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Un umbrella coordinating body L’intermediazione tra residenti e istituzion

2. A package of groceries Piccoli atti di cura

Il primo problema che gli RHV hanno dovuto risolvere è stato un problema di «spazi»: un’anticipazione delle difficoltà che, come mostrerò, avrebbero dovuto affrontare in seguito. Si sono spostati tra diversi edifici prima di trovare un accordo con l’associazione dei Veterans of Foreign Wars che, in cambio dei lavori di risanamento del loro seminterrato avrebbe offerto ai volontari la sala che solitamente dedicavano alle feste.

A quel punto le attività sono entrate a pieno regime. Come si legge nel report che gli RHV hanno compilato nel gennaio 2013, il gruppo, durante le prime settimane di lavoro, ha portato a compimento diverse opere. Queste includevano: il supporto alla riapertura della clinica Joseph P. Addabbo Medical Center, la distribuzione di pasti caldi per circa 1.500 persone e la ripristinazione delle condizioni igieniche e di sicurezza di base le condizioni igieniche e di sicurezza di base di più di 400 tra abitazioni ed esercizi commerciali (Carrié, Desmarais 2013b), il tutto grazie all’organizzazione di squadre di volontari che, nel loro complesso, sono giunti ad un ammontare di circa 4000 persone.

Figura 16. Il cartello attraverso cui gli RHV invitavano volontari e residenti

Già da questa prima veloce descrizione delle attività, è evidente come il contesto vissuto e creato dagli RHV sia stato diverso da quello che aveva caratterizzato l’operato dei volontari di Rockaway. La varietà e l’estensione delle attività organizzate dal gruppo è stata resa possibile dalla convinzione che, affinché una ripresa efficace del quartiere potesse avere luogo, fosse necessaria una stretta collaborazione con le altre realtà che operavano sul territorio. Gli RHV non hanno infatti lavorato in autonomia, ma hanno co-fondato, insieme ad altri partner, la Red Hook Coalition: un gruppo che, oltre a loro, comprendeva l’RHI, Restore Red Hook (un’organizzazione impegnata a promuovere la riapertura dei piccoli esercizi commerciali del quartiere) e Occupy Sandy (una costola del movimento Occupy Wall Street, che sfruttando la propria visibilità mediatica e facendo affidamento su una forte competenza organizzativa interna, ha organizzato attività di riposta al disastro che si sono estese su tutta l’area metropolitana.

Una delle principali attività in cui la Coalizione si è impegnata è stata la mappatura dei nuclei abitativi e commerciali colpiti dall’uragano, attività cui si riferivano attraverso la generica definizione di canvassing. I volontari, guidati dagli RHV, vi si recavano porta a porta e, documento di accettazione alla mano, chiedevano a residenti e gestori di cosa avessero bisogno. Annotavano la lingua parlata dagli intervistati13, l’eventuale

presenza di bambini e anziani e la tipologia di immobile (residenziale o commerciale). Cercavano di comprendere se le richieste espresse dai residenti potessero essere soddisfatte dai servizi offerti dalla Coalizione: intervento di personale medico e di operatori sociali, opere di risanamento e ristrutturazione degli immobili (intervento elettrico, idraulico, rimozione dei pavimenti, attività di contrasto alla proliferazione di muffe, ecc.). A ciò aggiungevano l’offerta di consulenza nella compilazione delle domande di

richiesta di buoni pasto, assistenza medica e assistenza legale nelle trattative con assicurazione e proprietari dei locali affittati. Infine, il supporto nella compilazione dei moduli necessari all’accesso ai programmi di aiuto istituiti dalla FEMA o al Rapid Repair Program14.

Le richieste sono arrivate copiose. E' stato un periodo vorticoso, come mi hanno raccontato in più di una occasione, divisi com’erano tra le decine, centinaia di progetti che, mano a mano che l’attività di canvassing procedeva, si accumulavano sui loro tavoli15. E' stato tuttavia un periodo

pervaso da una forte sensazione di utilità, così come era accaduto a Rockaway. Shawn, Kirby, Mike, Jovan – e, in collaborazione con loro, seppur esterni al cuore centrale del gruppo, anche Ari e Craig – vedevano che i loro sforzi e il loro impegno generavano progressi: giorno dopo giorno i cartellini rossi e gialli venivano staccati dalle porte di ingresso, i residenti rientravano nelle loro abitazioni e i negozi riaprivano. Sempre più spesso, accanto alla dicitura “Status” relativa ai vari progetti, gli RHV tracciavano la scritta “ok”: ciò significava che le richieste erano state esaudite e che il progetto poteva essere archiviato. Su un totale di 1.109 unità mappate, oltre 400 progetti sono stati chiusi nel corso delle prime quattro settimane di attività.

La maggior parte di quei progetti consisteva in attività di risanamento delle abitazioni. L’architettura urbana di Red Hook differiva da quella di Rockaway: gli immobili, qui, erano stati costruiti con mattoni e cemento: non si sono avuti problemi di incendi. Si sono proposti tuttavia problemi analoghi per i seminterrati: il quartiere si trova al di sotto del livello del

14 Un programma pilota istituito dall’amministrazione Bloomberg che offriva ai privati cittadini riparazioni gratuite degli impianti elettrici e di riscaldamento. L’obiettivo era quello di fare in modo che coloro che erano stati costretti a trovare una sistemazione temporanea superassero la fase critica inziale e rientrassero velocemente in casa. Il programma postulava chiaramente il fatto che ogni lavoro non strettamente necessario sarebbe stato a carico dei cittadini, i quali avrebbero dovuto assumere un’impresa per completare i lavori atti a soddisfare i requisiti stabiliti dalle norme edilizie. Cfr. il regolamento disponibile alla pagina http://www.nyc.gov/html/recovery/html/resources/rapid.shtml (data ultima consultazione: 16.09.2015).

mare (figura nel Coastal Storm Plan come zona A) e durante l’inondazione è stato completamente allagato. Si sono rese necessarie, dunque, le stesse forme di interventi realizzate a Rockaway: gli impianti elettrici da rifare, abbattere e ricostruire le strutture divisorie interne, (quelle costruite in legno), e risanare la pavimentazione .

Ogni giorno dovevano essere organizzate le squadre di volontari. Macchine, furgoni, pick-up partivano alla volta delle abitazioni e degli esercizi commerciali i cui inquilini e gestori avevano chiesto aiuto. I volontari scendevano carichi di attrezzi e materiale edile, di generi alimentari, batterie, stufette elettriche.

L’attenzione dei volontari, tuttavia, non era confinata esclusivamente alle opere di risanamento delle abitazioni. Una forma di attenzione più generale, rivolta alle difficoltà che l’uragano aveva comportato nella gestione delle attività quotidiane veniva espressamente regolata e richiesta dalla RCH ai volontari che si dedicavano alle attività di canvassing. Nel vademecum stilato dalla Red Hook Coalition a favore dei volontari impegnati nelle operazioni di canvassing si legge:

Let people know that if there’s anything - anything at all - that they need immediately, that we’re there to try to make it happen.. Maybe they were too busy to get out of the house & go grocery shopping that morning, and we can take the opportunity to make their day by arranging to bring them back a package of groceries later in the day (RHC 2012).

Nel flyer che gli RHV distribuivano nel quartiere fin dall’inizio dell’emergenza, inoltre, i residenti potevano trovare, tra i servizi offerti, anche “abbracci gratuiti”. Come nel caso del volontari di Red Hook, la convinzione era quella secondo cui, per poter comprendere e rispondere in modo efficace ai bisogni dei residenti, fosse necessario stabilire con questi una relazione personale di fiducia. Una fiducia che – a differenza dei volontari di Rockaway – non veniva accordata sulla base di un rapporto di conoscenza pregresso. L’estraneità tra residenti e volontari era il punto

di partenza e la fiducia doveva essere conquistata, tramite una forte capacità di ascolto e di presenza continuativa16:

It’s […] important to make a connection with someone that leaves them feeling hopeful & cared about, and to get a comprehensive understanding of what their needs are […]. Rushing can make someone feel like they’re just another check off a list, and that’s the opposite of what we’re trying to do. Aim to spend as much time as you’re welcome and is needed.

Get a reading on their comfort level when talking to someone at their door or through a buzzer before asking to talk to them inside. Be clear of your intentions to help and to be sensitive to their needs.. […]

Don’t promise that we can meet their needs immediately or give them a definite timeline when aid, repairs, or assistance will come through. Tell them we can share this information with our network of resources, and we’ll try to connect them to resources if we can. Not coming through after getting someone’s hopes up can be disheartening and put a stain on the relationship. […]

You should ask open-ended, conversation-starting questions to draw people out. Some examples: “How have you been doing? How do you feel? How have you been taking care of yourself?” Listen to them. Validate the ways they have taken care of themselves. If they

16 Il grado di conoscenza tra residenti e volontari era diversificato: l’RHI, ad esempio, godeva di un maggiore radicamento sul territorio – sebbene che in moltissimi casi mancasse un rapporto di conoscenza personale pregresso. Gli esponenti di Occupy Sandy invece erano del tutto estranei al quartiere di Red Hook e ai suoi abitanti; mentre per gli RHV valeva una situazione intermedia: alcuni dei suoi membri., come Mike e Jovan, provenivano da altri Stati;

Figura 17. Il flyer attraverso cui gli RHV hanno reso nota la propria presenza nel

want to talk with you about something else, let them. That may be what they need: just to talk. Have a conversation. Like real people not in a disaster zone (RHC 2012).

L’obiettivo fondamentale era quello di far sentire ai residenti che ci si stava prendendo cura di loro. Il desiderio dei volontari era quello di far sì che, nonostante la mole di lavoro, i residenti non fossero ridotti a un semplice “nome su una lista”. Anche se brevemente, i volontari desideravano che si realizzasse uno scambio, che delle persone “reali” venissero incontrate nella loro specificità e unicità, ognuna con le proprie caratteristiche ed esigenze.

All’inizio scambi di questo genere si realizzavano spontaneamente: i residenti, colti di sorpresa dalla distruzione causata dall’uragano,17 nel

momento iniziale del bisogno erano disposti a incontrare e ad aprirsi agli altri più sovente di quanto facessero di solito18. Gli RHV, inoltre, avevano

i mezzi per soddisfarne le richieste: le donazioni erano copiose e i volontari affluivano nel quartiere con regolarità. Volontari e residenti cominciavano a conoscersi e a salutarsi per strada e questi ultimi si recavano presso la sede degli RHV per salutarli e ringraziarli dell’aiuto ricevuto.

Tali aiuti, come abbiamo visto anche attraverso il documento di accettazione utilizzato per l’attività di canvassing, non furono confinati alle esclusive opere di risanamento delle abitazioni: fin da subito le attività dei volontari cercarono di coprire ambiti differenti. Grande importanza ha avuto ad esempio il servizio di supporto per gli accessi al programma di rimborso della FEMA e al Rapid Repair Program. Il sistema burocratico, dicevano i residenti, era «folle» (crazy), ed era molto difficile per un non esperto, digiuno di conoscenze adeguate, compilare i documenti necessari

17 Anche a Red Hook la maggior parte degli abitanti decise di non evacuare, nonostante il quartiere fosse stato soggetto a mandato di evacuazione. Ancora una volta, nel calcolo di speranza effettuato dai residenti era prevalsa l’idea che l’uragano Sandy non avrebbe provocato più danni di quelli arrecati l’anno precedenti dall’uragano Irene. A ciò si aggiunsero considerazioni riguardanti i disagi e i costi dell’evacuazione.

18 Un commento frequente riguardava la sorpresa per l’aver stretto, grazie all’uragano, nuovi legami – e proprio con le persone con cui, fino a quel momento, non si erano scambiati che

all’inoltro della richiesta19. Fin da subito gli RHV avevano dato molto

valore a questo genere di attività: sperimentavano le difficoltà dei residenti e capivano che, privi di un supporto, molti di essi non sarebbero mai riusciti a usufruire delle possibilità cui le persone più istruite e abbienti accedevano senza difficoltà. Incontro dopo incontro cominciavano a comprendere che l’attività di risanamento delle abitazioni costituiva solo uno degli aspetti del processo di recovery della comunità e che se davvero volevano soddisfare le esigenze più profonde dei residenti, avrebbero dovuto stratificare maggiormente le proprie attività includendo nuovi fronti operativi.

Tale comprensione è rimasta pressoché implicita durante le prime settimane di attività: gli RHV, affaccendati com’erano nell’affrontare le emergenze, avevano l’impressione di non disporre nemmeno del tempo necessario a riflettere e prendere una decisione. In ogni caso, tuttavia, le prime settimane di attività sono servite ai volontari a maturare una conoscenza del contesto in cui si erano inseriti.

A distanza di circa un mese dall’impatto dell’uragano la situazione inizia a mutare. All’inizio di dicembre la maggior parte dei residenti e dei gestori di piccole attività al dettaglio aveva risolto i problemi più urgenti relativi ai propri spazi abitativi: aspirato l’acqua dai seminterrati, rimosso le strutture di legno marcite, sventato il pericolo di formazione di muffe pericolose. Dovevano, nella maggioranza dei casi, passare alla fase di ristrutturazione dei locali.

Contemporaneamente emergevano delle criticità che riguardavano la comunità nel suo insieme. Da un lato edifici e spazi pubblici (scuole, chiese, palestre, ecc.) che dovevano essere risanati e resi nuovamente agibili. Dall’altro l’esistenza all’interno della comunità di un netto divario

19 Purtroppo durante il mio campo a Red Hook non ho avuto la possibilità di occuparmi di questo genere di casi, non avendo dunque accesso alla documentazione e alle procedure burocratiche richieste da FEMA e amministrazione locale. E’ questo un ambito di indagine

tra chi viveva in appartamenti a prezzo agevolato rispetto agli altri residenti. I primi, nella stragrande maggioranza dei casi, si trovavano all’inizio di dicembre ancora a fronteggiare problemi che gli altri abitanti del quartiere avevano risolto nel corso dei primi giorni di emergenza. La situazione era dunque assai complessa: le esigenze della comunità mutavano e si diversificavano e, se gli RHV avessero voluto continuare a servirne gli interessi, avrebbero dovuto ripensare e ridirezionare le proprie attività, così come darsi una struttura più efficace e mettere a fuoco, con più chiarezza, ruoli e responsabilità interne. Prese dunque avvio una forte fase di transizione interna al gruppo. Fu proprio in quell’arco di tempo che io feci il mio ingresso tra gli RHV.

3. Comprendere i cambiamenti: la transizione tra la «response