso alla trattazione dei due concetti che, a mio avviso, possono essere considerati, i più interessanti del saggio, quelli di culmine e declino, i quali conducono alla già menzionata, “posizione della chance”.

Il culmine non è “ciò che bisogna raggiungere”; il declino non è “ciò che bisogna eliminare”. Come il culmine non è che l’inaccessibile, il declino è fin dall’inizio l’inevitabile.19

È questa la sentenza riassuntiva con cui Bataille sembra voler inquadrare due concetti estremamente complessi poiché portatori di un significato sfuggente e molteplice. Il culmine si identifica con la volontà di affermazione dell’essere, un desiderio incessante e, mai completamente

18 Ibidem, p. 32. 19

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appagabile, verso cui l’uomo, nel corso della sua esistenza, sembra tendere costantemente. Per contro, esiste una tendenza completamente opposta, quella al declino, che appare altrettanto inevitabile, seppur indipendente dalla nostra volontà. Tale necessità, sentita dall’uomo come subita, è invece la condizione che lo rende tale e che, se accettata, può infondere un benefico e pacificante dominio sulle cose.

Culmine e declino sono a loro volta portatori di una propria morale. L’etica del culmine è tutta incentrata sul presente, sullo spreco e sul gioco, un’azione libera da schemi finalistici, mentre quella del declino si presenta come un agire finalizzato che antepone il valore del guadagno futuro a quello dell’attimo che stiamo vivendo. Su queste basi Bataille ipotizza l’ inconsistenza dei concetti bene e male, di buono e cattivo in quanto meri giudizi di valore, basati su un equivoco e, derivanti da uno slittamento di tipo logico- concettuale.

Il tempo entra nell’ individuo attraverso la morte ma, anche attraverso l’effetto delle speculazioni che collegano al tempo ogni mia più irrilevante azione. Agire è speculare su un risultato successivo, spendere energia per il futuro. La speculazione si differenzia dalla “messa in gioco” in quanto è fatta in vista di un guadagno. La “messa in gioco” invece può essere indipendente e libera da implicazioni future. 20

Prima di procedere nel ragionamento che porta a definire che cosa sia “la posizione della chance”, possiamo riassumere con queste importanti parole: Anche se il culmine si sottrae a chi lo cerca, a chi mira a esso come

scopo definitivo, posso riconoscere i me un impulso capace di farmi procedere verso il declino. Se posso fare del culmine la meta di un procedere o di un’intenzione posso fare della mia vita la lunga divinazione del possibile.21

20 Ibidem, p. 167. 21

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Si capisce fin da adesso come Bataille identifichi la posizione della chance con il concetto nietzscheano di amor fati. Essa, rappresenta, infatti, l’apertura sul possibile, il dovere di amare ciò che per essenza è perituro vivendo in balia della sua perdita. “Volere” la chance significa non solo accettare il nulla ma, avere la forza di amarlo, con tutto ciò che questo comporta. In questa visione, l’eterno ritorno, è il prezzo del’accettazione e, aprirsi sull’abisso del nulla, il primo passo da compiere per l’individuo. Sulla scorta della seguente lettura vorrei fare alcune riflessioni circa un concetto, quello di limite, che percorre l’interpretazione nietzscheana operata da Bataille, e che sicuramente, come poi vedremo nel seguito del mio lavoro, assume una certa rilevanza anche per l’ opera di Camus.

In primo luogo esso si da come consapevolezza del carattere necessariamente limitato, nel senso di finito, relativo, parziale, delle possibilità dell’uomo. In secondo luogo, esso si pone come superamento delle forme e condizioni che del proprio essere e della realtà oggettiva, l’uomo di volta in volta definisce con la propria azione. Da ognuna di queste accezioni scaturiscono tematiche collegate e dipendenti.

In generale, la filosofia nietzscheana è una presa d’atto della circostanza che i limiti comunque si impongono all’uomo, anche quando egli pensi o pretenda di poterne prescindere e, dall’altro, presa di coscienza che il limite non è semplicemente un fatto da protocollare e da subire, bensì un campo di sperimentazione infinita identificabile con l’esistenza stessa in quanto gioco del possibile.

Il concetto di prospettivismo, ovvero l’ idea che alla realtà ci si avvicini sempre attraverso un’ottica particolare, limitata, si unisce, qui, alla possibilità dell’uomo di ridefinire il proprio essere in rapporto a situazioni sempre nuove e diverse.

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Nella capacità di prendere congedo da cose e situazioni, Gianni Vattimo ha visto un segno e un’espressione importante della tra svalutazione nietzscheana: la tra svalutazione, definita in termini di” passaggio dal gusto per la sicurezza al gusto per l’insicurezza e l’avventura”, non è soltanto la sostituzione di altri valori a quelli già esistenti ma, piuttosto, la nascita di un nuovo modo di rapportarsi ai valori stessi. Saper prendere congedo vuol dire appunto non trattare più il valore come un feticcio, ma come un senso che si è conferito alle cose, e che” nel procedere della vita in un mondo aperto, non più dominato da strutture rigide, può e deve continuamente essere rimesso in discussione , sostituito da un valore più alto e diverso” […] “Per cui anche lo stesso concetto di superuomo è necessariamente da

intendersi in questa prospettiva esistenziale”22.

2) Verso la strada esistenziale: le letture di Lou Salomé e Jaspers

Trasformazioni esistenziali, apertura verso il nuovo, auto superamento, sono questi temi fondamentali anche all’ interno della particolare prospettiva di Lou Salomé, la cui lettura occupa un suo posto specifico all’ interno di questa mia ricostruzione.

Nel 1894, Lou Salomé scrive una biografia intellettuale, intitolata

Friedrich Nietzsche in seinen Werken, che costituisce la prima grande

analisi critica dedicata al filosofo tedesco redatta a ridosso della pubblicazione della sua opera, e per questo ancora più sorprendente.

Nel prologo del libro viene trascritta una lettera dello stesso Nietzsche atta a legittimare l’idea di una riduzione dei sistemi filosofici ai documenti

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biografici dell’autore, dando così l’ immagine della filosofia come auto confessione , di un’esperienza interiore scandita dall’alternanza di salute e malattia, paragonabile a una grande autobiografia del dolore.

L’esigenza del dolore sembra essere la chiave di lettura per intendere le trasformazioni del pensiero nietzscheano, che l’autrice suddivide in tre fasi, tre metamorfosi interiori dominate da un sostanziale desiderio di rompere drasticamente con ciò che ci è appartenuto, di creare una ferita interiore in grado di generare nuovi slanci interpretativi. La lettura della Salomé, getta così, una luce particolare sullo sviluppo intellettuale del filosofo: Nietzsche appare continuamente dilaniato tra la nostalgia di ciò che ha perso e il suo bisogno impellente di auto superamento, un’evoluzione spirituale che lo costringe sempre di più ad allontanarsi dalle cose vissute. La trasformazione è il mezzo attraverso cui si giunge a un nuovo io e a una nuova concezione della vita . Essa è, in definitiva, la dolorosa condizione di ricerca per la creazione di uno spirito originale. In questa prospettiva l’ individuo può esercitare la sua libertà nell’ orizzonte del pensiero e della vita e, ancor di più, nell’ insieme delle sue esperienze interiori.

Il richiamo al ruolo della vita affettiva è, dunque, forte e costante e genera quello che l’autrice chiama “una dislocazione del fondamento della verità

nel mondo degli impulsi”23 in modo da dare al pensiero, fino ad adesso

nebulosa teoria, consistenza e vita. In questo modo la Salomé coglie pienamente la novità della scrittura filosofica nietzscheana, la grande rivoluzione che consiste nella creazione di uno stile caratteristico, il quale esprime il pensiero non soltanto in quanto tale, ma “ con tutta la ricchezza di tonalità emotive risonanti dalla sua anima, con tutti i nessi del

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sentimento, sottili e segreti che una parola e un pensiero possono

risvegliare”24

.

In generale questa lettura si distingue, oltre che per una meticolosa e finissima interpretazione dell’evoluzione del pensiero nietzscheano, anche per l’ introduzione di alcuni motivi, in particolar modo quello della maschera e quello del nemico interiore, utilizzati anche dalla critica più recente e, sui quali ritorneremo nel corso dello studio.

È interessante vedere come questa autrice, così prossima al filosofo, sia stata una delle poche interpreti, se non la sola, ad aver dato una corretta lettura del distacco da Wagner. Questo episodio, forse anche a causa delle falsificazioni di E. Forster-Nietzsche, ha costituito un forte momento di

impasse per la critica, la quale ha trovato molte difficoltà nell’inquadrarlo

correttamente. La Salomé procede, invece, con una spiegazione che, lungi dal ricercare motivazioni concrete nel mondo esterno, disloca tutto nell’ universo mentale del filosofo. Nietzsche, a suo avviso, è pervaso da un’esigenza di liberazione e di distacco, non tanto nei confronti del musicista inteso come persona fisica, ma dall’abitudine e dalla dipendenza delle proprie posizioni su di lui. Questo bisogno di crearsi “nemici interiori” risulta, allora, necessario per il progresso dell’evoluzione spirituale e intellettuale. Si tratta, come ad esempio per il tema della religione, di un vero e proprio moto di rivolta contro se stessi, di un allontanamento da una parte di sé che si era accomodata e necessitava per questo di una crisi, di una scossa interiore. Secondo l’autrice, la vera originalità di Nietzsche consiste nel fato che “ mentre udiamo dei pensieri

in lotta, assistiamo allo sprofondare di mondi e al nascerne di nuovi”25.

24 Ibidem, p. 176. 25

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Veniamo adesso alla parte finale del saggio, quella che definisce l’ultima metamorfosi nietzscheana come uno spostamento verso “la filosofia della vita interiore”. In questo periodo, che poi fu anche il più produttivo, Nietzsche sembrò scrivere quasi esclusivamente per se stesso, forzandosi di sottomettere l’ insieme delle sue concezioni alle esigenze del suo io e, di spiegare l’ universo secondo le leggi che regolano la sua personalità. Le nuove prospettive aperte dal filosofo oscillano, dunque, tra un carattere mistico e l’elemento psicologico che dà loro la nascita: è come se questa ultima fase ci conducesse attraverso il dolore e le sofferenze più recondite della sua anima e della sua esperienza. L’istinto fondamentale che dominava il suo essere e la sua conoscenza sembra, adesso svelare la Salomé, fu quello religioso: le filosofie che si alternarono furono, insomma, per lui altrettanti surrogati di Dio. L’ autrice si propone, dunque, nell’ ultimo capitolo, di vedere in che modo Nietzsche risolse il tragico conflitto

della sua vita: “aver bisogno di Dio eppure doverlo negare”26.

Dal punto di vista logico, assistiamo a un allontanamento dall’ideale fino ad allora seguito, quello di una conoscenza dominata dal rigore del pensiero razionale. Dal punto di vista etico, invece, Nietzsche abbandona la critica negatrice adottata fino ad allora per spostare il fondamento della verità nel mondo degli impulsi psichici, come fonte di una nuova valutazione di tutte le cose.

Troviamo, in questa fase, un tentativo di riflessione sui problemi della conoscenza che si indirizza verso la teorizzazione di una dipendenza del pensiero dalla vita istintiva umana. Nietzsche nei suoi scritti finali postula la relatività di ogni pensiero riducendo ogni conoscenza intellettuale al fondamento pratico della vita pulsionale da cui essa discende o, comunque,

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