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2.3 Responsabilità civile e rischio sportivo

2.3.3 L’accettazione del rischio

L’esercizio dello sport, presenta un ineliminabile livello di rischio, più elevato rispetto a quello generalmente presente in altre attività umane. Vi sono degli sport in cui il contatto fisico, con il conseguente rischio di lesioni, è necessario (ad es. la boxe), in altri (ad es. il calcio) esso è solo eventuale, ma pur sempre abitualmente presente in un contesto di gioco. L’ordinamento giuridico in caso di lesioni all’integrità fisica altrui derivanti dalla pratica sportiva è chiamato a bilanciare l’interesse e il valore sociale dello sport con le regole ordinarie della responsabilità civile.

In tale contesto si è sviluppata la figura della c.d. accettazione del rischio, secondo la quale l’esercizio dello sport implica la presenza di un nucleo di pericolo ineliminabile, per cui il soggetto che decide di praticarlo si espone in maniera consapevole ad esso e accetta così di farsi carico di eventuali danni rientranti nella c.d. alea normale di rischio per quella specifica attività sportiva. Questo concetto di alea normale, necessariamente mobile e calibrabile in base al tipo di sport, fa sì, ad esempio, che gli organizzatori di una competizione motoristica non rispondano per i danni rientranti nell’alea normale, laddove dimostrino di aver predisposto le “normali cautele atte a contenere il suddetto rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva”156.

L’accettazione del rischio è applicabile anche nella pratica dello sci e, nello specifico, all’insegnamento delle tecniche sciistiche. Il maestro di sci, infatti, non può essere chiamato a rispondere di danni occorsi a causa di fattori di rischio normalmente presenti nell’apprendimento, quali le cadute, che possono configurarsi come eventi “normali”, specie nel corso delle prime uscite con gli sci. Esse “fanno necessariamente parte di un rischio elettivo, in quanto connaturate all’apprendimento dello sci, che lo sciatore deve accettare per diventare più esperto”. È fondamentale la verifica circa la condotta diligente dell’istruttore, in modo tale da valutare la caduta come rientrante nell’alea normale dello sport, oppure ascriverla ad una condotta imprudente del maestro di sci. Nel primo caso il maestro andrà esente da responsabilità (non avendo un generale obbligo di evitare le cadute degli allievi), ma non nel secondo caso, in quanto l’evento lesivo si ricollega

155 CAMPIONE, op. cit., pp. 9 ss.

156 G. de MARZO, Responsabilità civile. Organizzazione di competizioni motoristiche, in Rivista di diritto

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eziologicamente alla negligenza del maestro che ha colpevolmente innalzato la soglia normale di rischio157.

La formula dell’accettazione del “normale rischio sportivo” si ritrova spesso nella giurisprudenza per escludere la responsabilità del maestro di sci.

A titolo esemplificativo, si riporta la Sent. Trib. Trento, 15 giugno 2004, n. 44158. Nel corso di una lezione di sci individuale un’allieva era caduta su di una pista a tratti ghiacciata riportando un trauma al ginocchio. Il problema che si presentò agli occhi del giudice fu quello di qualificare quell’evento lesivo fra quelli ascrivibili nell’alea normale dello sport oppure no. Decisiva fu l’indagine attinente allo standard di diligenza del professionista, in quanto, come visto sopra, il maestro di sci non risponde per quei danni che non sono eziologicamente riconducibili ad un suo comportamento negligente o imprudente, con riferimento a tutte le circostanze concrete (in particolare: stato della neve, difficoltà della pista, esperienza dell’allievo, ecc.). Nel caso in esame, l’istruttore andò esente da responsabilità proprio per aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare un simile evento. La pista su cui si tenne la lezione era facile, larga e di modesta pendenza, ancorché in alcuni punti ghiacciata; le condizioni metereologiche erano buone e l’allieva era in normali condizioni fisiche, avendo, per di più, già sciato nei giorni antecedenti su quel tracciato. La condotta del maestro di sci, consistente nell’aver accompagnato l’allieva su di una simile pista, non poteva, così, essere ascritta fra quelle imprudenti o negligenti. Tali eventi lesivi “sono modesti inconvenienti intrinseci al tipo di sport in questione, del tutto normali, anche in una pista facile, ed agevolmente superabili con l’attenzione e la cautela esigibili anche in un’allieva principiante, le cui esigenze di apprendimento richiedono inevitabilmente che vengano affrontate e vinte siffatte difficoltà”. In sostanza, la caduta venne fatta rientrare fra quegli eventi che lo sportivo accetta allorquando decide consapevolmente di intraprendere una attività, che, pur non essendo pericolosa, presenta un quid ineliminabile di rischio.

La dottrina dell’accettazione del rischio in materia sportiva è stata elaborata inizialmente in ambito penale. Sono state proposte una serie di soluzioni diverse per dimostrare la liceità della violenza sportiva negli sport a violenza necessaria (ad es. la boxe) o eventuale (ad es. il calcio)159. Ognuna di queste soluzioni ha un elemento comune, ossia

157 F. LORENZATO, La responsabilità civile del maestro e della scuola di sci, op. cit., pp. 127 ss. 158 Trib. Trento, 15 giugno 2004, n. 44, in rete www.dirittodeglisportdelturismo.it

159 La dottrina penalistica ha elaborato una serie di ipotesi ricostruttive al fine di giustificare la

liceità della violenza sportiva. Il fondamento viene generalmente individuato nella presenza di una causa di giustificazione (c.d. elementi negativi del reato, che devono mancare affinché il reato possa dirsi sussistente a livello oggettivo). In particolare, si è fatto riferimento alla causa di giustificazione (o scriminante) del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p. ovvero dell’esercizio del diritto ex art. 51 c.p.; e, infine, si qualifica la violenza nell’esercizio dello sport alla stregua di una scriminante atipica (G. PIOLETTI, Sport, causa ludica e illecito penale, in Rivista di diritto sportivo, 1981, p. 445; e nella giurisprudenza di legittimità: Cass., 23 maggio 2005, n. 19473 in Responsabilità civile e previdenza, 2005, p. 1034). Quest’ultima impostazione dottrinale e giurisprudenziale, è, ad oggi, quella prevalente. Ogni causa di giustificazione avrebbe un elemento in comune: risolvere un conflitto fra più interessi contrapposti a favore di quello che appare più meritevole di tutela. Per cui, il pregiudizio arrecato

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ricorre alla logica dell’accettazione del rischio al fine di delimitare l’ambito applicativo delle scriminanti, in quanto l’irrilevanza penale dei fatti lesivi è tale solo qualora essi derivino da quei normali fattori di pericolo che caratterizzano lo sport, e che dunque sono preventivamente accettati dalla vittima, e non qualora la lesione avvenga, in occasione della competizione, ma sia in realtà scollegata rispetto ad essa, e determinata invece dalla mera volontà di produrre lesioni all’integrità fisica dell’avversario160.

Anche a livello civilistico la configurazione giuridica dell’“accettazione del rischio” non è univoca. Una parte della dottrina161 la ha rappresentata quale un accordo implicito fra sportivi integrante una clausola di esonero dalla responsabilità ex art. 1229 c.c., eccezionalmente legittima in quanto lo sport sarebbe una attività rispondente ad una utilità sociale diffusa, oltre che pratica perfettamente lecita. Si viene, in tal senso, a configurare una sorta di equivalenza fra l’accettazione del rischio e le clausole di esonero dalla responsabilità (ossia quei negozi giuridici dispositivi attraverso i quali si esclude o si limita preventivamente la responsabilità del debitore previsti dal Codice all’art. 1229 c.c., che ne esclude l’operatività con riferimento alla responsabilità per dolo o colpa grave).

Altra parte della dottrina162 critica questa impostazione in base all’art. 5 c.c. (divieto di

atti di disposizione del proprio corpo), in quanto i danni che derivano più frequentemente dall’esercizio dell’attività sportiva sono proprio quelli all’integrità fisica, e non sembra, a parere di questi autori, che la rilevanza sociale dello sport possa avere dignità tale da porsi in una posizione sovraordinata rispetto al divieto qui richiamato. Si afferma, infatti, che diritti di carattere indisponibile, quale il diritto all’integrità fisica, finirebbero per essere oggetto di negoziazione, che implicherebbe, per di più, la capacità di agire dei soggetti praticanti, non dimostrando il fondamento del rischio accettato per i soggetti privi di essa (in primis, i minori di età). “Ne deriva che il danno rientrante nell’alea normale di rischio deve pur sempre essere qualificato come antigiuridico, in quanto l’accettazione del rischio, intesa come negozio dispositivo di propri diritti, sarebbe idonea ad escludere l’antigiuridicità solo con riferimento alle lesioni di diritti disponibili, ma non alla ipotesi ben più frequente di lesioni a diritti indisponibili”163. Tale dottrina ricerca allora la rilevanza

all’interesse di minor rilievo non può essere penalmente rilevante, in quanto è carente l’antisocialità dell’azione. Per il tema in esame, il fondamento della non punibilità della condotta sarebbe identico a quello presente nelle cause di giustificazione tipiche, ossia l’assenza di antigiuridicità per mancanza di danno sociale, configurando qui, però, la stessa attività sportiva quale causa di giustificazione atipica. Il legislatore avrebbe, dunque, secondo questa impostazione, riconosciuto interesse primario allo sport (stante i benefici sulla qualità della vita dei consociati), legittimando, così, eventuali lesioni all’integrità fisica degli atleti. La condotta mancherebbe dell’elemento della antigiuridicità, in quanto non sarebbe posta in essere in contrasto con gli interessi sociali, essendo, invece, diretta a soddisfarli.

160 CAMPIONE, op. cit., pp. 18 ss.

161 F.D. BUSNELLI, G. PONZANELLI, Rischio sportivo e responsabilità civile, in Responsabilità civile

e previdenza, 1984, pp. 283-291.

162 F. PANTALEONI, La dichiarazione (di esonero da responsabilità civile) imposta agli atleti della

Federazione Internazionale Sci: considerazioni sulla sua validità anche alla luce della recente normativa sulle clausole abusive, in Responsabilità civile e previdenza, 1999, pp. 548-575.

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giuridica dell’accettazione del rischio in una componente del fatto illecito diversa dall’antigiuridicità, giungendo alla conclusione che essa esplichi la propria efficacia sul piano eziologico, nel senso che la rispondenza del danno all’alea normale di rischio determini una presunzione che vede nell’attività sportiva stessa una concausa da sola sufficiente alla produzione del danno. La riconducibilità dell’evento lesivo all’alea normale di rischio per quella pratica sportiva sarebbe prova dell’esistenza sul piano oggettivo di un nesso di causalità autonomo fra la condotta del soggetto leso e il danno, superabile comunque dal danneggiato dimostrando la riconducibilità del fatto lesivo ad un altro fattore164.

L’impostazione dottrinale prevalente è, tuttavia, quella che considera l’esistenza del rischio sportivo come idonea ad incidere sull’elemento soggettivo della colpa del danneggiante. L’accettazione dell’alea normale di rischio da parte del soggetto leso sarebbe determinante al fine dell’esclusione della colpa nella condotta lesiva dello sportivo. Il concetto di colpa presuppone la creazione di un rischio ingiustificato di danno, non presente rispetto alla volontaria esposizione dello sportivo danneggiato ad una pratica che presuppone la presenza di un quid ineliminabile di pericolo, che rende, così, il rischio di danno giustificato. La condotta del danneggiante deve valutarsi secondo parametri meno rigorosi rispetto a quelli ordinari, in modo da escludere l’elemento soggettivo dell’illecito civile in tutti i casi in cui il danno rientri nell’alea normale di rischio per quella pratica sportiva165.

In ambito sciistico la figura dell’accettazione del rischio deve essere, tuttavia, considerata secondo una natura e funzione in parte diversa. Le considerazioni appena svolte, se trovano applicazione per quegli sport a violenza necessaria o eventuale, non possono trovare piena applicazione ad una attività, quale quella sciistica, in cui il contatto fra gli sciatori, pur essendo evento lesivo frequente, è escluso dalle modalità di esercizio “normali” dello specifico sport.

Ecco allora che la dottrina dell’accettazione del rischio, come visto sopra, è stata utilizzata per limitare, ad esempio, la responsabilità del maestro di sci, ma non è applicabile alla fattispecie dello scontro infrasciatorio, in quanto un simile evento lesivo non rientra fra i rischi normalmente insiti in tale pratica sportiva. Il rischio connaturato all’esercizio dello sci (accettato dagli sportivi e consentito dall’ordinamento) funge da elemento di valutazione sul piano soggettivo della responsabilità del maestro di sci, rappresentando la linea ideale di confine del dovere di diligenza che può essere imposto in capo a tale soggetto. Il giudizio sulla colpa, a fronte di un evento lesivo, richiede il confronto fra la condotta tenuta in concreto dal maestro di sci per evitare il danno rispetto a quanto avrebbe potuto e dovuto fare sulla base delle regole di esperienza precauzionali volte ad evitarlo, la cui inosservanza integra, appunto, l’elemento soggettivo dell’illecito civile, ossia la colpa.

Queste regole di esperienza si ricavano da valutazioni ripetute nel tempo in ordine alla prevedibilità e alla evitabilità dell’evento lesivo in simili situazioni concrete e integrano un modello comportamentale che non va inteso come un dovere di protezione dell’integrità

164 R. CAMPIONE, op. cit., pp. 18 ss. 165 Ibidem.

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fisica degli allievi in senso assoluto, proprio in quanto i fatti lesivi rientranti nell’alea normale di rischio sarebbero evitabili solo adottando misure preventive esorbitanti rispetto a tale modello, fra le quali vi rientra l’astensione dall’agire. Il maestro di sci dovrà, così, osservare quelle regole precauzionali atte a non innalzare la normale soglia di rischio connaturata alla pratica dello sci per cui, in sostanza, “lo sforzo di diligenza richiesto al debitore incontra il limite del rischio normale insito nell’esercizio dello sport”166.

L’obbligazione, difatti, “è un vincolo improntato a criteri di normalità e ragionevolezza che subordina l’interesse del debitore a quello del creditore, ma non esige che l’interesse di quest’ultimo sia soddisfatto a costo di qualsiasi sacrificio”167, per cui è

ragionevole ritenere che l’accettazione della c.d. “alea normale” del rischio nell’esercizio dello sci assuma rilievo nel temperare il giudizio di responsabilità dell’istruttore.

2.4 La responsabilità del maestro e della scuola di sci: profili applicativi