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dererà come sembianza delle idee, o anzi e meglio come un’eco ultima, fievo-

III. L’ ACCIDIOSO IV L’ ISPIRATO

V. L’EMPIO VI. L’APPASSIONATO VII. L’AMANTE VIII. L’EROE IX. L’AMICO X. IL TIRANNO XI. L’OSSESSO XII. IL MELANCONICO XIII. LA VITTIMA XIV. IL BEATO XV. IL SILENZIOSO

Dunque, una galleria di caratteri. Quello che conta per noi è che tre dei sonetti (già presenti nel gruppo originario di 7) na- scono per suggestione diretta da Michelangelo.

Il primo, quello che apre la serie, è Il lussurioso:

Il primo di questi (“Il lussurioso”) è nato dallo schiavo (o prigione) mo- rente, che si ammira al Louvre. Solo che Saba spostò l’accento. Non è la mor- te, ma la voluttà che raffigura il volto del giovanetto. (È dubbio, del resto, che anche nella divina statua, l’espressione sia quella di un uomo che muore.) Una voluttà amara, che il soggetto sente come un castigo, perché altro non può provare:

[IL LUSSURIOSO

Ero, fanciullo, il primo in ogni ludo; e sempre, come avessi avuto l’ale, tendevo all’alto. Or tutto il bene e il male in un pensiero che non dico chiudo. Da me ogni gioia, fuori una, escludo in cielo e in terra;] al mio ardore mortale il tronco è dato per castigo, al quale Amore m’ha legato inerme ignudo. [Ahi, questi dispietati atroci nodi m’entran sì dolci nella viva carne che libertà, potendo, non torrei. Più caro li stringesse in nuovi modi Amore intorno alle mie membra, a farne sprizzare il sangue giovanile, avrei].16

16 Ivi, p. 212.

L’icona michelangiolesca del Prigione morente (o, meglio dello Schiavo che si desta; fig. 2) viene dunque interpretata libe- ramente: Saba ne fa uno schiavo d’amore, passando dall’idea della morte (o del torpore) a quella di una voluttà intrisa di ma- sochismo.17

In Storia e cronistoria, Saba prosegue indicando come, scri- vendo Il violento e L’ispirato, si fosse ispirato rispettivamente a Giulio II e a Michelangelo. Più dell’immagine di papa Della Rovere come violento e blasfemo fino all’insania,18 interessa ai

nostri fini la rappresentazione di Michelangelo nell’Ispirato. Qui il ritratto accoglie gli elementi tipici del Michelangelo ‘drammatico’. È, infatti, un ritratto ossimorico: Michelangelo è luce e spavento; la sua vita alterna dolcezza e timore; ha ricevu- to un dono divino che è privilegio e castigo insieme. Per certi aspetti è un Michelangelo fedele al suo autoritratto storico: c’è infatti l’accenno alla scultura come liberazione delle forme im- prigionate nella mente dell’artista, motivo presente nelle rime («Non ha l’ottimo artista alcun concetto / ch’un marmo solo in sé non circoscriva / col suo soperchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all’intelletto», Rime 151). Ma c’è anche un’attualizzazione in chiave simbolista, in particolare nel rife- rimento alle «occulte rispondenze» che richiama le Correspon-

dances baudelairiane:

17

La corrispondenza tra la statua michelangiolesca e la forma metrica del sonetto sembra trovare un parallelo nella riflessione estetica dannunziana. Nella sua camera da letto al Vittoriale, Gabriele d’Annunzio teneva un calco del Prigione morente, a cui cingeva i fianchi con un drappo per nascondere le gambe, che riteneva troppo corte rispetto al busto. E già nel Piacere D’Annunzio aveva ripreso l’idea di Théodore de Banville che il sonetto fosse una forma metrica sproporzionata, con un torso (le quartine) troppo grande rispetto alle gambe (le terzine).

18 «Dov’è un cuore del mio più alto e umano / nel mondo che il mio amo-

re tutto abbraccia? / Morti e rovine segnan la mia traccia, / sempre, fin dove l’occhio va lontano. // S’alza per benedire la mia mano, / e tutto, quando scende, opprime e schiaccia. / Ritorno in me da un’amorosa caccia, / sangue anelante, e per sospetto insano. // Chi andando teme quanto me che un’erba / il suo piede non pesti, un fiorellino? / E sgozzo, e violo, e faccio altre sciagu- re. // Solo una cosa a una vita mi serba / odiosa: l’odor vostro divino, / umili sante offese creature». U. Saba, Tutte le poesie, a cura di A. Stara, introdu- zione di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 20049 (I ed. 1988), p. 274.

L’ISPIRATO

Tutto, se lo spavento non m’atterra, son luce. E tutte le cose create vengon sì stranamente a me accoppiate che il senso occulte rispondenze afferra. Ma temo. Temo dei casi la guerra, dell’uomo a me, alle in me imprigionate forme, che a libertà reco. Giornate troppo avrei dolci, senza questo, in terra. Or d’amori inumani, or della sorte pensoso, porto in me quasi ogni vita. Tal dono e tal castigo ho ricevuto. Non esser nato non vorrei, né morte innanzi tempo; vorrei già compita l’opera ch’è il mio Fato: esser vissuto.19

Dunque, un Michelangelo deguisé en Baudelaire. E del resto, anche Ungaretti, definendo la poesia di Baudelaire come un «miscuglio michelangiolesco di cielo e d’inferno», presentava il Buonarroti come una specie di antenato del poeta francese:

Mi si dirà che in Michelangelo il cielo era vero, o creduto tale, e qui è in- venzione disperata, e tale la sa, d’un dannato. Parlo d’analogia dell’ispirazio- ne drammatica. Un italiano dell’ ’800 che avesse sentito i propri tempi con quel martoriante impeto col quale afferrava i suoi Michelangelo, avrebbe avu- to con Baudelaire una somiglianza di fratello.20

Passiamo all’Uomo: il poemetto di 487 versi, del 1926-28,21

dedicato a Giacomo Debenedetti, in cui Saba si proponeva di scrivere «qualcosa come – compendiata in una figura – la storia naturale di tutti gli uomini». Nella Storia e cronistoria, e in altre sedi, lo stesso Saba si mostra perplesso sul valore del poemetto, tanto da suscitare questo commento nell’amico Tullio Mogno: «Ti sei accorto della terribile stroncatura che hai fatta del- l’Uomo? In quella poesia si avvertiva qualcosa di esterno, come un bel corpo senza anima. Sfido! Erano dei calchi da Michelan-

19 Ivi, p. 276.

20 G. Ungaretti, Per Mallarmé [1929], in Id., Vita d’un uomo. Saggi e in-

terventi, p. 208. 21

gelo! Naturalmente anche partendo da un calco si può fare poe- sia, ma lì il calco è rimasto solo calco».22

Quello che qui interessa sono proprio le modalità di questo calco. Scrive Saba:

Non solo la figura fisica dell’Uomo è derivata da Michelangelo (non le manca nemmeno qualche amplificazione, come le membra di «gigante som- messo» dell’ultima strofa), ma anche le numerose figure che lo circondano hanno, alle origini, la stessa origine. Se avessimo a portata di mano uno di quei libri che riproducono i particolari della Cappella Sistina, potremmo indi- care, quasi una per una, tutte le figure e tutti gli atteggiamenti delle figure che, volta a volta, innamorarono Saba.23

È lo stesso poeta a indicare la derivazione di alcuni versi da precise figure della Sistina (figg. 3, 4 e 5) che entrano però a far parte di un nuovo affresco in cui le sinopie rinascimentali si co- lorano di tinte psicoanalitiche:

Era la grande giovanezza, il dono d’un dio.

Dopo il lavoro il sollazzo, l’oblio dopo il sollazzo in un sonno profondo. Dormiva come al principio del mondo Adamo.

È l’Adamo dormente, da una costola del quale il Padre Eterno fa sorgere Eva.24 [fig. 3]

Nessun pensiero segnava la giusta fronte, che all’ombra dei capelli in ciuffo spioventi, più che non fosse pareva angusta.

Nel largo petto il suo cuore non era altrui malvagio, la bocca di altera forma era facile al riso, e se mai un incaglio sorgeva, spalancata nell’atto

di chi gridare usa al compagno: O fai largo o ti batto.

22

Cfr. la Cronistoria del Canzoniere e del Canzoniere apocrifo appronta- ta da Arrigo Stara in U. Saba, Tutte le poesie, pp. 1042-1043.

23 U. Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, p. 243. 24 Ivi, p. 243.

Non diciamo se questi versi sieno belli o brutti – lasciamo il lettore libero di giudicarli –; diciamo solo che essi copiano una delle figure degli Ignudi, facilmente identificabile.25 [fig. 4]

Pure l’atteggiamento della moglie, quando «come percossa da un’ira divi- na» la casa dell’Uomo sembra crollare su di lui, viene da Michelangelo, dalla Cappella Sistina: [fig. 5]

La sua moglie col mento in una mano parea impietrita.26

Raccogliendo l’invito di Saba, si possono indicare altri ri- scontri, oltre a quelli da lui dichiarati, tra i suoi versi e le imma- gini michelangiolesche.

Nelle descrizioni fisiche dell’Uomo, il corpo che si leva ar- mato di nuova forza ha il suo ipotesto figurativo più prossimo nella celebre scena della Creazione di Adamo:

Al richiamo

della vita fu pronto egli a levarsi; seppe il suo corpo di fortezza armarsi novella. (vv. 116-119)

Mentre in due gruppi di versi torna la memoria dei Prigioni (quello morente ma anche lo Schiavo ribelle; fig. 6):

Le catene da leggi antiche avvolte a lui, come a dolente schiavo, intorno, si sentiva di frangere capace,

che tolte

gli furono, per poco, d’altra mano. (vv. 103-107) Né, come di vantarsi egli era usato,

seppe di un colpo le catene frangere, con cui l’aveva il destino servile legato;

ma i nodi a lui dolorosi, pian piano, con cauta più che violenta mano a disciogliere apprese, ed altri in vece sua vi legava. Era ancor schiavo in parte, e in parte padrone. (vv. 154-163)

25

Ivi, pp. 243-244.

Anche nei versi che, nella prima strofa, parlano della lacera- zione del bambino che avverte il conflitto tra la madre amorosa e il padre ostile,

Tra il padre contro a lui di verga armato, e la madre che il volto di celato

gli baciava, nascosto egli in un canto, premeva in cuore l’infantile odio feroce,

che ritrovava talvolta nel pianto conforto e voce. (vv. 5-11)

può aver agito la suggestione di certe lunette, come quelle di

Salmon, Booz e Obeth, o di Zorobabel, Abiud e Eliachim (fig.

7).

4. Le immagini come storie: la Sistina secondo Fernando

Bandini

Agli affreschi della volta della Sistina è dedicato il poemetto latino Caelum Sacelli Xystini di Fernando Bandini, mirabile esempio moderno di scrittura ecfrastica. Il carme, composto da 194 distici elegiaci, è stato premiato nel Certamen Vaticanum del 1996 e pubblicato come strenna nel 1999.27 Come nei testi

antichi, la descriptio dell’opera d’arte si mescola alla narratio, «al racconto dei fatti dipinti o scolpiti»;28 e in questa descrizio-

ne-racconto il poeta inserisce, attraverso citazioni più o meno dirette, passi biblici.

Un cenno alla struttura. Il carme si apre con una premessa, che occupa i primi 24 versi, che celebra i colori e la luce che i restauri da poco conclusi hanno restituito alla volta.29 Si avvia

quindi la descriptio, che procede rispettando l’ordine topografi- co degli affreschi nella volta: i versi 25-54 (una trentina di versi totali) sono dedicati alle grandi Storie della Genesi al centro della volta: la Separazione della luce dalle tenebre (vv. 25-30),

27

F. Bandini, Caelum Sacelli Xystini, traduzione di F.B., con una nota di C. Carena e due disegni di M. Glaser, Errepidueveneto, Vicenza 1999.

28 Così si legge nella nota a p. 22 dell’edizione citata.

29 Dal 1980 al 1984 furono restaurate le lunette, seguite dalla volta, il cui

la Creazione degli astri (vv. 31-34), la Separazione della terra

dalle acque (vv. 35-38) e la Creazione di Adamo (vv. 39-54).

Segue uno stacco, dopo il quale il poeta passa a descrivere, nei vv. 55-82 (28 versi totali) le figure degli Antenati di Cristo che Michelangelo ha dipinto nelle lunette e nelle vele.

Dopo un ulteriore stacco, i versi 83-184 (101 versi totali) de- scrivono i Profeti e le Sibille dipinti alla base della volta: tutti, uno ad uno, con ordine topografico, in un percorso che inizia sulla parete d’ingresso, con il profeta Zaccaria, e prosegue pro- cedendo a zigzag lungo le pareti lunghe, verso l’altare, fino alla figura finale di Giona, che sovrasta l’affresco del Giudizio Uni-

versale.

Infine, i 10 versi finali (185-194) svolgono una riflessione sull’oscurità del presente e sull’ansia per il futuro.

Dunque, una struttura limpida, ordinata, che sembra seguire la scansione degli affreschi. Ma Bandini compie alcune scelte significative.

La più vistosa riguarda le grandi scene centrali: delle Storie

della Genesi affrescate sulla volta Bandini descrive solo quelle

legate alla creazione. Si ferma prima del peccato originale, omettendo completamente la caduta, la cacciata dal Paradiso terrestre e le storie della vita di Noè. È una visione luminosa della Genesi, vista come «un’abbagliante burrasca» («instar ru- tili turbinis», v. 24). E la luce è l’elemento che domina il carme, e soprattutto questa parte iniziale, che registra tutta l’impres- sione suscitata dalla visione dei dipinti non più offuscati dal fu- mo e dalla polvere («serenior aer / caerulea scenas virgine luce replet», «un’aria più limpida / riempie le scene di azzurra vergi- ne luce», vv. 9-10), che obbligano a riscrivere il giudizio su Mi- chelangelo («Haec ars pictoris: non ille coloribus usus / est ve- spertinis, ut docuere libri», «È questa l’arte del pittore: non ha usato colori / vespertini, come i libri ci hanno insegnato», vv. 17-18), dispiegandosi nella similitudine lucreziana e dantesca della luce variopinta dopo la tempesta ai vv. 11-16: «Ut cum post pluviam coepit sol rumpere nubes / et campos radius lu- minis ecce ferit / expergefaciens herbae florumque colores / sublustri visos delituisse die, / sic in miranda camera, quocum- que tueris, / omnia caelesti lumine tacta nitent» («Come quando dopo la pioggia il sole comincia a squarciare le nubi / ed ecco colpisce i campi un raggio di luce / richiamando in vita i colori

dell’erba e dei fiori / che sembravano scomparsi durante il gior- no in penombra, / così nella volta meravigliosa, dovunque tu guardi, tutto splende toccato da un lume celeste»).

Nella parte dedicata agli Antenati di Cristo, dalle tuniche e dai mantelli coloratissimi e rilucenti, la descrizione cede il passo a un’effusione affettiva. Il poeta inizia notando la presenza, ac- canto agli uomini elencati nella fonte biblica, delle madri e dei bambini:

Ast ubi Matthaeus proavos ab origine censet quorum divinum germen Iesus erat

et quadraginta memorat duo nomina patrum, et matres pictor filiolosque videt.30 (vv. 63-65)

Si concentra poi su un’unica scena (vv. 71-82), la lunetta di Azor, figura in cui è stato individuato un autoritratto di Miche- langelo (fig. 8). Si svolge così una breve fantasticheria su Mi- chelangelo, su questo suo autoritratto in figura di tristitia, che Bandini attribuisce proprio al suo essere orfano di madre e di figli:

Nonne sui vultus manifeste in vultibus Azor effinxit pictor tristitiamque suam?

Matrem perdiderat sex annos natus et usque vivum sub tacito pectore vulnus erat,

nec nidum proprium, puerum neque noverat unquam qui “pater!” exclamans obvius iret ei.

Pictor, non Azor, limis post terga tuetur matrem quae nato leniter alloquitur.

Conivet cordisque cavam secedit in umbram, transverso meditans indice labra tegit: aeque est ille pater sub pectore, filius aeque, duplex intravit lumina maesta dolor.31 (vv. 71-82)

30

«Ma là dove Matteo passa in rassegna fin dalle origini gli avi / dei quali Gesù era il divino germoglio, / e trascrive il nome di quarantadue padri, / il pittore scorge anche le madri e i bambini».

31 «Non è evidente che nel volto di Azor il pittore / ha ritratto il proprio

volto e la propria tristezza? / Aveva perso la madre a sei anni e quella ferita / continuava in silenzio a vivere dentro di lui, / non aveva mai avuto un suo nido né conosciuto un bambino / che gridasse “padre!” correndogli incontro. / È il pittore, non Azor, a guardare di sottecchi alle spalle / la madre che dol- cemente conversa col suo figlioletto. / Abbassa le palpebre e si rifugia nella cava ombra del cuore, / con l’indice di traverso sigilla pensieroso le labbra. /

Conta poi la assoluta rilevanza data ai Veggenti (la loro de- scrizione occupa 100 versi, più della metà dell’intero carme), del tutto coerente con il forte slancio profetico di Bandini, che allo scadere del secolo si fa sentire più intensamente.32 Si veda-

no i versi conclusivi dominati dall’ansia per il futuro e dalla ri- cerca di una voce profetica che illumini il presente oscuro:

Huius sed nobis obscuro tempore saecli nunc egressuris spes quoque lucis abest. En duo complentur millennia, caelitus ex quo inter nos venit filius ipse Dei,

hactenus et fera bella manent ac funera fratrum innocuo quorum sanguine terra madet,

dum res humanas facinus fraudesque gubernant atque obscuratur religionis amor.

Tum corde ausculto nostrum si forte futurum

Ionas vel quaedam sacra Sibylla canat.33 (vv. 185-194)

Anche per i Veggenti, come per le scene della Genesi e degli Antenati, Bandini coglie non l’elemento iconico ma la dimen- sione narrativa. Ad esempio, nei versi che descrivono prima la Sibilla Eritrea (105-112) e poi il profeta Isaia (113-124), le im- magini diventano delle piccole storie. In quella della Sibilla (fig. 9), il poeta immagina il momento del giorno, prima dell’alba (la mente della Sibilla è «sublucana», «similis lychno»), dipingen- do una scena d’interno con un fanciullo che si sveglia alla luce di una lanterna:

Surgit Erythrarum non orto sole Sibylla (haud procul Ionii personat unda maris).

Iam puer accensam faculam lychno admovet inflans in dubiam flammam, clarus ab igne, genas,