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La trasformazione di Sandy in ciclone post-tropicale: i dilemmi operativi del National Hurricane Center

La mia riflessione prende le mosse dall’operato del National Weather Service (NWS) e da quella sua divisione interna che è dedicata al monitoraggio dei cicloni atlantici, il National Hurricane Center (NHC). Come si può leggere nel report pubblicato nel maggio 2013 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’ente federale al cui interno figurano l’NWS e l’NHC, gli uffici dell’NWS non erano preparati a gestire l’evoluzione anomala di Sandy. Diverse furono le difficoltà operative, prima fra tutte quella che riguardò l’attivazione dell’allarme

uragano per gli stati a nord del Nord Carolina che, verosimilmente, sarebbero stati interessati dal ciclone (NOAA 2013).

L’NHC, come ho detto sopra, prevedeva che l’uragano Sandy si trasformasse in un ciclone post-tropicale poco prima di impattare sul territorio statunitense. Il suo livello di pericolosità non sarebbe per questo diminuito, e l’allarme uragano si configurava come lo strumento più utile a mettere in allerta la popolazione. Si profilava tuttavia un problema: il protocollo operativo dell’NHC ordinava che, qualora il ciclone perdesse le caratteristiche tropicali in un momento successivo alla dichiarazione dello stato di allerta, il Centro avrebbe dovuto cancellare l’allarme. Ciò avrebbe ovviamente generato livelli di confusione e incertezza difficilmente gestibili, nonché compromesso gli sforzi di orchestrazione delle fasi di preparazione all’emergenza di governi e agenzie: l’ipotesi venne dunque immediatamente accantonata.

Venne considerata la possibilità di mantenere l’allarme anche dopo che la denominazione del ciclone fosse stata modificata. Il protocollo però non era mai stato testato in precedenza; si temevano danni al software informatico e un eventuale blocco in una fase cruciale delle operazioni del flusso di informazioni tra il Centro e le istituzioni mediatiche e governative.

Il 26 ottobre, in concertazione con l’Hydrometeorological Prediction Center (HPC), l’Ocean Prediction Center (OPC) e gli Eastern Region Headquarters (ERH), l’NHC decise di non dichiarare l’allarme e di limitarsi a pubblicare dei bollettini in cui sottolineare a più riprese la pericolosità del sistema tempestoso. La responsabilità di emanare gli stati di allerta relativi ai rischi più gravi connessi al passaggio del ciclone (il pericolo venti forza uragano e il pericolo inondazione) venne delegata ai Weather Forecast Offices (WFOs), delle stazioni di previsione locali i cui allarmi hanno validità solo all’interno delle rispettive aree geografiche di competenza.

La problematicità della decisione è stata data dal fatto che la trasformazione di Sandy da ciclone tropicale a ciclone post-tropicale non ha significato una diminuzione del suo grado di pericolosità. La decisione di delegare ai WFOs la responsabilità di emanare gli avvisi di allerta ebbe l’effetto di scaricare la responsabilità della gestione dell’emergenza su degli uffici che non possedevano le capacità, tecnologiche e di personale, per farlo: i WFOs, ad esempio, non disponevano dei sistemi di allerta più avanzati, quelli che permettono di raggiungere in tempo reale la popolazione sfruttando la comunicazione via cellulare, satellite, radio e televisione (Emergency Alert System e Wireless Emergency Alert). Complice il fatto che, per un motivo di organizzazione gerarchica interna, gli allarmi emessi da queste stazioni non vennero riportati nei siti internet dell’NHC e dell’NWS, la diffusione delle informazioni si fece ancor più problematica: era necessario consultare diversi siti internet prima di riuscire ad avere accesso alle informazioni desiderate (NOAA 2013:20).

Il peso delle decisioni prese in quei concitati giorni di ottobre deve essere stato considerevole se, nell’aprile 2013, il direttore dell’NHC Rick Knabb pubblicò un report in cui, oltre a definire e spiegare le difficoltà incontrate dal suo team nella gestione dell’emergenza, riconobbe la necessità di modificare il protocollo operativo del Centro, attribuendo all’NHC la prerogativa di rilasciare avvisi di allerta che riguardino sia i cicloni tropicali che quelli post-tropicali (Knabb 2013). Lo stesso ordine di considerazioni venne espresso anche nel report della NOAA, il quale segnala la necessità di attribuire sia all’NHC che all’NWS la capacità di emanare avvisi di allerta riguardanti i cicloni post-tropicali.

Nel report della NOAA si trova anche un secondo ordine di considerazioni, differente ma non meno importante, che riguarda la necessità di utilizzare un linguaggio più facilmente comprensibile ai media e al pubblico, permettendo ai giornalisti di «raccontare meglio la storia» e al pubblico di distinguere più facilmente i livelli di minaccia collegati alle

diverse tipologie di pericolo» (NOAA 2013:22). Tale dichiarazione sembra rispondere alle numerose critiche che vennero indirizzate all’NHC nelle ore che precedettero e che seguirono l’impatto del ciclone sugli stati di New Jersey e New York.

Tra queste critiche spicca quella rivolta da Barry Myers, direttore generale di AccuWeather, un’azienda privata che vende servizi di previsione meteorologica a numerose reti televisive e radiofoniche statunitensi. In un’intervista in cui dichiarò i motivi che l’avevano spinto a entrare in polemica con il Centro, Myers sostenne che i meteorologi dell’NHC si erano lasciati confondere dal fatto che un uragano stava per essere compreso all’interno di una violenta perturbazione invernale. L’uragano aveva mutato struttura ma questa, sosteneva Myers, sarebbe dovuta rimanere una questione tecnica, di nomenclatura; non sarebbe dovuta intervenire all’interno del processo di comunicazione con la popolazione. Ciò che secondo Myers bisognava tenere a mente era il fatto che, per le dimensioni e per l’intensità che lo caratterizzavano, Sandy era stato percepito dagli abitanti della regione come un urgano. Se l’obiettivo voleva essere quello di informare correttamente la popolazione, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che il termine “ciclone post-tropicale” rappresentava una categoria opaca per la media dei cittadini nordamericani, una categoria incapace di veicolare la gravità del pericolo rappresentato da Sandy. Il suo utilizzo infatti aveva spinto le persone a pensare che visto, che non si trattava di un uragano, l asituazioen non sarebbe stata poi così pericolosa (AccuWeather 2012).

In effetti, come dimostra la manipolazione linguistica che ha avuto luogo nelle settimane successive all’impatto di Sandy e che ha riguardato le categorie attraverso cui i cittadini, i media e le autorità governative hanno nominato il ciclone, il termine ciclone post-tropicale non venne mai utilizzato. Al suo posto continuò a essere usata la categoria di uragano, affiancata da un termine di nuovo conio, quello di superstorm. E’

interessante notare il fatto che diversi esponenti della comunità scientifica si preoccuparono di sottolineare l’uso improprio della nomenclatura meteorologica. Sandy non impattò sul territorio statunitense in qualità di uragano e, cosa ancor più importante, non esisteva alcun evento atmosferico che prendesse il nome di superstorm (Nosowitz 2012).

Tali considerazioni offrono l’occasione per riflettere su un tema importante, utile a comprendere se e in che termini centri come l’NHC abbiano contribuito a costruire la vulnerabilità dei cittadini newyorkesi e statunitensi all’uragano Sandy. E’ il tema della comunicazione tra esperti e non esperti – cui ho già accennato nel corso dei paragrafi precedenti – che qui prende la forma di un dilemma carico di significati e di conseguenze: in una situazione di emergenza l’accento deve andare sull’esattezza delle informazioni o sull’efficacia della comunicazione? Sull’uso corretto della terminologia scientifica o sul risultato che si vuole ottenere in termini di protezione della popolazione? A questo proposito, il report firmato da Rick Knabb, direttore dell’NHC, e quello pubblico dalla NOAA sono veicolo di due visioni differenti che meritano di essere chiarite, seppur brevemente.

Knabb rifiuta categoricamente la possibilità che il Centro possa utilizzare il termine uragano una volta che il ciclone abbia perso le caratteristiche tropicali. «Intentionally misrepresenting Sandy as a hurricane would have severely damaged the credibility of the NWS» (Knabb 2013:54). Per Knabb l’aderenza alle categorie scientifiche riveste un valore fondamentale: il ricorso a una nomenclatura adeguata permette di meglio descrivere la realtà, molto meglio che attraverso l’uso di un linguaggio comune, quotidiano, e perciò approssimativo. La concezione di linguaggio di Knabb poggia dunque su un presupposto specifico, quello che assegna al linguaggio la sola funzione denominatrice e che pensa sia possibile descrivere oggettivamente gli eventi del mondo esterno.

Diversa è invece la posizione degli autori del report della NOAA, secondo cui il linguaggio deve essere più semplice ed evitare le difficoltà di nomenclatura (NOAA 2013:22). La funzione denominatrice, in altri termini, dovrebbe passare in secondo piano, e la comunicazione dovrebbe essere maggiormente orientata all’effetto che si vuole produrre nel pubblico. Esiste infatti una differenza tra il falsificare, di cui si preoccupa Knabb (Knabb 2013:54), e il permettere alla funzione denotativa del linguaggio di prendere il sopravvento.

La questione è delicata, e non può certo esser risolta in poche righe. Tuttavia credo che, nel tentativo di dirimerla, debba essere preso in considerazione il fatto che gli scienziati, così come i residenti, «sono persone e, in quanto persone, esseri che pensano e operano in base a modelli culturali» (Kuhn cit. in Ligi: 141). La prospettiva a partire dalla quale pensano ed agiscono, dunque, è necessariamente limitata e il loro operato, generato a partire da un posizionamento specifico, vive delle

Sottolineare il fatto che gli scienziati siano posizionati significa avvalorare l’idea che il loro sapere non sia oggettivo né tantomeno esaustivo, contrariamente all’opinione corrente secondo cui, invece, scienza e tecnologia sono gli unici mezzi che ci consentirebbero di gestire con sicurezza l’emergenza. E’ questo un elemento che il sociologo Luciano Gallino ha attentamente considerato e che riassume nella locuzione di «tecno-ignoranza»: esistono delle cose che gli esperti, considerati nel loro insieme, non sanno, in particolare riguardo agli effetti concreti delle applicazioni tecnologiche. Gallino propone, in alternativa all’approccio «comunicativo», un approccio «partecipativo», che consenta al pubblico di discutere con gli esperti circa l’appropriatezza e l’utilità delle loro scoperte e innovazioni. Secondo il sociologo questa discussione avrebbe il preciso merito di «orientare gli esperti verso ciò che non sanno – l’area della tecno- ignoranza specifica – o non sanno nemmeno di non sapere – la tecno- ignoranza a-specifica» (Gallino 2007:27 cit. in Ligi 2009:163). L’apertura

di una discussione tra pubblico e meteorologi si rivelerebbe dunque proficua, permettendo agli scienziati dell’NHC e dell’NWS di acquisire uno sguardo più allargato e di mettere a punto dei protocolli di emergenza che possano davvero raggiungere l’obiettivo di fornire protezione alla popolazione.

Una riflessione maggiormente approfondita intorno al posizionamento degli scienziati permetterebbe altresì di prendere consapevolezza del fatto che, in alcuni casi, le scelte dei meteorologi dell’NHC non sono state guidate dalla preoccupazione per la sicurezza dei loro concittadini. Il riferimento di Knabb alla credibilità che il Centro perderebbe utilizzando un linguaggio approssimativo nasconde difatti la preoccupazione per un’eventuale perdita di prestigio dell’istituzione che a lui fa capo; il fatto di non rispettare dei criteri di scientificità condivisi intaccherebbe quel capitale simbolico che, come sottolinea Pierre Bourdieu, gioca un ruolo decisivo nel definire il riconoscimento sociale di cui godono ricercatori e istituzioni all’interno del campo scientifico.

La riflessione circa il rapporto tra esperti e pubblico e le modalità di comunicazione adottate nei momenti di emergenza dovrebbe essere a mio avviso arricchita dall’adozione di una prospettiva di ampio respiro che riconosca che tale comunicazione è guidata da finalità e valori di carattere squisitamente socio-culturale. Una consapevolezza di questo genere, per quanto difficile da raggiungere, è necessaria: è generalmente assente dal dibattito pubblico, anche se essenziale alla promozione della sicurezza dei cittadini.