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Cerniere plastiche

1. Abitare la casa antisismica

Il termine casa deriva dal latino casa, propriamente casa rustica, che appare attestato nei documenti medievali solo a partire dal XII secolo, la significativa variante accasamenta è spesso impiegata insieme a insula per definire i complessi edilizi riferibili a una singola famiglia nobiliare e fino al quattrocento inoltrato sembra essere utilizzato assai meno frequentemente del termine domus (varianti e diminutivi domuncula, domicella), che continuava a definire, almeno nelle regioni di tradizione culturale latina, l’abitazione urbana. Sotto la denominazione di casa, vengono a raccogliersi edifici e strutture tipologicamente differenti quanto a dimensioni, distribuzione delle parti interne, numero e disposizione dei vani, materiali costruttivi impiegati, in ragione di numerose varianti, che vanno dall’epoca di costruzione alla tradizione edilizia regionale (a sua volta legata tanto ad aspetti sociali e culturali quanto ad aspetti naturali e climatici), al legame funzionale con le attività produttive o commerciali che vi erano annesse, per giungere infine al diverso status sociale ed economico degli uomini che abitavano quegli edifici. Ne consegue un’evidente difficoltà di trattazione sistematica della tipologia della casa medievale. Già gli ultimi decenni del secolo scorso e i primi anni del Novecento videro la nascita, soprattutto oltralpe, delle prime trattazioni generali sull’evoluzione dell’architettura domestica nel corso del Medioevo, che limitavano però l’analisi all’edilizia privata delle regioni dell’Europa centrale e mediterranea e ai secoli finali del Medioevo, mirando in definitiva a collegare lo sviluppo delle tipologie abitative con le grandi scansioni stilistiche che caratterizzano la produzione architettonica.

In epoca altomedievale nelle regioni dell’Europa centrale e settentrionale, i materiali impiegati per la costruzione di edilizia abitativa privata erano prevalentemente: legno, paglia, argilla e muratura di pietra a secco: materiali e tecniche costruttive “fragili” per un territorio che ancora non era stato investito da forti terremoti (documentati) con conseguente perdita di vite umane. La problematica della casa altomedievale propone essenzialmente due temi fondamentali, legati rispettivamente alle regioni (del Mediterraneo e a quelle dell’Europa centrale e settentrionale) in cui la romanizzazione, laddove sia effettivamente avvenuta, aveva lasciato tracce assai meno consistenti nella cultura materiale. Nel primo caso, che riguarda principalmente il territorio italiano e, in misura minore, le regioni meridionali della Francia, il problema fondamentale appare essere quello della decadenza e dell’abbandono del modello abitativo greco-romano.

I secoli VI e VIII videro infatti, in concomitanza con la crisi complessiva degli insediamenti urbani (Brogiolo, 1984), il progressivo abbandono del sistema residenziale di tradizione romana, basato sulla distinzione tra abitazioni signorili unifamiliari (domus) e abitazioni plurifamiliari destinate ai ceti medi e bassi della popolazione (insulae). I pochi dati archeologici disponibili, riferibili soprattutto alle aree urbane, testimoniano perfino della scomparsa della differenziazione strutturale tra ambienti destinati a funzioni diverse: poveri locali per uso abitativo vennero spesso ricavati dalla suddivisione di quelli che erano stati spazi o edifici pubblici e privati. Due casi italiani oggetto di recenti indagini archeologiche possono costituire un esempio efficace di questo fenomeno: a Luni, antico porto romano sul golfo ligure, che ancora nel VI secolo continuava a svolgere una significativa funzione commerciale, una serie di modeste case di abitazione con muri perimetrali in muratura a secco e tetti in legno andarono a riempire gli spazi aperti dell’antico foro, riutilizzandone muri e colonnati (Ward-Perkins, 1981); a Siena, probabilmente nel corso del VII secolo, una semplice capanna in muratura, argilla cruda e legno venne addossata ai resti, riutilizzati in una parete, del muro d’ambito di un edificio monumentale di epoca romana . Il fenomeno in questione, che pure si riscontra in molti dei grandi centri antichi a partire da Roma, non può però essere assolutizzato: al contrario, le poche fonti disponibili per questo periodo testimoniano infatti dell’esistenza di case private di una certa consistenza volumetrica e materiale, delle quali però, proprio in virtù di quel processo di continuo rifacimento e trasformazione del tessuto dei centri urbani medievali, cui si è accennato, non rimane alcuna traccia archeologica. Il Codex traditionum Ecclesiae Ravennatis1

, compilato probabilmente alla fine del X secolo, collezionando materiali e documenti relativi ai secoli precedenti, fornisce alcune preziose informazioni circa l’aspetto generale delle case dei VII-X secolo nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale adriatica. Dal confronto di sommarie descrizioni, desunte principalmente da atti di compravendita, le case citate sembrano rispondere a un medesimo schema tipologico, almeno negli aspetti fondamentali: si tratta in generale di edifici in muratura, realizzati con materiali di reimpiego (soprattutto laterizi ma anche pietra da taglio) e con un uso estensivo del legno, sia per le suddivisioni interne (pavimenti, solai, pareti, scale) sia, in qualche caso, come materiale da costruzione per i muri perimetrali; non è infatti infrequente il caso di abitazioni realizzate in muratura fino al livello del pianoterra e poi 1 Il Codice Bavaro è un codice papiraceo che contiene la registrazione, composta verso la fine del X secolo

presso la cancelleria arcivescovile ravennate nei territori della Pentapoli, effettuate dal VII al X secolo. Il codice è conservato presso la Staatsbibliotthek di Monaco di Baviera

sopraelevate con strutture leggere in legno. Quando la casa era articolata su due piani - e ciò sembra accadere nella maggioranza dei casi citati dal Codex - la distribuzione degli ambienti risultava pressoché costante: al piano terra si trovavano la canapha (una sorta di deposito o magazzino), la coquina (spesso ridotta a un semplice focolare con camino, talvolta però separata dall’abitazione vera e propria per ragioni di sicurezza e forse addirittura in comproprietà tra diversi nuclei familiari) e un balneum (detto in qualche caso anche calidarium: un semplice locale dotato di recipienti fissi o mobili e di un sistema più o meno rudimentale di smaltimento delle acque). Talvolta al piano terra compariva anche un triclinium o una sala, ambiente che deriva sia l’etimo sia la destinazione d’uso dalla stanza centrale tipica delle abitazioni centroeuropee (sala e triclinium non vengono mai citati nello stesso documento e ciò testimonia che si trattava con ogni probabilità di sinonimi che definivano uno stesso tipo di ambiente). Al piano superiore sono documentati il triclinium e i cubicula, evidente retaggio tanto nella denominazione quanto nella funzione delle tipologie abitative di tradizione romana. La struttura della casa poteva essere completata da una sorta d’ingresso (in qualche caso definito, con termine di probabile derivazione bizantina, andron) e spesso da una stalla (stabulum). Alcuni documenti riportano anche una stima della misura dell’appezzamento di terreno che comprendeva la case, il piccolo cortile retrostante e le eventuali pertinenze: si trattava di superfici relativamente estese (in linea generale tra mq 200 e 300) e questo lascia supporre che, almeno per quanto riguarda le abitazioni urbane, le case citate nei documenti debbano essere interpretate come appartenenti a una fascia tipologica medio-alta, che poteva coesistere con strutture più modeste del tipo di quelle testimoniate dai ritrovamenti archeologici.

In maniera piuttosto diversa si pone invece il problema della casa altomedievale nelle regioni dell’Europa centro settentrionale, della Scandinavia e delle Isole Britanniche, caratterizzate in quest’ epoca da un modello prevalente d’insediamento basato più sul villaggio rurale che non sulla continuità dei centri urbani. Le ricerche archeologiche condotte negli ultimi decenni, particolarmente in Gran Bretagna e nei paesi scandinavi, hanno arricchito in misura assai considerevole la base di dati a disposizione degli studiosi a proposito delle abitazioni dei primi secoli del Medioevo in queste regioni. Anche se non è ancora possibile definire serie tipologiche complete su scala regionale e sovraregionale, si possono però individuarne, almeno in linea generale, i fondamentali elementi caratterizzanti (Ralegh Radford, 1957). Si trattava in linea di massima di semplici edifici a pianta rettangolare più o meno allungata (di lunghezza compresa

nella maggior parte dei casi tra 8 e 12 metri), con o senza divisioni interne; queste ultime, quando esistevano, non avevano comunque carattere permanente né funzione statica (Addyman, Leigh, Hughes, 1972). Elemento caratteristico di questo tipo di costruzioni sembra essere la loro intrinseca deperibilità: tanto i materiali impiegati (prevalentemente legno e paglia, ma anche, a seconda delle disponibilità in loco, argilla cruda e pietra) quanto le tecniche costruttive (nella maggior parte dei casi l’elemento portante era costituito da pali semplicemente infissi nel terreno) non potevano assicurare la durata della struttura, che assumeva dunque più il carattere di elemento funzionale che non quello di bene economico trasmissibile.