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Un umbrella coordinating body L’intermediazione tra residenti e istituzion

5. Difficoltà organizzative

Le difficoltà organizzative che gli RHV hanno dovuto affrontare nel periodo di transizione tra la «phase response» e la «phase two» si sono

concentrate primariamente attorno a due fattori: la comunicazione con i residenti e la gestione delle donazioni.

Vengo al primo punto. Gli RHV, come ho detto, cercavano di essere il più reattivi possibile di fronte al mutare delle esigenze della comunità ed erano alla ricerca di una modalità di confronto con i residenti che permettesse loro di verificare la produttività delle loro iniziative. Fino a quel momento avevano fatto ricorso, per questa finalità, alle attività di

canvassing, che costituivano uno strumento efficace attraverso cui

confrontarsi in modo diretto con gli abitanti del quartiere. Tale strumento tuttavia non era più disponibile: gli RHV non potevano fare più affidamento su un congruo numero di volontari cui assegnare tale incarico42. Il gruppo, quindi, era ricorso sempre più estesamente a

newsletters e social networks per comunicare con i residenti. Ciononostante l’accorgimento non si dimostrava sufficiente: non esistevano infatti risorse tecnologiche (smartphone, tablet, computer) che fossero egualmente condivise da tutti i membri della comunità. Kirby e Carlos hanno dunque messo a punto una proposta che è stata discussa nel corso della riunione al Jalopy Theatre: la dislocazione in punti strategici del quartiere di stand che assolvessero alla funzione di «points of communication that everybody can have access to, whether they have internet or not»43. La proposta è stata accolta positivamente:

l’informazione sarebbe potuta divenire capillare e, allo stesso tempo, avrebbe mutato la direzione della relazione tra il gruppo e i residenti, creando le condizioni perché questi ultimi guadagnassero in proattività: piuttosto che attendere l’arrivo dei volontari, avrebbero potuto recarsi autonomamente presso i punti di informazione.

42 Era dicembre e, come ho già accennato nel secondo capitolo, diminuiva sempre più il numero di persone disposte a impiegare il proprio tempo in favore delle vittime dell’uragano Sandy.

Come mostrerò nel prossimo paragrafo, le considerazioni in merito alla proattività dei residenti hanno costituito un nodo centrale della riflessione dei Red Hook Volunteers. Esse tuttavia sono entrate solo tangenzialmente nel merito della discussione che ha riguardato le donazioni: in questo caso, infatti, gli RHV erano disposti ad assumersi la piena responsabilità delle operazioni.

Una prima incombenza riguardava la necessità di razionalizzare il sistema di gestione delle donazioni: si trattava di una risorsa importantissima per ottenere i beni di cui residenti e volontari avevano più bisogno, che tuttavia necessitava di essere organizzata in modo più efficiente. Fino a quel momento, difatti, la scelta dei beni donati era stata demandata all’iniziativa dei singoli, i quali avevano inviato nel quartiere (in primo luogo tramite Occupy Sandy) le risorse di cui pensavano ci fosse più bisogno. Si era creato così un contrasto tra beni che scarseggiavano (materiali e attrezzi edili in primo luogo) e beni disponibili in eccesso. Ricordo, ad esempio, gli innumerevoli scatoloni di vestiti che, a fine dicembre, erano ancora stipati nel garage di Ari. Come aveva sottolineato Jovan, con ogni probabilità quei vestiti sarebbero stati buttati: già cominciavano a vedersi le prime macchie di muffa.

Era questa una problematica di difficile risoluzione che gli RHV condividevano con tutte le altre organizzazioni di volontariato attivatesi dopo l’impatto dell’uragano e che richiedeva sforzi congiunti. Nell’After

Action Report si legge che:

The primary [challenge] posed by the volume of donations [… was] how to collect and distribute large quantities of many types of goods at locations across the city. One challenge was the abundant generosity of unsolicited donations—particularly clothing—that accumulated in neighborhoods and were susceptible to the elements and sanitary concerns. The City worked with several nonprofit partners to manage certain types of material donations, but it remained difficult to manage the quantity of these donations and maintain a safe environment for volunteers and recipients (Gibbs, Holloway 2013:29).

Se per le donazioni che già erano giunte nel quartiere c’era ormai poco da fare, uno strumento utile per cercare di ottimizzare quelle che sarebbero

potute arrivare in futuro è stato fornito dalla Voluntary Organizations Active in Disasters (VOAD). L’organizzazione44 aveva contattato gli RHV

proponendogli di diventare suoi membri. Se avessero accettato avrebbero avuto accesso al National Donations Management Network (NDMN): uno strumento di gestione delle donazioni sponsorizzato dalla FEMA che, mettendo in connessione donatori e organizzazioni di volontariato, dava la possibilità a queste ultime di creare una lista dei beni di cui avevano maggiore necessità e ai primi di donare in modo mirato. Non solo: l’NDMN sfruttava la propria rete di contatti per reperire le strumentazioni che non potevano essere donate (macchinari, apparecchiature tecniche ecc.), gestendone poi il trasporto. La novità era stata discussa e salutata con favore nel corso della riunione al Jalopy Theatre: dava una risposta rispondeva pienamente alle difficoltà degli RHV.

Rimaneva tuttavia da risolvere il problema più spinoso: l’allestimento di nuovo centro di distribuzione – necessario per stoccare le donazioni e fare in modo che queste raggiungessero effettivamente la comunità. Fino a quel momento gli RHV, in collaborazione con Simone, Tyrell e altri residenti, avevano utilizzato un giardino messo a disposizione dalla parrocchia di Visitation Church. I volontari avevano allestito un tendone: nelle giornate di pioggia cercavano di evitare il contatto con il fango tramite dei pannelli di legno che poggiavano a terra. Avevano recuperato tavoli, sedie, stufe elettriche e, per settimane e settimane, avevano organizzato la distribuzione. La locazione all’esterno, tuttavia, rendeva il compito difficoltoso: l’illuminazione era scarsa e l’umidità penetrante. A partire dal 23 dicembre, inoltre, la chiesa avrebbe avuto nuovamente bisogno del giardino per organizzare le celebrazioni natalizie. Si rendeva dunque

necessario trovare un nuovo spazio: al chiuso e, possibilmente, disponibile per lungo tempo45.

Una sera di fine dicembre, seduti al tavolo di un bar, Mike mi ha detto: «One of issues of the relief works related to Sandy is space»46. Gli RHV

avevano affrontato e continuavano ad affrontare problemi di quel genere: la prima lunga ricerca aveva riguardato il locale adatto a ospitare il centro operativo del gruppo (la quale si è conclusa definitivamente solo a febbraio 2013, quando gli RHV hanno lasciato la sala VFW per trasferirsi in un ufficio poco distante). Dovevano poi trovare i locali in cui alloggiare le squadre di volontari organizzate in collaborazione con la FEMA e, ora, dovevano individuare uno spazio adatto all’allestimento del centro di distribuzione. Le difficoltà erano molte: «There’s not too much space in Red Hook right now», aveva detto Jovan nel corso della riunione al Jalopy Theatre47. La ricerca, infatti, era destinata a protrarsi a lungo: si sarebbe

interrotta solo a diverse settimane di distanza.

Dal mio punto di vista questa “mancanza di spazi” può essere letta come una criticità di ordine relazionale: per trovare i locali adatti era necessario individuare e contattare le persone “giuste”. Era questo un aspetto che gli RHV vivevano a volte con difficoltà, e che emergeva anche in considerazione di una ulteriore esigenza legata all’allestimento del centro di distribuzione: la ricerca di soggetti finanziatori. Fino a quel momento il gruppo si era rivolto esclusivamente a Occupy Sandy da cui, tuttavia, non aveva ancora ricevuto una risposta definitiva48. Carlos ha

puntato l’attenzione sulla limitata efficacia della scelta:

Carlos: There are other pots. The question is: Where is the right place to go to get what we need? We worried here a lot about Occupy’s piece. But there’s the Brooklyn Community

45 La ricerca, condotta in primo luogo da Mike, Craig e Jovan, si è protratta a lungo: i ragazzi hanno trovato uno spazio adatto solo a distanza di diverse settimane, quando io ormai avevo fatto rientro in Italia.

46 Colloquio informale annotato nel diario di campo il giorno 29.12.2012. 47 Registrazione sbobinata della riunione del 18.12.2012.

Foundation’s Piece, and there’re extra pieces. And all this is about putting plans together. We’re still on conversation phase.

Emergeva dalle parole di Carlos il fatto che il nodo centrale di quella fase delle attività degli RHV riguardava la creazione di una rete di relazioni fruttuosa. Per continuare le attività era necessario instaurare legami con le molteplici istituzioni che operavano sul territorio e in particolare con quelle che stabilivano a chi destinare i fondi stanziati per la recovery.

Non solo: l’allacciamento di tali connessioni era la precondizione per cui le risorse stanziate a favore delle vittime dell’uragano potessero effettivamente essere utilizzate da queste ultime. Carlos metteva in luce un aspetto importante: per accedere ai fondi di finanziamento era necessario intavolare una discussione con le istituzioni che vertesse intorno all’approvazione di progetti specifici (come poteva essere, ad esempio, il centro di distribuzione).

Carlos: Where I thought before there is a lot of money we can spread, now I think we have to […] do focused things. […] That’s where we have to get more smart, and more efficient49.

Questo, secondo Carlos, era l’unico modo per risolvere un grande problema: la presenza di un’enorme quantità di risorse economiche che, tuttavia, faticavano a trovare la strada per giungere a coloro che più ne avevano bisogno – le vittime dell’uragano.